IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87 (letta alla pubblica udienza del 13 agosto 2004). In data 11 agosto 2004 S.M. (cittadino italiano) e I.V. (cittadino russo) sono stati arrestati dai Carabinieri di Marina di Ravenna nella flagranza dei reati previsti dagli artt. 609-octies, 582 e 337 c.p. e condotti davanti al giudice del dibattimento ex art. 449 c.p.p. per la convalida ed il giudizio direttissimo. Ad esito dell'udienza, il tribunale ha convalidato l'arresto e ha disposto la liberazione degli imputati, non avendo il pubblico ministero avanzato istanza di applicazione di misura cautelare. Entrambi gli imputati, quindi, hanno richiesto l'applicazione della pena ai sensi degli artt. 444 e 448 del codice di rito. Il pubblico ministero ha prestato il proprio consenso in ordine alla determinazione della pena finale di un anno e sei mesi di reclusione per S.M. e di un anno, sei mesi e dieci giorni di reclusione per I.V., con la sospensione condizionale delle pene. Le risultanze degli atti esibiti ai sensi dell'art. 135 disp. att. c.p.p. consentono di escludere la sussistenza di una delle cause di non punibilita' previste dall'art. 129 c.p.p., neppure dedotta dalla difesa, avuto riguardo, in particolare, alla denunzia delle persone offese, alle sommarie informazioni testimoniali assunte nell'immediatezza dei fatti ed alle parziali ammissioni degli imputati. La richiesta di «patteggiamento» concordata con il pubblico ministero presuppone il riconoscimento dell'attenuante del caso di «minore gravita» previsto dall'art. 609-bis ult. comma codice penale, ritenuta dalle parti applicabile alla fattispecie contestata della violenza sessuale di gruppo. Sulla base di detto riconoscimento la pena-base per il piu' grave delitto di cui all'art. 609-octies c.p. e' stata diminuita a due anni e otto mesi di reclusione; con la concessione delle attenuanti generiche agli imputati, incensurati, l'aumento per la continuazione con gli altri reati contestati e la successiva riduzione per il rito, si e' pervenuti alla determinazione delle pene come sopra indicate. Ritiene il Tribunale, chiamato anche a valutare la correttezza dell'applicazione «delle circostanze prospettate dalle parti» (art. 444, comma 2 c.p.p.), che - prescindendo per ora dal mancato richiamo nell'art. 609-octies c.p. della circostanza attenuante prevista dall'art. 609-bis ult. comma c.p. - nel caso di specie sussistano i presupposti per la concessione di detta circostanza e per la conseguente diminuzione di pena operata dalle parti nel calcolo intermedio. L'attenuante de qua ricorre - scondo il costante orientamento della suprema Corte (cfr. ad es., Cass. 28 ottobre 2003, El Kabouri; Cass. 24 marzo 2000, Improta; Cass. 29 febbraio 2000, Della Rotonda; Cass. 5 giugno 1998, Di Francia) - in tutte le fattispecie in cui, avuto riguardo ai mezzi, alle modalita' esecutive ed alle circostanze dell'azione, sia possibile ritenere che la liberta' sessuale della vittima sia stata compromessa in maniera non grave, anche in relazione alla sua eta' ed alle condizioni psichiche nelle quali la stessa versava al momento della commissione dell'abuso. In proposito appare necessaria una valutazione globale del fatto, che - secondo la prevalente giurisprudenza (cfr., ad es., Cass. 8 giugno 2000, Nitti; Cass. 1° luglio 1999, Scacchi; da ultimo v. Cass. 12 febbraio 2004, Marotta; contra Cass. 25 novembre 2003, Bruttomesso) - non deve essere limitata alle sole componenti oggettive del reato, bensi' estesa a quelle soggettive ed a tutti gli elementi menzionati dall'art. 133 c.p., compresi quelli indicati nel secondo comma di detta norma. L'attenuante in questione non risponde ad esigenze di adeguamento del fatto alla colpevolezza del reo, ma conceme la minore lesivita' del fatto rapportata in concreto al bene giuridico tutelato e, quindi, assumono particolare importanza la «qualita» dell'atto compiuto piu' che la «quantita» di violenza fisica, il grado di coartazione esercitato sulla vittima e le condizioni fisiche e mentali di quest'ultima, le sue caratteristiche psicologiche valutate in relazione all'eta', l'entita' della compressione della liberta' sessuale ed il danno arrecato alla vittima anche in termini psichici. Nel caso di specie, si ritiene - rectius: si riterrebbe - configurabile l'ipotesi attenuata in questione, avuto particolare riguardo alle modalita' dell'azione posta in essere dai due imputati, in evidente stato di ebbrezza: i due giovani, all'interno di uno stabilimento balneare affollato, si avvicinarono repentinamente alla persona offesa e le toccarono i glutei, quindi uno dei due tento' di baciarla, non riuscendo nell'intento per la reazione della vittima, poi soccorsa dalle numerose persone presenti sul luogo. Fortunatamente la riprovevole condotta delittuosa ha avuto conseguenze lievi, sotto il profilo della violazione della liberta' sessuale della giovane, venticinquenne, e del danno fisico e psichico subito: la «qualita» e «quantita» della violenza sessuale posta in essere dagli imputati possono dirsi di modesta entita', cosicche' appare giustificabile e congrua la diminuzione di pena (di due terzi) concordata dalle parti. L'attenuante del caso di «minore gravita», prevista dall'art. 609-bis ult. comma c.p., non e' richiamata - come detto - nel corpo dell'art. 609-octies c.p. (violenza, sessuale di gruppo), fattispecie quest'ultima che pacificamente costituisce una ipotesi autonoma di reato e non una circostanza aggravante del delitto di cui all'art. 609-bis c.p., come e' reso evidente dalla previsione di una specifica disposizione con un distinto nomen juris rispetto a quello della fattispecie generale dell' art. 609-bis c.p., dalla descrizione parzialmente autonoma nella norma - comma primo - dei requisiti costitutivi del fatto tipico nonche' dalla previsione - nei commi 3 e 4 - di circostanze aggravanti ed attenuanti (di natura soggettiva), ovviamente accessorie al reato-base di cui al primo comma. Il tribunale, dunque, e' chiamato a verificare se in via interpretativa sia possibile, in accoglimento dell'accordo delle parti, riconoscere detta circostanza nella contestata fattispecie. La suprema Corte, in base al noto principio ubi lex voluti dixit, ubi noluit tacuit, ha escluso detta possibilita', evidenziando che «il legislatore nell'art. 609-octies ha richiamato espressamente le circostanze aggravanti ed attenuanti, previste dalla legge n. 66 del 1996, che ha ritenuto applicabili, e non ha menzionato l'attenuante de qua, come ha, invece, fatto con riferimento a tutti gli altri casi, nei quali ha voluto precisare la possibilita' di tenerne conto» (cosi' Cass. 1° luglio 1996, Hodca; in senso conforme, di recente, v. Cass. 24 ottobre 2002, Raffi ed altri). Il rilievo della Corte di cassazione pare condivisibile, potendosi altresi' evidenziare che per un'altra fattispecie autonoma di reato (gli atti sessuali con minorenni di cui all'art. 609-quater c.p.) e' stata espressamente prevista - al comma 3 - la medesima circostanza attenuante del caso di minore gravita'. Non di svista o di dimenticanza si tratta, dunque, ma di una precisa scelta del legislatore del 1996, evidentemente preoccupato di sanzionare con pene gravi le condotte di violenza sessuale particolarmente «odiose» e lesive dell'integrita', della liberta' e della dignita' della donna, perche' poste in essere d un gruppo di persone. Da ultimo, in un'ampia pronunzia nella quale sono stati affrontati diversi profili attinenti l'interpretazione della fattispecie in esame (Cass. 13 novembre 2003, Pacca e altro), la suprema Corte ha evidenziato che «la previsione di un trattamento sanzionatorio piu' grave si connette al riconoscimento di un peculiare disvalore alla partecipazione simultanea di piu' persone, in quanto una tale condotta partecipativa imprime al fatto un grado di lesivita' piu' intenso sia rispetto alla maggiore capacita' di intimidazione del soggetto passivo ed al pericolo di reiterazione di atti sessuali violenti (anche attraverso lo sviluppo e l'incremento di capacita' criminali singole) sia rispetto ad una piu' odiosa violazione della liberta' sessuale della vittima nella sua ineliminabile essenza di autodeterminazione». La Corte di cassazione, poi, aveva in precedenza affermato che la soluzione del legislatore di escludere in radice l'applicabilita' dell'attenuante de qua alla fattispecie della violenza di gruppo «ha una sua logica, perche' quest'attenuante non si concilia con una previsione che sanziona una condotta ritenuta di maggiore rilevanza criminale»; vi sarebbe, dunque, una «evidente incompatibilita', derivante dall'eccezionale gravita', che il legislatore ha attribuito a questa fattispecie, alla quale ha assegnato specifica autonomia» (cosi' Cass. 1° luglio 1996, Hodca, cit.) In altra recente pronunzia (Cass. 24 ottobre 2002, Raffi ed altri, cit.), il supremo collegio ha espressamente ritenuto la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 609-octies c.p., in relazione agli artt. 3 e 27 della Costituzione, nella parte in cui esclude l'applicabilita' dell'attenuante del caso di «minore gravita», prevista soltanto per la violenza sessuale individuale. Ritiene il tribunale non condivisibile detta valutazione. Infatti, occorre valutare attentamente l'ampia sfera di applicazione del delitto di cui all'art. 609-octies c.p., fatti specie autonoma di reato a carattere necessariamente plurisoggettivo, integrata anche nel caso in cui piu' persone riunite - anche solo due - siano presenti nel luogo e nel momento di consumazione dell'illecito, non essendo necessario che ciascuna di esse ponga in essere un'attivita' tipica di violenza sessuale, integrante, in tutto o in parte, la condotta descritta nell'art. 609-bis c.p.: la punibilita' ai sensi della norma in esame, dunque, deve ritenersi estesa, qualora anche solo uno dei soggetti compia un atto di violenza sessuale, in presenza di una qualsiasi condotta di partecipazione, secondo le regole comuni del concorso di persone, purche' tenuta in una situazione di effettiva presenza sul luogo e al momento del reato. L'orientamento della giurisprudenza di legittimita', che sotto questo profilo appare al tribunale ineccepibile, e' costante e costittuisce «diritto vivente» (cfr., ad es., Cass. 10 febbraio 2004, Gabura e altri; Cass. 13 novembre 2003, Pacca e altro, cit.; Cass. 22 gennaio 2003, Passariello ed altri; Cass. 5 aprile 2000, Giannuzzi e altro; Cass. 3 giugno 1999, Bombaci e altro). Analogamente e' pacifico in giurisprudenza e dottrina il significato dell'ampia nozione di «atto sessuale», contenuta nell'art. 609-bis c.p., frutto dell'opportuno superamento, con la legge n. 66/1996, della distinzione fra violenza carnale e atti di libidine violenti, non piu' coerente con il mutato oggetto giuridico delle norme in tema di violenza sessuale e con l'esigenza di evitare alla vittima invasive indagini processuali. Atto sessuale, dunque, e' qualsiasi atto, anche di breve durata, diretto ed idoneo a compromettere la liberta' della persona attraverso l'eccitazione o il soddisfacimento dell'istinto sessuale dell'agente (fra le ultime cfr. Cass. 2 luglio 2003, Del Bravo; Cass. 13 febbraio 2003, Tomassetti; Cass. 27 febbraio 2003, De Feudis). Non vi e' dubbio che anche un «palpeggiamento» dei glutei, per quanto di brevissima durata, rientri nella nozione di atto sessuale, tale da integrare la fattispecie della violenza sessuale. Proprio in ragione della ampia nozione di «atto sessuale», dell'assenza di una diversa ipotesi criminosa di «molestie sessuali» nonche' dell'esigenza di non punire in modo sproporzionato ed irrazionale (con pena minima di cinque anni di reclusione) condotte di minore gravita', il legislatore ha previsto l'attenuante de qua, applicabile nei casi di minore lesivita' del fatto, rapportata in concreto al bene giuridico tutelato. Ora, l'esclusione assoluta di detta circostanza attenuante per i casi di violenza sessuale di gruppo (fattispecie «ad ampio spettro», come sopra ricordato) non pare coerente, razionale e, soprattutto, rispettosa del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Carta costituzionale. Anche all'interno di una ipotesi delittuosa di eccezionale gravita', quale quella introdotta dall'art. 609-octies c.p., sarebbe stato necessario prevedere l'attenuante del caso di minore gravita', operante in particolare sul versante oggettivo (modalita' ed entita' dell'atto compiuto), proprio perche' sono ben ipotizzabili condotte non altamente lesive della liberta' sessuale, meritevoli di una riduzione di pena, che non farebbe comunque venir meno - come evidenziato da qualche autore - la differenza di trattamento sanzionatorio fra «molestia» monosoggettiva e «molestia» plurisoggettiva (essendo diverse le pene edittali). L'incoerenza del sistema e' ancora piu' evidente laddove si consideri che la circostanza attenuante in esame e' riferibile anche alle condotte di violenza sessuale aggravate per l'eta' inferiore a dieci anni della vittima (art. 609-ter c.p.) ed all'ipotesi di atti sessuali con minorenni (art. 609-quater c.p.), con la conseguenza che la ricorrenza dell'attenuante non puo' essere negata per il solo fatto della tenera eta' della persona offesa (in proposito cfr., ad es., Cass. 11 febbraio 2003, Trezza; Cass. 9 luglio 2002, Capaccioli; Cass. 30 gennaio 2001, Ippia). La disparita' di trattamento appare evidente: lo stesso «atto sessuale» (si ipotizzi proprio una «manata» sui glutei assestata con fine di libidine) potrebbe essere in astratto punito - a prescindere dall'eventuale riconoscimento di altri eventuali attenuanti o diminuenti - con la pena di un anno e otto mesi di reclusione se compiuto da una sola persona, eventualmente anche in danno di una vittima in tenerissima eta', e con la pena minima di sei anni di reclusione se posto in essere da due persone (con le precisazioni di cui sopra quanto alla condotta dei partecipi). Ritiene il tribunale condivisibile l'orientamento gia' espresso in dottrina, in sede di primi commenti alla norma in esame, in ordine alla illegittimita' costituzionale (o, quanto meno, alla non manifesta infondatezza della relativa questione) dell'art. 609-octies c.p., per violazione dell'art. 3 comma primo Cost. (e, quindi, del principio di ragionevolezza quale accezione particolare del principio di uguaglianza), nella parte in cui non prevede una diminuzione di pena per le ipotesi di violenza sessuale di gruppo di minore gravita', con disparita' di trattamento rispetto alla medesima condotta di ridotta offensivita' realizzata da un solo agente e punita in modo congruo ex art. 609-bis comma terzo c.p., richiamato anche dall'art. 609-quater comma terzo codice penale. La sproporzione e l'irragionevolezza del trattamento sanzionatorio per casi quali quello in esame, avente una modesta offensivita' (per quanto moralmente riprovevole, lesivo della dignita' e liberta' della donna nonche' penalmente apprezzabile) configgono anche con il principio della funzione rieducativa della pena (art. 27, comma terzo Cost.), non apparendo soddisfacente quanto in proposito sostenuto dalla Corte di cassazione per motivare la compatibilita' della norma in esame con detta funzione, che sarebbe in ogni caso «assolta nella fase esecutiva attraverso il trattamento penitenziario e le misure alternative alla detenzione previste dall'ordinamento» (cosi' Cass. 24 ottobre 2002, Raffi ed altri, cit.). La questione proposta, oltre ad essere manifestamente non infondata (lo stesso pubblico ministero ha sollecitato il tribunale a sollevare la questione, nel caso in cui non ritenesse applicabile alla fattispecie contestata l'attenuante del caso di minore gravita), e' rilevante nel giudizio de quo, atteso che la richiesta di applicazione della pena, ritenuta congrua, non puo' essere allo stato accolta, in assenza di un intervento del giudice delle leggi che, con una pronunzia additiva, estenda la possibilita' di applicare l'attenuante prevista dall'art. 609-bis ult. comma c.p. al reato di cui all'art. 609-octies codice penale.