IL GIUDICE DI PACE

    Ha  emesso  la seguente ordinanza nella causa con R.G. n. 76/2004
promossa  da  Pagnini  Andrea,  rappresentato e difeso dall'avv. Ilic
Mambelli del foro di Forli-Cesena e dall'avv. Nadia Pironaci del foro
di Bologna;
    Contro il Comune di Roncofreddo per l'annullamento del verbale di
accertamento  e  contestazione  di  violazione al codice della strada
della  polizia  municipale  di  Roncofreddo  (Forli-Cesena),  del  27
novembre 2003, n. AX 3495/03.
    A  scioglimento  della  riserva  assunta all'udienza del 7 aprile
2004;
    Visti ed esaminati gli scritti difensivi delle parti;
    Ritenuto  che  sia pregiudiziale, per la soluzione della presente
controversia,  in  relazione  anche  alla prospettazione difensiva di
parte  ricorrente, valutare se l'art. 126-bis del codice della strada
sia  o  meno  conforme alle disposizioni degli articoli 3 e 24, comma
secondo, della Costituzione, svolge le considerazioni che seguono.
    L'obbligo  di  comunicare i dati personali relativi al conducente
di un veicolo e gli estremi della sua patente di guida, come previsto
dall'art.  126-bis  del  d.lgs.  30  aprile 1992, n. 285 (c.d. codice
della  strada)  e'  stato  introdotto  con il decreto-legge 27 giugno
2003,  n. 151,  convertito,  con modificazioni, nella legge 1° agosto
2003, n. 214.
    Appare  pacifico  che  si  tratta di un obbligo e non di una mera
facolta', dal momento che, in caso di inottemperanza, e' prevista una
specifica sanzione.
    Infatti,  se  il proprietario del veicolo non fornisce tali dati,
la  comunicazione  all'anagrafe  nazionale degli abilitati alla guida
della  decurtazione  dei punti della patente di guida, avverra' a suo
carico  mentre,  se  il  proprietario  del  veicolo  e'  una  persona
giuridica,   la   sanzione   sara'  meramente  pecuniaria,  dovendosi
applicare  quella  prevista  per  la  violazione  dell'art. 180/8 del
c.d.s.
    Cio'  premesso, va evidenziato che nel nostro ordinamento vige un
principio  fondamentale  in  base  al  quale  nessuno e' obbligato ad
autoaccusarsi,  essendo onere di chi promuove un'azione, dimostrare i
fatti che ne costituiscono il fondamento (art. 2697 c.c.).
    Nel  procedimento penale, peraltro, tale principio trova concreta
applicazione a tal punto che l'imputato puo' avvalersi della facolta'
di  non rispondere senza per questo ricevere nessun nocumento da tale
libera    scelta.   Parimenti,   anche   nel   procedimento   civile,
l'interrogato  non e' obbligato a confessare fatti a se' sfavorevoli,
ne'  a  dire  la  verita' e, per tale motivo, non deve prestare alcun
impegno in tal senso.
    Vige  poi,  sempre  nel  nostro ordinamento, il c.d. principio di
connivenza,  in  base  al  quale  nessuno  puo'  essere  obbligato  a
denunciare  un  reato,  salvo  che  si  tratti  di  delitti contro la
personalita'   dello   Stato   per   i  quali  e'  prevista  la  pena
dell'ergastolo.
    Tutti  i  principi  appena  esposti  sono  peraltro  una concreta
espressione  del  diritto  di  difesa  garantito  dall'art. 24, comma
secondo,  della  Costituzione  il  quale,  in assenza, non troverebbe
concreta attuazione.
    A  parere di questo giudice, la norma contenuta nell'art. 126-bis
del   codice  della  strada,  introdotta  molto  frettolosamente  dal
legislatore,  contrasta notevolmente con i principi appena enunciati,
al  punto  di poter essere tacciata di violazione dell'art. 24, comma
secondo,   della  Costituzione  e,  soprattutto,  dell'art.  3  della
medesima Carta costituzionale.
    Essa, infatti, imponendo ad un soggetto di confessare determinate
situazioni  a  suo  danno,  sotto  pena di sanzione, gli impedisce di
difendersi  scegliendo  la via dell'inerzia e del silenzio, mentre la
garanzia  costituzionale  di  tale fondamentale diritto, come appunto
prevista  dall'art.  24,  comma  secondo,  della  Costituzione,  deve
trovare concreta espressione anche in una simile facolta'.
    Sotto  il  diverso profilo della violazione dell'art. 3 Cost., la
norma  di  legge di cui sopra, tratta poi assai diversamente soggetti
uguali.
    Infatti  il proprietario del veicolo che non comunichi all'organo
accertatore   i   dati   del   conducente,  subisce  egli  stesso  la
decurtazione  dei  punti  dalla  patente,  mentre il proprietario del
veicolo che non sia possessore di patente di guida non subisce alcuna
sanzione  (la decurtazione dei punti a suo danno e', sostanzialmente,
una  sanzione  inesistente,  attesa  la mancanza del relativo atto di
abilitazione alla guida).
    Esiste  poi  una  terza  ipotesi,  quella  che  cioe' riguarda le
persone   giuridiche   proprietarie  di  veicoli,  per  le  quali  e'
unicamente  prevista  una  sanzione  pecuniaria  a  carico del legale
rappresentante che non comunichi tali dati.
    Tre  sono  dunque le ipotesi sanzionatorie differenti, di fronte,
pero',  a  comportamenti perfettamente uguali e non sembra sussistere
ragione   alcuna   perche'   debba   essere   prevista   una   simile
differenziazione.
    Si tratta, infatti, di sanzioni assai diverse tra loro, una delle
quali   assolutamente   inesistente  (ipotesi  del  proprietario  non
possessore  di  patente  di guida), una meramente pecuniaria (ipotesi
del  proprietario  persona  giuridica)  ed  una  terza  che obbliga a
confessione (ipotesi del proprietario titolare di patente di guida).
    Tale ultima ipotesi, inoltre, contrasta altresi' con il principio
della  responsabilita'  personale  della  pena - applicabile anche in
tema  di  illecito amministrativo - poiche' colpisce con una sanzione
affittiva  non  pecuniaria  (decurtazione dei punti della patente) un
soggetto che non ha affatto commesso alcuna violazione alle norme che
disciplinano il comportamento da tenere durante la guida di veicoli.
    Tali profonde differenziazioni non trovano giustificazione alcuna
e,  dunque,  si  ritiene  che  violino  il  principio  di uguaglianza
contenuto nell'art. 3 della nostra Carta costituzionale.