ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel   giudizio   di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo 513,
commi 2  e  3, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza
del  28 marzo  2003  dal  Tribunale  per  i  minorenni di Catania nel
procedimento penale a carico di M.G., iscritta al n. 416 del registro
ordinanze  del  2003  e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale della
Repubblica n. 27, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Udito  nella  camera  di consiglio del 13 ottobre 2004 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto   che  il  Tribunale  per  i  minorenni  di  Catania  ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3 e 111, quarto comma, della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 513,
commi 2  e 3, del codice di procedura penale, «nella parte in cui non
e' prevista la lettura delle dichiarazioni eventualmente rese in sede
di  udienza  preliminare  dal  coimputato nel medesimo procedimento e
che,  essendo  stata  successivamente stralciata la sua posizione, si
avvalga  in  dibattimento,  sentito  quale  imputato ex art. 210 cod.
proc. pen., della facolta' di non rispondere»;
        che, in punto di fatto, il tribunale rimettente premette: che
procede a carico di una persona imputata dei reati di furto aggravato
e  tentata  estorsione  aggravata;  che,  nel  corso della istruzione
dibattimentale,  era stato disposto l'esame - in qualita' di imputato
di  reato  connesso ai sensi dell'art. 210 cod. proc. pen. - di altro
minorenne,  gia'  coimputato  nei  medesimi  reati,  il  quale  aveva
parzialmente ammesso i fatti addebitatigli, indicando al tempo stesso
l'odierno  imputato  come  proprio  correo  in  uno dei furti; che la
posizione processuale del dichiarante era stata peraltro separata, in
quanto  -  a  seguito  di  celebrazione del giudizio abbreviato - era
stata  pronunciata  nei  suoi  confronti ordinanza di sospensione del
processo  e  messa alla prova, a norma dell'art. 28 del d.P.R. n. 448
del 1988;
        che, tuttavia, una volta comparsa in dibattimento, la persona
gia'  coimputata  dichiarava  di  avvalersi  della  facolta'  di  non
rispondere;  sicche'  -  ha  puntualizzato  il giudice a quo - doveva
essere  conseguentemente respinta la richiesta, avanzata dal pubblico
ministero,    di   procedere   alla   lettura   delle   dichiarazioni
precedentemente  rese,  in  quanto,  in  assenza  dell'accordo fra le
parti, vi ostava il chiaro disposto dell'art. 513 del codice di rito;
        che,  alla  stregua  di  tale  ricostruzione  della  concreta
vicenda  processuale,  la  disposizione di cui al richiamato art. 513
cod.  proc.  pen.  si  porrebbe  dunque  in contrasto - ad avviso del
tribunale  rimettente - tanto con il principio di uguaglianza, quanto
con  il  precetto  sancito  dall'art. 111,  quarto comma, della Carta
fondamentale;
        che a parere del giudice a quo, infatti, tale ultimo precetto
costituzionale  mira  ad impedire che in dibattimento possano trovare
ingresso   prove   assunte   in   difetto  di  contraddittorio;  tale
condizione,  pero', non risulterebbe essersi in alcun modo realizzata
nel  caso  di  specie,  poiche'  la  persona  da  esaminare  a  norma
dell'art. 210  cod.  proc.  pen., gia' coimputata nei medesimi reati,
aveva  reso  dichiarazioni  accusatorie  nei  confronti  dell'odierno
imputato  nel  corso  della  udienza preliminare: sede, questa, nella
quale  esso  non  si  era  «affatto  sottratto all'interrogatorio del
difensore  del  (coimputato)  il  quale  ben avrebbe potuto, non solo
porgere  domande tramite il, ma anche avvalersi - facendone esplicita
richiesta  -  della  facolta'  di  cui al comma secondo dell'art. 421
c.p.p.,  laddove  si prevede addirittura che su richiesta di parte il
giudice  possa  disporre  che  l'interrogatorio  sia reso nelle forme
previste dagli artt. 498 e 499 c.p.p.»;
        che,  pertanto  -  osserva  il Tribunale rimettente - nel non
prevedere, quanto alla ipotesi dedotta, la possibilita' della lettura
delle  dichiarazioni precedentemente rese, l'art. 513 cod. proc. pen.
si porrebbe in contrasto sia con l'art. 111, quarto comma, Cost., che
con  l'art. 3  della medesima Carta, in quanto verrebbe a realizzarsi
una irragionevole disparita' di regime processuale tra casi analoghi,
«addirittura   prevedendo  un  trattamento  deteriore  per  l'ipotesi
prospettata   rispetto   all'unico   caso   in   cui  (a  prescindere
dall'accordo  delle  parti) l'art. 513 c.p.p. prevede la possibilita'
di lettura, e cioe' rispetto a quella dell'incidente probatorio»;
        che  infatti  -  puntualizza  il  rimettente  -  le  garanzie
difensive  previste  in  sede  di  incidente probatorio sono «di gran
lunga inferiori a quelle stabilite per l'udienza preliminare», ove le
parti  si  misurano  su  una  imputazione  gia'  formulata  e  con la
conoscenza  di  tutti  gli  atti  su  cui  essa  si  fonda: sicche' -
sottolinea  conclusivamente  il  giudice  a  quo  -  non sarebbe dato
comprendere  la  ragione  per la quale risulti consacrata nel sistema
«una  cosi'  patente  disparita'  di  trattamento  fra  dichiarazioni
egualmente  rese innanzi ad un giudice terzo, nel contraddittorio fra
le  parti e con la piena possibilita' per le parti di esaminare colui
che rende dichiarazioni accusatorie».
        che nel giudizio non si sono costituite le parti private, ne'
ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
    Considerato  che  il  Tribunale  per i minorenni di Catania, dopo
aver  esposto  la peculiare vicenda processuale che ha contrassegnato
il  giudizio  a  quo - rappresentata in particolare dalla circostanza
che  il  procedimento,  dapprima cumulativo a carico di due minorenni
coimputati  di  furto  ed  altro,  aveva  visto  uno dei due imputati
rendere  dichiarazioni  auto  ed  etero-accusatorie  nel  corso della
comune   udienza  preliminare;  e  poi,  a  seguito  di  separazione,
avvalersi  della  facolta'  di  non  rispondere, una volta chiamato a
sottoporsi  all'esame ex art. 210 cod. proc. pen., nel dibattimento a
carico  del  coimputato  precedentemente indicato di reita' - impugna
l'art. 513  del  codice  di  rito nella parte in cui, nella specifica
ipotesi  dianzi  descritta,  non  prevede  la  lettura  e, quindi, la
utilizzazione  processuale  delle  dichiarazioni precedentemente rese
nel  corso  della  udienza  preliminare, deducendone il contrasto, in
parte qua, con gli artt. 3 e 111, quarto comma, della Costituzione;
        che,  a  fondamento  della  prospettata censura, il tribunale
rimettente   evoca   la  diversita'  di  regime  che,  a  suo  avviso
irragionevolmente,  caratterizzerebbe  -  al  lume della disposizione
censurata  -  la  possibilita'  di  utilizzare  mediante  lettura  le
dichiarazioni   erga   alios   raccolte   attraverso   lo   strumento
dell'incidente  probatorio, rispetto all'opposto divieto che, invece,
preclude  una  simile possibilita' per le omologhe dichiarazioni rese
nel  corso  della udienza preliminare; e cio' perche' in quest'ultima
sede  processuale  risulterebbe integralmente rispettato il principio
del  contraddittorio,  nella prospettiva dell'art. 111, quarto comma,
Cost., stante la possibilita' per il difensore del chiamato in reita'
di  far  interrogare  il  dichiarante o, addirittura, di interrogarlo
direttamente,  a  norma  dell'art. 422, comma 4, ultimo periodo, cod.
proc. pen;
        che,  d'altra  parte,  le garanzie difensive risulterebbero -
nella  fase  della  udienza  preliminare  -  addirittura  piu'  ampie
rispetto  a  quelle  previste  per  l'incidente  probatorio, poiche',
«mentre  all'udienza  preliminare  il  difensore, ove lo voglia, puo'
esaminare  il  coimputato  «accusatore» avendo piena contezza e delle
imputazioni  e  di  tutti  gli  atti posti a fondamento del giudizio,
nell'incidente  probatorio  egli  ha  solo alcune indicazioni e sulla
base di queste deve procedere all'esame del coimputato»;
        che,  tuttavia, nel descrivere il quadro normativo coinvolto,
il  giudice  rimettente  ha trascurato di considerare che l'art. 514,
comma 1,  del  codice  di  rito - nello stabilire, innovando rispetto
alla  disciplina del codice abrogato, il principio generale in virtu'
del  quale  sono  vietate  le letture, quale veicolo di utilizzazione
processuale  degli atti, salvo le ipotesi espressamente previste - ha
inserito,   nel  novero  di  tali  deroghe,  proprio  il  caso  delle
dichiarazioni  rese  nella  udienza preliminare «nelle forme previste
dagli  articoli 498  e  499,  alla  presenza  dell'imputato o del suo
difensore»:   cosi'   consentendo  la  utilizzazione  dibattimentale,
mediante  lettura,  proprio di quelle dichiarazioni - pure richiamate
dallo  stesso  rimettente  - che, «su richiesta di parte», il giudice
della udienza preliminare ha autorizzato ad assumere con le forme del
dibattimento  a  norma  del  gia' ricordato art. 422, comma 4, ultimo
periodo.   D'altra   parte,   a   testimonianza   della  correlazione
finalistica  tra quest'ultima disposizione e l'art. 514, comma 1, sta
il  fatto  che la possibilita' di procedere all'interrogatorio con le
forme del dibattimento nella udienza preliminare, e la corrispondente
possibilita' di utilizzare quelle dichiarazioni attraverso l'istituto
della lettura, furono introdotte nel codice attraverso un'unica fonte
novellatrice,  rappresentata  dall'art. 2  della legge 7 agosto 1997,
n. 267;
        che,  pertanto,  il  raffronto operato dal giudice a quo - in
punto  di  utilizzazione mediante lettura - tra le dichiarazioni rese
nel  corso  della  udienza  preliminare  con  forme diverse da quelle
dibattimentali, e le dichiarazioni acquisite nel corso dell'incidente
probatorio,  si rivela non pertinente, sotto il profilo strutturale e
funzionale.  Infatti,  alla  incontestabile diversita' delle forme di
assunzione   (che  di  per  se'  rendono  riconoscibile  ex  ante  la
destinazione  di  quelle  dichiarazioni),  si  coniuga  la differente
prospettiva  in  cui  esse  si  collocano nella dinamica processuale:
mentre,  infatti,  l'incidente probatorio e' istituto che si proietta
verso  l'utilizzazione  dibattimentale, l'interrogatorio, assunto con
le  forme  ordinarie nel corso della udienza preliminare, e', per sua
natura,  destinato  a vivere e produrre i suoi effetti all'interno di
quella  fase  e  per  la decisione che ne costituisce l'epilogo. Ove,
invece,  tale  interrogatorio  sia stato assunto con le forme tipiche
del  dibattimento  (e,  quindi,  a  tale  fase  idealmente, oltre che
formalmente,   coeso),   ben  se  ne  spiega  il  diverso  regime  di
utilizzazione mediante lettura;
        che, dunque, le doglianze del tribunale rimettente si fondano
su  una  parziale ricostruzione del quadro normativo e su una erronea
comparazione di istituti fra loro non omologabili: sicche' la pretesa
compromissione  del  canone  di  ragionevolezza finisce per risultare
palesemente destituita di fondamento;
        che,  di  riflesso, nessuna violazione puo' ritenersi inferta
al principio del contraddittorio, neppure sotto lo specifico versante
richiamato  dal  giudice  a  quo,  posto  che  le  scelte operate dal
legislatore, per quanto si e' dianzi osservato, non possono ritenersi
in alcun modo in contrasto con i valori sottesi al parametro evocato;
        che,  pertanto,  la questione proposta deve essere dichiarata
manifestamente infondata
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.