ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 206 del codice penale, promosso, nell'ambito di un procedimento penale, dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma con ordinanza del 13 ottobre 2003, iscritta al n. 1040 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, 1ª serie speciale, dell'anno 2003. Udito nella camera di consiglio del 29 settembre 2004 il giudice relatore Guido Neppi Modona. Ritenuto in fatto Con ordinanza del 13 ottobre 2003 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 206 del codice penale, nella parte in cui non consente di adottare in fase cautelare misure di sicurezza non detentive come la liberta' vigilata. Il giudice rimettente premette di procedere nei confronti di un soggetto riconosciuto totalmente incapace di volere al momento dei fatti e sottoposto, per tale motivo, alla misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, e di dover decidere in ordine alla richiesta della difesa di sostituzione di tale misura con quella non detentiva della liberta' vigilata. Il giudice a quo, precisato che sulla scorta delle risultanze peritali deve ritenersi attuale lo stato di pericolosita' sociale dell'imputato e che quindi non si puo' revocare la misura di sicurezza provvisoriamente applicata ex art. 312 del codice di procedura penale, rileva che, mentre da un lato la misura di sicurezza non puo' essere sostituita con gli arresti domiciliari, suggeriti dal perito a fini terapeutici, ostandovi il disposto dell'art. 273 cod. proc. pen., che non consente l'adozione di alcuna misura cautelare in presenza di una causa di non punibilita', dall'altro alla luce di una interpretazione logico-sistematica la medesima disposizione, pur espressamente richiamata dall'art. 312 dello stesso codice, «deve intendersi riferita solo alle cause di non punibilita' diverse da quelle che, a norma dell'art. 206 cod. pen., consentono l'applicazione provvisoria delle misure di sicurezza», cosi' come sostenuto dalla giurisprudenza di legittimita'. Il giudice a quo espone inoltre che le piu' recenti relazioni sanitarie dei medici della casa di cura e di custodia ove il soggetto e' ricoverato depongono per un «maggior equilibrio psichico nel giovane», che risulta aver «reiteratamente fruito di permessi all'esterno dell'istituto psichiatrico, assistito dai familiari, senza dare adito a rilievo alcuno». La prognosi, conseguentemente formulata, di scemata - anche se non completamente cessata - pericolosita' sociale in termini di rilevanza psichiatrica, rende evidente, ad avviso del rimettente, «l'eccessiva rigidita' della previsione dell'art. 206 cod. pen.» nella parte in cui consente, nella fase cautelare, e con riferimento ai soggetti maggiorenni, la sola alternativa del ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario ovvero in una casa di cura e di custodia. Ad avviso del rimettente la disposizione in esame violerebbe gli artt. 3 e 24 Cost. per la irragionevolezza di una scelta normativa che, con riferimento alle misure di sicurezza applicabili in fase cautelare, «esclude sostanzialmente ogni possibilita' di ricorrere a misure di sicurezza di tipo non detentivo», sancendo un rigido automatismo che non consente una adeguata valutazione da parte del giudice e - a differenza di quanto previsto all'esito del giudizio (viene richiamata al riguardo la sentenza n. 253 del 2003 della Corte costituzionale, che ha dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 222 cod. pen. nella parte in cui non consente al giudice di disporre una misura di sicurezza di tipo non detentivo) - non permette di adottare, tra le misure di sicurezza previste dall'ordinamento, quella che in concreto appare maggiormente idonea a contemperare la cura e la tutela della persona con le esigenze di controllo e contenimento della pericolosita' sociale. Infine, il giudice rimettente ritiene rilevante la questione in quanto, nonostante la scemata pericolosita' sociale del soggetto, l'ordinamento non consente di applicare alcuna misura di sicurezza diversa da quella attualmente in corso di esecuzione e, in particolare, non consente l'adozione della misura non detentiva della liberta' vigilata che, con le opportune prescrizioni, appare adeguata «in termini di prevenzione sociale e idonea a consentire l'effettivo recupero del giovane». Considerato in diritto 1. - Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 206 del codice penale, nella parte in cui non consente di applicare in via provvisoria al soggetto infermo di mente una misura di sicurezza non detentiva, quale la liberta' vigilata. Il rimettente si trova a dovere decidere sulla richiesta, presentata dalla difesa di un soggetto riconosciuto totalmente incapace di volere per infermita' di mente al momento dei fatti, di sostituzione della misura di sicurezza provvisoriamente applicata del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario con la liberta' vigilata, che, anche sulla base delle risultanze delle ultime relazioni sanitarie dei medici della struttura ove il soggetto e' internato, risulterebbe piu' idonea a soddisfare le esigenze di cura e ad assicurare nel contempo le esigenze di controllo e di contenimento della diminuita, ma tuttora persistente, pericolosita' sociale. Il giudice a quo ritiene che l'impossibilita' di sostituire la misura di sicurezza con altra non detentiva si ponga in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione (e implicitamente con il diritto alla salute), essendo privo di ragionevolezza il rigido automatismo di una disciplina che in fase cautelare preclude al giudice di valutare quale sia in concreto la misura di sicurezza piu' idonea a contemperare le esigenze di cura e quelle di controllo di un soggetto socialmente pericoloso; irragionevolezza tanto piu' evidente ove si consideri che la sentenza n. 253 del 2003 della Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'art. 222 cod. pen. nella parte in cui non consente al giudice di adottare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza non detentiva. 2. - La questione e' fondata. 3. - L'art. 206 cod. pen. impone al giudice che debba disporre l'applicazione provvisoria di una misura di sicurezza nei confronti di un soggetto totalmente infermo di mente e socialmente pericoloso di ricorrere esclusivamente ad una misura detentiva, e cioe' al ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario. Il rimettente lamenta appunto che il «rigido automatismo» della norma censurata gli precluda di applicare la diversa misura di sicurezza della liberta' vigilata, che nel caso di specie, ove accompagnata da opportune prescrizioni alla stregua di quanto previsto dall'art. 228, secondo comma, cod. pen., sarebbe la piu' idonea a soddisfare le concomitanti esigenze di cura del soggetto infermo di mente e di controllo della sua pericolosita' sociale. Una situazione sostanzialmente analoga e' stata scrutinata con la sentenza n. 253 del 2003, con la quale questa Corte - prendendo in esame il rigido automatismo della regola legale che imponeva al giudice di disporre, in caso di proscioglimento per infermita' mentale, il ricovero dell'imputato in ospedale psichiatrico giudiziario, anche quando una misura non segregante quale la liberta' vigilata, accompagnata da opportune prescrizioni, avrebbe consentito di soddisfare in modo piu' adeguato le esigenze di cura e di tutela e quelle di controllo della pericolosita' sociale - ha dichiarato illegittimo l'art. 222 cod. pen. nella parte in cui non consente al giudice di adottare una diversa misura di sicurezza non detentiva. Al riguardo, la Corte ha preliminarmente rilevato che, a differenza di simili questioni sollevate nel passato, con le quali era stata chiesta la mera eliminazione della misura di sicurezza o la sua sostituzione con misure alternative di creazione giurisprudenziale, ovvero era stata censurata la cronica inadeguatezza delle strutture degli ospedali psichiatrici giudiziari - questioni dichiarate inammissibili o non fondate in quanto miranti a interventi normativi o fattuali esorbitanti dai poteri della Corte (v. da ultimo sentenza n. 228 del 1999 e ordinanza n. 88 del 2001) -, veniva denunciato l'automatismo della regola legale che impone al giudice di applicare comunque all'infermo di mente una misura di sicurezza detentiva e veniva indicata una concreta soluzione alternativa, quale la liberta' vigilata, misura gia' prevista dall'ordinamento e «idonea a soddisfare le esigenze di cura e tutela della persona, da un lato, di controllo e contenimento della sua pericolosita' sociale, dall'altro lato». La Corte, constatato che l'art. 222 cod. pen. «adotta un modello che esclude ogni apprezzamento della situazione da parte del giudice, per imporgli un'unica scelta, che puo' rivelarsi, in concreto, lesiva del necessario equilibrio tra le diverse esigenze [...] e persino tale da pregiudicare la salute dell'infermo», ha affermato che «l'automatismo di una misura segregante e «totale» come il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, imposta pur quando essa appaia in concreto inadatta, infrange l'equilibrio costituzionalmente necessario e viola esigenze essenziali di protezione dei diritti della persona». 4. - Le argomentazioni svolte dalla sentenza n. 253 del 2003 nel censurare il rigido automatismo che caratterizzava l'art. 222 cod. pen. e le conclusioni circa la violazione del principio di ragionevolezza e del diritto alla salute si attagliano, a maggior ragione, alla disciplina dell'applicazione provvisoria della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, posto che sarebbe irragionevole precludere al giudice l'applicazione in via provvisoria di una misura non detentiva consentita invece in via definitiva. In particolare, l'art. 312 del codice di procedura penale dispone che per applicare la misura provvisoria e' sufficiente la sussistenza di «gravi indizi di commissione del fatto», cioe' un sommario giudizio prognostico, mentre in caso di proscioglimento per infermita' psichica l'applicazione in via definitiva della misura presuppone evidentemente un compiuto accertamento circa la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del fatto di reato. La disciplina censurata si riferisce cioe' a una fase processuale in cui - proprio alla luce della non definitivita' degli accertamenti sul fatto - assume particolare rilievo, in relazione alle condizioni di salute dell'indagato infermo di mente, l'esigenza di predisporre forme di cura e cautele adeguate e proporzionate al caso concreto, mediante interventi caratterizzati da flessibilita' e discrezionalita', incompatibili con l'automatismo che contrassegna la disposizione in esame. L'art. 206 cod. pen., nella parte in cui preclude di adottare una misura di sicurezza non segregante come la liberta' vigilata - che grazie alle prescrizioni che il giudice puo' imporre a norma dell'art. 228, secondo comma, cod. pen. consente nello stesso tempo di attuare gli interventi terapeutici piu' idonei alla cura dell'infermo di mente e di disporre le opportune cautele per controllare e contenere la sua pericolosita' sociale - viola il principio di ragionevolezza e, di riflesso, il diritto alla salute, e deve pertanto essere dichiarato costituzionalmente illegittimo.