IL TRIBUNALE Visti gli atti del giudizio n. 2358/04 R.G.G.I.P. e, preso atto che nella fattispecie si contestava nei confronti dei tre indagati, fra le altre, anche la contestazione di cui all'art. 53-bis del d.lgs. n. 22/1997, per avere gli stessi, in concorso tra loro ed al fine di conseguire un ingiusto profitto, con piu' operazioni, attraverso l'allestimento di mezzi e attivita' continuative organizzate, ceduto, ricevuto, trasportato e comunque smaltito e gestito abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti tra 1999 ed il 2003. Letta inoltre la richiesta di applicazione di una misura cautelare richiesta dalla pubblica accusa nei confronti dei tre indagati di cui al sopra numerato procedimento, formulata nei loro confronti in data 18 maggio 2004 ed accolta dallo scrivente con ordinanza di applicazione della custodia cautelare nei loro confronti nella forma degli arresti domiciliari in data 3 giugno 2004 e rilevato che nella fattispecie si trattava di uno scarico continuato sui terreni di uno degli indagati, per circa quattro anni (appunto dal 1999 al 2003, malgrado l'art. 53-bis del decreto Ronchi sia entrato in vigore dall'aprile del 2001) di ammendante organico compostato sfuso prodotto da altro indagato e trasportato dall'ultimo dei tre indagati in quantita' di gran lunga superiore a quelle consentite, al massimo, dalla legge (anche falsificando la destinazione dello stesso sulle bollette di scarico relativo), ammendante contenente rifiuti inorganici del tipo plastica, oggetti metallici ed altro ed equiparabile pertanto ad un rifiuto, motivo per cui si riteneva che, vista l'attivita' industriale apprestata e la reiterazione delle condotte, commisurate, pero', sull'arco di ben quattro anni, vi fosse nella fattispecie la concretizzazione di un ingente traffico illecito di rifiuti. Rilevato che lo scrivente ritiene di poter dubitare, in maniera non manifestamente infondata, della legittimita' Costituzionale dell'art. 53-bis del d.lgs. n. 22/1997 aggiunto dall'art. 22, legge 23 marzo 2001 per evidente contrasto della formulazione di tale norma con i precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 24, 25, 27 e 111 della Costituzione. L'art. 53-bis inserito nel d.lgs. n. 22/1997 e, infatti, il primo (e, allo stato, unico) delitto ambientale in senso stretto della legislazione italiana; tuttavia, la norma (introdotta dall'art. 22 della legge 23 marzo 2001) per come strutturata, appare ragionevolmente passibile di declaratoria di illegittimita' costituzionale relativamente a due profili, entrambi di evidente rilevanza: la inesistenza di un «minimo» riconoscibile di condotta tipica («ingenti quantitativi») e la palese - quanto inaccettabile - coincidenza dell'elemento psicologico - dolo specifico introdotto, con il dolo generico richiesto per la volizione dolosa «minima». Va premesso che l'art. 53-bis e' un delitto certamente di pericolo (senza evento) e, pertanto, tipizzato unicamente in relazione alla condotta sulla quale dovrebbe incentrarsi l'offensivita' del fatto tipico in relazione al bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice; in piu' il legislatore ha individuato un ulteriore elemento costitutivo della fattispecie rappresentato dal dolo specifico dell'ingiusto profitto. La tecnica legislativa utilizzata per disciplinare tale illecito e' assolutamente disarmonica rispetto ai canoni della tipicita' e determinatezza della fattispecie, nonostante ogni sforzo interpretativo. In relazione alla condotta, sembra che il legislatore abbia voluto operare una distinzione rispetto alle fattispecie contravvenzionali, tipizzando, in modo specifico, la scelta comportamentale - mediante piu' operazioni organizzate in modo continuativo - di gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti. Tale condotta, pero', appare in tutta evidenza contraria al principio di tassativita' della norma penale, in quanto assolutamente indeterminata, nella parte in cui non e' in alcun modo specificata la parametrazione del concetto - per qualita' e/o quantita' - di «ingenti quantitativi», anche per l'assolutamente generico riferimento all'avverbio «abusivamente», di cui si dira' poi, (oltre che, in second'ordine, per l'omissione relativa alla tipologia di rifiuti, la cui gestione integrerebbe il delitto de quo); Invero, non si comprende quali siano i requisiti che rendono le attivita' «continuative ed organizzate» che non siano di fatto ricompresi, nel previo allestimento di mezzi e come possa a molteplicita' di operazioni che costituiscono da sole, ciascuna di esse, una porzione della condotta tipica prevista dall'art. 53-bis che, evidentemente, presenta una rubrica che fa pensare all'interprete a condotte organizzate per il traffico illeciti di rifiuti, ed invece la condotta (cosi' infelicemente) descritta punisce la organizzata e continuativa cessione, trasporto, esportazione, ecc. illeciti dei rifiuti, e quindi nulla ha a che vedere con il traffico illecito di rifiuti di cui al precedente art. 53 del medesimo decreto Ronchi, che e' cosa del tutto diversa. Inoltre, la tipizzazione della condotta in relazione al concetto di «ingenti quantitativi», e' un'assoluta novita' del nostro ordinamento, che lascia indubbiamente campo libero alla piu' ampia, discrezionalita' del giudice che di volta in volta non si limitera' ad interpretare la norma, bensi' ad indicarne la portata «tipica» ed i contenuti precettivi, con presumibile contrasto di giudicati anche in caso di identiche condotte a seconda dell'indicazione del giudice di turno. Questa situazione, lo si ripete, e' indubbiamente in contrasto con il principio di legalita' nella sua duplice veste della tassativita' e determinatezza della fattispecie, oltre che evidentemente lesiva, nella sua genericita', di un serio esercizio del diritto di difesa. Tale diagramma, sintonizzato al rispetto dei principi costituzionali, puo' soffrire lievissime eccezioni solo se tali concetti indeterminati vengano a tipizzare delle circostanze del reato (vedi sostanze stupefacenti: arg. ex Cass. S.U. 21 giugno 2000, n. 17) laddove la discrezionalita' del giudice serve ad equilibrare fatti gia' penalmente rilevanti e specificatamente individuati e sanzionati dalle norme incriminatici. Non solo, proprio dalla giurisprudenza di legittimita', in tema di stupefacenti, richiamata abbondantemente nella richiesta di applicazione di una misura cautelare nel presente procedimento (vedi ex multis, Cass. sez. VI 10 aprile 2003, n. 29702), si apprende l'estremo pragmatismo che caratterizza l'interpretazione della circostanza aggravante ex art. 80 del d.P.R. n. 309/1990, con riferimenti che in alcun modo possono essere «estesi» alla materia dei rifiuti. Questo a maggior ragione ove si consideri che la gestione di questi «ingenti quantitativi» deve essere semplicemente abusiva, senza che sia dato sapere a quale dei divieti del decreto Ronchi (e solo a quelli?) la norma si riferisca e, soprattutto, a quali tipologie di rifiuti, elemento questo, assolutamente rilevante ai fini della effettiva messa in pericolo del bene giuridico che la norma vuole tutelare. In tale frangente, non puo' valere, trattandosi di norma incriminatrice primaria, il rinvio che la giurisprudenza della S.C. opera alla «valutazione discrezionale» del giudice di merito in tema di stupefacenti. Cosi' operando, si svincolerebbe il precetto da qualsivoglia certezza, affidando all'apprezzamento dell'interprete la delimitazione dei contenuti tipici del fatto di reato, situazione evidentemente collidente con i principi di cui agli articoli dalla Carta fondamentale richiamati in epigrafe, ciascuno indicativo di un parametro microscopicamente violato dal legislatore con la norma in esame. Peraltro, visto che la gestione di queste ingenti quantita' di rifiuti, cosi' come il commercio, l'intermediazione e le spedizioni abusive degli stessi, sono gia' previsti come reati, sia pure di natura solo contravvenzionale, da altre norme del decreto Ronchi, se non si vuole ritenere che l'art. 53-bis abbia avuto, in pratica, il solo compito di elevare al rango di delitto fattispecie che prima erano solo contravvenzioni, ci si deve chiedere se puo' esistere in rerum natura un'attivita' che sia abusiva ma che produce comunque un profitto giusto, altra ragione per cui si ritiene la norma assolutamente contraria al principio costituzionale di tassativita'. La norma appare illegittima costituzionalmente anche ove si ponga attenzione alla introduzione del dolo specifico - ingiusto profitto - che indubbiamente incentra l'illiceita' della fattispecie; infatti, non e' sufficiente porre in essere la condotta prevista dalla norma, ma occorre uno scopo ulteriore perche' il fatto possa essere costitutivo di reato. La scelta di punire queste condotte come realizzate a seguito di dolo specifico, presumibilmente, e' frutto della scelta del legislatore di delimitare la punizione a comportamenti che, di per se' leciti, si possono qualificare come reati in presenza di questa determinata finalita' (un ingiusto profitto). Solo che la genericita' della condotta, indubbiamente mal scritta, rende ancora piu' difficile la valutazione della sussistenza dell'elemento psicologico - dolo specifico - ulteriore rispetto al dolo generico dell'avverbio «abusivamente», in quanto e davvero impossibile immaginare un profitto giusto in presenza di una gestione, come gia' scritto sopra, se questa attivita', altrimenti lecita, deve necessariamente essere anche abusiva, quello che avrebbe dovuto essere l'elemento specializzante da provare - dolo specifico - viene, a causa di tale errata previsione legislativa, inevitabilmente a confondersi con la condotta, determinando un'inaccettabile dolus in re ipsa, e comunque una inevitabile confusione e coincidenza (ed impossibilita' di discernimento) tra il dolo specifico e quello generico, realizzando cosi' un ulteriore vulnus diritto di difesa ex art. 24 della Costituzione.