IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza, pronunciata ai sensi dell'art. 23, comma 3 legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87. Visti gli atti del procedimento n. 4/04 R. Esec. nei confronti di Marra Aurelio, nato a Reggio Calabria il 27 agosto 1962, in atto detenuto nella Casa Circondariale di Reggio Calabria, difeso di fiducia dall'avv. Michele Priolo del Foro di Reggio Calabria, espone: Svolgimento del procedimento Con istanza pervenuta nella cancelleria di questo ufficio in data 14 gennaio 2004, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria sollecitava l'instaurazione di procedimento di esecuzione ai sensi deIl'art. 666 c.p. ai fini della revoca della sospensione condizionale della pena concessa a Marra Aurelio con riferimento ai seguenti titoli: sentenza emessa dalla Corte di appello di Reggio Calabria in data 22 settembre 1998 (conferma pretore Reggio Calabria 21 aprile 1993, esecutiva 20 maggio 1999), recante condanna alla pena di anni uno di reclusione ed euro 361,52 di multa per il delitto di cui agli artt. 62-bis, 89 e 648 c.p. commesso il 25 febbraio 1991; sentenza emessa dalla Corte di appello di Reggio Calabria in data 15 marzo 1999 (conferma Pretore Reggio Calabria 19 luglio 1994, esecutiva 12 gennaio 2000) recante condanna alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed euro 464,81 di multa per il delitto di cui agli artt. 62-bis e 648 c.p. commesso in data 21 giugno 1999. Il tutto sul presupposto della sopravvenienza, per i fini di cui all'art. 168, comma 1, n. 2 c.p., dei seguenti ulteriori titoli esecutivi: sentenza emessa dal pretore di Melito Porto Salvo in data 31 gennaio 1997, parzialmente riformata in appello il 22 marzo 2001, esecutiva il 12 aprile 2002, recante condanna alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed euro 361,52 di multa per il reato di cui agli art. 69, 110 e 648 c.p. commesso in data 8 giugno 1993; sentenza emessa dal Pretore di Reggio Calabria in data 16 dicembre 1993, esecutiva in data 8 ottobre 2002, recante condanna alla pena di anni due di reclusione e lire 1.000.000 di multa per il delitto di cui all'art. 648 c.p., commesso il 13 novembre 1992. All'udienza camerale del 22 giugno 2004, celebratasi dopo l'originaria fissazione e all'esito di due rinvii per motivi procedurali, il difensore di fiducia di Marra Aurelio preannunciava lintendimento di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 168, comma 1, n. 2 c.p., nella parte in cui impone la revoca automatica della sospensione condizionale della pena a causa della sopravvenienza di nuovi titoli esecutivi relativi a fatti commessi anteriormente all'esecutivita' delle sentenze con cui il beneficio era stato concesso avuto riguardo alla menomazione cosi' asseritamente prodotta quanto alle finalita' di cui all'art. 27 della Costituzione; sollecitava quindi un rinvio dell'udienza per adeguatamente formulare e illustrare la questione che, non oppostosi il pubblico ministero d'udienza, veniva concesso. Ritiene ora questo giudicante, per le ragioni che verranno appresso illustrate, di dover sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale sia dell'art. 168, comma 1, n. 2 c.p., sia dell'art. 164 comma 4 c.p., in quanto applicabili al caso in questione e quindi rilevanti. Sulla legittimita' del provvedimento de plano Deve intendersi legittimamente applicabile, nel caso di specie, la procedura dell'emissione di ordinanza de plano fuori udienza e fuori dal contraddittorio delle parti, atteso che l'art. 23, comma 3 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87 prevede espressamente il potere officioso dell'autorita' giurisdizionale, avanti alla quale il procedimento per cui si prospetti una questione di costituzionalita' veda, di sollevare tale questione, il che implica che il giudice, sul solo presupposto della disponibilita' del procedimento e dei relativi atti, legittimamente possa formarsi un convincimento determinante tale decisione al di fuori di richieste ed interlocuzioni di parte. Invero, il procedimento decisorio su questioni di legittimita' costituzionale e' un procedimento che, sebbene incidentale e finalizzato alla definizione di un concreto caso, ha una propria struttura autonoma, totalmente ricostruita e delineata dagli articoli 23 e seguenti della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87, laddove nello specifico caso di cui al terzo comma dell'art. 23 della suddetta legge, potendo il giudice sollevare la questione di legittimita' costituzionale d'ufficio, e' evidente che il suo intervento non e' subordinato all'instaurazione o al mantenimento del contraddittorio tra le parti, bensi' all'esigenza superiore, a carattere ordinamentale, della conservazione delle norme costituzionali. Pertanto, la suddetta decisione legittimamente puo' essere adottata dal giudice anche fuori udienza e senza aver sentito le parti, essendo il solo presupposto formale la presa di contatto con gli atti legittimamente presenti nell'incarto procedimentale. D'altra parte la Corte suprema di cassazione ha evidenziato con chiarezza come nei casi in cui il giudice provveda o possa provvedere in camera di consiglio non sia sempre tassativa l'osservanza delle disposizioni dettate da norme che garantiscono il contraddittorio quali l'art. 127 c.p.p. e, nel caso di specie, l'art. 666 c.p.p., bensi' lo sia solo nei casi in cui e' prescritta espressamente tale disciplina (cfr. Cass. penale, sez. I, 3 ottobre 1991, n. 3243, Biagiotti, in tema di declaratoria di inammissibilita' di impugnazione ex art. 591 c.p.p.); cosi' e' dal pari, ad esempio, per quanto concerne il procedimento di riesame di cui all'art. 309 c.p.p., che e' dal pari un procedimento incidentale che, quand'anche possa in ipotesi instaurarsi nel contesto di un procedimento gia' pervenuto alla celebrazione dibattimentale, e quindi al massimo grado di garanzia del contraddittorio, si celebra comunque nel rispetto delle disposizioni specificamente dettate per esso. Nel caso in cui il giudice abbia a delibare su una questione di legittimita' costituzionale, pertanto, l'instaurazione del contraddittorio in udienza camerale si impone solamente nel caso in cui il giudice sia chiamato a pronunciarsi su istanza di parte, laddove i precetti di cui all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e all'art. 111 della Costituzione rendono attuale e imprescindibile il diritto di controparte di controdedurre e svolgere appieno le proprie difese onde impedire che il giudice possa formarsi un convincimento su base parziale, mentre nel caso in cui la questione venga sollevata d'ufficio, cio' deriva da una statuizione del tutto autonoma del giudice, in ordine alla quale le deduzioni di parte non acquisterebbero rilievo in quanto ultronee. D'altro canto, per quanto attiene a questo specifico procedimento, il difensore di Marra Aurelio non ha formalmente sollevato questione di legittimita' costituzionale, bensi' ha solamente preannunciato l'intendimento di proporla, non essendosi quindi verificato il presupposto essenziale per l'instaurazione del contraddittorio, sostanziato dalla sottoposizione al giudice di formale istanza. Sulla rilevanza della questione La questione di legittimita' costituzionale che questo giudicante si accinge a sollevare d'ufficio e' specificamente rilevante quanto alla definizione del procedimento in commento. Vi e' infatti, e lo si argomentera' meglio appresso, fondato motivo di ritenere che il disposto dell'art. 164, comma 4 e altresi' dell'art. 168, comma 1, n. 2 del codice penale, laddove opportunamente armonizzato, se del caso con pronuncia da parte della Corte costituzionale di sentenza declaratoria della loro parziale o totale illegittimita' costituzionale, coi principi di cui agli articoli 3 e 27 della Costituzione, e in particolare con l'esigenza che anche la sospensione condizionale della pena, in quanto istituto avente finalita' specialpreventive e spiccatamente rieducative del reo, condurrebbe questo giudicante a dover adottare, in ordine alla richiesta di revoca della sospensione condizionale della pena avanzata dall'ufficio di Procura, non gia', come ai sensi dell'attuale ordito normativo, una decisione vincolata e meccanica che tenga conto unicamente del superamento astratto dei cumuli di pena e del numero di condanne indicati dalle suddette norme, bensi' anche dell'impatto del ripristino sic et simplic iter dell'esecuzione della pena sul processo rieducativo del reo e del rilievo della parziale positiva esecuzione del beneficio della sospensione condizionale sullo stesso, anche quanto alla determinazione della pena complessivamente da eseguirsi, avuto riguardo al rilievo di condanne pronunciate per fatti commessi anteriormente rispetto alla concessione del beneficio e, quindi, che non furono oggetto di valutazione del giudice di merito alla stregua dei parametri di cui agli artt. 133 e 163 del codice penale. Si tratta di una vicissitudine alla quale va concretamente incontro, nel caso di specie, la posizione dell'interessato Marra Aurelio. Questo giudicante non potrebbe, chiaramente, estendere i limiti del proprio spazio valutazionale e decisorio persistendo l'ostacolo rappresentato dalla vigenza nell'attuale formulazione delle norme evocate, nella misura in cui esse sono ritenute costituzionalmente illegittime, non essendo altresi' data, stante la loro formulazione «secca» e «precisa» basata su criteri aritmetico-contabili inerenti alle pene astrattamente inflitte con sentenze o provvedimenti equipollenti, la possibilita' di evitare di sollevare la questione con interpretazione adeguatrice ai canoni costituzionali. Sulla non manifesta infondatezza Necessariamente preliminari all'esame della questione che si pone oggi all'attenzione di questo giudicante sono alcuni cenni idonei a individuare la finalita' del beneficio della sospensione condizionale della pena previsto dall'articolo 163 del codice penale, attraverso le relative definizioni della giurisprudenza della suprema Corte di cassazione. Assodato che il beneficio, «attraverso la prospettata minaccia di esecuzione della pena inflitta, mira a distogliere il reo dalla commissione di ulteriori reati» Cass. pen. sez. I, 7 gennaio 1985, n. 75), la Corte suprema precisa poi, ulteriormente, che «L'istituto della sospensione condizionale della pena tende a neutralizzare gli effetti negativi delle pene detentive brevi e si fonda su di una prognosi favorevole quale deve ricavarsi dalla presunzione di ravvedimento e di emenda del reo, in riferimento alla sua personalita' morale» (Cass. pen., sez. I, 11 agosto 1988, n. 8041). Una definizione ancora piu' chiara delle finalita' dell'istituto proviene da Cass. pen., sez. I, 10 dicembre 1991 n. 3999, ai sensi della quale pronuncia: «Alla base dell'istituto della sospensione condizionale della pena si rinvengono principi che costituiscono un vulnus alla funzione retributiva della pena, nel senso che nell'applicazione di esso la detta funzione si affievolisce sino ad assumere esclusivamente contorni di indole utilitaristica connessi all'esigenza di sottrarre l'interessato all'ambiente deleterio e pericoloso del carcere. L'istituto persegue quindi solo finalita' di prevenzione speciale, posto che si ritiene che la condanna non eseguita costituisca una remora per il condannato, per la prospettiva che, in caso di ulteriore commissione da parte sua di condotte illecite, la natura retributiva della pena riassumerebbe il suo ruolo, momentaneamente stemperato dal ricorso all'istituto». E' evidente, quindi, sulla base delle suddette chiare enunciazioni, come anche l'istituto della sospensione condizionale della pena, alla stessa stregua delle misure alternative alla detenzione oggi previste dalla legge 353/1975 (ordinamento penitenziario) e successive modificazioni, partecipi di una finalita' specialpreventiva di sapore spiccatamente inteso alla rieducazione del reo nel rispetto del precetto di cui all'art. 27, commi 1 e 3 della Costituzione repubblicana, sia pure col particolare strumento pratico non gia' di consentire al condannato di eseguire la pena inflittagli secondo modalita' piu' o meno distanti dal comune trattamento carcerario, bensi' di sospendere appunto la stessa esecuzione della pena, mantenuta in vita solo come «minaccia» nell'ipotesi che il condannato tradisca le aspettative riposte in una prognosi favorevole circa la sua astensione dal commettere reati, e nel convincimento, rimesso alla discrezionalita' del giudice, che tale «minaccia» sia sufficiente come remora per impedire al condannato di ricadere nel reato. Alla stregua di tali precisazioni, puo' quindi individuarsi anche la plausibile finalita' delle limitazioni contemplate, quanto alla possibilita' di concessione originaria, nuova concessione e mantenimento del beneficio, dagli artt. 163 e 164 del codice penale avuto riguardo per un verso all'ammontare delle pene inflitte, per altro verso al numero delle condanne riportate. Tali statuizioni rispondono, evidentemente, a una presunzione introdotta dal legislatore per cui l'ammontare delle pene complessivamente inflitte e il numero delle condanne, oltrepassando certi limiti, non consentano di qualificare il condannato come soggetto nei confronti del quale il beneficio della sospensione condizionale della pena possa utilmente dispiegare la propria finalita' specialpreventiva e, in ultima istanza, rieducativa cio' quand'anche le condizioni per la concessione del beneficio, originariamente sussistenti, vengano meno per effetto della sopravvenienza di condanne per fatti commessi anteriormente a quelli per cui la sospensione condizionale della pena fu originariamente concessa. Peraltro, va ricordato che nel 1930, epoca di emanazione e concezione dell'attuale codice penale, l'ordinamento, a differenza della situazione odierna in presenza dell'articolato sistema delle misure alternative alla detenzione di cui alla legge 253/1975 e successive modificazioni, non prevedeva alternative al trattamento penitenziario, allora, anche per l'indubitabile impronta dell'ideologia politica autoritaria che animava il governo dell'epoca, di per se' peraltro improntato a esigenze grandemente punitive e solamente in seconda istanza special preventive; sicche', in buona sostanza, il beneficio della sospensione condizionale della pena era concepito alla stregua di una ultima chance per i condannati a pene detentive considerate brevi di evitare il carcere. Le modifiche legislative introdotte, in particolar modo negli anni settanta, per adeguare il nostro ordinamento penale ai precetti della Costituzione, e segnatamente al principio di personalita' della penale responsabilita' e di finalizzazione tendenzialmente rieducativa della pena di cui all'art. 27, commi 1 e 3 della Carta fondamentale, hanno invero inciso notevolmente su quel sistema che, a parte l'istituto con caratteristiche autonome e peculiari del perdono giudiziale, si basava sull'alternativa tra sospensione condizionale della pena, per pene assai brevi (originariamente, fino a un anno di reclusione) e per non piu' di una volta, e trattamento penitenziario. Infatti, per un verso le «maglie» della concedibilita' della sospensione condizionale della pena sono state alquanto ampliate, sia quanto ai limiti massimi di pena inflitta entro i quali il beneficio e' concedibile, quali in atto preveduti dall'art. 163 c.p., sia quanto alla concedibilita' del beneficio per una seconda volta, avuto riguardo al combinato disposto dell'art. 184, comma 4, e 168, comma 2 c.p. E per altro verso, soprattutto, e' stata introdotta dall'articolo 47 dalla legge 353/1975 (ordinamento penitenziario) e successive modificazioni, la misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale, la quale, pur importando comunque, quanto alle modalita' di esecuzione, limitazioni piu' o meno penetranti alla liberta' del condannato, sottrae questi non solo al regime penitenziario ordinario, bensi' allo stesso regime detentivo, affiancando quindi la sospensione condizionale della pena quale istituto che consente di attuare una finalita' special preventiva e rieducativa senza con cio' esporre i condannati per i quali cio', alla stregua dei principi di cui all'art. 27 della Costituzione, parrebbe pregiudizievole, al repentino impatto col circuito carcerario, atteso che, dopo i ripetuti interventi della Corte costituzionale, l'affidamento in prova al servizio sociale puo' oggi essere concesso anche a chi non abbia subito neanche in parte l'esecuzione della pena nelle forme ordinarie. L'introduzione dell'istituto dell'affidamento in prova al servizio sociale consente, comunque, di delineare con una certa nettezza le differenze di presupposti, quanto alla concedibilita', rispetto alla sospensione condizionale della pena, atteso che, se e' comune a entrambi i benefici la necessaria prognosi positiva del giudice sull'idoneita' degli stessi a prevenire la ricaduta nel reato del condannato, la sospensione condizionale della pena tende tuttora ad evitare del tutto ai condannati che ne siano stimati meritevoli l'impatto non tanto e non solo col carcere, ma con le stesse vicende esecutive della pena, mentre l'affidamento in prova al servizio sociale e le altre misure alternative alla detenzione, per giurisprudenza unanime e consolidata, costituiscono esse stesse modalita' di esecuzione della pena. Vi e' tuttavia un ineliminabile tratto comune tra la sospensione condizionale della pena e l'affidamento in prova al servizio sociale, rappresentata dalla finalita' rieducativa, nel senso di misura improntata a distogliere il condannato dal reato, che, se nell'affidamento in prova non e' esclusiva, prevedendo tale misura alternativa anche significative limitazioni della liberta' e quindi un impatto anche solo indirettamente afflittivo e punitivo, nella sospensione condizionale e' pressoche' esclusiva, laddove essa solo facoltativamente puo' essere subordinata, quanto alla concessione, a determinate condizioni, che non necessariamente dovranno essere integrate da limitazioni alla liberta' del condannato. Orbene, la finalita' in tutto o in parte rieducativa di una misura che si ponga come alternativa al carcere postula necessariamente, anche alla luce del principio di personalita' della responsabilita' penale di cui all'art. 27, comma 1 della Costituzione e, quindi, dell'esigenza di personalizzazione del trattamento che ne discende, che ogni giudizio di valore sulla persistenza, in capo all'interessato, dell'idoneita' a poter continuare a fruire del concesso beneficio sia subordinato alla valutazione della sua concreta condotta e personalita' nel momento in cui l'eventuale esecuzione della pena nelle ordinarie forme enitenziarie dovrebbe ipoteticamente aver luogo, e non gia', meramente, avuto riguardo all'astratto momento in cui i reati sono stati commessi o le condanne sono state inflitte, avuto riguardo alle valutazioni che il giudice della cognizione puo' in tale ultimo caso operare anche ai sensi dell'art. 133 c.p. Avendo riguardo alla normativa in tema di affidamento in prova al servizio sociale di cui all'art. 47 della legge 353/1975 e successive modificazioni, tale presupposto inderogabile appare rispettato, specialmente avuto riguardo al profilo del superamento dei limiti di pena entro i quali il beneficio puo' essere accordato e conservato, atteso che in tal caso e' previsto che il tribunale di sorveglianza possa accordare all'affidato in prova a carico del quale sopravvenga nuova condanna per fatti commessi anteriormente alla concessione del beneficio che, cumulatane la durata al residuo di pena che dovrebbe espiare detratto il periodo di affidamento gia' trascorso, non superi i limiti di legge, cio' senza neppure aversi riguardo al numero complessivo delle condanne sopravvenute. A tal guisa, anche attraverso i ripetuti interventi della Corte costituzionale, si e' disegnato un meccanismo complessivo per cui la pericolosita' sociale presuntivamente impediente rispetto alla prosecuzione della misura alternativa, coincidente con la comminatoria complessiva di una pena eccedente i limiti di legge, viene adeguatamente bilanciata avuto riguardo all'esito allo stato degli atti positivo dell'affidamento e, quindi, alla sua efficacia rieducativa gia' in parte esplicatasi, e soprattutto non viene ancorata a dati formali, quali la pena astrattamente inflitta con sentenze o provvedimenti equipollenti, o il numero delle singole condanne, la cui considerazione esclusiva sarebbe stridente con l'esigenza di rieducazione personalizzata del reo laddove, dall'osservazione della sua personalita' e comunque del suo comportamento, emerga la persistente utilita' del beneficio. Viceversa, la normativa in tema di revoca della sospensione condizionale della pena, con particolare riguardo al disposto di cui all'art. 168, comma 1, n. 2 c.p., non appare parimenti soddisfare tale esigenza costituzionalmente imposta, laddove, avuto riguardo alla rilevanza delle condanne sopravvenute per fatti antecedenti alla concessione del beneficio, e nonostante la concessione dello stesso siasi fondata in sede di cognizione su una prognosi positiva del giudice sull'idoneita' della sospensione condizionale a distogliere il colpevole dal reato, vincola il giudice dell'esecuzione, ai fini di un'obbligata e vincolata revoca, a una mera operazione di cumulo matematico di pene astrattamente inflitte, senza accordargli alcun potere discrezionale di verificare se detta prognosi positiva possa sopravvivere alla luce degli elementi disponibili all'atto della richiesta di revoca, ai sensi dell'art. 133 c.p. La stessa Corte costituzionale ha incidentalmente evidenziato, sotto altro aspetto, le carenze sul piano della conformita' all'art. 27 della Costituzione dell'art. 164, comma 2, n. 1 c.p., laddove vietava (secondo la formulazione all'epoca vigente) la concessione della sospensione condizionale per piu' di una volta e quindi imponeva la revoca automatica del beneficio precedentemente concesso, laddove la norma cio' disponeva senza distinguere se la precedente condanna si riferisca a delitto commesso in epoca precedente o successiva al reato per cui si infligge attualmente condanna (cfr. sentenza 381/1987), raccogliendo quindi il dubbio sollevato dal giudice a quo, non portato alle debite conseguenze poiche' la norma in commento non formava nel caso di specie specifico oggetto di contestazione, per cui la revoca automatica della sospensione condizionale della pena per sopravvenienza di condanne riferite a reati commessi anteriormente alla concessione del beneficio si prospetta in contrasto col richiamato precet to costituzionale non dando alcun spazio alla valutazione della personalita', della condotta del condannato e del grado di rieducazione da lui raggiunto. Nonostante sia qui in esame una diversa disposizione, non si puo' non constatare come analogo ragionamento non possa non formularsi anche avuto riguardo al disposto dell'art. 168, comma 1, n. 2 c.p., atteso che, se nel caso di cui all'art. 164 il dato formale che impone al giudice dell'esecuzione l'automatica revoca della sospensione condizionale della pena, con forzata indifferenza alle esigenze concrete di rieducazione del reo e ai danni che il brusco reinserimento dello stesso nel circuito dell'esecuzione della pena puo provocare e' costituito dal numero delle condanne, con arida contabilita' ragionieristica che oltre tutto rischia di determinare intollerabili discriminazioni tra condannati sul mero dato formale e non dipendente dalla loro volonta' dell'emissione di condanne in unica sentenza o su sentenze separate laddove possa astrattamente esservi sia riunione che separazione di processi, nel caso dell'art. 168, comma 1, n. 2 c.p. cio' che frustra le precipue esigenze di specialprevenzione e azione riedu cativa nei confronti del reo e' il cumulo, sempre astratto e matematico, a cui il giudice dell'esecuzione e' costretto, alla stregua di un automa, ad effettuare delle pene astrattamente inflitte con sentenze diverse. Vero e' che, in quest'ultimo caso, il superamento dei limiti complessivi di pena previsti dalla legge suggerirebbe che la revoca della sospensione condizionale non trovi alternative e tuttavia cio' che appare assolutamente intollerabile e' che l'impatto di una nuova sentenza di condanna, emessa per reati commessi anteriormente al momento in cui il giudice della cognizione formulo' la prognosi positiva che ispiro' la concessione del beneficio, possa travolgere gli effetti positivi dello stesso, specie in quanto analizzabili attraverso dati concreti e verificabili - e in particolare, ai sensi dell'art. 133 c.p., non solo attraverso l'astensione dal reato bensi' anche con la contemplazione complessiva della condotta del condannato in pendenza del termine di sospensione condizionale - senza che alcun giudice, ne' quello dell'esecuzione ne' altro, sia chiamato a formulare un giudizio sostanziale, nel merito, sul successo rieducativo e specialpreventivo del beneficio che abbia parzialmente avuto luogo e sull'eventuale non opportunita' di revocarlo per i danni che da cio' potrebbero derivare al processo rieducativo stesso. Si e' gia' visto che ben diversa e' l'ampiezza delle valutazioni che il tribunale di sorveglianza puo' operare in punto di revoca o prosecuzione dell'affidamento in prova al servizio sociale, laddove infatti il parametro in concreto da considerarsi e' quello dato dalla sottrazione al cumulo delle pene astrattamente inflitte del periodo trascorso in regime di affidamento che abbia avuto parziale esito positivo allo stato degli atti, sicche' solamente una valutazione negativa dell'organo giudicante sul periodo di affidamento potrebbe portare alla mera revoca in presenza del superamento dei limiti di pena previsti dalla legge sulla base del dato formale delle condanne inflitte. E si potra' opinare, al riguardo, che l'affidamento in prova al servizio sociale deve essere per gli effetti in questione, equiparato all'espiazione di pena, mentre la sospensione condizionale della pena e' misura che non ha di massima alcun effetto restrittivo della liberta' del condannato, sicche' non sarebbe astrattamente dato, istituendo un meccanismo analogo, detrarre da un cumulo di pena periodi trascorsi in liberta'. A questa obiezione puo' agevolmente replicarsi che il tribunale di sorveglianza, laddove valuta se l'esito dell'affidamento sia stato positivo o meno, ha in considerazione non gia' gli effetti parzialmente afflittivi della misura alternativa, ma precipuamente, se non esclusivamente, quelli rieducativi, laddove una siffatta valutazione e' possibile anche per quanto riguarda la condotta osservata dal condannato durante la fruizione del beneficio della sospensione condizionale della pena, laddove non possa negarsi, almeno in parte, l'effetto positivo di quella «minaccia» di esecuzione della pena che costituisce la sostanza della forza specialpreventiva e rieducativa di questo beneficio, quanto a distogliere, almeno in parte e almeno temporaneamente, il condannato dal reato. A meno che, quindi, non si voglia attribuire alla misura prevista dagli artt. 163 e ss. c.p. una rilevanza meramente utilitaristica, intesa a «svuotare le carceri» dai condannati a pene detentive tendenzialmente brevi - il che sarebbe in contrasto comunque con l'art. 27 della Costituzione, atteso che il trattamento rieducativo del reo si impone non solo nel suo interesse ma soprattutto in quello della collettivita' ad essere salvaguardata dal reato e dalla pericolosita' di determinati soggetti in modo comunque compatibili coi diritti comunque imprescindibili di costoro - o tanto meno un rilievo puramente afflittivo che e' invece del tutto carente proprio per la natura del beneficio, non e' dato rinvenire alcuna ragione per cui possa continuare ad esistere un siffatto trattamento discriminatorio tra i condannati ammessi al beneficio della sospensione condizionale della pena e quelli invece ammessi alla misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale, avuto riguardo all'impatto, sulla possibili ta' di conservazione del beneficio, delle condanne relative a fatti antecedenti alla conversazione del medesimo. L'unico modo di rimuovere tale discriminazione, rilevante in punto di contrasto col combinato disposto degli articoli 3 e 27, commi 1 e 3, della Costituzione, e' in concreto quello di attribuire in sede di procedimento di revoca della sospensione condizionale della pena al giudice dell'esecuzione, alla stessa stregua dell'analogo potere accordato al giudice di sorveglianza rispetto all'affidamento in prova al servizio sociale, il potere di determinare in quale residua misura la pena condizionalmente sospesa, avuto riguardo al tempo decorso dalla concessione del beneficio e alla condotta osservata in tale tempo dal condannato, debba residualmente essere eseguita, e quindi, qualora il residuo cosi' determinato, cumulato alle pene inflitte con le condanne sopraggiunte, non superi i limiti di cui all'art. 163 c.p., il potere di rigettare la richiesta di revoca, e confermare il condannato nella fruizione del beneficio, qualora ne permangano i rimanenti presupposti. Analoghe valutazioni, e a maggior ragione anche avuto riguardo alle riflessioni, sopra evidenziate, gia' effettuate al riguardo, e da epoca ben risalente, dalla Corte costituzionale, si impongono quanto alla compatibilita' costituzionale dell'art. 164, comma 4 c.p., nella parte in cui preclude il mantenimento del beneficio, imponendone invece la revoca, con riferimento al superamento del limite numerico di due condanne relative a fatti anteriori alla concessione del beneficio medesimo. In tal caso, oltre alla discriminazione tra condannati che si determinera', e si determina in concreto frequentemente, a seconda del mero dato formale della pluralita' o dell'unitarieta' di condanne per fatti giudicabili unitariamente, parimenti si verifica il caso in cui una condanna relativa a fatto anteriore alla concessione del beneficio, su cui il giudice della cognizione in ogni caso non pote' estendere le proprie valutazioni all'atto della concessione medesima, non gia' perche' necessariamente importi il superamento dei limiti di pena indicati dall'art. 163 c.p., ma addirittura per il mero fatto della sopravvenienza a due precedenti condanne, importa in termini analoghi una meccanicistica revoca della sospensione condizionale senza avere riguardo alle esigenze ampiamente sottolineate in punto di rieducazione del reo. E' evidente che nessuna coloritura, in termini di gravita' dei fatti complessivamente ascritti al condannato, potra' esere aggiunta dal mero soppravvenire numerico di un'ulteriore condanna quando i limiti di cui all'art. 163 c.p. non siano comunque superati, che si voglia avere riguardo alle attuali previsioni di cui all'art. 168, comma 1, n. 2 c.p. o alla prospettazione sopra formulata secondo cui tale norma deve intendersi costituzionalmente illegittima, e che la norma, impedendo al giudice dell'esecuzione qualsivoglia valutazione che tenga conto del grado di rieducazione raggiunto del reo e della parziale positiva esecuzione del beneficio, anzi imponendo valutazioni presuntive basate su una mera contabilita' ragioneristica delle condanne, magari plurime anziche' unitarie per effetto del caso, assume un significato puramente vessatorio, assolutamente, radicalmente, recisamente incompatibile col disposto dell'art. 27, commi 1 e 3 della Costituzione; ed inoltre, ancora una volta, tale da istituire una discrim inazione insensata e ingiustificabile rispetto alla posizione degli affidati in prova al servizio sociale, per i quali, ai fini dell'eventuale revoca, il mero dato numerico delle condanne sopravvenute per fatti anteriori alla concessione del beneficio non ha rilevanza alcuna. Per i motivi sopra riportati, si solleva questione di legittimita' costituzionale relativamente alle norme menzionate, con ogni effetto di legge e come da dispositivo.