IL TRIBUNALE

    Ha  emesso  la seguente ordinanza, pronunciata ai sensi dell'art.
23, comma 3 legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87.
    Visti gli atti del procedimento n. 4/04 R. Esec. nei confronti di
Marra  Aurelio,  nato  a  Reggio  Calabria il 27 agosto 1962, in atto
detenuto  nella  Casa  Circondariale  di  Reggio  Calabria, difeso di
fiducia dall'avv. Michele Priolo del Foro di Reggio Calabria, espone:

                    Svolgimento del procedimento

    Con istanza pervenuta nella cancelleria di questo ufficio in data
14  gennaio 2004, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
di  Reggio  Calabria  sollecitava  l'instaurazione di procedimento di
esecuzione  ai  sensi  deIl'art. 666  c.p. ai fini della revoca della
sospensione  condizionale  della  pena  concessa  a Marra Aurelio con
riferimento ai seguenti titoli:
        sentenza  emessa dalla Corte di appello di Reggio Calabria in
data  22  settembre  1998 (conferma pretore Reggio Calabria 21 aprile
1993,  esecutiva  20 maggio 1999), recante condanna alla pena di anni
uno  di reclusione ed euro 361,52 di multa per il delitto di cui agli
artt. 62-bis, 89 e 648 c.p. commesso il 25 febbraio 1991;
        sentenza  emessa dalla Corte di appello di Reggio Calabria in
data  15 marzo 1999 (conferma Pretore Reggio Calabria 19 luglio 1994,
esecutiva  12  gennaio 2000) recante condanna alla pena di anni uno e
mesi  sei di reclusione ed euro 464,81 di multa per il delitto di cui
agli artt. 62-bis e 648 c.p. commesso in data 21 giugno 1999.
    Il  tutto sul presupposto della sopravvenienza, per i fini di cui
all'art. 168,  comma  1,  n. 2  c.p.,  dei  seguenti ulteriori titoli
esecutivi:
        sentenza  emessa dal pretore di Melito Porto Salvo in data 31
gennaio  1997,  parzialmente  riformata  in appello il 22 marzo 2001,
esecutiva il 12 aprile 2002, recante condanna alla pena di anni uno e
mesi  quattro  di  reclusione ed euro 361,52 di multa per il reato di
cui agli art. 69, 110 e 648 c.p. commesso in data 8 giugno 1993;
        sentenza  emessa  dal  Pretore  di Reggio Calabria in data 16
dicembre  1993,  esecutiva  in  data 8 ottobre 2002, recante condanna
alla  pena di anni due di reclusione e lire 1.000.000 di multa per il
delitto di cui all'art. 648 c.p., commesso il 13 novembre 1992.
    All'udienza   camerale  del  22  giugno  2004,  celebratasi  dopo
l'originaria   fissazione  e  all'esito  di  due  rinvii  per  motivi
procedurali,  il  difensore di fiducia di Marra Aurelio preannunciava
lintendimento  di  sollevare questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 168,  comma  1,  n. 2  c.p.,  nella  parte in cui impone la
revoca  automatica  della sospensione condizionale della pena a causa
della  sopravvenienza  di  nuovi  titoli  esecutivi  relativi a fatti
commessi  anteriormente  all'esecutivita'  delle  sentenze con cui il
beneficio  era  stato  concesso avuto riguardo alla menomazione cosi'
asseritamente prodotta quanto alle finalita' di cui all'art. 27 della
Costituzione;   sollecitava   quindi   un   rinvio  dell'udienza  per
adeguatamente  formulare e illustrare la questione che, non oppostosi
il  pubblico ministero d'udienza, veniva concesso. Ritiene ora questo
giudicante, per le ragioni che verranno appresso illustrate, di dover
sollevare  d'ufficio  questione  di  legittimita'  costituzionale sia
dell'art. 168, comma 1, n. 2 c.p., sia dell'art. 164 comma 4 c.p., in
quanto applicabili al caso in questione e quindi rilevanti.
            Sulla legittimita' del provvedimento de plano
    Deve  intendersi  legittimamente applicabile, nel caso di specie,
la  procedura  dell'emissione  di  ordinanza de plano fuori udienza e
fuori  dal contraddittorio delle parti, atteso che l'art. 23, comma 3
della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87 prevede espressamente
il potere officioso dell'autorita' giurisdizionale, avanti alla quale
il   procedimento   per   cui   si   prospetti   una   questione   di
costituzionalita'  veda,  di sollevare tale questione, il che implica
che  il  giudice,  sul  solo  presupposto  della  disponibilita'  del
procedimento  e  dei  relativi atti, legittimamente possa formarsi un
convincimento determinante tale decisione al di fuori di richieste ed
interlocuzioni di parte.
    Invero,  il  procedimento  decisorio su questioni di legittimita'
costituzionale   e'   un  procedimento  che,  sebbene  incidentale  e
finalizzato  alla  definizione  di  un  concreto caso, ha una propria
struttura autonoma, totalmente ricostruita e delineata dagli articoli
23  e  seguenti  della  legge  costituzionale  11  marzo 1953, n. 87,
laddove nello specifico caso di cui al terzo comma dell'art. 23 della
suddetta   legge,  potendo  il  giudice  sollevare  la  questione  di
legittimita'   costituzionale  d'ufficio,  e'  evidente  che  il  suo
intervento non e' subordinato all'instaurazione o al mantenimento del
contraddittorio  tra  le  parti,  bensi'  all'esigenza  superiore,  a
carattere    ordinamentale,    della    conservazione   delle   norme
costituzionali.
    Pertanto,   la  suddetta  decisione  legittimamente  puo'  essere
adottata  dal  giudice  anche  fuori  udienza e senza aver sentito le
parti,  essendo  il solo presupposto formale la presa di contatto con
gli atti legittimamente presenti nell'incarto procedimentale.
    D'altra  parte  la Corte suprema di cassazione ha evidenziato con
chiarezza come nei casi in cui il giudice provveda o possa provvedere
in  camera  di  consiglio non sia sempre tassativa l'osservanza delle
disposizioni  dettate  da  norme  che garantiscono il contraddittorio
quali  l'art. 127  c.p.p.  e,  nel caso di specie, l'art. 666 c.p.p.,
bensi'  lo  sia solo nei casi in cui e' prescritta espressamente tale
disciplina  (cfr.  Cass.  penale,  sez.  I,  3 ottobre 1991, n. 3243,
Biagiotti,   in   tema   di   declaratoria   di  inammissibilita'  di
impugnazione  ex art. 591 c.p.p.); cosi' e' dal pari, ad esempio, per
quanto  concerne  il  procedimento  di  riesame  di  cui all'art. 309
c.p.p.,  che e' dal pari un procedimento incidentale che, quand'anche
possa  in  ipotesi  instaurarsi  nel contesto di un procedimento gia'
pervenuto alla celebrazione dibattimentale, e quindi al massimo grado
di  garanzia  del  contraddittorio,  si celebra comunque nel rispetto
delle disposizioni specificamente dettate per esso.
    Nel  caso  in cui il giudice abbia a delibare su una questione di
legittimita'    costituzionale,    pertanto,    l'instaurazione   del
contraddittorio  in  udienza camerale si impone solamente nel caso in
cui  il  giudice  sia  chiamato  a  pronunciarsi su istanza di parte,
laddove  i  precetti  di cui all'art. 6 della Convenzione europea dei
diritti dell'uomo e all'art. 111 della Costituzione rendono attuale e
imprescindibile il diritto di controparte di controdedurre e svolgere
appieno le proprie difese onde impedire che il giudice possa formarsi
un  convincimento  su  base  parziale,  mentre  nel  caso  in  cui la
questione  venga  sollevata d'ufficio, cio' deriva da una statuizione
del  tutto autonoma del giudice, in ordine alla quale le deduzioni di
parte non acquisterebbero rilievo in quanto ultronee.
    D'altro   canto,   per   quanto   attiene   a   questo  specifico
procedimento,  il  difensore  di  Marra  Aurelio  non  ha formalmente
sollevato   questione   di  legittimita'  costituzionale,  bensi'  ha
solamente  preannunciato  l'intendimento  di  proporla, non essendosi
quindi  verificato  il presupposto essenziale per l'instaurazione del
contraddittorio,  sostanziato  dalla  sottoposizione  al  giudice  di
formale istanza.

                   Sulla rilevanza della questione

    La questione di legittimita' costituzionale che questo giudicante
si  accinge  a sollevare d'ufficio e' specificamente rilevante quanto
alla definizione del procedimento in commento.
    Vi  e'  infatti,  e  lo  si argomentera' meglio appresso, fondato
motivo  di ritenere che il disposto dell'art. 164, comma 4 e altresi'
dell'art. 168,   comma   1,   n. 2   del   codice   penale,   laddove
opportunamente  armonizzato, se del caso con pronuncia da parte della
Corte  costituzionale  di sentenza declaratoria della loro parziale o
totale  illegittimita'  costituzionale,  coi  principi  di  cui  agli
articoli  3  e 27 della Costituzione, e in particolare con l'esigenza
che  anche la sospensione condizionale della pena, in quanto istituto
avente  finalita'  specialpreventive  e spiccatamente rieducative del
reo,  condurrebbe  questo giudicante a dover adottare, in ordine alla
richiesta   di  revoca  della  sospensione  condizionale  della  pena
avanzata   dall'ufficio   di   Procura,   non  gia',  come  ai  sensi
dell'attuale  ordito  normativo,  una decisione vincolata e meccanica
che  tenga  conto  unicamente  del superamento astratto dei cumuli di
pena  e  del numero di condanne indicati dalle suddette norme, bensi'
anche dell'impatto del ripristino sic et simplic iter dell'esecuzione
della  pena  sul  processo  rieducativo  del  reo e del rilievo della
parziale   positiva   esecuzione   del  beneficio  della  sospensione
condizionale  sullo  stesso,  anche  quanto alla determinazione della
pena  complessivamente  da  eseguirsi,  avuto  riguardo al rilievo di
condanne  pronunciate  per fatti commessi anteriormente rispetto alla
concessione  del  beneficio  e,  quindi,  che  non  furono oggetto di
valutazione  del  giudice di merito alla stregua dei parametri di cui
agli artt. 133 e 163 del codice penale.
    Si  tratta  di  una  vicissitudine  alla  quale  va concretamente
incontro,  nel  caso  di  specie, la posizione dell'interessato Marra
Aurelio.
    Questo  giudicante  non potrebbe, chiaramente, estendere i limiti
del  proprio  spazio valutazionale e decisorio persistendo l'ostacolo
rappresentato  dalla  vigenza  nell'attuale  formulazione delle norme
evocate,  nella  misura  in cui esse sono ritenute costituzionalmente
illegittime,  non  essendo altresi' data, stante la loro formulazione
«secca»  e  «precisa» basata su criteri aritmetico-contabili inerenti
alle   pene  astrattamente  inflitte  con  sentenze  o  provvedimenti
equipollenti,  la  possibilita'  di evitare di sollevare la questione
con interpretazione adeguatrice ai canoni costituzionali.

                  Sulla non manifesta infondatezza

    Necessariamente preliminari all'esame della questione che si pone
oggi  all'attenzione  di questo giudicante sono alcuni cenni idonei a
individuare la finalita' del beneficio della sospensione condizionale
della  pena  previsto dall'articolo 163 del codice penale, attraverso
le  relative  definizioni della giurisprudenza della suprema Corte di
cassazione.
    Assodato che il beneficio, «attraverso la prospettata minaccia di
esecuzione  della  pena  inflitta,  mira  a  distogliere il reo dalla
commissione  di  ulteriori  reati» Cass. pen. sez. I, 7 gennaio 1985,
n. 75),  la Corte suprema precisa poi, ulteriormente, che «L'istituto
della  sospensione  condizionale della pena tende a neutralizzare gli
effetti  negativi  delle  pene  detentive  brevi e si fonda su di una
prognosi   favorevole  quale  deve  ricavarsi  dalla  presunzione  di
ravvedimento   e   di   emenda  del  reo,  in  riferimento  alla  sua
personalita' morale» (Cass. pen., sez. I, 11 agosto 1988, n. 8041).
    Una  definizione ancora piu' chiara delle finalita' dell'istituto
proviene  da  Cass.  pen., sez. I, 10 dicembre 1991 n. 3999, ai sensi
della  quale  pronuncia:  «Alla  base dell'istituto della sospensione
condizionale  della  pena si rinvengono principi che costituiscono un
vulnus   alla   funzione   retributiva  della  pena,  nel  senso  che
nell'applicazione  di  esso la detta funzione si affievolisce sino ad
assumere  esclusivamente  contorni  di indole utilitaristica connessi
all'esigenza  di  sottrarre  l'interessato  all'ambiente  deleterio e
pericoloso  del carcere. L'istituto persegue quindi solo finalita' di
prevenzione  speciale,  posto  che  si  ritiene  che  la condanna non
eseguita costituisca una remora per il condannato, per la prospettiva
che,  in  caso  di  ulteriore  commissione  da  parte sua di condotte
illecite,  la  natura  retributiva  della  pena  riassumerebbe il suo
ruolo, momentaneamente stemperato dal ricorso all'istituto».
    E'   evidente,   quindi,   sulla   base   delle  suddette  chiare
enunciazioni,  come  anche  l'istituto della sospensione condizionale
della  pena,  alla  stessa  stregua  delle  misure  alternative  alla
detenzione   oggi   previste   dalla   legge   353/1975  (ordinamento
penitenziario) e successive modificazioni, partecipi di una finalita'
specialpreventiva  di  sapore  spiccatamente inteso alla rieducazione
del  reo  nel  rispetto  del precetto di cui all'art. 27, commi 1 e 3
della  Costituzione  repubblicana, sia pure col particolare strumento
pratico  non  gia'  di  consentire  al condannato di eseguire la pena
inflittagli  secondo  modalita'  piu'  o  meno  distanti  dal  comune
trattamento  carcerario,  bensi'  di  sospendere  appunto  la  stessa
esecuzione  della  pena,  mantenuta  in  vita  solo  come  «minaccia»
nell'ipotesi che il condannato tradisca le aspettative riposte in una
prognosi  favorevole  circa la sua astensione dal commettere reati, e
nel  convincimento,  rimesso  alla  discrezionalita' del giudice, che
tale   «minaccia»   sia  sufficiente  come  remora  per  impedire  al
condannato di ricadere nel reato.
    Alla stregua di tali precisazioni, puo' quindi individuarsi anche
la  plausibile  finalita'  delle limitazioni contemplate, quanto alla
possibilita'   di   concessione   originaria,   nuova  concessione  e
mantenimento  del  beneficio, dagli artt. 163 e 164 del codice penale
avuto  riguardo  per  un verso all'ammontare delle pene inflitte, per
altro verso al numero delle condanne riportate.
    Tali  statuizioni  rispondono,  evidentemente,  a una presunzione
introdotta   dal   legislatore   per   cui   l'ammontare  delle  pene
complessivamente  inflitte  e il numero delle condanne, oltrepassando
certi  limiti,  non  consentano  di  qualificare  il  condannato come
soggetto  nei  confronti  del  quale  il  beneficio della sospensione
condizionale   della  pena  possa  utilmente  dispiegare  la  propria
finalita'  specialpreventiva  e,  in ultima istanza, rieducativa cio'
quand'anche   le   condizioni   per  la  concessione  del  beneficio,
originariamente   sussistenti,   vengano   meno   per  effetto  della
sopravvenienza  di condanne per fatti commessi anteriormente a quelli
per  cui  la  sospensione  condizionale della pena fu originariamente
concessa.
    Peraltro,  va  ricordato  che  nel  1930,  epoca  di emanazione e
concezione  dell'attuale  codice  penale, l'ordinamento, a differenza
della  situazione  odierna  in presenza dell'articolato sistema delle
misure  alternative  alla  detenzione  di  cui  alla legge 253/1975 e
successive  modificazioni,  non  prevedeva alternative al trattamento
penitenziario,    allora,    anche    per   l'indubitabile   impronta
dell'ideologia   politica   autoritaria   che   animava   il  governo
dell'epoca,  di  per  se'  peraltro improntato a esigenze grandemente
punitive  e solamente in seconda istanza special preventive; sicche',
in  buona sostanza, il beneficio della sospensione condizionale della
pena era concepito alla stregua di una ultima chance per i condannati
a pene detentive considerate brevi di evitare il carcere.
    Le  modifiche  legislative  introdotte,  in particolar modo negli
anni  settanta, per adeguare il nostro ordinamento penale ai precetti
della Costituzione, e segnatamente al principio di personalita' della
penale    responsabilita'   e   di   finalizzazione   tendenzialmente
rieducativa  della  pena  di cui all'art. 27, commi 1 e 3 della Carta
fondamentale, hanno invero inciso notevolmente su quel sistema che, a
parte l'istituto con caratteristiche autonome e peculiari del perdono
giudiziale,  si  basava sull'alternativa tra sospensione condizionale
della  pena, per pene assai brevi (originariamente, fino a un anno di
reclusione) e per non piu' di una volta, e trattamento penitenziario.
    Infatti,  per  un  verso  le  «maglie» della concedibilita' della
sospensione condizionale della pena sono state alquanto ampliate, sia
quanto  ai limiti massimi di pena inflitta entro i quali il beneficio
e'  concedibile,  quali  in  atto  preveduti  dall'art. 163 c.p., sia
quanto alla concedibilita' del beneficio per una seconda volta, avuto
riguardo al combinato disposto dell'art. 184, comma 4, e 168, comma 2
c.p.
    E per altro verso, soprattutto, e' stata introdotta dall'articolo
47  dalla  legge  353/1975  (ordinamento  penitenziario) e successive
modificazioni,  la  misura  alternativa  dell'affidamento in prova al
servizio  sociale,  la  quale,  pur  importando comunque, quanto alle
modalita'  di  esecuzione,  limitazioni  piu'  o meno penetranti alla
liberta'   del   condannato,   sottrae  questi  non  solo  al  regime
penitenziario   ordinario,   bensi'  allo  stesso  regime  detentivo,
affiancando  quindi  la  sospensione  condizionale  della  pena quale
istituto  che  consente di attuare una finalita' special preventiva e
rieducativa  senza  con  cio'  esporre i condannati per i quali cio',
alla  stregua  dei  principi  di  cui all'art. 27 della Costituzione,
parrebbe   pregiudizievole,   al   repentino   impatto  col  circuito
carcerario,  atteso  che,  dopo  i  ripetuti  interventi  della Corte
costituzionale,  l'affidamento in prova al servizio sociale puo' oggi
essere  concesso  anche  a  chi  non  abbia  subito  neanche in parte
l'esecuzione della pena nelle forme ordinarie.
    L'introduzione   dell'istituto   dell'affidamento   in  prova  al
servizio  sociale  consente,  comunque,  di  delineare  con una certa
nettezza  le  differenze  di presupposti, quanto alla concedibilita',
rispetto  alla sospensione condizionale della pena, atteso che, se e'
comune  a  entrambi  i  benefici  la necessaria prognosi positiva del
giudice sull'idoneita' degli stessi a prevenire la ricaduta nel reato
del  condannato, la sospensione condizionale della pena tende tuttora
ad  evitare  del  tutto ai condannati che ne siano stimati meritevoli
l'impatto  non tanto e non solo col carcere, ma con le stesse vicende
esecutive  della  pena,  mentre  l'affidamento  in  prova al servizio
sociale   e   le   altre  misure  alternative  alla  detenzione,  per
giurisprudenza  unanime  e  consolidata,  costituiscono  esse  stesse
modalita' di esecuzione della pena.
    Vi  e' tuttavia un ineliminabile tratto comune tra la sospensione
condizionale della pena e l'affidamento in prova al servizio sociale,
rappresentata  dalla  finalita'  rieducativa,  nel  senso  di  misura
improntata   a   distogliere   il   condannato  dal  reato,  che,  se
nell'affidamento  in  prova  non e' esclusiva, prevedendo tale misura
alternativa  anche  significative limitazioni della liberta' e quindi
un  impatto  anche  solo  indirettamente afflittivo e punitivo, nella
sospensione  condizionale  e' pressoche' esclusiva, laddove essa solo
facoltativamente  puo' essere subordinata, quanto alla concessione, a
determinate  condizioni,  che  non  necessariamente  dovranno  essere
integrate da limitazioni alla liberta' del condannato.
    Orbene,  la  finalita'  in  tutto  o  in parte rieducativa di una
misura   che   si   ponga   come   alternativa   al  carcere  postula
necessariamente,  anche alla luce del principio di personalita' della
responsabilita' penale di cui all'art. 27, comma 1 della Costituzione
e,  quindi, dell'esigenza di personalizzazione del trattamento che ne
discende,  che  ogni  giudizio  di  valore sulla persistenza, in capo
all'interessato,  dell'idoneita'  a  poter  continuare  a  fruire del
concesso   beneficio  sia  subordinato  alla  valutazione  della  sua
concreta  condotta  e  personalita'  nel  momento  in cui l'eventuale
esecuzione  della  pena  nelle  ordinarie forme enitenziarie dovrebbe
ipoteticamente  aver  luogo,  e  non  gia', meramente, avuto riguardo
all'astratto momento in cui i reati sono stati commessi o le condanne
sono  state  inflitte, avuto riguardo alle valutazioni che il giudice
della  cognizione  puo'  in  tale  ultimo caso operare anche ai sensi
dell'art. 133 c.p.
    Avendo riguardo alla normativa in tema di affidamento in prova al
servizio sociale di cui all'art. 47 della legge 353/1975 e successive
modificazioni,   tale  presupposto  inderogabile  appare  rispettato,
specialmente  avuto riguardo al profilo del superamento dei limiti di
pena  entro  i quali il beneficio puo' essere accordato e conservato,
atteso  che  in tal caso e' previsto che il tribunale di sorveglianza
possa  accordare all'affidato in prova a carico del quale sopravvenga
nuova  condanna per fatti commessi anteriormente alla concessione del
beneficio  che,  cumulatane la durata al residuo di pena che dovrebbe
espiare detratto il periodo di affidamento gia' trascorso, non superi
i  limiti  di  legge,  cio'  senza  neppure aversi riguardo al numero
complessivo delle condanne sopravvenute.
    A  tal  guisa, anche attraverso i ripetuti interventi della Corte
costituzionale,  si e' disegnato un meccanismo complessivo per cui la
pericolosita'   sociale   presuntivamente  impediente  rispetto  alla
prosecuzione   della   misura   alternativa,   coincidente   con   la
comminatoria  complessiva  di  una  pena eccedente i limiti di legge,
viene  adeguatamente  bilanciata  avuto riguardo all'esito allo stato
degli  atti  positivo  dell'affidamento e, quindi, alla sua efficacia
rieducativa  gia'  in  parte  esplicatasi,  e  soprattutto  non viene
ancorata  a  dati  formali,  quali la pena astrattamente inflitta con
sentenze  o  provvedimenti  equipollenti,  o  il numero delle singole
condanne,  la  cui  considerazione  esclusiva  sarebbe  stridente con
l'esigenza   di   rieducazione   personalizzata   del   reo  laddove,
dall'osservazione   della   sua   personalita'  e  comunque  del  suo
comportamento, emerga la persistente utilita' del beneficio.
    Viceversa,  la  normativa  in  tema  di  revoca della sospensione
condizionale  della pena, con particolare riguardo al disposto di cui
all'art. 168,  comma  1,  n. 2  c.p., non appare parimenti soddisfare
tale  esigenza  costituzionalmente  imposta,  laddove, avuto riguardo
alla rilevanza delle condanne sopravvenute per fatti antecedenti alla
concessione  del  beneficio, e nonostante la concessione dello stesso
siasi  fondata  in  sede  di  cognizione su una prognosi positiva del
giudice  sull'idoneita'  della sospensione condizionale a distogliere
il  colpevole  dal reato, vincola il giudice dell'esecuzione, ai fini
di  un'obbligata  e vincolata revoca, a una mera operazione di cumulo
matematico  di  pene  astrattamente inflitte, senza accordargli alcun
potere  discrezionale  di verificare se detta prognosi positiva possa
sopravvivere  alla  luce  degli  elementi  disponibili all'atto della
richiesta di revoca, ai sensi dell'art. 133 c.p.
    La  stessa  Corte  costituzionale ha incidentalmente evidenziato,
sotto   altro   aspetto,  le  carenze  sul  piano  della  conformita'
all'art. 27  della  Costituzione  dell'art. 164,  comma 2, n. 1 c.p.,
laddove  vietava  (secondo  la  formulazione  all'epoca  vigente)  la
concessione  della  sospensione  condizionale per piu' di una volta e
quindi  imponeva  la  revoca automatica del beneficio precedentemente
concesso,  laddove  la  norma  cio' disponeva senza distinguere se la
precedente   condanna  si  riferisca  a  delitto  commesso  in  epoca
precedente  o  successiva  al  reato  per cui si infligge attualmente
condanna  (cfr.  sentenza  381/1987),  raccogliendo  quindi il dubbio
sollevato  dal  giudice  a  quo,  non portato alle debite conseguenze
poiche' la norma in commento non formava nel caso di specie specifico
oggetto   di  contestazione,  per  cui  la  revoca  automatica  della
sospensione  condizionale  della  pena per sopravvenienza di condanne
riferite   a   reati  commessi  anteriormente  alla  concessione  del
beneficio   si  prospetta  in  contrasto  col  richiamato  precet  to
costituzionale   non   dando  alcun  spazio  alla  valutazione  della
personalita',   della   condotta   del  condannato  e  del  grado  di
rieducazione da lui raggiunto.
    Nonostante sia qui in esame una diversa disposizione, non si puo'
non  constatare  come  analogo  ragionamento non possa non formularsi
anche  avuto  riguardo al disposto dell'art. 168, comma 1, n. 2 c.p.,
atteso  che,  se  nel  caso  di  cui all'art. 164 il dato formale che
impone   al   giudice   dell'esecuzione   l'automatica  revoca  della
sospensione  condizionale  della  pena, con forzata indifferenza alle
esigenze  concrete  di  rieducazione del reo e ai danni che il brusco
reinserimento  dello  stesso  nel circuito dell'esecuzione della pena
puo  provocare  e'  costituito  dal  numero delle condanne, con arida
contabilita'  ragionieristica  che oltre tutto rischia di determinare
intollerabili  discriminazioni tra condannati sul mero dato formale e
non  dipendente  dalla  loro  volonta'  dell'emissione di condanne in
unica  sentenza  o  su  sentenze separate laddove possa astrattamente
esservi   sia   riunione   che  separazione  di  processi,  nel  caso
dell'art. 168,  comma  1,  n. 2  c.p.  cio'  che  frustra le precipue
esigenze  di  specialprevenzione  e azione riedu cativa nei confronti
del  reo e' il cumulo, sempre astratto e matematico, a cui il giudice
dell'esecuzione   e'   costretto,  alla  stregua  di  un  automa,  ad
effettuare delle pene astrattamente inflitte con sentenze diverse.
    Vero  e'  che,  in  quest'ultimo  caso, il superamento dei limiti
complessivi  di  pena previsti dalla legge suggerirebbe che la revoca
della  sospensione condizionale non trovi alternative e tuttavia cio'
che  appare assolutamente intollerabile e' che l'impatto di una nuova
sentenza  di  condanna,  emessa  per  reati commessi anteriormente al
momento  in  cui  il  giudice  della  cognizione formulo' la prognosi
positiva  che  ispiro' la concessione del beneficio, possa travolgere
gli  effetti  positivi  dello  stesso,  specie in quanto analizzabili
attraverso  dati concreti e verificabili - e in particolare, ai sensi
dell'art. 133 c.p., non solo attraverso l'astensione dal reato bensi'
anche con la contemplazione complessiva della condotta del condannato
in pendenza del termine di sospensione condizionale - senza che alcun
giudice,  ne'  quello  dell'esecuzione  ne'  altro,  sia  chiamato  a
formulare   un   giudizio   sostanziale,  nel  merito,  sul  successo
rieducativo  e specialpreventivo del beneficio che abbia parzialmente
avuto  luogo  e  sull'eventuale  non  opportunita' di revocarlo per i
danni che da cio' potrebbero derivare al processo rieducativo stesso.
    Si  e' gia' visto che ben diversa e' l'ampiezza delle valutazioni
che  il  tribunale  di sorveglianza puo' operare in punto di revoca o
prosecuzione  dell'affidamento  in prova al servizio sociale, laddove
infatti il parametro in concreto da considerarsi e' quello dato dalla
sottrazione  al  cumulo delle pene astrattamente inflitte del periodo
trascorso  in  regime  di  affidamento che abbia avuto parziale esito
positivo  allo  stato  degli  atti, sicche' solamente una valutazione
negativa  dell'organo  giudicante sul periodo di affidamento potrebbe
portare  alla  mera  revoca in presenza del superamento dei limiti di
pena  previsti dalla legge sulla base del dato formale delle condanne
inflitte.
    E  si  potra' opinare, al riguardo, che l'affidamento in prova al
servizio sociale deve essere per gli effetti in questione, equiparato
all'espiazione di pena, mentre la sospensione condizionale della pena
e'  misura  che  non  ha  di  massima alcun effetto restrittivo della
liberta'  del  condannato,  sicche'  non  sarebbe astrattamente dato,
istituendo  un  meccanismo  analogo,  detrarre  da  un cumulo di pena
periodi trascorsi in liberta'.
    A  questa  obiezione puo' agevolmente replicarsi che il tribunale
di sorveglianza, laddove valuta se l'esito dell'affidamento sia stato
positivo   o   meno,  ha  in  considerazione  non  gia'  gli  effetti
parzialmente  afflittivi  della misura alternativa, ma precipuamente,
se  non  esclusivamente,  quelli  rieducativi,  laddove  una siffatta
valutazione  e'  possibile  anche  per  quanto  riguarda  la condotta
osservata  dal  condannato  durante  la fruizione del beneficio della
sospensione  condizionale  della  pena,  laddove  non  possa negarsi,
almeno   in   parte,  l'effetto  positivo  di  quella  «minaccia»  di
esecuzione  della  pena  che  costituisce  la  sostanza  della  forza
specialpreventiva   e  rieducativa  di  questo  beneficio,  quanto  a
distogliere,  almeno in parte e almeno temporaneamente, il condannato
dal reato.
    A meno che, quindi, non si voglia attribuire alla misura prevista
dagli  artt. 163  e  ss. c.p. una rilevanza meramente utilitaristica,
intesa  a  «svuotare  le  carceri»  dai  condannati  a pene detentive
tendenzialmente  brevi  -  il  che  sarebbe in contrasto comunque con
l'art. 27  della  Costituzione, atteso che il trattamento rieducativo
del reo si impone non solo nel suo interesse ma soprattutto in quello
della  collettivita'  ad  essere  salvaguardata  dal  reato  e  dalla
pericolosita'  di  determinati  soggetti in modo comunque compatibili
coi  diritti  comunque  imprescindibili  di costoro - o tanto meno un
rilievo  puramente afflittivo che e' invece del tutto carente proprio
per la natura del beneficio, non e' dato rinvenire alcuna ragione per
cui   possa   continuare   ad   esistere   un   siffatto  trattamento
discriminatorio   tra   i   condannati  ammessi  al  beneficio  della
sospensione  condizionale  della  pena  e  quelli invece ammessi alla
misura  alternativa  dell'affidamento  in  prova al servizio sociale,
avuto  riguardo all'impatto, sulla possibili ta' di conservazione del
beneficio,   delle   condanne   relative  a  fatti  antecedenti  alla
conversazione del medesimo.
    L'unico  modo  di  rimuovere  tale  discriminazione, rilevante in
punto  di  contrasto  col  combinato  disposto degli articoli 3 e 27,
commi  1 e 3, della Costituzione, e' in concreto quello di attribuire
in  sede  di  procedimento  di  revoca della sospensione condizionale
della   pena   al   giudice   dell'esecuzione,  alla  stessa  stregua
dell'analogo  potere  accordato  al  giudice di sorveglianza rispetto
all'affidamento   in   prova   al  servizio  sociale,  il  potere  di
determinare in quale residua misura la pena condizionalmente sospesa,
avuto  riguardo  al  tempo  decorso dalla concessione del beneficio e
alla   condotta   osservata  in  tale  tempo  dal  condannato,  debba
residualmente  essere  eseguita,  e  quindi, qualora il residuo cosi'
determinato,   cumulato   alle   pene   inflitte   con   le  condanne
sopraggiunte, non superi i limiti di cui all'art. 163 c.p., il potere
di rigettare la richiesta di revoca, e confermare il condannato nella
fruizione   del   beneficio,   qualora   ne  permangano  i  rimanenti
presupposti.
    Analoghe  valutazioni,  e  a maggior ragione anche avuto riguardo
alle  riflessioni,  sopra evidenziate, gia' effettuate al riguardo, e
da  epoca  ben  risalente,  dalla  Corte costituzionale, si impongono
quanto  alla  compatibilita'  costituzionale  dell'art.  164, comma 4
c.p.,  nella  parte  in  cui  preclude il mantenimento del beneficio,
imponendone  invece  la  revoca,  con  riferimento al superamento del
limite  numerico  di  due  condanne  relative  a fatti anteriori alla
concessione del beneficio medesimo.
    In  tal  caso,  oltre  alla discriminazione tra condannati che si
determinera',  e  si  determina in concreto frequentemente, a seconda
del mero dato formale della pluralita' o dell'unitarieta' di condanne
per fatti giudicabili unitariamente, parimenti si verifica il caso in
cui  una  condanna  relativa  a  fatto anteriore alla concessione del
beneficio,  su cui il giudice della cognizione in ogni caso non pote'
estendere le proprie valutazioni all'atto della concessione medesima,
non gia' perche' necessariamente importi il superamento dei limiti di
pena  indicati  dall'art. 163  c.p., ma addirittura per il mero fatto
della  sopravvenienza  a  due precedenti condanne, importa in termini
analoghi  una  meccanicistica  revoca  della sospensione condizionale
senza  avere  riguardo alle esigenze ampiamente sottolineate in punto
di rieducazione del reo.
    E'  evidente  che  nessuna coloritura, in termini di gravita' dei
fatti  complessivamente ascritti al condannato, potra' esere aggiunta
dal  mero  soppravvenire  numerico  di un'ulteriore condanna quando i
limiti  di  cui all'art. 163 c.p. non siano comunque superati, che si
voglia  avere  riguardo  alle attuali previsioni di cui all'art. 168,
comma  1, n. 2 c.p. o alla prospettazione sopra formulata secondo cui
tale  norma  deve intendersi costituzionalmente illegittima, e che la
norma,  impedendo al giudice dell'esecuzione qualsivoglia valutazione
che  tenga  conto del grado di rieducazione raggiunto del reo e della
parziale   positiva   esecuzione   del   beneficio,   anzi  imponendo
valutazioni presuntive basate su una mera contabilita' ragioneristica
delle  condanne,  magari  plurime  anziche'  unitarie per effetto del
caso,  assume  un  significato  puramente  vessatorio, assolutamente,
radicalmente,  recisamente  incompatibile  col disposto dell'art. 27,
commi 1 e 3 della Costituzione; ed inoltre, ancora una volta, tale da
istituire  una discrim inazione insensata e ingiustificabile rispetto
alla  posizione  degli  affidati  in prova al servizio sociale, per i
quali,  ai  fini  dell'eventuale  revoca, il mero dato numerico delle
condanne  sopravvenute  per  fatti  anteriori  alla  concessione  del
beneficio non ha rilevanza alcuna.
    Per   i   motivi   sopra   riportati,  si  solleva  questione  di
legittimita'  costituzionale relativamente alle norme menzionate, con
ogni effetto di legge e come da dispositivo.