IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti  del proc. n. 392/04 r.g. sez. dist. a carico di
Bogachev Vladimir, nato in Russia il 23 luglio 1969, tratto dinanzi a
questo   Tribunale  in  composizione  monocratica  per  la  convalida
dell'arresto  eseguito  nella flagranza del reato di cui all'art. 14,
comma  5-ter,  del  decreto  legislativo n. 286/1998, come modificato
dalla legge 30 luglio 2002, n. 189;
    Sentite  le  parti  ed  in  particolare  il  difensore, che si e'
opposto alla convalida dell'arresto, ed ha eccepito la illegittimita'
costituzionale della norma indicata;

                            O s s e r v a

    Il  difensore  dell'arrestato  ha  in  primo  luogo  eccepito  il
contrasto della citata norma con gli artt. 3 e 24 della Costituzione,
poiche'  e'  previsto  che  l'ordine  emesso  dal  Questore  ai sensi
dell'art. 14,  comma  5-bis,  venga  tradotto  solo  nelle tre lingue
indicate dalla norma (inglese, francese o spagnolo) e non anche nella
lingua madre del destinatario.
    La questione e' fondata.
    Ed  invero  l'art. 13,  comma  8,  del citato decreto legislativo
prevede  testualmente  che  «ogni  atto  concernente  l'ingresso,  il
soggiorno  e  l'espulsione sono comunicati all'interessato unitamente
ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta ovvero, ove non sia
possibile, in lingua francese, inglese o spagnola». Tale e' dunque la
previsione  cui  fare  riferimento anche per individuare le lingue in
cui  dev'essere redatto l'ordine di espulsione emesso dal Questore ex
art. 14, comma 5-bis, citato.
    Orbene,  ad  una prima lettura pare che la norma non possa essere
tacciata   di   incostituzionalita'  poiche'  essa  richiede  che,  a
preferenza  di  ogni  altra,  sia data all'interessato traduzione del
provvedimento  in  lingua  a  lui  nota,  di  modo  che,  non vengano
pregiudicati  i  suoi  diritti  di comprensione e conseguentemente di
difesa,  e  solo  in  via  subordinata  indica  altre  tre  lingue  -
verosimilmente  quelle  piu'  diffuse  - in cui tradurre il testo del
provvedimento  quando  «non  sia  possibile»  la traduzione nella sua
lingua madre.
    Tuttavia,  a  ben  vedere,  proprio  questa  clausola di salvezza
lascia perplessi, in quanto estremamente generica.
    La esatta comprensione del provvedimento di espulsione e' infatti
un  requisito  indispensabile  perche'  possa  configurarsi la colpa,
elemento  psicologico  minimo  richiesto  dai reati contravvenzionali
quali  quello  in  esame, ed e' dunque elemento indispensabile per la
sussistenza   stessa   del  reato;  viceversa  la  genericita'  della
menzionata  clausola,  che  non  richiede  nemmeno che si dia atto di
quali  siano  le cause che hanno reso impossibile la traduzione nella
lingua  madre  dell'interessato,  sembra  quasi lasciare all'arbitrio
delle  singole Questure la scelta tra la ricerca di traduttori per le
svariate  lingue  parlate  dai numerosi stranieri presenti in Italia,
ovvero  il  fare  ricorso  alle tre lingue prescelte dal legislatore,
senza  fornire  altre spiegazioni. Tale situazione appare contrastare
con  il  diritto  di difesa che deve essere garantito (e che infatti,
sebbene   da  un  diverso  punto  di  vista,  il  legislatore  si  e'
preoccupato  di  garantire  all'art. 17 del decreto legislativo cit.)
anche  al cittadino straniero. E' ben po ssibile, infatti, che questi
si  trovi a ricevere un provvedimento redatto in una lingua a lui non
conosciuta,  dal  quale per di piu' possono dipendere conseguenze per
lui  gravi,  quali appunto quelle connesse ad un procedimento penale,
senza poterle comprendere.
    Cio'  pare  sia  accaduto  anche  nel  caso  di specie, in cui al
Bogachev,   cittadino   russo,  e'  stato  notificato  un  ordine  di
espulsione  emesso  dal  Questore  di Napoli in lingua italiana - che
egli  ha  dimostrato  di  comprendere  in modo assai elementare, come
riscontrato  da  questo  giudice  nel corso dell'udienza di convalida
dove  l'arrestato  e'  stato  assistito da un'interprete, ha compreso
solo  le domande piu' elementari ed ha pronunciato in lingua italiana
solo  poche  parole  - tradotto in altre tre lingue che egli del pari
non  comprende.  La  questione  di  costituzionalita'  sollevata  e',
percio', anche rilevante.
    Non  solo: se si condivide la conclusione che le singole Questure
risultano  in pratica arbitre della lingua in cui redigere gli ordini
di  espulsione,  nella  pratica  si  viene  anche  a  determinare una
capricciosa  disparita'  di  trattamento  tra cittadini stranieri che
risiedono nelle varie province della Repubblica.
    E'  stata  poi  eccepita l'incostituzionalita', per contrasto con
l'art. 13  della Costituzione, del combinato disposto dei commi 5-ter
e  5-quinquies,  del  citato art. 14, poiche' essi attribuiscono alla
p.g.   un   arbitrario  potere  di  compressione  della  liberta'  di
circolazione  dei  cittadini  stranieri presenti sul territorio dello
Stato,  i  quali  -  qualora  si  trovino  nella  condizione  di  cui
all'art. 14,  comma 5-ter - ai sensi dell'art. 14, comma 5-quinquies,
devono  essere  obbligatoriamente  arrestati  pur  rispondendo di una
contravvenzione,  vale  a  dire di un titolo di reato per il quale e'
giuridicamente impossibile l'applicazione di una misura cautelare.
    Ad  avviso  di  questo  giudice, anche tale questione e' fondata,
oltre  che  rilevante,  essendo  stata  appunto  sollevata  nel corso
dell'udienza di convalida dell'arresto del Bogachev.
    L'art. 13,  comma  2, della Costituzione autorizza la restrizione
della  liberta'  personale  solo  per  atto  motivato  dell'autorita'
giudiziaria  e  nei  soli  casi  e  modi  di legge, mentre il comma 3
consente  che nei casi di urgenza vi provveda l'autorita' di pubblica
sicurezza,  che  deve  pero'  comunicare  entro  48  ore  il  proprio
provvedimento   all'autorita'  giudiziaria,  che  a  sua  volta  deve
convalidarlo entro le successive 48 ore, pena la perdita di efficacia
del provvedimento stesso.
    Conformemente  al  dettato costituzionale, l'ordinamento consente
che  sia  la  p.g.  a  limitare,  di  propria iniziativa, la liberta'
personale  di  chi  si  trovi  sul territorio italiano, ad esempio si
vedano  gli  artt. 380,  381 e 384 c.p.p., ma solo per delitti di una
certa  gravita', ovvero commessi con modalita' ed in circostanze tali
da  denotare  la  pericolosita'  di  chi  li  compie o in presenza di
circostanze  tali da far presumere il pericolo di fuga; in ogni caso,
si  tratta  di  delitti  che possono fondare l'applicazione di misure
cautelari,  poiche'  intanto  e'  possibile che l'intervento della PG
preceda  quello  dell'autorita' giudiziaria in quanto l'urgenza della
situazione  non consente di attendere; in ogni caso, all'azione della
PG segue immediatamente l'intervento ed il controllo di legalita' del
p.m.,  che  valuta  preliminarmente  se la PG ha agito in conformita'
alla  legge,  ed  in  caso  contrario dispone l'immediata liberazione
dell'arrestato o del fermato.
    Nel  caso  dello  straniero  che si trovi nella condizione di cui
all'art. 14,  comma 5-ter, viceversa, l'arresto e' obbligatorio pur a
fronte di una condotta che di per se' non denota alcuna pericolosita'
di  chi  la  compie; detta condotta e' di tipo contravvenzionale, per
cui non potra' essere in seguito applicata alcuna misura cautelare, e
dunque  viene  meno  la  ratio  di  tutte le ipotesi di intervento di
iniziativa  della  p.g.,  vale  a  dire  il carattere anticipatorio e
sostitutivo    dell'intervento   dell'autorita'   giudiziaria;   pare
sottratto  al  p.m.  anche il potere di scegliere se procedere o meno
nelle  forme  del  rito  direttissimo,  che  - a differenza di quanto
previsto  per  tutti  i reati dall'art. 450 c.p.p. - e' obbligatorio.
Anche  in  questo  caso,  quindi, pare determinarsi una situazione di
irragionevole  disparita'  di trattamento tra chi viene arrestato per
uno dei delitti per cui l'arresto e' obbligatorio o consentito ovvero
viene  fermato  ex  art. 384 c.p.p. ed il cittadino straniero che non
abbia  rispettato  l'ordine  del  que  store ex art. 14, comma 5-ter,
citato.