IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunziato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 1119/2003
presentato   da:   Vergari   Maria  Serena,  rappresentata  e  difesa
dall'avv. Gianluigi  Pellegrino  ed elettivamente domiciliata, presso
il suo studio, sito in Lecce alla via Augusto Imperatore n. 16;
    Contro  Ministero  della  giustizia,  in persona del Ministro pro
tempore,  rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura distrettuale dello
Stato  di  Lecce, presso i cui uffici e' per legge domiciliato; e nei
confronti  di  Commissione  per gli esami di avvocato presso la Corte
d'appello  di  Lecce  -  Sessione 2002, in persona del Presidente pro
tempore,  rappresentata  e  difesa dall'Avvocatura distrettuale dello
Stato  di  Lecce,  presso  i  cui uffici e' per legge domiciliata per
l'annullamento,  previa  sospensione,  dei  provvedimenti di giudizio
analitici  e sintetici indicati nel verbale 14 marzo 2003 n. 92 della
commissione  per  gli  esami di avvocato presso la Corte d'appello di
Lecce  per la sessione 2002, nonche' del consequenziale provvedimento
di  non  ammissione  alla  prova  orale degli esami medesimi, nonche'
ancora  di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale, ed
in  particolare,  ove  occorra, del verbale 28 novembre 2002 n. 1 nel
quale  sono  indicati  i  criteri  generali  di  valutazione  che  la
Commissione ha fissato.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio del Ministero della
giustizia;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
    Visti gli atti tutti di causa;
    Udito  alla  pubblica  udienza  del  21 gennaio  2004 il relatore
ref. Giovanni   Palatiello   ed  uditi,  altresi',  l'avv.  Gianluigi
Pellegrino  per  la ricorrente e l'avv. dello Stato Antonella Roberti
per il Ministero intimato;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

                                Fatto

    La  dott.ssa  Maria  Serena Vergari ha sostenuto, presso la Corte
d'appello  di  Lecce,  le  prove  scritte  dell'esame di abilitazione
all'esercizio della professione di avvocato (sessione 2002/2003).
    La  commissione  d'esame  ha  espresso un giudizio negativo sugli
elaborati  dell'odierna  ricorrente,  che quindi non e' stata ammessa
alle prove orali.
    Ritenendo  tale valutazione illegittima, la dott.ssa Vergari l'ha
impugnata,  unitamente  agli  atti  in epigrafe indicati, deducendo i
seguenti motivi di diritto:
        1)  Violazione  del  giusto  procedimento  amministrativo. In
particolare  violazione  degli  artt. 3  e  12,  legge n. 241/1990 ed
art. 12,  d.P.R.  n. 487/1994. Eccesso di potere per carenza assoluta
di  motivazione  e  per  contrasto  con  l'art. 97 Cost., nonche' per
manifesta irrazionalita' ed illogicita'.
    Il  giudizio contestato e' stato espresso in forma esclusivamente
numerica  e  gli  elaborati non presentano correzioni o segni grafici
che  consentano di comprendere le ragioni della valutazione negativa,
tenuto  anche  conto  del fatto che i criteri generali di valutazione
stabiliti dalla Commissione esaminatrice nella seduta del 28 novembre
2002 risultano assolutamente generici ed astratti;
        2)  Eccesso  di potere sotto ulteriori profili. Disparita' di
trattamento.  Irrazionalita'  illogicita'  e  ingiustizia  manifeste.
Sviamento.
    Gli elaborati della ricorrente sarebbero sufficienti alla stregua
dei   criteri   stabiliti  dalla  commissione,  nonche'  dell'analisi
comparata  con gli elaborati di altri candidati, i quali, pur essendo
molto   simili   a   quelli  della  ricorrente,  hanno  ricevuto  una
valutazione piu' che sufficiente;
        3)  Violazione  degli  artt. 21 e 22 r.d.l. 27 novembre 1993,
n. 1578 e artt. 17-bis e 34 r.d. 22 gennaio 1934, n. 37.
    Ne'  dagli  elaborati  della  ricorrente,  ne'  dai verbali della
commissione d'esame e' possibile evincere le valutazioni espresse dai
singoli  commissari,  e comunque la commissione avrebbe dedicato poco
piu' di sei minuti alla correzione di ciascun elaborato.
    Inoltre   gli  elaborati  ed  il  verbale  di  correzione  recano
unicamente la sottoscrizione del presidente e del segretario.
    Ed  infine  la  sottocommissione  che  ha valutato le prove della
ricorrente sarebbe stata illegittimamente presieduta.
    Si  e'  costituito  in  giudizio  il  Ministero  della giustizia,
contestando  diffusamente le tesi sostenute nel ricorso e chiedendone
la reiezione.
    Nella  Camera  di  consiglio  del  2 luglio  2003,  con ordinanza
n. 578,  la  sezione  ha respinto la domanda cautelare proposta dalla
ricorrente.
    All'udienza  del  21 gennaio 2004 la causa e' stata trattenuta in
decisione:

                               Diritto

    1.  -  L'illegittimita'  dell'impugnato  giudizio  negativo viene
denunciata  nel ricorso sotto molteplici profili; ritiene il collegio
che   tra   questi  debba  essere  prioritariamente  definito  quello
concernente il difetto di motivazione.
    Cio'  in  quanto  il fine perseguito dalla ricorrente e', insieme
alla  caducazione  degli atti impugnati, la rinnovazione del giudizio
sulle  sue  prove  scritte;  rispetto  a tale obiettivo, la decisione
sulla censura relativa al profilo motivazionale risulta centrale, non
solo  ai  fini  dell'invocato annullamento del giudizio negativo gia'
formulato  stante  il carattere tipicamente assorbente, rispetto alle
altre  censure,  del  vizio  di  carenza  di motivazione), ma anche e
soprattutto  ai  fini  conformativi  dell'attivita'  che  la pubblica
amministrazione  sarebbe  chiamata a svolgere nell'eventualita' di un
accoglimento  del  gravame, essendo evidente che, in tale ipotesi, la
commissione  dovrebbe, in diversa composizione, procedere ad un nuovo
esame   delle   prove  scritte  della  ricorrente,  fornendo  congrua
motivazione  del nuovo giudizio, esplicitata da significative formule
verbali;  e  cio'  a prescindere da eventnali lacune degli elaborati,
poiche'  l'enunciazione,  ancorche'  sintetica,  delle  ragioni di un
giudizio  non positivo corrisponde al generalissimo precetto di clare
loqui,  (costituente  di  per  se'  un  preminente  valore fornito di
garanzia  costituzionale  ex  artt. 97 e 2 della Carta fondamentale),
consentendo al candidato un adeguato riscontro tra il contenuto della
prova   svolta   e   la   sua   negativa  valutazione:  il  che  puo'
alternativamente   condurre  ad  una  consapevole  reazione  in  sede
giurisdizionale  ovvero  all'accettazione  dell'esito negativo, visto
anche in funzione di aiuto e di indirizzo per le scelte future.
    2.  - Sostiene, in proposito, la ricorrente che il detto giudizio
negativo, espresso esclusivamente in forma numerica, attraverso voti,
contrasta  con  il principio generale enunciato dall'art. 3, comma 1,
della  legge  7 agosto  1990,  n. 241,  a  tenore  del  quale:  «ogni
provvedimento    amministrativo,    compresi    quelli    concernenti
l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi
ed  il  personale,  deve  essere  motivato,  salvo  che nelle ipotesi
previste  dal  comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di
fatto  e  le  ragioni  giuridiche  che hanno determinato la decisione
dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria».
    La  questione  dell'integrale  applicabilita'  della norma citata
agli esami di abilitazione all'esercizio della professione forense e'
stata  oggetto  di  ripetuto esame da parte del Consiglio di Stato il
quale  ha  elaborato  in proposito un orientamento secondo cui, anche
dopo  l'entrata  in  vigore  della  legge n. 241 del 1990, l'onere di
motivazione  dei  giudizi  concernenti  prove  scritte ed orali di un
concorso  pubblico  o di un esame di abilitazione e' sufficientemente
adempiuto   con   l'attribuzione   di   un   punteggio  alfanumerico,
configurandosi quest'ultimo come formula sintetica, ma eloquente, che
esterna  adeguatamente  la  valutazione  tecnica  della commissione e
contiene in se' la sua stessa motivazione, senza bisogno di ulteriori
spiegazioni e chiarimenti.
    Si e' inoltre precisato che l'art. 3, comma 1, della legge n. 241
del  1990 si riferisce all'attivita' amministrativa provvedimentale e
non  all'attivita'  di  giudizio conseguente a valutazione, quale e',
appunto,  quella  relativa  all'attribuzione  di  un  punteggio  alla
preparazione culturale o tecnica del candidato.
    Detti   principi   possono  dirsi  assolutamente  pacifici  nella
giurisprudenza  del  giudice  d'appello,  essendo  stati ribaditi, da
ultimo,  tra  le  tante,  dalle  seguenti decisioni: C.d.S., IV sez.,
1° febbraio  2001, n. 367; id. 12 marzo 2001, n. 1366; id. 29 ottobre
2001,  n. 5635;  id.  27  maggio  2002,  n. 2926;  id. 1° marzo 2003,
n. 1162;  id.  8 luglio 2003, n. 4084; id. 17 dicembre 2003, n. 8320;
id.  4 maggio 2004, n. 2748; id. 4 maggio 2004, n. 2745; id. 7 maggio
2004,  n. 2881;  id.  7  maggio  2004,  n. 2863;  id.  7 maggio 2004,
n. 2846; id. 19 luglio 2004, n. 5175).
    A scalfire tale consolidato orientamento non vale la diversa tesi
sostenuta  dalla sesta sezione del Consiglio di Stato, secondo cui le
commissioni   esaminatrici,   in  mancanza  di  criteri  generali  di
valutazione  sufficientemente  puntuali  ed  analitici, sono tenute a
rendere  percepibile  l'iter  logico  seguito  nell'attribuzione  del
punteggio,   se  non  attraverso  diffuse  esternazioni  relative  al
contenuto  delle  prove,  quanto  meno  mediante  taluni elementi che
concorrano   ad  integrare  e  chiarire  la  valenza  del  punteggio,
esternando  le ragioni dell'apprezzamento sinteticamente espresso con
l'indicazione numerica (cfr. sez. IV, 30 aprile 2003, n. 2331; id. 13
febbraio  2004,  n. 558;  id. 22 giugno 2004, n. 4409; si veda anche,
Cons. Stato, sez. V, 28 giugno 2004, n. 4782).
    Ed  invero,  a  parte  il  rilievo  che nessuna delle pronunce da
ultimo  citate  riguarda  l'esame di abilitazione all'esercizio della
professione   di  avvocato,  osserva  il  Collegio  che  trattasi  di
precedenti  isolati e comunque non univoci, essendo stati smentiti da
coeve   decisioni  della  medesima  sezione  sesta  (cfr.,  sez.  VI,
17 febbraio  2004,  n. 659);  onde,  allo  stato,  non  e'  possibile
sostenere  un  revirement  in  materia  del  Consiglio di Stato, come
dimostrato   anche  dalla  circostanza  che  la  questione  circa  la
sufficienza  del  punteggio  numerico per gli elaborati relativi alle
prove   scritte   dell'esame   di  avvocato  non  e'  stata  deferita
all'Adunanza  plenaria  ex  art. 45,  comma  2,  r.d. 26 giugno 1924,
n. 1054;  di  talche' deve escludersi che sul punto che qui interessa
siano   sorti,  apprezzabili  contrasti  giurisprudenziali,  tali  da
incrinare il pacifico orientamento di cui si e' detto.
    Si deve, dunque, riconoscere che, in seno alla giurisprudenza del
Consiglio  di  Stato,  si e' affermato il principio per cui l'art. 3,
comma  1,  della  legge  n. 241  del  1990 (alla luce del quale vanno
interpretate  le  disposizioni  sull'esame  di avvocato contenute nel
r.d.  22 gennaio  1934,  n. 37  e, in particolare, quelle di cui agli
artt. 17-bis  e  23  che  utilizzano  il termine «punteggio») esclude
dall'obbligo  di  puntuale  motivazione i giudizi espressi in sede di
valutazione  delle  prove  dell'esame  di  abilitazione all'esercizio
della  professione forense; e che tale principio giurisprudenziale si
e'  cosi'  stabilmente  consolidato  da  acquisire  i  connotati  del
«diritto  vivente», nel senso che le norme suddette vigono nel nostro
ordinamento  nella  versione  e  con  il contenuto precettivo ad esse
assegnato dalla su riferita giurisprudenza del Consiglio di Stato, al
punto  che non ne e' ipotizzabile una modifica senza l'intervento del
legislatore o della Corte costituzionale.
    A  tale  proposito, osserva il collegio che in data 3 luglio 2001
e'  stata  presentata  alla Camera dei deputati una proposta di legge
(contraddistinta dal n. 1160, ed oggi assorbita dall'approvazione del
piu'  organico disegno di modifica ed integrazione della legge n. 241
del  1990  di  cui  al  progetto  di legge n. 3890 - B) che intendeva
modificare  il  testo  del comma 1 dell'art. 3 della legge n. 241 del
1990  (secondo l'interpretazione offertane dal Consiglio di Stato) in
modo da estendere, anche alle commissioni di esame per l'abilitazione
all'esercizio  della  professione  forense «l'obbligo di motivare per
iscritto  le  valutazioni  degli elaborati»; cio' che, evidentemente,
conferma  la  natura  di  «diritto vivente» acquisita dal su riferito
orientamento del giudice d'appello.
    3. - L'interpretazione del citato art. 3 seguita dal Consiglio di
Stato  appare  sospettabile di illegittimita' costituzionale, per cui
non  resta  al  collegio  che  prospettare ex officio tali dubbi alla
Corte  costituzionale,  conformemente  a  quel  consolidato indirizzo
della  giurisprudenza  del  Giudice  delle  leggi,  secondo  cui,  in
presenza  di  un  diritto  vivente  non  condiviso  dal giudice a quo
perche'   ritenuto   costituzionalmente  illegittimo,  questi  ha  la
facolta'  di optare tra l'adozione, sempre consentita, di una diversa
interpretazione,  oppure  -  adeguandosi  al  diritto  vivente  -  la
proposizione della questione davanti alla Corte costituzionale (cfr.,
ex plurimis, Corte cost., sentt. n. 350/1997; 307/1996; 345/1995).
    Nel  caso  in  esame  il  collegio  dubita  della  conformita'  a
determinate   norme   costituzionali   dell'indirizzo  interpretativo
dell'art. 3   della   legge  n. 241/1990  uniformemente  seguito  dal
Consiglio  di Stato in rapporto alla formulazione ed alla motivazione
dei  giudizi  relativi  ad  esami  di abilitazione professionale (con
specifico  riguardo  agli  esami  per  accedere  alla  professione di
avvocato). In particolare tali dubbi si prospettano:
        3.1  - In relazione all'art. 3 della Costituzione perche' non
appare   ragionevole,   nel   contesto   della   legge  generale  sul
procedimento  amministrativo,  una disposizione normativa che, mentre
consacra  il  generale  principio  dell'obbligo  di  motivazione, tra
l'altro  facendo specifico riferimento a «lo svolgimento dei pubblici
concorsi»,  ne  esclude,  al  contempo, l'applicazione a categorie di
atti (nella specie i giudizi nell'esame di abilitazione all'esercizio
della   professione   forense)   rispetto  ai  quali  l'esigenza  dei
destinatari   di  conoscere,  attraverso  un'idonea  motivazione,  le
concrete  ragioni  poste  a  fondamento  della  loro  adozione non e'
diversa,  ne'  minore  di  quella dei soggetti interessati agli altri
atti   e   provvedimenti   amministrativi;  se  del  caso  egualmente
esprimenti  valutazioni  di  natura  tecnica,  sicuramente  vincolati
all'osservanza  della  norma,  atteso che il diritto alla trasparenza
dell'agire amministrativo e la garanzia di effettivita' del sindacato
giurisdizionale  non vadano certo in funzione della tipologia di atto
adottato dalla pubblica amministrazione;
        3.2  - in relazione agli art. 24 e 113 della Costituzione; ed
invero   le   valutazioni   affidate  dalla  legge  alle  commissioni
esaminatrici  in subiecta materia, si risolvono in una attivita' che,
pur comportando scelte discrezionali su base tecnica, si atteggia non
diversamente  da qualunque attivita' valutativa che debba fondarsi su
parametri prestabiliti (nel caso di specie di natura giuridica) ed e'
suscettibile,  quindi,  di essere sindacata, in sede di legittimita',
da  parte  del  giudice  amministrativo;  sia per vizi logici sia per
errore  di  fatto,  sia  per  travisamento  dei  presupposti, sia per
difetto  di  istruttoria  sia, infine, per cattiva applicazione delle
regole   tecniche   di   riferinento.   Orbene   il  controllo  della
ragionevolezza,  della  coerenza  e della logicita' delle valutazioni
della  commissione  d'esame  risulta  precluso  (o  quanto  meno reso
sommamente  difficoltoso) di fronte al mero dato numerico del voto ed
in  assenza,  quindi,  di  una  sia  pur sintetica esternazione delle
ragioni  che  hanno  indotto  la  commissione alla formulazione di un
giudizio   di   segno   negativo,  tenuto  anche  conto  dell'estrema
genericita'  che,  di  prassi,  connota  i criteri di valutazione che
vengono  stabiliti dalle commissioni esaminatrici; ne consegue che la
tutela  cosi'  consentita  dall'ordinamento all'aspirante avvocato si
riduce  al  solo  riscontro  di  profili  estrinseci e formali, quali
quelli   inerenti   al   rispetto   delle   garanzie   connesse  alla
collegialita'  dell'organo  giudicante  ed alla sua composizione, con
una  cospicua  riduzione  del  tasso  di  effettivita'  della  tutela
giurisdizionale  in  sede  di  giudizio  di  legittimita'  davanti al
giudice amministrativo;
        3.3. - in relazione all'art. 97 della Costituzione poiche' la
sottrazione  di  una  categoria  di  atti  all'obbligo di motivazione
appare   confliggente   sia   con   il   principio  di  imparzialita'
(evidentemente  meno  garantito  da  un  giudizio  espresso  in forma
soltanto  numerica),  sia  con  il  principio  di  -  buon  andamento
dell'amministrazione,  che in un ordinamento modernamente democratico
postula anche la piena trasparenza dell'azione amministrativa; ne' le
esigenze  di snellezza e di speditezza del procedimento di correzione
degli  elaborati, pur riconducibili al principio di buon andamento ex
art. 97   della  Costituzione,  possono  essere  ritenute  prevalenti
rispetto  all'inderogabile  necessita' di assicurare il piu' corretto
rapporto  tra il cittadino e l'amministrazione pubblica, essendo esse
diversamente  tutelabili  attraverso  un'applicazione  del  principio
dell'obbligo   di   motivazione   ragionevole  e  proporzionata  alla
tipologia  delle  prove  di  esame  per  l'accesso  alla  professione
forense:  ed  invero,  la  mera  sottolineatura dei brani censurati o
l'indicazione  succinta  delle  parti  della prova contenenti lacune,
inesattezze  o  errori  non  paiono  rappresentare,  anche nell'esame
d'avvocato,  solitamente  caratterizzato da un elevatissimo numero di
candidati, un comportamento inesigibile da parte dei componenti delle
(sotto) commissioni giudicatrici.
    4.  -  In  subordine,  ove  si ritenga conforme al dato normativo
l'intepretazione  dell'art. 3  della legge n. 241/1990, quale risulta
dal «diritto vivente» formatosi attraverso le decisioni del Consiglio
di  Stato  rese sulla questione che riguarda il presente giudizio, il
collegio   prospetta   l'illegittimita'  del  medesimo  articolo,  in
rapporto  ai  parametri costituzionali piu' sopra richiamati e per le
ragioni gia' illustrate.
    5.  -  Le  questioni  che  precedono  appaiono  al  collegio  non
manifestamente   infondate   e  sicuramente  rilevanti  nel  presente
giudizio,  perche'  dalla  loro  risoluzione dipende l'accoglimento o
neno   del  ricorso  sotto  il  denunziato  profilo  del  difetto  di
motivazione.