ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 64, comma 2,
secondo  periodo,  e  4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo
28 agosto  2000,  n. 274  (Disposizioni  sulla  competenza penale del
giudice  di  pace  a  norma  dell'articolo 14 della legge 24 novembre
1999,  n. 468),  promosso, nell'ambito di un procedimento penale, dal
giudice  di pace di Vittorio Veneto con ordinanza del 10 aprile 2003,
iscritta  al  n. 479  del  registro ordinanze 2003 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 32,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 13 ottobre 2004 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che il giudice di pace di Vittorio Veneto ha sollevato,
in  riferimento  agli  artt. 3  e 25 della Costituzione, questione di
legittimita' costituzionale degli artt. 64, comma 2, secondo periodo,
e  4,  comma 1,  lettera a),  del decreto legislativo 28 agosto 2000,
n. 274  (Disposizioni  sulla  competenza penale del giudice di pace a
norma  dell'articolo 14  della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella
parte  in  cui prevedono che per i reati di competenza del giudice di
pace  commessi dopo la pubblicazione del predetto decreto legislativo
e  iscritti  nel registro delle notizie di reato successivamente alla
sua  entrata  in  vigore,  si  osservano  per  intero le norme, anche
processuali, del medesimo decreto;
        che  il rimettente procede, quale giudice dibattimentale, nei
confronti di persona imputata del reato di guida in stato di ebbrezza
di  cui  all'art. 186  del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285
(Nuovo  codice  della  strada),  commesso il 19 ottobre 2001 (e cioe'
dopo  la  pubblicazione  del  decreto  legislativo  n. 274  del 2000,
avvenuta  il  6 ottobre 2000), ma iscritto nel registro delle notizie
di reato in data 28 maggio 2002 (e cioe' dopo l'entrata in vigore del
decreto, fissata al 2 gennaio 2002);
        che,  a  norma  dell'art. 64,  comma 2,  secondo periodo, del
citato decreto legislativo, in relazione alla fattispecie in giudizio
devono  osservarsi  integralmente le disposizioni, anche processuali,
dettate per i procedimenti penali di competenza del giudice di pace;
        che  ad  avviso  del  rimettente  tale  previsione violerebbe
innanzitutto  il  principio  di  eguaglianza,  garantito  dall'art. 3
Cost.,   posto   che  da  «un  adempimento  "discrezionale"  [...]  o
"casuale"»   dell'autorita'  giudiziaria,  quale  l'iscrizione  della
notizia  di  reato,  dipende  l'applicazione  «a  fatti  del medesimo
disvalore  e  ugualmente compiuti anteriormente all'entrata in vigore
del  d.lgs.  n. 274  del  2000»  di  una «disciplina processuale» che
sarebbe   senz'altro  «piu'  sfavorevole  di  quella  del  codice  di
procedura   penale,  laddove  nega:  1)  (art. 2)  l'accesso  a  riti
alternativi  con  riduzioni  della pena di un terzo e fino a un terzo
(giudizio  abbreviato  e  patteggiamento);  2) (art. 60) il beneficio
della   sospensione  condizionale  della  pena  [...];  3)  (art. 62)
l'applicabilita'  delle  sanzioni  sostitutive  [...]; 4) (art. 2) la
possibilita' di incidente probatorio»;
        che  difatti,  secondo  il rimettente, se dal «punto di vista
prettamente  sanzionatorio»  la  disciplina  del  decreto legislativo
n. 274  del  2000  «e' da considerarsi piu' favorevole per il tipo di
pene previste, non altrettanto [potrebbe] dirsi per la disciplina dei
"benefici  processuali"  dell'accesso  ai  riti  alternativi  e della
sospensione condizionale della pena»;
        che   percio'  la  disciplina  dettata  dal  secondo  periodo
dell'art. 64, comma 2, produrrebbe la «inaccettabile conseguenza» che
-  a  fronte di reati tutti egualmente commessi prima dell'entrata in
vigore  del  decreto  legislativo  n. 274 del 2000 - alcuni imputati,
solo  perche'  l'iscrizione  nel  registro delle notizie di reato del
fatto  da  loro commesso e' avvenuta entro il 1° gennaio 2002, godono
sia  delle  nuove  sanzioni piu' favorevoli che della possibilita' di
accedere  ai  riti  alternativi  e  di  beneficiare della sospensione
condizionale della pena; altri invece, come l'imputato nel giudizio a
quo,  soltanto  perche'  l'iscrizione  nel  registro delle notizie di
reato  e'  successiva  al  2 gennaio  2002,  non possono godere della
sospensione  condizionale  ne'  degli sconti di pena connessi ai riti
alternativi, e sarebbero percio' privati della possibilita' di fruire
di un trattamento processuale complessivamente piu' favorevole;
        che  la  disposizione transitoria in esame violerebbe inoltre
l'art. 25 Cost., che impone che il giudice naturale precostituito per
legge  sia individuato nel giudice «esistente e competente al momento
della  consumazione  del  reato  (nel  caso  di  specie  il tribunale
monocratico)»,  facendo  dipendere  l'applicabilita'  della normativa
«processuale»   dettata  dal  decreto  legislativo  n. 274  del  2000
dall'iscrizione  del fatto nel registro delle notizie di reato, cioe'
da  un  adempimento  a sua volta condizionato dalla tempestivita' con
cui  gli  uffici  di  polizia  giudiziaria  trasmettono  alla procura
competente le notizie di reato;
        che   la  «indicazione  dell'inizio  del  procedimento  quale
momento  per  cristallizzare  la  competenza  del giudice» renderebbe
quindi   inevitabilmente  retroattiva  la  «modifica  legislativa  in
relazione  ai  fatti  avvenuti  prima  della sua entrata in vigore» e
lascerebbe  in sostanza il pubblico ministero libero «di scegliere il
giudice che dovra' prendere cognizione del fatto, in violazione della
riserva assoluta di legge di cui all'art. 25, primo comma, Cost.»;
        che  nella  parte  conclusiva dell'ordinanza di rimessione il
giudice  a quo sembra adombrare una soluzione interpretativa conforme
ai  «principi  costituzionali  in  tema di successione di leggi sulla
competenza»,  tale  cioe'  da consentire, a suo avviso, di superare i
dubbi di costituzionalita' sino ad allora prospettati, suggerendo che
per  tutti  i  reati  commessi  dopo la pubblicazione, ma prima della
entrata  in  vigore del decreto legislativo, dovrebbero osservarsi le
disposizioni   dell'art. 63,  commi 1  e  2,  e  del  titolo  I,  con
esclusione  pero'  delle  norme  sulla  competenza,  che rimarrebbero
quelle vigenti al momento della commissione del fatto;
        che  e'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato;
        che  secondo l'Avvocatura la questione sarebbe manifestamente
inammissibile  perche'  l'ordinanza  di  rimessione  e'  incompleta e
contraddittoria,  le  censure  sono  espresse  in  maniera  confusa e
perplessa,   nulla  viene  detto,  ai  fini  della  rilevanza,  sulle
circostanze  di  fatto  (richiesta di riti alternativi o di incidente
probatorio)  dalle  quali  potrebbe discendere l'applicabilita' degli
istituti processuali asseritamente piu' favorevoli;
        che  nel  merito  la  questione sarebbe, comunque, infondata,
sostanzialmente perche' le censure si basano sull'erroneo presupposto
che  la  disciplina  del processo dinanzi al giudice di pace sia piu'
sfavorevole per l'imputato, quando, al contrario, il rito in esame e'
connotato da una semplificazione e da un favor per l'autore del fatto
illecito che permeano sia la fase del giudizio che la fase esecutiva;
        che,  inoltre,  la questione e' prospettata sulla base di una
lettura  «scorretta  e  dequalificante» dell'istituto dell'iscrizione
della   notizia   di  reato  nell'apposito  registro,  esclusivamente
incentrata sull'ipotesi di abusi del pubblico ministero;
        che  con  successiva  memoria  l'Avvocatura  insiste  per  la
declaratoria di inammissibilita' o di infondatezza della questione e,
riportandosi  agli  argomenti  sviluppati  nell'atto  di  intervento,
sottolinea che la scelta compiuta dal legislatore di far dipendere il
radicamento  della  competenza del giudice di pace dal momento in cui
il  reato  e'  iscritto  nel  registro  delle notizie di reato non e'
irragionevole, perche' risponde all'esigenza di rendere piu' celeri i
procedimenti  non  ancora  pendenti,  e  non  viola  il principio del
giudice  naturale  perche'  il criterio di determinazione del giudice
non e' fissato arbitrariamente in vista di singole controversie.
    Considerato   che   il   rimettente   dubita  della  legittimita'
costituzionale   degli  artt. 64,  comma 2,  secondo  periodo,  e  4,
comma 1,  lettera a),  del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274
(Disposizioni  sulla  competenza  penale  del giudice di pace a norma
dell'articolo 14  della  legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte
in  cui  prevedono  che per i reati di competenza del giudice di pace
commessi  dopo  la  pubblicazione  del  citato  decreto legislativo e
iscritti nel registro delle notizie di reato successivamente alla sua
entrata   in   vigore,  si  osservano  per  intero  le  norme,  anche
processuali, del medesimo decreto;
        che  le  disposizioni censurate violerebbero gli artt. 3 e 25
della  Costituzione,  in  quanto dal tempo, affatto «discrezionale» o
«casuale»,  di  un adempimento del pubblico ministero fanno dipendere
l'applicazione  a  fatti aventi il medesimo disvalore, compiuti tutti
anteriormente  all'entrata  in  vigore del decreto legislativo n. 274
del  2000,  di  una  disciplina diversa rispetto a quella che sarebbe
applicabile  secondo  le  ordinarie  regole  sulla  competenza e piu'
sfavorevole   perche'   preclude   all'imputato   l'accesso  ai  riti
alternativi, la possibilita' di fruire della sospensione condizionale
della  pena  e  di  sanzioni  sostitutive e gli impedisce di chiedere
l'incidente probatorio;
        che, inoltre, l'individuazione del giudice in base al momento
in cui ha inizio il procedimento violerebbe il principio per il quale
il  giudice  naturale  precostituito  per  legge  va  determinato con
riferimento alla commissione del reato, lasciando nella sostanza alla
discrezionalita'   del  pubblico  ministero  la  scelta  del  giudice
competente;
        che,  nel  motivare  sulla  non  manifesta infondatezza della
questione di legittimita' costituzionale della disciplina transitoria
dettata  dal  secondo  periodo  del  comma 2 dell'art. 64 del decreto
legislativo  n. 274  del  2000,  il rimettente afferma che l'imputato
rimarrebbe  privato  della  possibilita'  di  usufruire  di  istituti
«processuali»   di   favore,  tra  i  quali  indica,  oltre  ai  riti
alternativi   del   giudizio   abbreviato   e  del  patteggiamento  e
all'incidente  probatorio,  istituti  indiscutibilmente  sostanziali,
quali   la   sospensione   condizionale  della  pena  e  le  sanzioni
sostitutive;
        che  la  applicabilita'  degli  istituti sostanziali ai fatti
commessi  prima  dell'entrata  in  vigore  del decreto legislativo e'
regolata  dal  primo  periodo  del  comma 2 del medesimo art. 64, che
richiama espressamente l'art. 2, terzo comma, del codice penale;
        che  la  commistione  tra  istituti processuali e sostanziali
rende oggettivamente difficile verificare se il giudice a quo intenda
fare   riferimento  anche  al  parametro  di  cui  al  secondo  comma
dell'art. 25   Cost.,   atteso  che  agli  argomenti  concernenti  la
«perdita»  di  istituti  (sostanziali)  di favore si sovrappongono le
censure  relative  alla violazione del principio del giudice naturale
precostituito  per  legge,  che  rendono la motivazione ulteriormente
confusa e contraddittoria;
        che   per   altro   verso,   con  riferimento  agli  istituti
processuali,   l'omissione   di  qualsiasi  considerazione  circa  le
situazioni  di fatto da cui potrebbe discenderne l'applicabilita' nel
giudizio a quo impedisce di verificare la rilevanza della questione;
        che,  in  particolare,  non  e' dato comprendere come sarebbe
possibile  procedere  ad  incidente probatorio nel corso del giudizio
dibattimentale,  ne' se l'imputato (che per effetto del mutato quadro
sanzionatorio    potrebbe   sempre   chiedere   di   essere   ammesso
all'oblazione,  sussistendone  i  presupposti)  abbia in qualche modo
manifestato   la  volonta'  di  chiedere  il  giudizio  abbreviato  o
l'applicazione della pena;
        che  inoltre  il giudice a quo sembra prospettare una lettura
alternativa  della  disciplina  censurata, senza peraltro chiarire se
tale  soluzione  interpretativa  sia  effettivamente praticabile e se
consentirebbe   di   superare  tutti  i  dubbi  di  costituzionalita'
sollevati;
        che,  sulla  base  dei rilievi ora esposti, la questione deve
essere dichiarata manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.