ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei giudizi di legittimita' costituzionale degli articoli 9, comma 2;
39,  comma 2; 40; 66, comma 1 e 2 e 82 della deliberazione statutaria
della Regione Umbria e dell'intera deliberazione statutaria approvata
in  prima  deliberazione il 2 aprile 2004 ed in seconda deliberazione
il 29 luglio 2004, e pubblicata nel B.U.R. n. 33 dell'11 agosto 2004,
promossi  con  ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri e di
Carlo Ripa di Meana, consigliere regionale di minoranza della Regione
Umbria,   notificati  il  9  e  l'11 settembre  2004,  depositati  in
cancelleria  il  15 e il 20 successivi ed iscritti ai nn. 88 e 90 del
registro ricorsi 2004.
    Visti  gli  atti  di  costituzione  della  Regione Umbria nonche'
l'atto  di  intervento,  relativamente  al ricorso n. 88 del 2004, di
Carlo  Ripa di Meana consigliere regionale di minoranza della Regione
Umbria;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  16 novembre  2004  il giudice
relatore Ugo De Siervo;
    Uditi  l'avvocato  dello  Stato Giorgio D'Amato per il Presidente
del  Consiglio dei ministri e gli avvocati Giandomenico Falcon per la
Regione  Umbria  e  Urbano Barelli per il consigliere regionale Carlo
Ripa di Meana.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il  Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale dello Stato, con ricorso notificato
il  9 settembre 2004, depositato in data 15 settembre 2004 e iscritto
al  n. 88  nel  registro  ricorsi del 2004, ha sollevato questione di
legittimita'  costituzionale,  ai  sensi dell'art. 123, secondo comma
della  Costituzione  nei  confronti  della  delibera statutaria della
Regione   Umbria   approvata   dal   Consiglio   regionale  in  prima
deliberazione  il  2 aprile  del  2004 ed in seconda deliberazione il
29 luglio  2004. In particolare, di detta delibera statutaria vengono
censurati:   l'art. 9,   comma 2;   l'art. 39,   comma 2;  l'art. 40;
l'art. 66 commi 1 e 2; l'art. 82.
    Premette  la  difesa  erariale  che  la potesta' statutaria delle
Regioni, configurata dalle riforme costituzionali del 1999 e del 2001
come   una  speciale  fonte  normativa  regionale  collocata  in  una
posizione privilegiata nella gerarchia delle fonti, e' stata al tempo
stesso  pero'  delimitata  rigorosamente,  al  fine  di assicurare il
rispetto del principio di legalita' costituzionale. La Regione Umbria
avrebbe  «ecceduto  dalla  propria  potesta' statutaria in violazione
della normativa costituzionale».
    2. - In primo luogo l'Avvocatura censura l'art. 9, comma 2, della
delibera  statutaria  il  quale,  nel  disporre che la Regione tutela
«forme  di  convivenza»  ulteriori rispetto a quella costituita dalla
famiglia,  detterebbe  una  disciplina  ambigua  e  di indiscriminata
estensione.   Essa   nella  misura  in  cui  consente  l'adozione  di
«eventuali  future  previsioni  normative  regionali»  concernenti  i
rapporti  patrimoniali  e  personali  tra conviventi, nonche' il loro
status,  violerebbe  l'art. 117,  secondo  comma,  lettera l),  della
Costituzione.
    Ove  poi  la  norma  intendesse  esprimere  qualcosa  di  diverso
rispetto  al  rilievo  sociale  e alla dignita' giuridica, nei limiti
previsti  dalla legge dello Stato, della convivenza familiare, ovvero
intendesse  «affermare  siffatti valori» anche per le unioni libere e
le  relazioni  tra  soggetti dello stesso sesso, violando i principi'
sanciti  dagli  artt. 29  e 2 della Costituzione, essa contrasterebbe
con   l'art. 123  della  Costituzione.  Come  affermato  anche  dalla
giurisprudenza  costituzionale,  lo  statuto  regionale, infatti, non
solo   dovrebbe   essere   conforme  alle  singole  previsioni  della
Costituzione,  ma  non  dovrebbe  neppure  eluderne  lo  spirito.  Il
generico  e  indiscriminato  riferimento  alle  forme  di convivenza,
specie  se  letto  in relazione all'art. 5 dello statuto, che afferma
che  la  Regione  concorre  a  rimuovere  le  discriminazioni fondate
sull'orientamento    sessuale,   comporterebbe   «una   incongrua   e
inammissibile  dilatazione  dell'area  delimitata dai valori fondanti
dell'art. 2 Cost.».
    A  monte,  la norma impugnata contrasterebbe con l'art. 123 della
Costituzione anche perche' sarebbe estranea ai contenuti necessari ed
eccederebbe i limiti in cui altri contenuti sarebbero ammissibili, in
quanto  non  esprimerebbe  alcun  interesse  proprio  della comunita'
regionale,  e  comunque  non  potrebbe  affermare  valori e principi'
diversi da quelli gia' espressi nella prima parte della Costituzione,
contrastando   altrimenti   con  l'art. 5  della  Costituzione  e  il
principio  di  unitarieta'  della  Repubblica  ivi affermato, creando
altresi' un'ingiustificata disparita' di trattamento dei singoli.
    3.  -  La  difesa  erariale  censura  poi  l'art. 39,  comma 2, e
l'art. 40  della delibera statutaria, per violazione degli artt. 121,
secondo comma, e 117, terzo comma, della Costituzione.
    Le suddette norme - che prevedono rispettivamente la possibilita'
per  la  Giunta regionale, previa autorizzazione con legge regionale,
di  adottare  regolamenti  di  delegificazione  e  di  presentare  al
Consiglio  progetti  di  testo  unico  di  disposizioni  di  legge  -
contrasterebbero  con  il  principio della separazione dei poteri tra
organo   legislativo  ed  organo  esecutivo.  In  mancanza  di  norme
costituzionali   derogatorie,   non   sarebbero  infatti  ammissibili
regolamenti  di  delegificazione,  ne' deleghe legislative, e neppure
sarebbe  possibile un'estensione analogica delle deroghe previste per
la legislazione statale.
    Nel  ricorso  si  osserva  anche che la possibilita' riconosciuta
dalla  Corte  con la sentenza n. 2 del 2004 di conferire al Consiglio
regionale  la  potesta'  regolamentare,  non  autorizzerebbe  pure la
previsione  inversa  del  conferimento  alla  Giunta  della  potesta'
legislativa.
    Inoltre,  la  fonte  regolamentare  sarebbe «incongruente» con le
materie  di  competenza  concorrente, dal momento che inciderebbe sui
principi'  stabiliti  dalle  leggi statali, ex art. 117, terzo comma,
della Costituzione.
    L'art. 40 della delibera statutaria violerebbe il principio della
separazione  tra  organo  legislativo  e  organo  esecutivo  anche in
considerazione  della  circostanza  che  consentirebbe alla Giunta di
disciplinare  materie  di competenza legislativa senza che tale vizio
possa ritenersi sanato dalla previsione della approvazione finale del
testo  unico  da  parte  del  Consiglio,  trattandosi di approvazione
meramente formale, senza potere di modifica del testo.
    4.  -  Ancora, l'Avvocatura censura l'art. 66, commi 1 e 2, della
delibera    statutaria    nella    parte    in    cui    stabiliscono
l'incompatibilita' della carica di componente della Giunta con quella
di   consigliere   regionale.   La   norma,  secondo  il  ricorrente,
contrasterebbe con l'art. 122, primo comma, della Costituzione, che -
ed  al  riguardo  viene  invocata la sentenza n. 2 del 2004 di questa
Corte  -  riserverebbe  alla legge regionale, nei limiti dei principi
sanciti   dalla   legge   statale,  la  individuazione  dei  casi  di
incompatibilita'.
    5.  -  Infine,  la  difesa  erariale  impugna l'art. 82, il quale
attribuisce  alla  Commissione  di  garanzia la funzione di esprimere
pareri  sulla  conformita' allo statuto delle leggi e dei regolamenti
regionali.
    Ove  la norma, il cui tenore letterale - si osserva nel ricorso -
non  sarebbe  chiaro,  dovesse  intendersi  nel senso che tale parere
segua  il  compimento  dell'attivita'  normativa,  conferirebbe ad un
organo amministrativo un inammissibile potere di sindacare le leggi e
i  regolamenti  gia'  adottati  dai  competenti  organi regionali, in
violazione degli artt. 121 e 134 della Costituzione.
    6.  - Si e' costituita in giudizio la Regione Umbria, la quale ha
chiesto  che  il  ricorso  proposto  dal Presidente del Consiglio dei
ministri  sia  dichiarato  inammissibile e infondato, riservandosi di
illustrare  in  una  successiva  memoria le argomentazioni a sostegno
delle proprie difese.
    7. - Il consigliere regionale della Regione Umbria, Carlo Ripa di
Meana, ha spiegato atto di intervento nel giudizio chiedendo che, ove
«preliminarmente  si accerti l'esistenza giuridica dello statuto», ne
sia dichiarata l'illegittimita' costituzionale.
    In ordine alla legittimazione ad intervenire, si afferma che essa
sarebbe  implicita  nel sistema costituzionale, dovendosi considerare
il  consigliere regionale dissenziente un soggetto costituzionalmente
qualificato  a  tal fine, in quanto dotato di una diversa ed autonoma
posizione   derivante  dall'eccezionale  carattere  preventivo  della
impugnazione  dello  statuto  rispetto  alla sua promulgazione, e dal
fatto  che,  dovendo  la  decisione  della  Corte essere recepita dal
Consiglio  regionale,  essa  condizionerebbe  la promulgazione stessa
dello  statuto.  Fintanto  che  lo  statuto  non  sia  promulgato, la
fattispecie  non  potrebbe  dirsi «perfetta» e lo statuto non sarebbe
imputabile alla Regione, ma solo alla maggioranza consiliare. Proprio
questo   elemento   evidenzierebbe   la   differente   posizione  del
consigliere   regionale   di  minoranza  e  giustificherebbe  la  sua
legittimazione   ad   intervenire  nel  giudizio  avanti  alla  Corte
costituzionale.
    Inoltre, poiche' per il principio maggioritario la volonta' della
maggioranza   e'   imputata   all'intero   collegio,   il  componente
dissenziente avrebbe un interesse particolare al rispetto delle norme
procedimentali  che conducono a tale imputazione e che nel caso della
approvazione  dello  statuto  consisterebbero  in  primo  luogo nella
necessaria conformita' delle due deliberazioni. La legittimazione del
consigliere  interveniente,  nel  caso  di  specie, deriverebbe anche
dalla circostanza secondo la quale con tale intervento si intende far
valere proprio una presunta violazione di questa regola.
    Tale  violazione, peraltro, sarebbe comunque rilevabile d'ufficio
dalla  stessa  Corte,  in quanto impedirebbe il perfezionamento della
fattispecie  procedimentale  di cui all'art. 123 della Costituzione e
dunque  l'imputazione  dello  statuto  al  Consiglio regionale e alla
Regione.
    Infine,   il  mancato  riconoscimento  della  legittimazione  del
consigliere   di  minoranza  significherebbe  rimettere  soltanto  al
Governo  e  al  Presidente  della  Giunta  regionale,  ed  alle  loro
valutazioni  di  opportunita'  politica, la tutela «dell'interesse al
rispetto  della  legalita' costituzionale». Inoltre, l'esclusione dal
contraddittorio     del     consigliere    dissenziente,    «titolato
all'intervento  proprio  dal principio rappresentativo» costituirebbe
un'inammissibile  lesione  della doverosa armonia con la Costituzione
di cui all'art. 123 della Costituzione.
    8.  -  Nel  merito  il  consigliere  interveniente  sostiene  che
nell'adozione  dello  statuto  della  Regione  Umbria  sarebbe  stato
violato  il  procedimento  di  cui all'art. 123, secondo comma, della
Costituzione,  dal  momento che la seconda deliberazione con la quale
e'  stato  approvato  lo  statuto in data 29 luglio 2004, non sarebbe
eguale a quella precedente del 2 aprile 2004.
    La diversita' riguarderebbe l'art. 9 della delibera statutaria di
cui  sarebbe  stata sostituita la rubrica (da «Comunita' familiare» a
«Famiglia.  Forme  di  convivenza»),  modificato  il testo ed inoltre
scomposto l'originario unico comma in due commi. Il risultato di tali
modificazioni  - introdotte come «correzioni formali» - avrebbe avuto
effetti  sostanziali,  comportando  la separazione della tutela delle
forme  di  convivenza,  previste  nel  secondo comma della norma, dal
riconoscimento dei diritti della famiglia, oggetto del primo comma, e
la   «attribuzione   di   carattere   aggiuntivo  alla  tutela  della
convivenza»,  espressa  mediante l'avverbio «altresi», introdotto nel
comma 2.  In  tal  modo,  come risulterebbe dal dibattito svoltosi in
Consiglio  regionale, si sarebbe voluto venire incontro alle proteste
di quanti affermavano esservi una equiparazione della convivenza alla
famiglia   legittima   in   violazione  dell'art. 29  Cost.  Inoltre,
attraverso la soppressione del riferimento alla «varieta» delle forme
di convivenza prevista nel testo approvato in prima deliberazione, si
sarebbe  tenuto  conto  delle  «proteste  di quanti ravvisavano nella
previsione  una  tutela  anche delle convivenze omosessuali». Poiche'
dunque   le   correzioni   avrebbero  modificato  la  sostanza  della
previsione  originaria, con la seconda deliberazione vi sarebbe stato
«un  diverso  volere  legislativo» e non si sarebbe realizzato l'atto
complesso  previsto dall'art. 123 della Costituzione, con conseguente
e   diretta   violazione   della  norma  costituzionale,  di  talche'
mancherebbe l'oggetto del processo, e la Corte non potrebbe giudicare
della legittimita' di un atto che non esiste.
    Peraltro,  osserva  ancora  l'interveniente,  ove  tale  nodo non
venisse  sciolto  adesso,  esso  si  ripresenterebbe al momento della
promulgazione  dello statuto, non potendo questa avvenire in mancanza
del  riscontro di regolarita' del procedimento e dell'esistenza della
legge che, nel caso in esame, non sussisterebbe.
    9. - In via subordinata, l'interveniente afferma di condividere i
rilievi  di  costituzionalita' sollevati nel ricorso del Governo, dei
quali si ribadisce ampiamente la fondatezza.
    10.  - In prossimita' dell'udienza pubblica, la Regione Umbria ha
depositato  una memoria nella quale contesta le censure formulate dal
Presidente  del Consiglio dei ministri avverso la delibera statutaria
impugnata.
    Infondati  sarebbero  innanzitutto  i rilievi mossi nei confronti
dell'art. 9,  comma 2,  concernente la tutela di forme di convivenza.
Tale   norma   avrebbe   infatti  natura  meramente  programmatica  e
legittimamente  potrebbe  essere  inserita  nello statuto, accanto ai
contenuti necessari dello stesso, in quanto essa non fonderebbe alcun
potere  ulteriore  della Regione, rispetto a quelli ad essa conferiti
dalla Costituzione.
    La   previsione   dell'art. 9,   comma 2,  costituirebbe  infatti
esercizio  dell'autonomia  politica,  pacificamente riconosciuta alle
Regioni,  le quali ben potrebbero seguire indirizzi diversi da quelli
dello  Stato,  pur  nel rispetto dei limiti costituzionali imposti ai
poteri regionali, senza percio' violare l'art. 5 Cost. Anche la Corte
costituzionale  avrebbe  riconosciuto  alle  Regioni il ruolo di enti
esponenziali  delle  comunita'  a ciascuna di esse facenti capo: tale
ruolo  legittimerebbe  la  possibilita'  di  partecipare  a  tutte le
questioni  di  interesse  della  comunita' regionale, anche se queste
sorgono  in  settori  estranei  alle materie attribuite dall'art. 117
alla   competenza   regionale   e   si  proiettino  oltre  i  confini
territoriali  della Regione (al riguardo la difesa regionale richiama
la sentenza di questa Corte n. 829 del 1988).
    La  censura  in questione sarebbe pertanto inammissibile, poiche'
l'art. 9, comma 2, della delibera statutaria, cosi' interpretata, non
avrebbe  un effettivo contenuto normativo e quindi non avrebbe alcuna
idoneita' lesiva.
    Errata   sarebbe   poi   l'affermazione   secondo  cui  essa  non
esprimerebbe  alcun  interesse proprio della comunita' regionale, dal
momento  che  la norma tutelerebbe forme di convivenza di persone che
vivono nella Regione.
    Quanto  ai  motivi  di  impugnazione  concernenti  la  violazione
dell'art. 29  Cost.,  la  Regione  osserva  che il particolare valore
riconosciuto  da tale norma alla famiglia fondata sul matrimonio, non
implicherebbe  necessariamente  che  forme  di convivenza diverse non
possano  comunque  essere  tutelate. D'altra parte, il diverso valore
riconosciuto  a  tali forme di convivenza risulterebbe evidente dalla
diversa formulazione dei due commi dell'art. 9.
    La  norma statutaria, dunque, porrebbe un obiettivo legittimo che
potrebbe  essere  attuato  in  modo  conforme  all'ordinamento  e con
riferimento a forme di convivenza diverse da quelle tra persone dello
stesso  sesso,  su  cui  invece  si incentrano le censure del ricorso
statale.  Semmai  un  problema  di  legittimita'  potrebbe  porsi con
riguardo  a  leggi  regionali che in concreto dovessero intervenire a
tutela di tale tipo di convivenza.
    11.  -  Anche  la  censura  concernente  l'art. 39  dello statuto
sarebbe infondata.
    Non  sarebbe  pertinente lamentare la violazione del principio di
separazione   dei   poteri   in   quanto  l'abrogazione  delle  norme
legislative   sarebbe   comunque  disposta  non  dal  regolamento  di
delegificazione,   ma   dalla  legge.  Inoltre  l'ammissibilita'  dei
regolamenti  di  delegificazione  a  livello  regionale sarebbe ormai
pacificamente  ammessa  dalla  dottrina.  Sotto  altro  profilo, poi,
disposizione  analoga  a quella censurata sarebbe contenuta nell'art.
43  dello  statuto  della Regione Calabria, disposizione quest'ultima
non impugnata dal Governo.
    12.  -  Analogamente  sarebbe  da  respingere  la censura avverso
l'art. 40  della  delibera  statutaria,  dal  momento  che  esso  non
prevederebbe alcuna delega legislativa e che l'approvazione finale da
parte   del   Consiglio   con  le  sole  dichiarazioni  di  voto  non
contrasterebbe  con  l'art. 121  della Costituzione che, a differenza
dell'art. 72 della Costituzione, non prevede l'esame in commissione e
l'approvazione articolo per articolo. D'altra parte, la previsione di
una  procedura  spedita  di  approvazione  del  testo  unico  ben  si
giustificherebbe   per   il   carattere   non   innovativo  dell'atto
legislativo in questione. Infine la difesa regionale evidenzia ancora
come  analoga  norma  contenuta  nello statuto della Regione Calabria
(art. 44) non sia stata impugnata dal Governo.
    13.  -  La  Regione  Umbria  sostiene  che anche la censura mossa
avverso   l'art. 66   sarebbe   infondata,   dal   momento   che   la
incompatibilita'  della  carica di componente della Giunta con quella
di  componente  del Consiglio non atterrebbe alla materia elettorale,
bensi'  alla  disciplina  della forma di governo regionale. Ad avviso
della  difesa  regionale,  non  tutte  le  cause  di incompatibilita'
avrebbero  la  medesima  ratio: mentre le incompatibilita' «esterne»,
quale, ad esempio, quella tra appartenenza al Consiglio o alla Giunta
regionale  e  appartenenza  al  Parlamento,  avrebbero la funzione di
garantire  l'effettivita'  e  l'imparzialita' dello svolgimento della
funzione,   le   incompatibilita'  «interne»,  quale  appunto  quella
prevista  dalla norma censurata, atterrebbero al modo di conformare i
rapporti tra gli organi fondamentali della Regione.
    14.  -  «Radicalmente  infondata» sarebbe infine la censura mossa
nei  confronti  dell'art. 82 della delibera statutaria che disciplina
la Commissione di garanzia. Il potere conferito a tale organo sarebbe
meramente consultivo e facoltativo; inoltre l'unica conseguenza di un
suo parere negativo sarebbe solo il dovere per l'organo competente di
riesaminare   l'atto   per  la  sua  riapprovazione,  peraltro  senza
maggioranze   qualificate   (d'altra   parte,   la  previsione  della
necessita'  di  una  riapprovazione  della  legge  o  del regolamento
rientra  sicuramente  nella competenza statutaria). La Commissione di
garanzia,  dunque, assicurerebbe solo un controllo interno per meglio
garantire  la  legittimita'  delle  fonti regionali. Sarebbe comunque
sempre rispettata la competenza legislativa del Consiglio e il potere
di sindacato della Corte costituzionale.
    15.   -   Con  ricorso  notificato  in  data  11 settembre  2004,
depositato  il  20 settembre  2004,  e iscritto al n. 90 del registro
ricorsi  del  2004,  il  consigliere regionale Carlo Ripa di Meana ha
chiesto che sia dichiarata l'illegittimita' costituzionale, ovvero la
nullita'  o  l'inesistenza  della  delibera  statutaria della Regione
Umbria.
    Sostiene   preliminarmente   il   ricorrente  che  tale  delibera
statutaria  sarebbe  stata  approvata  in violazione del procedimento
previsto   dall'art. 123  Cost.,  in  quanto  mancherebbe  la  doppia
delibera  conforme  e  che  cio' sarebbe avvenuto con la contrarieta'
espressa dello stesso ricorrente.
    Il  consigliere  afferma  di  aver  denunciato  tale  vizio  alla
Presidenza  del  Consiglio  dei ministri, la quale, asseritamente per
ragioni  politiche,  non  avrebbe  incluso  tra  i motivi del ricorso
presentato  avverso la delibera statutaria della Regione Umbria anche
il vizio procedimentale suddetto.
    16.  -  In ordine alla legittimazione di un consigliere regionale
di  minoranza  a  ricorrere  alla Corte costituzionale, il ricorrente
osserva che essa sarebbe implicita nel sistema costituzionale per una
pluralita' di ragioni.
    Al  riguardo  -  oltre  ad alcune argomentazioni gia' riportate a
proposito  del  menzionato atto di intervento nel giudizio instaurato
dal  ricorso  del  Governo  -  si evidenzia come l'ammissibilita' del
ricorso  deriverebbe  anche  dalla  circostanza  che  nella  forma di
governo  regionale  mancherebbe  un  potere  neutro  quale quello del
Presidente  della  Repubblica,  che  possa  rinviare al Parlamento le
leggi  sospette  di  incostituzionalita'.  Proprio  l'attribuzione al
massimo  esponente  della  maggioranza  politica, cioe' al Presidente
della  Giunta,  del  potere  di promulgazione delle leggi, renderebbe
necessario  riconoscere il potere di ricorrere alla Corte ai soggetti
portatori   dell'interesse   concreto   al   rispetto   delle   norme
costituzionali.
    In  senso  inverso,  del  resto,  non potrebbe essere invocata la
previsione  del  referendum  confermativo,  data  la  sua  natura  di
strumento politico e non di riesame giuridico.
    In definitiva, se non si riconoscesse al consigliere il potere di
ricorrere  avverso  lo  statuto,  in  via  surrogatoria, suppletiva e
successiva,  l'interesse  al  rispetto della legalita' costituzionale
non  sarebbe  pienamente  tutelato,  ma rimesso ad una valutazione di
mera opportunita' politica del Governo.
    Infine,  il  ricorrente  chiede  che  la  Corte,  «ove  occorra»,
dichiari  d'ufficio,  ex  art. 27  della  legge 11 marzo 1953, n. 87,
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 31 della stessa legge, come
modificato  dalla  legge  5  giugno 2003,  n. 131  (Disposizioni  per
l'adeguamento    dell'ordinamento   della   Repubblica   alla   legge
costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3),  nella  parte  in  cui  non
riconosce la legittimazione a ricorrere del consigliere regionale che
non ha votato per l'approvazione dello statuto.
    17.  -  Quanto  alle  specifiche  censure,  il ricorrente lamenta
innanzitutto  la  violazione  dell'art.  123 della Costituzione e del
procedimento  ivi  previsto, dal momento che la seconda deliberazione
con  cui  e'  stato  approvato lo statuto in data 29 luglio 2004, non
sarebbe  conforme  a  quella  precedente  del  2 aprile 2004, secondo
motivazioni  identiche  a  quelle  esposte  nell'atto  di  intervento
relativo al ricorso del Governo e sintetizzate al precedente punto 7.
    18.  -  Il  ricorrente  censura  inoltre l'art. 66 della delibera
statutaria  nella  parte  in  cui dispone che la carica di componente
della  Giunta  e' incompatibile con quella di consigliere regionale e
che al consigliere nominato membro della Giunta subentra il primo dei
candidati  non  eletti nella stessa lista, nonche' nella parte in cui
prevede  che  il  subentrante dura in carica per il periodo in cui il
consigliere mantiene la carica di assessore.
    Innanzitutto  la  norma violerebbe l'art. 122, primo comma, della
Costituzione  in  quanto  introdurrebbe  la  figura  del  consigliere
regionale   supplente   o   subentrante   non  prevista  dalla  norma
costituzionale,  la  quale  affida  alla  legge statale il compito di
stabilire  i  principi'  fondamentali  circa  le incompatibilita' dei
consiglieri  regionali.  Risulterebbero  violati,  inoltre, l'art. 67
della  Costituzione,  in quanto la previsione in esame contraddirebbe
il divieto di mandato imperativo, nonche' l'art. 3 Cost., dal momento
che  il  consigliere «reggente» avrebbe uno status differenziato, con
minori  garanzie,  rispetto  al  titolare. Egli, infatti, non godendo
della  inamovibilita',  potrebbe  essere  sempre  sostituito  ove  il
supplito tornasse alla sua originaria funzione di consigliere. In tal
modo,  pero', la revoca del consigliere supplente sarebbe operata non
dal  corpo  elettorale  e  alla fine del mandato - come imporrebbe il
principio  sancito  dall'art. 67  Cost. - ma dall'esecutivo regionale
cioe'  dall'organo  sottoposto  al  controllo politico del Consiglio,
cosi'  che  «il  controllato potrebbe rimuovere a piacimento (...) il
controllore».  Per  di  piu',  il  mandato  del consigliere supplente
sarebbe   interrotto,   cosi'   «spezzando   lo  stesso  rapporto  di
rappresentanza politica».
    19.  -  Da  ultimo, il ricorrente censura l'art. 9 della delibera
statutaria  per  violazione  dell'articolo 29  della Costituzione, il
quale  non  ammetterebbe  «forme  di  tutela della famiglia se non e'
basata  sul matrimonio, religioso o civile», nonche' degli artt. 30 e
31  della  Costituzione.  La  previsione  della tutela delle forme di
convivenza   non  si  limiterebbe  a  riconoscere  una  liberta',  ma
impegnerebbe  la  Regione  ad  agire  attivamente  a protezione della
convivenza di fatto «con l'effetto di una parificazione alla famiglia
di diritto».
    La norma inoltre «usurperebbe» le competenze statali, trattandosi
di  questione  inerente  alla  materia  dell'ordinamento  civile,  di
esclusiva  spettanza legislativa dello Stato, secondo quanto previsto
dall'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.
    20. - Si e' costituita in giudizio la Regione Umbria, la quale ha
chiesto  che  il  ricorso  proposto dal consigliere Ripa di Meana sia
dichiarato  inammissibile  e infondato, riservandosi di illustrare in
una  successiva  memoria  le  argomentazioni a sostegno delle proprie
difese.
    21.   -   Il  ricorrente  Carlo  Ripa  di  Meana  in  prossimita'
dell'udienza  ha  depositato  una  memoria nella quale ha eccepito il
difetto  di  legittimazione  processuale del Presidente della Regione
Umbria  a  costituirsi  nel  giudizio.  La  sua  costituzione sarebbe
avvenuta  infatti  sine titulo, in quanto non sarebbe stata preceduta
da  una delibera del Consiglio regionale, unico soggetto legittimato,
a parere del ricorrente, a decidere se resistere o meno al ricorso.
    Le   ragioni   di   tale   esclusiva   legittimazione   sarebbero
individuabili   nel   fatto   che   il   giudizio  costituzionale  ex
articolo 123  della Costituzione, pur avendo le forme del giudizio in
via  principale,  si  discosterebbe  da questo, in quanto avrebbe una
valenza  infraprocedimentale  e  preventiva: in tale fase la delibera
statutaria  sarebbe imputabile solo al Consiglio regionale e pertanto
la valutazione circa la costituzione in giudizio del Presidente della
Giunta non potrebbe sostituire quella del Consiglio.
    22.  -  Anche  la Regione Umbria ha depositato una memoria, nella
quale  sostiene in primo luogo la totale inammissibilita' del ricorso
proposto  dal  consigliere  Ripa  di  Meana  per  difetto assoluto di
legittimazione.  L'art. 137 della Costituzione, infatti, porrebbe una
riserva  di  legge  costituzionale per la individuazione dei soggetti
legittimati ad instaurare un giudizio di legittimita' costituzionale,
con   la   conseguenza  che  sarebbe  esclusa  ogni  possibilita'  di
impugnazione  da  parte di soggetti non espressamente contemplati. Lo
Stato  sarebbe  l'unico legittimato a ricorrere in via diretta contro
lo  statuto  e le leggi regionali, come risulterebbe confermato anche
dalla  giurisprudenza costituzionale che ha affermato la tassativita'
delle norme costituzionali in materia ed ha anche escluso nei giudizi
in  via  principale l'intervento di soggetti terzi. D'altra parte, se
lo  statuto,  come  afferma  il  ricorrente,  fosse  nullo, qualunque
giudice  potrebbe  disapplicarlo,  senza  bisogno  di  ricorrere alla
Corte.
    23.  -  Quanto alla difformita' tra le due delibere lamentata dal
ricorrente,  essa  sarebbe  inesistente,  trattandosi  di  diversita'
meramente  formali. Mentre nessuna rilevanza assumerebbe l'intenzione
dei  redattori, le modifiche della rubrica dell'art. 9 avrebbe valore
meramente   esplicativo   del   contenuto   della   disposizione;  la
scomposizione  della  norma  in  due  commi  non avrebbe implicazioni
sostanziali;  l'aggiunta  della  parola  «altresi»  sarebbe  semplice
conseguenza  della  scomposizione  e la soppressione delle parole «le
varie»,   riferito  a  «forme  di  convivenza»,  non  avrebbe  valore
sostanziale  poiche'  l'espressione usata sarebbe comunque generica e
non  escluderebbe  alcun tipo di convivenza. In subordine, osserva la
difesa regionale, la difformita' riguarderebbe comunque solo l'art. 9
e non l'intero statuto.
    24.  -  Infondata  sarebbe  anche  la  censura  secondo  la quale
l'art. 66 della delibera statutaria avrebbe introdotto una ipotesi di
incompatibilita'   non   prevista   ai   sensi   dell'art. 122  della
Costituzione. Infatti la legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di
attuazione  dell'art. 122,  primo comma, della Costituzione), prevede
espressamente    la   eventuale   sussistenza   di   una   causa   di
incompatibilita'  tra  assessore  e  consigliere regionale. La difesa
regionale   inoltre  ribadisce  la  diversita'  di  tale  ipotesi  di
incompatibilita' rispetto alle altre, e sostiene che quella censurata
atterrebbe  alla  disciplina  della  «forma  di  governo»  pienamente
rientrante nella competenza statutaria.
    Quanto alla lamentata violazione dell'art. 67 della Costituzione,
si  nega  che  l'impugnato  art. 66,  comma 2, configuri una sorta di
potere  di  revoca  del  consigliere  subentrante  a  quello nominato
assessore. Il consigliere subentrante sarebbe consigliere regionale a
tutti  gli  effetti  e senza limitazioni, seppure con la possibilita'
che  il  suo  mandato  venga  a  cessare  in  conseguenza del rientro
dell'assessore:  peraltro  la  cessazione  dalla carica di componente
della  Giunta  non  potrebbe trasformarsi in una sorta di strumentale
revoca  da  parte  del  Presidente  della  Giunta,  al  solo  fine di
estromettere  il  consigliere subentrato e divenuto sgradito, poiche'
verrebbe fatta valere la responsabilita' politica del Presidente.
    25.  -  Quanto, infine, alle censure mosse avverso l'art. 9 della
delibera  statutaria,  la difesa regionale, dopo aver rilevato che lo
stesso  consigliere  avrebbe presentato in commissione un emendamento
volto   ad   inserire   nella  norma  l'espressione  «e  promuove  il
riconoscimento  delle  diverse  forme  di convivenza», osserva che la
critica  mossa  dal  ricorrente sarebbe ancor piu' radicale di quella
del  Governo. Si contesterebbe, infatti, la legittimita' della tutela
di qualsiasi forma di convivenza non fondata sul matrimonio, e dunque
anche  di  quelle  more uxorio, che oramai rilevano per l'ordinamento
statale.  Il  ricorso inoltre si fonderebbe sull'equivoco di ritenere
che  la  norma equipari la famiglia fondata sul matrimonio alle altre
forme di convivenza, mentre cosi' non sarebbe.
    Infine,  la difesa regionale ripropone le medesime argomentazioni
svolte  con  riguardo  a  tale  norma  nella  memoria  depositata nel
giudizio promosso dallo Stato (sintetizzate al precedente punto 10).

                       Considerato in diritto

    1.   -   Il   Governo  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale,  ai  sensi  dell'articolo 123,  secondo  comma, della
Costituzione,  degli artt. 9, comma 2; 39, comma 2; 40; 66, commi 1 e
2;  82  dello  statuto  della Regione Umbria, approvato dal Consiglio
regionale  in  prima deliberazione il 2 aprile del 2004 ed in seconda
deliberazione  il 29 luglio 2004, in riferimento agli artt. 2; 5; 29;
117,  secondo  comma,  lettera l);  117, terzo comma; 121; 122, primo
comma;  123;  134,  della  Costituzione  nonche'  al  principio della
separazione dei poteri.
    L'art. 9,  comma 2, viene impugnato nella parte in cui, avendo il
primo  comma  dell'art. 9  riconosciuto  i  diritti  della famiglia e
previsto  l'adozione  di  ogni misura idonea a favorire l'adempimento
dei  compiti  che  la  Costituzione le affida, dispone che la Regione
tutela  forme  di  convivenza,  in quanto consentirebbe l'adozione di
«eventuali  future  previsioni  normative  regionali»  concernenti  i
rapporti   patrimoniali   e  personali  tra  i  conviventi.  Cio'  in
violazione     dell'esclusivo     potere     statale     riconosciuto
dall'articolo 117,  secondo  comma,  lettera l)  della  Costituzione,
nella materia dell'«ordinamento civile».
    Al  tempo  stesso, ove la norma intendesse affermare la rilevanza
giuridica  delle forme di convivenza estranee alla famiglia al di la'
di  quanto  disciplinato  dalla  legislazione statale, violerebbe gli
articoli 29, 2 e 5 della Costituzione, nonche' lo stesso articolo 123
della   Costituzione,  in  quanto  questa  disciplina  eccederebbe  i
contenuti ammissibili degli statuti regionali.
    L'art. 39,  comma 2,  il  quale  prevede  che la Giunta regionale
possa,  previa  autorizzazione  da parte di apposita legge regionale,
adottare  regolamenti  di delegificazione, violerebbe l'articolo 121,
secondo  comma, della Costituzione ed il principio di separazione dei
poteri  tra organo legislativo ed organo esecutivo della regione, che
non  consentirebbero  l'adozione  di  regolamenti di delegificazione;
sarebbe violato, inoltre, l'art. 117 della Costituzione, in quanto la
fonte   regolamentare  sarebbe  incongruente  rispetto  alle  materie
legislative di tipo concorrente, nelle quali i principi' fondamentali
fissati  dal  legislatore  statale  dovrebbero  essere attuati in via
legislativa.
    L'art. 40,  invece,  prevedendo  che  la Giunta regionale, previa
legge  regionale  di  autorizzazione, presenti al Consiglio regionale
progetti  di  testo  unico di disposizioni legislative, soggetti solo
alla  approvazione finale del Consiglio, violerebbe l'art. 121 Cost.,
nonche' il principio di separazione dei poteri tra organo legislativo
ed  organo  esecutivo  della regione, che non consentirebbero deleghe
legislative,   ne'   rinunce  sostanziali  all'esercizio  del  potere
legislativo da parte del Consiglio regionale.
    L'art. 66,   commi 1  e  2,  e'  censurato  nella  parte  in  cui
stabilisce l'incompatibilita' della carica di componente della Giunta
con    quella    di    consigliere    regionale,    per    violazione
dell'articolo 122,  primo comma, della Costituzione, che riserva alla
legge  regionale  l'individuazione  dei casi di incompatibilita', nei
limiti dei principi' sanciti dalla legge statale.
    L'art. 82,  il  quale attribuisce alla Commissione di garanzia la
funzione  di  esprimere  pareri  sulla conformita' allo statuto delle
leggi  e dei regolamenti regionali, violerebbe gli articoli 121 e 134
della  Costituzione, in quanto, ove la disposizione impugnata dovesse
intendersi   nel   senso   che   tale   parere  segua  il  compimento
dell'attivita' normativa, conferirebbe ad un organo amministrativo il
potere di sindacare le leggi ed i regolamenti adottati dai competenti
organi regionali.
    2.  -  Il  consigliere regionale Carlo Ripa di Meana ha sollevato
questione  di  legittimita'  costituzionale della delibera statutaria
nella  sua  interezza,  in  quanto sarebbe stata violata la procedura
determinata  dall'articolo 123  della Costituzione per l'approvazione
dello  statuto.  Lo stesso consigliere ha impugnato singolarmente gli
articoli 9  e  66  della  delibera  statutaria,  in  riferimento agli
artt. 3;  29;  30;  31; 67; 117, secondo comma, lettera l); 121; 122;
123 della Costituzione.
    La   richiesta   di  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale
dell'intera  delibera  statutaria  o  quanto  meno  del suo art. 9 e'
motivata  in  ragione delle modifiche che sarebbero state apportate a
questo  articolo  prima  della  votazione  finale, giustificate dagli
organi   del   Consiglio   regionale   sulla   base  di  esigenze  di
coordinamento  formale, e che avrebbero invece introdotto innovazioni
sostanziali,  che  avrebbero pesato sullo stesso voto finale; da cio'
la  violazione  dell'articolo 123  della  Costituzione  che,  ai fini
dell'approvazione dello statuto regionale, richiede l'adozione di due
delibere successive tra loro identiche.
    Nel  merito  l'art. 9  violerebbe  gli  artt. 29,  30  e 31 della
Costituzione,  in quanto impegnerebbe la Regione ad agire attivamente
a  protezione  delle  convivenze  di fatto, in contrasto con la norma
costituzionale  che non ammette forme di tutela della famiglia se non
e'   basata  sul  matrimonio,  religioso  o  civile.  Inoltre  questa
disposizione  violerebbe  l'art. 117, secondo comma, lettera l) della
Costituzione,  in  quanto  «usurperebbe»  le  competenze  statali  in
materia di ordinamento civile.
    L'art. 66,  primo  comma, e' censurato nella parte in cui prevede
che la carica di componente della Giunta sia incompatibile con quella
di  consigliere  regionale,  in  quanto  violerebbe l'art. 122, primo
comma  della  Costituzione,  il  quale  affida  alla legge statale il
compito   di   stabilire  i  principi'  fondamentali  in  materia  di
incompatibilita' dei consiglieri regionali.
    L'art. 66, secondo comma, disponendo che al consigliere regionale
nominato  membro  della  Giunta  subentra  il primo dei candidati non
eletti  nella  stessa  lista  e che il subentrante dura in carica per
tutto  il  periodo  in  cui  il  consigliere  mantiene  la  carica di
assessore,   violerebbe   l'articolo 67   della  Costituzione  ed  il
principio del divieto di mandato imperativo, in quanto il consigliere
supplente  sarebbe  soggetto  a revoca ad opera del supplito e dunque
dell'organo   esecutivo   regionale,   e   durante   il  corso  della
legislatura.   Questa   norma,  prevedendo  minori  garanzie  per  il
consigliere  supplente  rispetto a quello ordinario, violerebbe anche
l'art. 3;  sarebbero  pure  violati  gli  artt. 121,  122 e 123 della
Costituzione  in  quanto  la  disposizione  impugnata  determinerebbe
l'esistenza di categorie diverse di consiglieri regionali; inoltre si
introdurrebbe  un  meccanismo  attraverso il quale potrebbero entrare
nel Consiglio diversi candidati non eletti dal corpo elettorale.
    3.  -  In  via preliminare va dichiarato inammissibile il ricorso
avverso  la  delibera statutaria presentato dal consigliere regionale
Carlo Ripa di Meana.
    L'impugnativa  in  via principale per motivi di costituzionalita'
delle  leggi  e  degli  statuti  regionali  e'  determinato  da fonti
costituzionali,  secondo  quanto reso palese dagli articoli 123 e 127
della    Costituzione,    nonche'    dall'articolo 2    della   legge
costituzionale   9 febbraio   1948,   n. 1   (Norme  sui  giudizi  di
legittimita'  costituzionale  e  sulle garanzie di indipendenza della
Corte  costituzionale),  che individuano soltanto nel Governo e nelle
Giunte  regionali  gli organi che possono ricorrere in via principale
alla  Corte  costituzionale;  cio'  e'  confermato  dal  primo  comma
dell'articolo 137  della  Costituzione,  secondo  il quale «una legge
costituzionale  stabilisce  le  condizioni,  le  forme,  i termini di
proponibilita' dei giudizi di legittimita' costituzionale (...)». Ne'
le  caratteristiche  del  nuovo  procedimento  di  approvazione dello
statuto   regionale   -  quale  risulta  in  seguito  alle  modifiche
introdotte dalla legge costituzionale n. 1 del 1999 - possono fondare
alcun  potere dei consiglieri regionali di impugnativa della delibera
statutaria.
    Ulteriore   argomento   in   tal  senso  e'  individuabile  nella
circostanza   secondo   la   quale   nel   periodo   di  applicazione
dell'articolo 127 nella formulazione precedentemente vigente, con cui
l'attuale articolo 123 della Costituzione condivide la caratteristica
di  un  giudizio in via principale su un testo legislativo non ancora
promulgato,  era pacificamente esclusa la possibilita' di partecipare
al   giudizio   per   soggetti  diversi  dalle  parti  esplicitamente
individuate dalle disposizioni di rango costituzionale e dal titolare
della   potesta'  legislativa  il  cui  esercizio  fosse  oggetto  di
contestazione.
    In  base a tali argomentazioni non potrebbe che essere dichiarata
manifestamente  infondata  (ove  il  ricorso  fosse  -  come non e' -
ammissibile)  la  questione  di legittimita' costituzionale posta dal
consigliere  ricorrente  in  relazione  all'articolo 31  della  legge
11 marzo  1953, n. 87, quale modificato dall'articolo 9 della legge 5
giugno 2003,  n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento
della  Repubblica  alla  legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3),
nella  parte  in  cui non riconosce la legittimazione a ricorrere del
consigliere  regionale  che non abbia votato per l'approvazione dello
statuto   regionale,   dal  momento  che  questa  norma  non  fa  che
esplicitare  quanto  gia'  chiaramente  previsto  nel  secondo  comma
dell'articolo 123 della Costituzione.
    4.  -  Va  altresi'  dichiarato  inammissibile  l'intervento  del
consigliere  regionale  Carlo  Ripa  di  Meana  nel  giudizio  in via
principale  relativo  alla  delibera  statutaria della Regione Umbria
promosso dal Governo.
    Infatti,  analogamente  a  quanto affermato per il giudizio sulle
leggi in via principale - e cioe' che devono ritenersi legittimati ad
esser  parti  solo i soggetti titolari delle attribuzioni legislative
in  contestazione - anche nel giudizio sulla speciale legge regionale
disciplinata dall'articolo 123 della Costituzione, gli unici soggetti
che  possono  essere  parti sono la Regione, in quanto titolare della
potesta'  normativa  in  contestazione,  e  lo  Stato, indicato dalla
Costituzione   come   unico   possibile  ricorrente.  Restano  fermi,
naturalmente, per i soggetti privi di tali potesta' i mezzi di tutela
delle   loro   posizioni   soggettive   dinanzi   ad   altre  istanze
giurisdizionali  ed  anche  dinanzi  a  questa  Corte nell'ambito del
giudizio  in  via  incidentale  (cfr. ex plurimis sentenze n. 166 del
2004,  n. 338,  n. 315,  n. 307 e n. 49 del 2003, nonche' l'ordinanza
allegata alla sentenza n. 196 del 2004).
    5.  -  Venendo  alle  censure  di  illegittimita'  costituzionale
sollevate   nel  ricorso  governativo,  in  via  preliminare  occorre
dichiarare  la  inammissibilita'  delle  censure relative all'art. 9,
comma 2.
    Va  ricordato  che  negli statuti regionali entrati in vigore nel
1971 - ivi compreso quello della Regione Umbria - si rinvengono assai
spesso  indicazioni  di obiettivi prioritari dell'attivita' regionale
ed  anche  in  quel  tempo si posero problemi di costituzionalita' di
tali  indicazioni,  sotto  il  profilo  della  competenza della fonte
statutaria  ad  incidere  su  materie  anche  eccedenti  la  sfera di
attribuzione  regionale.  Al  riguardo,  dopo  aver  riconosciuto  la
possibilita'  di  distinguere  tra  un  contenuto  «necessario» ed un
contenuto  «eventuale»  dello statuto (cfr. sentenza n. 40 del 1972),
si  e'  ritenuto  che  la formulazione di proposizioni statutarie del
tipo  predetto  avesse  principalmente  la funzione di legittimare la
Regione  come  ente  esponenziale della collettivita' regionale e del
complesso  dei  relativi  interessi  ed  aspettative.  Tali interessi
possono  essere  adeguatamente  perseguiti  non  soltanto  attraverso
l'esercizio  della competenza legislativa ed amministrativa, ma anche
avvalendosi  dei  vari  poteri,  conferiti  alla Regione stessa dalla
Costituzione e da leggi statali, di iniziativa, di partecipazione, di
consultazione, di proposta, e cosi' via, esercitabili, in via formale
ed  informale,  al fine di ottenere il migliore soddisfacimento delle
esigenze  della  collettivita' stessa. In questo senso si e' espressa
questa  Corte,  affermando  che l'adempimento di una serie di compiti
fondamentali «legittima, dunque, una presenza politica della regione,
in  rapporto allo Stato o anche ad altre regioni, riguardo a tutte le
questioni  di  interesse  della  comunita' regionale, anche se queste
sorgono   in   settori   estranei   alle   singole  materie  indicate
nell'articolo 117  Cost.  e  si  proiettano  al  di  la'  dei confini
territoriali della regione medesima» (sentenza n. 829 del 1988).
    Il ruolo delle Regioni di rappresentanza generale degli interessi
delle  rispettive  collettivita',  riconosciuto  dalla giurisprudenza
costituzionale  e  dalla  prevalente  dottrina,  e' dunque rilevante,
anche  nel  momento  presente,  ai  fini  «dell'esistenza, accanto ai
contenuti  necessari  degli  statuti  regionali,  di  altri possibili
contenuti, sia che risultino ricognitivi delle funzioni e dei compiti
della  Regione,  sia  che  indichino  aree  di prioritario intervento
politico  o  legislativo»  (sentenza  n. 2  del  2004); contenuti che
talora   si   esprimono  attraverso  proclamazioni  di  finalita'  da
perseguire.  Ma la sentenza ha rilevato come sia opinabile la «misura
dell'efficacia  giuridica»  di  tali  proclamazioni;  tale  dubbio va
sciolto  considerando  che  alle  enunciazioni  in  esame,  anche  se
materialmente inserite in un atto-fonte, non puo' essere riconosciuta
alcuna efficacia giuridica, collocandosi esse precipuamente sul piano
dei  convincimenti  espressivi  delle  diverse sensibilita' politiche
presenti nella comunita' regionale al momento dell'approvazione dello
statuto.
    D'altra  parte,  tali proclamazioni di obiettivi e di impegni non
possono  certo essere assimilate alle c.d. norme programmatiche della
Costituzione, alle quali, per il loro valore di principio, sono stati
generalmente  riconosciuti  non  solo  un  valore  programmatico  nei
confronti  delle  futura  disciplina  legislativa,  ma sopratutto una
funzione  di  integrazione  e di interpretazione delle norme vigenti.
Qui  pero'  non siamo in presenza di Carte costituzionali, ma solo di
fonti  regionali  «a  competenza riservata e specializzata», cioe' di
statuti di autonomia, i quali, anche se costituzionalmente garantiti,
debbono  comunque  «essere  in  armonia con i precetti ed i principi'
tutti ricavabili dalla Costituzione» (sentenza n. 196 del 2003).
    Dalle  premesse appena formulate sul carattere non prescrittivo e
non  vincolante  delle enunciazioni statutarie di questo tipo, deriva
che  esse esplicano una funzione, per cosi' dire, di natura culturale
o  anche  politica,  ma  certo  non normativa. Nel caso in esame, una
enunciazione siffatta si rinviene proprio nell'art. 9, comma 2, della
delibera  statutaria  impugnata,  la'  dove si afferma che la Regione
«tutela altresi' forme di convivenza»; tale disposizione non comporta
ne'  alcuna  violazione,  ne'  alcuna  rivendicazione  di  competenze
costituzionalmente  attribuite  allo  Stato,  ne'  fonda esercizio di
poteri  regionali. Va cosi' dichiarata inammissibile, per inidoneita'
lesiva della disposizione impugnata, la censura avverso la denunciata
proposizione della deliberazione statutaria.
    6.   -  Le  censure  di  illegittimita'  costituzionale  relative
all'art. 39, comma 2, sono infondate.
    Le  argomentazioni  del  ricorso,  infatti, muovono da una errata
lettura  della disposizione, che non prevede affatto il «conferimento
alla  Giunta di una potesta' legislativa», come afferma l'Avvocatura,
con  la  conseguente  alterazione dei rapporti fra potere esecutivo e
legislativo  a  livello  regionale.  La  norma in oggetto, invece, si
limita  a  riprodurre  il  modello  vigente  a  livello  statale  dei
cosiddetti  regolamenti  delegati,  che  e'  disciplinato dal comma 2
dell'art. 17   della   legge   23 agosto   1988,  n. 400  (Disciplina
dell'attivita'   di   governo  e  ordinamento  della  Presidenza  del
Consiglio  dei  ministri). In questo modello di delegificazione, come
ben  noto  largamente utilizzato a livello nazionale e ormai anche in
varie Regioni pur in assenza di disposizioni statutarie in tal senso,
e'  alla  legge  che  autorizza  l'adozione  del regolamento che deve
essere imputato l'effetto abrogativo, mentre il regolamento determina
semplicemente il termine iniziale di questa abrogazione.
    La stessa preoccupazione che l'adozione di regolamenti del genere
possa  alterare  nelle  materie di competenza concorrente il rapporto
fra  normativa  statale  di  principio  e legislazione regionale, dal
momento  che  potrebbe  invece risultare necessario che la normazione
regionale  sia  adottata  in  tutto  o  in parte mediante legge, puo'
essere  fugata dal fatto che lo stesso art. 39, comma 2, che e' stato
impugnato,  dispone  che  la legge di autorizzazione all'adozione del
regolamento  deve  comunque  contenere «le norme generali regolatrici
della  materia»,  nonche'  la  clausola abrogativa delle disposizioni
vigenti.  Sara'  dunque  in  relazione a tale legge che potra' essere
verificato  il  rispetto  di riserve di legge regionale esistenti nei
differenziati settori, con anche la possibilita', in caso di elusione
di   questo   vincolo,   di   promuovere  la  relativa  questione  di
legittimita' costituzionale.
    7. - Le censure di illegittimita' costituzionale dell'art. 40 non
sono fondate.
    Anche  in  questo  caso,  infatti appare errata l'interpretazione
della   disposizione   in   oggetto   come  attributiva  di  «deleghe
legislative»  da  parte  del Consiglio alla Giunta regionale, poiche'
invece  l'articolo in contestazione prevede soltanto che il Consiglio
conferisca alla Giunta un semplice incarico di presentare allo stesso
organo  legislativo  regionale, entro termini perentori, un «progetto
di  testo unico delle disposizioni di legge» gia' esistenti in «uno o
piu'   settori  omogenei»,  progetto  che  poi  il  Consiglio  dovra'
approvare  con  apposita  votazione,  seppure dopo un dibattito molto
semplificato.
    Ben   puo'   uno   statuto   regionale   prevedere  uno  speciale
procedimento   legislativo   diretto   soltanto   ad   operare  sulla
legislazione  regionale  vigente,  a  meri  fini  «di  riordino  e di
semplificazione».   La  stessa  previsione  di  cui  al  terzo  comma
dell'art. 40,  relativa  al fatto che eventuali proposte di revisione
sostanziale  delle  leggi  oggetto del procedimento per la formazione
del  testo  unico,  che  siano  presentate  nel  periodo previsto per
l'espletamento    dell'incarico    dato    alla    Giunta,    debbano
necessariamente   tradursi   in  apposita  modifica  della  legge  di
autorizzazione  alla  redazione del testo unico, sta a confermare che
ogni  modifica  sostanziale  della legislazione da riunificare spetta
alla  legge  regionale  e  che  quindi  la  Giunta nella sua opera di
predisposizione  del  testo  unico  non  puo'  andare  oltre  al mero
riordino   e  alla  semplificazione  di  quanto  deliberato  in  sede
legislativa dal Consiglio regionale.
    8.   -  Le  censure  di  illegittimita'  costituzionale  relative
all'art. 66, commi 1 e 2, sono fondate.
    L'art. 122 Cost. riserva espressamente alla legge regionale, «nei
limiti   dei   principi'   fondamentali  stabiliti  con  legge  della
Repubblica»,  la  determinazione  delle norme relative al «sistema di
elezione»  e  ai  «casi  di ineleggibilita' e di incompatibilita' del
Presidente  e  degli  altri componenti della Giunta regionale nonche'
dei  consiglieri  regionali»,  senza  che  si possa distinguere (come
invece  ipotizza la difesa regionale) fra ipotesi di incompatibilita'
«esterne»   ed   «interne»   all'organizzazione  istituzionale  della
Regione.
    E' vero che le scelte in tema di incompatibilita' fra incarico di
componente  della Giunta regionale e di consigliere regionale possono
essere  originate  da  opzioni statutarie in tema di forma di governo
della  Regione, ma - come questa Corte ha gia' affermato in relazione
ad altra delibera statutaria regionale nella sentenza n. 2 del 2004 -
occorre   rilevare  che  il  riconoscimento  nell'articolo 123  della
Costituzione  del  potere  statutario  in  tema  di  forma di governo
regionale  e'  accompagnato  dalla previsione dell'articolo 122 della
Costituzione,  e che quindi la disciplina dei particolari oggetti cui
si  riferisce  l'articolo 122  sfugge  alle  determinazioni  lasciate
all'autonomia statutaria.
    Ne'  la  formulazione  del  primo  comma dell'art. 66 puo' essere
interpretata  come  espressiva  di un mero principio direttivo per il
legislatore   regionale,   nell'ambito   della  sua  discrezionalita'
legislativa in materia.
    La dichiarazione di illegittimita' costituzionale del primo comma
dell'art. 66  si  estende  logicamente  anche  al secondo comma della
medesima  disposizione,  che  ne  disciplina le conseguenze sul piano
della composizione del Consiglio regionale.
    Inoltre,  ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
la  dichiarazione di illegittimita' costituzionale deve essere estesa
anche  al  terzo  comma  dell'art. 66  della delibera statutaria, che
prevede  un  ulteriore svolgimento di quanto disciplinato nel secondo
comma,  ben potendo la dichiarazione di illegittimita' costituzionale
consequenziale  applicarsi  non soltanto ai giudizi in via principale
(cfr. sentenze n. 4 del 2004, n. 20 del 2000, n. 441 del 1994 e n. 34
del 1961), ma anche al particolare giudizio di cui all'art. 123 Cost.
(cfr. sentenza n. 2 del 2004).
    9.   -  Le  censure  di  illegittimita'  costituzionale  relative
all'art. 82 non sono fondate.
    La  disciplina  della  Commissione  di  garanzia statutaria negli
artt. 81  ed  82 della delibera statutaria configura solo nelle linee
generali   questo   organo   e  le  sue  funzioni,  essendo  prevista
nell'art. 81 una apposita legge regionale, da approvare a maggioranza
assoluta, per definirne - tra l'altro - «le condizioni, le forme ed i
termini  per  lo svolgimento delle sue funzioni»: sara' evidentemente
questa  legge a disciplinare analiticamente i poteri di questo organo
nelle  diverse  fasi  nelle quali potra' essere chiamato ad esprimere
pareri giuridici.
    In  ogni  caso, la disposizione impugnata fa espresso riferimento
ad  un  potere consultivo della Commissione, da esplicarsi attraverso
semplici  pareri,  che,  se  negativi  sul  piano  della  conformita'
statutaria,  determinano come conseguenza il solo obbligo di riesame,
senza  che  siano  previste  maggioranze  qualificate  ed anche senza
vincolo  in  ordine  ad  alcuna modifica delle disposizioni normative
interessate.