ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 180 del decreto
legislativo  24 febbraio  1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni
in  materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8
e  21  della  legge  6 febbraio  1996, n. 52) e dell'art. 3, comma 1,
lettera c),   ultima   parte,  della  legge  6 febbraio  1996,  n. 52
(Disposizioni     per    l'adempimento    di    obblighi    derivanti
dall'appartenenza   dell'Italia   alle   Comunita'  europee  -  legge
comunitaria  1994),  promossi  con  ordinanze  del 10 giugno 2003 del
Tribunale di Siracusa nel procedimento penale a carico di M. C. S. ed
altri  e  del  6 ottobre  2003 del Tribunale di Roma nel procedimento
penale a carico di G. C. ed altri, rispettivamente iscritte al n. 658
del registro ordinanze 2003 ed al n. 48 del registro ordinanze 2004 e
pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, 1a serie
speciale, dell'anno 2003 e n. 9, 1a serie speciale, dell'anno 2004.
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  M. C. S. nonche' gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica del 16 novembre 2004 e nella camera
di  consiglio del 17 novembre 2004 il giudice relatore Giovanni Maria
Flick;
    Uditi l'avvocato Enzo Musco per M. C. S. e l'avvocato dello Stato
Oscar Fiumara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  le  due  ordinanze,  di  analogo  tenore, indicate in
epigrafe  il  Tribunale  di  Siracusa  ed  il Tribunale di Roma hanno
sollevato questioni di legittimita' costituzionale:
        a)  dell'art. 180  del  decreto legislativo 24 febbraio 1998,
n. 58  (Testo  unico delle disposizioni in materia di intermediazione
finanziaria,  ai  sensi  degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio
1996,  n. 52), in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della
Costituzione,  nella  parte in cui, nel prevedere il delitto di abuso
di   informazioni   privilegiate  (insider  trading),  «non  contiene
parametri   sufficientemente   determinati   per   stabilire   quando
l'influenza   sul   prezzo  dei  titoli  determinata  dalla  condotta
incriminata debba considerarsi "sensibile"»;
        b)  del  medesimo  art. 180  del  d.lgs.  n. 58  del 1998, in
riferimento  all'art. 76  della  Costituzione,  nella  parte  in  cui
commina,  per  il  suddetto  delitto,  una  pena  superiore  a quella
indicata  nella legge delega 6 febbraio 1996, n. 52 (Disposizioni per
l'adempimento  di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza dell'Italia
alle  Comunita'  europee  -  legge  comunitaria  1994);  ovvero  - in
alternativa  -  dell'art. 3, comma 1, lettera c), ultima parte, della
citata  legge  n. 52  del 1996, in riferimento agli artt. 25, secondo
comma,  e  76  della  Costituzione, nella parte in cui non stabilisce
l'entita'  della  pena  che  il  legislatore  delegato avrebbe dovuto
comminare  per le violazioni omogenee e di pari offensivita' rispetto
a  quelle gia' disciplinate da leggi vigenti, tra le quali rientra il
reato di insider trading.
    I  giudici  a quibus - investiti di processi penali nei confronti
di  persone  imputate  del reato di cui all'art. 180 del d.lgs. n. 58
del  1998  - rilevano  come  tale  articolo,  al  comma 3,  definisca
l'«informazione   privilegiata»,   cui   si   riferiscono  gli  abusi
penalmente  repressi,  come  «un'informazione  specifica di contenuto
determinato,  di  cui  il pubblico non dispone, concernente strumenti
finanziari   o  emittenti  di  strumenti  finanziari,  che,  se  resa
pubblica, sarebbe idonea a influenzarne sensibilmente il prezzo».
    Ad   avviso   dei   rimettenti,   tale   formula   normativa  non
individuerebbe  in  modo  preciso  la fattispecie criminosa astratta,
cosi' da consentire all'interprete, nel ricondurre ad essa un'ipotesi
concreta,  di  esprimere  un  giudizio  di corrispondenza sorretto da
fondamento  controllabile:  e  cio'  avuto  riguardo  segnatamente al
requisito  dell'idoneita' dell'informazione, una volta resa pubblica,
ad influenzare «sensibilmente» il prezzo.
    Se  e'  vero,  infatti, che spesso le norme penali si limitano ad
una  descrizione  «elastica»  del precetto per realizzare nel miglior
modo   possibile  l'esigenza  di  una  previsione  tipica  dei  fatti
costituenti  reato,  tale  tecnica  d'intervento  non  potrebbe pero'
spingersi   fino  al  punto  di  rendere  indeterminata  la  condotta
penalmente  rilevante.  Nell'ipotesi  in  esame,  il  legislatore non
poteva,  in  effetti,  predeterminare tutte le informazioni idonee ad
influenzare  il prezzo dei titoli; ma avrebbe dovuto comunque fornire
all'interprete  adeguati parametri, onde permettergli di stabilire in
quali  casi  l'impatto  dell'informazione  sul  mercato finanziario -
tenuto  conto di tutte le altre variabili esistenti al momento in cui
l'agente si e' avvalso dell'informazione stessa - potesse determinare
una   variazione  «sensibile»  dei  corsi.  L'incertezza  conseguente
all'assenza   di   tali   indicazioni  impedirebbe,  per  contro,  di
distinguere  a priori i comportamenti leciti da quelli illeciti, onde
l'agente   saprebbe   di  aver  commesso  un  reato  solo  a  seguito
dell'interpretazione   operata   dal   giudice   sulla  base  di  una
valutazione del tutto discrezionale.
    Sotto tale profilo, la norma incriminatrice si porrebbe dunque in
contrasto  tanto  con  il  principio  di  tassativita'  dell'illecito
penale, di cui all'art. 25, secondo comma, Cost. quanto con quello di
uguaglianza,  di  cui  all'art. 3  Cost.,  che  rimarrebbe  in specie
vulnerato  dai  contrastanti  apprezzamenti giurisprudenziali indotti
dalla «vaghezza» della norma stessa.
    La  questione  sarebbe,  d'altra  parte,  rilevante nei giudizi a
quibus, in quanto una eventuale pronuncia di accoglimento inciderebbe
direttamente  sulla  valutazione  della  condotta  degli imputati, la
quale,  «parametrata  a  criteri precisi», potrebbe non costituire il
delitto contestato.
    I  rimettenti  rilevano,  per altro verso, che l'art. 3, comma 1,
lettera c),  della legge delega n. 52 del 1996 - legge sulla cui base
il d.lgs. n. 58 del 1998 e' stato emanato - attribuiva al legislatore
delegato,  in  deroga  ai  limiti  precedentemente posti dalla stessa
norma,  la facolta' di stabilire, per le infrazioni alle disposizioni
dei   decreti   legislativi   ivi   indicati,   sanzioni   penali   o
amministrative  «identiche»  a  quelle  gia'  comminate  dalle  leggi
vigenti  per  violazioni  omogenee  e  di  pari  offensivita'. Con la
formula  «sanzioni  identiche»  -  di  per se' non univoca, secondo i
giudici   a   quibus   -  il  legislatore  delegante  avrebbe  potuto
alternativamente  intendere, quanto al reato in questione, o una pena
uguale,   sia   per  genere  che  per  entita',  a  quella  comminata
dall'art. 2  della  legge  17 maggio  1991,  n. 157  (Norme  relative
all'uso   di   informazioni  riservate  nelle  operazioni  in  valori
mobiliari  e  alla Commissione nazionale per le societa' e la borsa),
che  in  precedenza  disciplinava  l'insider  trading, vale a dire la
reclusione  fino  ad  un anno e la multa fino a lire trecento milioni
(recte:  da  lire  dieci milioni a lire trecento milioni); oppure una
pena  uguale  esclusivamente  nel  genere,  e non pure nel quantum, a
quella ora indicata.
    Nel  primo  caso,  peraltro, l'art. 180 del d.lgs. n. 58 del 1998
violerebbe   l'art. 76   Cost.  per  eccesso  di  delega,  avendo  il
legislatore  delegato stabilito una pena - reclusione fino a due anni
e  multa fino a lire seicento milioni (recte: da lire venti milioni a
lire  seicento  milioni)  - superiore a quella fissata dalla legge di
delegazione.  Nel secondo caso, sarebbe invece la citata disposizione
della  legge  n. 52  del 1996 a porsi in contrasto con gli artt. 76 e
25,  secondo  comma, Cost., per non aver stabilito il quantum di pena
con   cui  sanzionare  le  violazioni  considerate,  con  conseguente
indeterminatezza del criterio di delega.
    Anche  tale  seconda  questione  sarebbe  rilevante nei giudizi a
quibus,  stante  l'incidenza  che  il  suo accoglimento avrebbe sulla
valutazione della condotta degli imputati.
    2.  - In ambedue i giudizi di costituzionalita' e' intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che le
questioni siano dichiarate non fondate.
    Quanto  alla  prima  questione  -  dopo  aver  ricordato  come la
pressoche'  costante  giurisprudenza  costituzionale  abbia  ritenuto
legittimo  il  ricorso  del  legislatore  a concetti «elastici» nella
definizione  delle  fattispecie di reato, sul rilievo che ogni norma,
in  quanto  descrittiva  di  fattispecie astratte, sconta comunque un
margine  di  indeterminatezza  nell'individuazione  dei comportamenti
concreti  da  sussumere  in  essa  -  la difesa erariale osserva come
l'esigenza  di  determinatezza  dell'illecito  penale  si  connoti in
maniera  diversa  a  seconda  degli  elementi di fattispecie presi in
considerazione.  Conformemente a quanto affermato da questa Corte con
la sentenza n. 247 del 1989, essa si porrebbe ad un livello piu' alto
rispetto  agli  elementi costitutivi, ossia a quelli che concorrono a
definire  il  discrimine  tra  il lecito e l'illecito: elementi tra i
quali non potrebbe peraltro annoverarsi il dato quantitativo espresso
nell'art. 180    del    d.lgs.    n. 58    del   1998   dall'avverbio
«sensibilmente».  Nella  specie,  difatti, il comportamento vietato e
riprovevole   -  espressivo  del  contenuto  offensivo  tipico  della
fattispecie,   posta  a  tutela  del  corretto  funzionamento,  della
trasparenza  e  della  credibilita' del mercato - consisterebbe nello
sfruttamento  di  un'informazione di cui il pubblico non dispone, con
la  consapevolezza  che  tale informazione, se resa pubblica, sarebbe
idonea  ad  influenzare  il  prezzo  dello  strumento  finanziario di
riferimento.   L'elemento   quantitativo,   inerente   al   carattere
«sensibile»  di  tale  influenza,  si  limiterebbe,  per converso, ad
assolvere  una  funzione  di  «filtro selettivo», che, senza incidere
sulla  «dimensione intrinsecamente lesiva» del fatto, ne connota solo
la  gravita',  segnando  il  punto  a  partire dal quale l'intervento
punitivo e' ritenuto opportuno.
    Col   prevedere   l'elemento  in  questione,  d'altro  canto,  il
legislatore   nazionale   si  sarebbe  doverosamente  allineato  alla
definizione  di  informazione  privilegiata posta in sede comunitaria
dall'art. 1  della  direttiva  n. 89/592/CEE, ed ora riprodotta nella
direttiva  2003/6/CE sugli abusi di mercato: direttiva, quest'ultima,
che,  secondo  quanto  si legge nel «considerando» n. 44, «rispetta i
diritti  fondamentali  e  osserva  i  principi riconosciuti ... dalla
Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea»,  la  quale,
all'art. 49,  sancisce  a  sua  volta  i  principi  della legalita' e
proporzionalita' dei reati e delle pene.
    Se  e' vero, inoltre, che, in assenza di riferimenti numerici, la
valenza  dell'elemento  in  parola  appare prima facie sfuggente, pur
tuttavia,  legare  tale  insopprimibile  (proprio  perche'  imposto a
livello comunitario) riferimento quantitativo ad un dato percentuale,
avrebbe  reso  praticamente impossibile il giudizio sull'idoneita' ex
ante  dell'informazione  ad  alterare il prezzo del valore mobiliare:
giacche',  ove  la  «prognosi  postuma»  dovesse  «coprire»  anche un
preciso   valore  numerico,  essa  rimarrebbe  «confinata  nel  regno
dell'irrealta».  Il ricorso ad una clausola «flessibile» sarebbe reso
ineluttabile  anche dalla natura eminentemente relativa della nozione
di «influenza sensibile», strettamente collegata alle caratteristiche
dello  strumento  finanziario  al  quale  la  notizia privilegiata si
riferisce:  rispetto  ad  un  titolo  relativamente stabile, infatti,
anche  una  variazione  di  pochi  punti  percentuali potrebbe essere
considerata   significativa;   mentre   rispetto   ad  uno  strumento
finanziario     «fisiologicamente»    soggetto    ad    oscillazioni,
difficilmente si potrebbe giungere alla medesima conclusione.
    La  valutazione  in  ordine  alla  capacita' dell'informazione di
incidere  sensibilmente  sul  corso  di un dato strumento finanziario
potrebbe  giovarsi,  per  altro  verso,  di  «consolidate  regole  di
esperienza».   Al  riguardo,  verrebbe  segnatamente  in  rilievo  la
disposizione  dell'art. 114, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 58
del  1998, la quale - ponendosi come una sorta di pendant della norma
impugnata - stabilisce che «gli emittenti quotati e i soggetti che li
controllano  informano  il pubblico dei fatti che accadono nella loro
sfera  di  attivita'  e  in quella delle societa' controllate, non di
pubblico   dominio   e   idonei,  se  resi  pubblici,  a  influenzare
sensibilmente  il  prezzo  degli strumenti finanziari». Sulla base di
tale  prescrizione  -  oltre che delle specificazioni fornitene dalla
CONSOB  nell'esercizio  delle  sue  prerogative - le societa' quotate
pubblicano   quotidianamente   una   molteplicita'  di  informazioni,
generando  cosi'  prassi  alle  quali l'interprete potrebbe utilmente
attingere  nell'effettuazione  dell'apprezzamento  di  cui si tratta;
senza  considerare,  poi,  che  sul  legame  tra le informazioni e le
variazioni   del   prezzo   degli  strumenti  finanziari  esiste  una
«copiosissima» letteratura economico-finanziaria.
    Quanto  alla seconda questione, attinente al regime sanzionatorio
della  fattispecie, la difesa erariale osserva come la riformulazione
delle  disposizioni  in  tema  di insider trading e la determinazione
delle  relative  sanzioni  -  contrariamente  a  quanto  ritenuto dai
giudici  rimettenti - non dovessero uniformarsi ai principi e criteri
direttivi  di  cui all'art. 3, comma 1, lettera c), della legge n. 52
del  1996.  Tali  principi  e  criteri  si  riferiscono,  infatti, ai
«decreti legislativi di cui all'articolo 1» della legge delega, ossia
ai  decreti  legislativi  di  attuazione  delle direttive comunitarie
comprese nell'elenco di cui all'allegato A della legge stessa, tra le
quali non figura la direttiva 89/592/CEE, gia' in precedenza recepita
con  la  legge  n. 157  del  1991. La disciplina dell'insider trading
presente   nel   d.lgs.   n. 58  del  1998  si  fonderebbe  piuttosto
sull'art. 8  della  legge n. 52 del 1996, nella parte in cui delegava
il  Governo  ad  emanare  testi  unici  delle disposizioni dettate in
attuazione della delega prevista dall'art. 1, coordinando con esse le
norme  vigenti  nelle stesse materie ed apportando a queste ultime le
integrazioni e le modificazioni necessarie al predetto coordinamento;
nonche'  sull'art. 21  della medesima legge, che al comma 3 prevedeva
che  - in sede di riordinamento normativo, a norma dell'art. 8, delle
materie   concernenti   gli  intermediari,  i  mercati  finanziari  e
mobiliari  e  gli  altri  aspetti  comunque  connessi  -  le sanzioni
amministrative  e penali potessero essere «coordinate con quelle gia'
comminate  da  leggi  vigenti  in  materia  bancaria e creditizia per
violazioni che siano omogenee e di pari offensivita».
    In  ogni  caso,  anche l'art. 3, comma 1, lettera c), della legge
n. 52  del 1996 prevedeva che si stabilissero, per le infrazioni alle
disposizioni    dei    decreti   legislativi,   sanzioni   penali   o
amministrative identiche a quelle eventualmente comminate dalle leggi
vigenti  per  violazioni  omogenee  e  di pari offensivita'. La legge
delega, pertanto - nel conferire al legislatore delegato il potere di
riordinare l'intera materia dei reati relativi al mercato finanziario
-  avrebbe  rimesso,  per  l'un  verso  o  per  l'altro,  allo stesso
legislatore  delegato la concreta determinazione del quantum di pena:
e cio' in un'ottica di armonizzazione tra sanzioni similari destinate
a  «convivere» all'esito dell'adozione dei decreti delegati; non gia'
tra  sanzioni  destinate  a «succedersi» tra loro in relazione ad una
medesima fattispecie di reato, com'e' per quelle comminate in tema di
insider  trading,  dapprima dall'art. 2 della legge n. 157 del 1991 e
poi dall'art. 180 del d.lgs. n. 58 del 1998.
    Lo  stesso art. 2 della precedente legge, d'altra parte - se pure
fissava  in  via generale, nel comma 5, la pena della reclusione fino
ad  un  anno  e  della  multa  da  lire dieci milioni a lire trecento
milioni - prevedeva, nei commi 3 e 7, il raddoppio di tale pena per i
reati  commessi  da azionisti di controllo, amministratori e soggetti
similari,   nonche'   da   ministri  e  sottosegretari  di  Stato  in
particolari  circostanze.  Nel  riordino  operato dal testo unico del
1998,  essendo  scomparse tali figure speciali di insider trading, la
pena  sarebbe  stata  unificata al livello piu' alto, in un'ottica di
omogeneizzazione   di   indiscutibile   competenza   del  legislatore
delegato.
    3.  - Nel giudizio di costituzionalita' promosso dal Tribunale di
Siracusa  si e' altresi' costituito M. C. S., imputato nel processo a
quo,  il  quale ha chiesto, preliminarmente, che questa Corte sollevi
innanzi  a  se'  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3
della  legge  n. 52  del  1996  in riferimento agli artt. 25, secondo
comma,   e  76  Cost.,  conformemente  all'eccezione  gia'  sollevata
nell'ambito   del   giudizio  principale  e  ritenuta  manifestamente
infondata  dal  giudice  rimettente.  Ad  avviso della parte privata,
l'assoluta  genericita'  della  delega  legislativa  avrebbe  infatti
«lacerato» il necessario rapporto tra potere esecutivo e legislativo,
affidando   al   primo   scelte  di  criminalizzazione  di  esclusiva
competenza del secondo.
    Quanto  al resto, la parte privata insta per l'accoglimento delle
questioni di costituzionalita' sollevate dal giudice a quo.

                       Considerato in diritto

    1.  -  I Tribunali di Siracusa e di Roma, con ordinanze di tenore
pressoche'   identico,   sollevano   due  questioni  di  legittimita'
costituzionale  inerenti  alla  disciplina  del  reato  di  abuso  di
informazioni privilegiate (insider trading).
    I giudici rimettenti dubitano, in primo luogo, della legittimita'
costituzionale,  in  riferimento  agli  artt. 3  e 25, secondo comma,
Cost.,  dell'art. 180 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, nella parte
in   cui   -   nel   definire   l'«informazione   privilegiata»  come
«un'informazione  specifica  di  contenuto  determinato,  di  cui  il
pubblico non dispone, concernente strumenti finanziari o emittenti di
strumenti  finanziari,  che,  se  resa  pubblica,  sarebbe  idonea ad
influenzarne  sensibilmente  il  prezzo»  -  «non  contiene parametri
sufficientemente  determinati  per  stabilire  quando l'influenza sul
prezzo  dei  titoli  determinata  dalla  condotta  incriminata  debba
considerarsi "sensibile"».
    In  assenza,  infatti, di specifiche indicazioni riguardo ai casi
nei  quali  l'impatto  dell'informazione  sul  mercato  finanziario -
tenuto  conto di tutte le altre variabili esistenti al momento in cui
l'agente  si  e'  avvalso dell'informazione stessa - puo' determinare
una  variazione  «sensibile»  dei  corsi,  la  fattispecie  criminosa
astratta  non  risulterebbe  descritta  in  modo  preciso,  cosi'  da
consentire   all'interprete,   nel   ricondurre  ad  essa  un'ipotesi
concreta,  di  esprimere  un  giudizio  di corrispondenza sorretto da
fondamento  controllabile.  In  tale  situazione  di  incertezza, non
sarebbe  dunque possibile distinguere a priori i comportamenti leciti
da  quelli illeciti, onde l'agente saprebbe di aver commesso un reato
solo a seguito dell'interpretazione operata dal giudice sulla base di
una valutazione del tutto discrezionale: con conseguente vulnus tanto
del  principio di determinatezza della fattispecie incriminatrice che
del   principio   di   uguaglianza,   quest'ultimo   in  rapporto  ai
contrastanti apprezzamenti giurisprudenziali indotti dalla «vaghezza»
della norma.
    I  giudici  a  quibus  censurano,  in  secondo  luogo,  il regime
sanzionatorio  della  fattispecie,  ventilando  alternativamente o un
vizio  di eccesso di delega (art. 76 Cost.) dello stesso art. 180 del
d.lgs.  n. 58  del 1998; ovvero la violazione degli artt. 25, secondo
comma,  e  76 Cost. ad opera dell'art. 3, comma 1, lettera c), ultima
parte, della legge delega 6 febbraio 1996, n. 52.
    Quest'ultima  disposizione  - osservano i rimettenti - attribuiva
al  legislatore  delegato  la facolta' di stabilire sanzioni penali o
amministrative  «identiche»  a  quelle  gia'  comminate  dalle  leggi
vigenti,  per violazioni omogenee e di pari offensivita'. Il concetto
di  «identita»  delle  sanzioni  -  in assunto non univoco - potrebbe
essere  peraltro  interpretato,  quanto al reato in questione, in due
modi  diversi.  Si  potrebbe  ritenere,  cioe',  da  un  lato, che il
legislatore  delegante  intendesse  riferirsi ad una pena uguale, sia
per  genere  che  per  entita',  a quella comminata dall'art. 2 della
legge   17 maggio   1991,  n. 157,  che  in  precedenza  disciplinava
l'insider  trading  (reclusione fino ad un anno e multa da lire dieci
milioni  a lire trecentomilioni): nel qual caso, tuttavia, l'art. 180
del  d.lgs.  n. 58  del 1998 si porrebbe in contrasto col criterio di
delega,  avendo  previsto  una  pena superiore (reclusione fino a due
anni e multa da lire venti milioni a lire seicentomilioni).
    In   alternativa,   l'«identita»   potrebbe   ritenersi  riferita
esclusivamente  al  genere,  e  non anche all'entita', della sanzione
contemplata   dalla  norma  anteriore.  In  questa  ipotesi,  sarebbe
peraltro  l'art. 3,  comma 1,  lettera c),  ultima parte, della legge
n. 52  del  1996 a ledere i parametri costituzionali dianzi indicati,
per  non  aver  stabilito  il  quantum  di  pena con cui reprimere la
violazione   de   qua,  enunciando,  cosi',  un  criterio  di  delega
indeterminato.
    2.  -  Stante  l'identita'  sostanziale delle questioni sollevate
dalle  due  ordinanze di rimessione, i relativi giudizi vanno riuniti
per essere definiti con un'unica decisione.
    3.1.  -  La  prima  questione,  sollevata  da  entrambi i giudici
rimettenti, e' inammissibile.
    Nel   denunciare   un  difetto  di  determinatezza  della  figura
criminosa  di  cui  all'art. 180  del d.lgs. n. 58 del 1998, connesso
alla   genericita'  del  requisito  dell'idoneita'  dell'informazione
privilegiata  ad  influenzare  «sensibilmente» il prezzo di strumenti
finanziari,  i  giudici rimettenti non chiedono, tuttavia, ne' che la
Corte  rimuova,  dalla  descrizione della fattispecie penale, il solo
avverbio «sensibilmente» (intervento che, peraltro, determinerebbe un
effetto  in  malam  partem,  dilatando  il  perimetro di operativita'
dell'incriminazione);  ne',  in  senso opposto, che la Corte cancelli
nella sua interezza la norma incriminatrice censurata.
    Come  emerge  non  soltanto  dal  dispositivo  delle ordinanze di
rimessione,  ma  anche  dalla  motivazione  in  punto di rilevanza, i
giudici   a  quibus  invocano  piuttosto  l'addizione,  alla  formula
definitoria  dell'«informazione  privilegiata», di «parametri» atti a
rendere  piu'  puntuale  e  sicura l'identificazione dell'elemento di
fattispecie  in  discorso.  La rilevanza della questione nel giudizio
principale,  infatti, discenderebbe - secondo quanto si afferma nelle
predette  ordinanze  -  non  gia'  dalla  circostanza che, in caso di
pronuncia  di accoglimento, gli imputati dovrebbero essere senz'altro
assolti  (come  ovviamente  avverrebbe  qualora  si  fosse chiesta la
rimozione  dell'intera  norma  incriminatrice);  quanto piuttosto dal
fatto  che,  ove  la  questione venisse accolta, la condotta ascritta
agli imputati medesimi - valutata alla stregua di «criteri precisi» -
«potrebbe non integrare il delitto loro contestato».
    I giudici rimettenti non specificano peraltro in alcun modo quali
siano, in concreto, i «parametri sufficientemente determinati» di cui
essi  auspicano  l'introduzione: postulando, cosi', una operazione di
«riempimento»  dei  contenuti  della  norma  che  - al di la' di ogni
rilievo circa la validita' delle censure su cui il quesito si fonda -
si  palesa  comunque  estranea,  per  il  suo  carattere  apertamente
«creativo»,  ai  poteri  di  questa  Corte,  rimanendo  eventualmente
affidata alla discrezionalita' del legislatore.
    A  quest'ultimo  riguardo, va rilevato come la disciplina oggetto
dello  scrutinio  di costituzionalita' appaia in effetti destinata ad
essere  rivista  nell'immediato dal legislatore - anche per l'aspetto
che   specificamente   interessa   in   questa   sede   - nel  quadro
dell'attuazione  di due direttive comunitarie: la direttiva 2003/6/CE
del  Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2003, relativa
all'abuso  di  informazioni  privilegiate  e  alla  manipolazione del
mercato  (abusi  di  mercato), che sostituisce ed abroga la direttiva
89/592/CEE,  in  attuazione  della  quale  la disciplina dell'insider
trading  era stata originariamente introdotta nel nostro ordinamento;
nonche'  la  direttiva  2003/124/CE della Commissione del 22 dicembre
2003, recante modalita' di esecuzione di essa.
    Infatti,  mentre  l'art. 1,  numero  1, della direttiva 2003/6/CE
contiene  una  nuova  definizione  dell'«informazione  privilegiata»,
peraltro  non  troppo  dissimile,  nella  sostanza,  da  quella  gia'
presente   nella   direttiva  89/592/CEE;  l'art. 1  della  direttiva
2003/124/CE  - nella specifica prospettiva di «accrescere la certezza
del  diritto  per  i  partecipanti  al mercato» (v. il «considerando»
n. 3)  -  reca,  a  sua  volta,  indicazioni  complementari  intese a
puntualizzare  ulteriormente  la definizione suddetta, sia per quanto
attiene  al  «carattere  preciso»  della  notizia,  sia  per quel che
riguarda il requisito dell'«importanza del suo impatto potenziale sui
prezzi   degli   strumenti  finanziari  o  degli  strumenti  derivati
connessi».  E,  in  correlazione a tali previsioni, la modifica della
disposizione  censurata  e'  gia'  di  fatto prevista nel progetto di
legge  comunitaria per il 2004, in corso di approvazione da parte del
Parlamento.
    3.2. -  La  seconda  questione, anch'essa sollevata da entrambi i
rimettenti, e' manifestamente inammissibile.
    Anche a voler prescindere, infatti, dalla prospettazione in forma
ancipite  del  quesito  - che gia' di per se' costituirebbe motivo di
inammissibilita',  alla  stregua  della  costante  giurisprudenza  di
questa  Corte  (cfr.,  ex plurimis, ordinanze n. 128, n. 159 e n. 299
del  2003)  - e' dirimente il rilievo che il quesito stesso poggia su
un   erroneo   presupposto  interpretativo:  quello,  cioe',  che  la
disciplina  dell'abuso  di  informazioni  privilegiate  contenuta nel
d.lgs.  n. 58  del  1998 sia stata emanata sulla base della delega di
cui  all'art. 1,  e  quindi  dei  principi e criteri direttivi di cui
all'art. 3, comma 1, lettera c), della legge n. 52 del 1996.
    La  citata  legge  delega  prevedeva,  in  realta', un intervento
normativo,  nel  settore degli intermediari e dei mercati finanziari,
articolato in due fasi successive. Essa delegava anzitutto il Governo
a  dare  attuazione  al  complesso  di direttive comunitarie comprese
nell'allegato  A  alla  legge stessa (art. 1): direttive tra le quali
non  figurava  la  direttiva  89/592/CEE  del  13 novembre  1989, sul
coordinamento delle normative concernenti le operazioni effettuate in
possesso   di   informazioni   privilegiate  (insider  trading),  per
l'evidente  ragione  che  essa  era  gia' stata in precedenza attuata
dalla  legge  n. 157 del 1991. Nell'allegato erano invece comprese le
direttive 93/6/CEE e 93/22/CEE, relative, rispettivamente, ai servizi
di  investimento  nel  settore dei valori mobiliari e all'adeguatezza
patrimoniale  delle  imprese  di investimento e degli enti creditizi:
direttive la cui attuazione - ai sensi del comma 2 dell'art. 21 della
legge  delega,  che  dettava i principi e criteri direttivi specifici
per  la  materia  -  doveva avvenire nel termine di centoventi giorni
dall'entrata  in  vigore  della  legge  stessa (termine piu' breve di
quello generale di un anno stabilito dall'art. 1).
    E'  solo  a  tale  prima  fase - sfociata nel decreto legislativo
23 luglio  1996,  n. 415  (Recepimento  della direttiva 93/22/CEE del
10 maggio  1993  relativa  ai servizi di investimento nel settore dei
valori  mobiliari  e  della  direttiva  93/6/CEE  del  15 marzo  1993
relativa all'adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e
degli  enti  creditizi), cui la disciplina dell'abuso di informazioni
privilegiate  rimaneva  affatto  estranea  -  che  si riferiscono, in
effetti,  i  principi  e  criteri  direttivi in materia sanzionatoria
enunciati  dall'art. 3, comma 1, lettera c), della legge delega: cio'
desumendosi chiaramente dall'alinea dello stesso art. 3, in forza del
quale  i principi e criteri in questione erano destinati a presiedere
all'emanazione dei «decreti legislativi di cui all'articolo 1».
    L'art. 8   della   legge   delega   affidava,  per  altro  verso,
all'esecutivo il distinto compito di emanare - nel piu' ampio termine
di  due  anni  -  testi  unici  volti  a  coordinare  le disposizioni
attuative  delle  direttive  comunitarie  con  le norme vigenti nelle
stesse  materie,  apportando  a  queste  ultime  «le  integrazioni  e
modificazioni  necessarie  al  predetto coordinamento». Con specifico
riferimento  alle  citate  direttive 93/6/CEE e 93/22/CEE, l'art. 21,
comma 3,  della  legge  delega  prevedeva  altresi'  che  «in sede di
riordinamento normativo delle materie concernenti gli intermediari, i
mercati finanziari e mobiliari e gli altri aspetti comunque connessi,
cui   si   provvedera'   ai   sensi   dell'articolo 8,   le  sanzioni
amministrative  e  penali  potranno essere coordinate con quelle gia'
comminate  da  leggi  vigenti  in  materia  bancaria e creditizia per
violazioni che siano omogenee e di pari offensivita», salvi possibili
interventi  di  depenalizzazione  nei  limiti ivi indicati; mentre il
successivo  comma 4  dello  stesso  articolo  abilitava  il Governo a
modificare,   nella  medesima  sede,  la  disciplina  delle  societa'
emittenti  titoli  sui  mercati  regolamentati,  secondo  criteri  di
rafforzamento  della  tutela  del  risparmio  e  degli  azionisti  di
minoranza.  Ed  e'  in  base  a  questa  seconda  e  distinta  delega
legislativa  - non sovrapponibile nei contenuti alla prima, anche per
quanto  concerne  i  profili  di  ordine sanzionatorio - che e' stato
emanato   il   testo   unico   delle   disposizioni   in  materia  di
intermediazione  finanziaria,  di  cui  al d.lgs. n. 58 del 1998, nel
quale  la  disciplina  dell'abuso  delle informazioni privilegiate ha
trovato  posto  quale  materia  indubbiamente  concernente «i mercati
finanziari e mobiliari».
    L'erronea premessa normativa, sulla quale si basa la questione di
costituzionalita', viene dunque a risolversi, quanto alla prima delle
due  censure  formulate  in  via alternativa dai giudici rimettenti -
l'asserita  illegittimita'  costituzionale  dell'art. 180  del d.lgs.
n. 58  del  1998,  per  violazione dell'art. 76 Cost. - in una errata
individuazione  della  norma  della  legge  di  delegazione, alla cui
stregua  dovrebbe  essere  verificato il supposto vizio di eccesso di
delega;    e,    quanto   alla   seconda   censura   -   la   pretesa
illegittimita costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera c), ultima
parte,  della  legge  n. 52  del 1996, per violazione degli artt. 25,
secondo   comma,   e  76  Cost.  -  nell'impugnazione  di  una  norma
inconferente.
    Le  considerazioni  che  precedono  escludono, d'altra parte, che
possa  trovare  accoglimento  l'istanza  della parte privata, con cui
questa  Corte  e'  stata  sollecitata  a  sollevare  dinanzi a se' la
questione   di   legittimita'  costituzionale  dell'art. 3,  comma 1,
lettera c),   della  legge  n. 52  del  1996,  per  violazione  degli
artt. 25,  secondo comma, e 76 Cost., sotto il profilo della assoluta
genericita'  della  delega in materia penale ivi contenuta, anche per
quel che concerne le stesse scelte di criminalizzazione: trattandosi,
come  detto,  di  delega  che  non si pone affatto a fondamento della
disciplina dell'abuso di informazioni privilegiate dettata dal d.lgs.
n. 58 del 1998.