ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale della legge 17 aprile
1985,  n. 141 (Perequazione dei trattamenti pensionistici in atto dei
pubblici dipendenti), promosso con ordinanza del 17 giugno 2003 dalla
Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Calabria, sul
ricorso   proposto  da  Mario  Mardente  contro  INPDAP  -  Direzione
provinciale  di  Catanzaro, iscritta al n. 877 del registro ordinanze
2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, 1ª
serie speciale, dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 7 luglio 2004 il giudice
relatore Ugo De Siervo.
    Ritenuto  che  la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la
Regione  Calabria,  con  ordinanza  depositata  il 17 giugno 2003, ha
sollevato,  in  riferimento  agli articoli 3 e 36 della Costituzione,
questione  di legittimita' costituzionale della legge 17 aprile 1985,
n. 141  (Perequazione  dei  trattamenti  pensionistici  in  atto  dei
pubblici  dipendenti), nella parte in cui non dispone, con decorrenza
dal   1° gennaio   1988,   a  favore  delle  categorie  dei  pubblici
dipendenti,   e   quindi   anche   degli   ufficiali   sanitari,   la
riliquidazione  della  pensione  sulla base dei trattamenti economici
spettanti al corrispondente personale in attivita' di servizio;
        che  la  remittente  premette  di  essere  stata  chiamata  a
decidere  sul  ricorso presentato da un ufficiale sanitario della USL
n. 17  di Lamezia Terme collocato a riposo, avverso il provvedimento,
emesso in data 5 ottobre 1988, con cui il Ministero del tesoro non ha
riliquidato  «la  pensione  in godimento sulla base degli stipendi in
vigore dalla data del 1° gennaio 1988 per il corrispondente personale
in attivita' di servizio»;
        che   il   ricorrente   nel   giudizio   a   quo  ha  chiesto
l'accertamento  del  proprio diritto patrimoniale alla riliquidazione
predetta,  secondo  i  principi  affermati nella sentenza della Corte
costituzionale  n. 501  del  1988  e  della decisione della Corte dei
conti  a  sezioni  riunite, pronunciata nella camera di consiglio del
27 ottobre 1988;
        che  il  giudice a quo ripercorre sinteticamente l'evoluzione
normativa  nel settore, richiamando in particolare la legge 29 aprile
1976,  n. 177  (Collegamento delle pensioni del settore pubblico alla
dinamica   delle   retribuzioni.  Miglioramento  del  trattamento  di
quiescenza del personale statale e degli iscritti alle casse pensioni
degli  istituti di previdenza) che, all'art. 1, con norma «di portata
"programmatica"   piu'   che   "precettiva"»,   aveva   disposto   la
perequazione   automatica   delle   pensioni   alla   dinamica  delle
retribuzioni per tutto il settore del pubblico impiego, e richiamando
inoltre  il  successivo  decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503
(Norme  per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori
privati  e  pubblici,  a norma dell'articolo 3 della legge 23 ottobre
1992,  n. 421)  che,  all'art. 11, aveva stabilito che gli aumenti «a
titolo  di  perequazione  automatica  delle  pensioni previdenziali e
assistenziali  si  applicano, con decorrenza dal 1994, sulla base del
solo  adeguamento  al costo della vita con cadenza annuale ed effetto
dal  primo novembre di ogni anno» (termine differito, con effetto dal
1995,  al  1°  gennaio successivo di ogni anno, ad opera dell'art. 14
della legge 23 dicembre 1994, n. 724);
        che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 501 del 1988,
avrebbe   riconosciuto  che  il  legislatore  non  ha  realizzato  il
programma,  prefissato dagli artt. 1 e 2 della legge n. 177 del 1976,
di  collegare  il  trattamento  di quiescenza dei dipendenti pubblici
agli incrementi del trattamento economico del personale in servizio;
        che  nella  sentenza,  esaminando specificamente la posizione
dei  magistrati  e  degli  avvocati dello Stato e tenendo conto della
legge  6 agosto  1984,  n. 425  (Disposizioni relative al trattamento
economico   dei  magistrati),  che  aveva  radicalmente  innovato  la
struttura  delle  retribuzioni  dei magistrati, la Corte ha affermato
«l'esigenza   di   un   necessario  adeguamento  del  trattamento  di
quiescenza  alle  retribuzioni  del  personale  in  servizio attivo»,
dichiarando,  conseguentemente, l'illegittimita' costituzionale degli
artt. 1, 3, primo comma, e 6 della legge n. 141 del 1985, nella parte
in  cui,  in luogo delle rivalutazioni percentuali da essi stabilite,
non disponevano la perequazione delle pensioni dei magistrati e degli
avvocati dello Stato;
        che, ad avviso della Corte rimettente, per quanto la sentenza
n. 501  del  1988  abbia  esaminato  la  posizione  di  una categoria
specifica  di  pubblici  dipendenti e abbia tenuto conto di una legge
particolare  del  settore, cioe' la legge n. 425 del 1984, tuttavia i
suoi  effetti  non  potrebbero  essere  limitati  ai soli magistrati,
dovendo viceversa «trovare logica e conseguente estensione» anche nei
confronti del ricorrente nel giudizio a quo;
        che  tale  conclusione sarebbe giustificata sia dal carattere
generale   della  legge  n. 141  del  1985,  la  quale  avrebbe  come
destinatari  tutti  i  dipendenti del pubblico impiego, sia anche dal
fatto  che  le argomentazioni svolte dalla Corte costituzionale sulla
mancata  attuazione  del  principio perequativo contenuto nell'art. 2
della  legge  n. 177 del 1976 sarebbero valide per tutti i dipendenti
pubblici e che la violazione degli artt. 3 e 36 Cost. da parte di una
normativa  di  carattere  generale non potrebbe essere affermata solo
per una categoria di pubblici dipendenti ed essere esclusa invece per
tutti gli altri;
        che  il  rimettente ritiene rilevante, nel giudizio a quo, la
questione di legittimita' costituzionale della legge n. 141 del 1985,
in  quanto  l'accoglimento  o  il  rigetto  del  ricorso dipenderebbe
dall'esito del giudizio di costituzionalita' delle norme censurate;
        che  e'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,   il   quale  ha  chiesto  che  la  questione  sia  dichiarata
inammissibile o comunque non fondata;
        che,  con  riferimento  alla infondatezza, la difesa erariale
ritiene   che   ben   potrebbe   il   legislatore  «modificare  leggi
preesistenti  ponendo precisi limiti temporali da cui hanno efficacia
le  nuove  norme»,  che  l'art. 3  Cost.  non  potrebbe correttamente
invocarsi  con  riferimento  alla  posizione  di soggetti collocati a
riposo  in  epoche  diverse  e  rispetto ai quali il tempo sarebbe un
«fondamentale   elemento   di   differenziamento   delle   situazioni
giuridiche»,  e  comunque  che  non  sussisterebbe  un  principio  di
aggancio   automatico  e  permanente  delle  pensioni  alla  dinamica
retributiva;
        che  nella  memoria  depositata  in  prossimita'  della  data
fissata   per  la  camera  di  consiglio,  l'Avvocatura  rileva  che,
successivamente  alla  sentenza  n. 501 del 1988, e' stato emanato il
decreto-legge  22 dicembre 1990, n. 409 (Disposizioni urgenti in tema
di  perequazione  dei  trattamenti  di pensione nei settori privato e
pubblico),  convertito  nella  legge  27 febbraio  1991,  n. 59,  che
avrebbe   introdotto   disposizioni   perequative   dei   trattamenti
pensionistici   nei   settori   dell'impiego   pubblico   e  privato,
prevedendo,  per  gli ex dipendenti pubblici aumenti differenziati in
relazione alla data di cessazione dal servizio;
        che,   pertanto,   a   seguito   dell'applicazione   di  tale
disposizione,  la  posizione pensionistica oggetto del giudizio a quo
sarebbe mutata;
        che, in ogni caso, il principio di adeguatezza della pensione
non  si  tradurrebbe in un rigido meccanismo di perequazione, essendo
rimesso alla discrezionalita' del legislatore determinare le misure e
i  criteri  di  adeguamento  delle pensioni alla variazione del costo
della vita, nonche' le modalita' di perequazione delle stesse.
    Considerato  che  il giudice rimettente dubita della legittimita'
costituzionale - in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost. - della legge
17 aprile 1985, n. 141 (Perequazione dei trattamenti pensionistici in
atto  dei  pubblici  dipendenti)  nella parte in cui non dispone, con
decorrenza  dal  1°  gennaio  1988, a favore di tutte le categorie di
pubblici  dipendenti, la riliquidazione della pensione sulla base dei
trattamenti   economici  spettanti  al  corrispondente  personale  in
attivita'  di  servizio,  chiedendo,  sostanzialmente, di estendere a
tutti  i  dipendenti  pubblici  gli effetti della sentenza n. 501 del
1988;
        che  questa Corte ha successivamente chiarito che la sentenza
n. 501 del 1988, nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli
artt. 1,  3,  primo  comma, e 6 della legge n. 141 del 1985, ha fatto
riferimento  alla  «peculiare  contingente  situazione» che la stessa
legge ha preso in considerazione e cioe' la «modifica della struttura
delle  retribuzioni  dei  magistrati  con effetto retroattivo, vale a
dire  dal  1° luglio 1983, a seguito della legge n. 425 del 1984, che
veniva  a  porre  la  necessita'  di un corrispondente riallineamento
delle pensioni in essere alla stessa data» (sentenza n. 409 del 1995;
analogamente le sentenze n. 226 e n. 42 del 1993);
        che,  per tale ragione, dalla citata pronuncia non deriva una
immediata  e  completa  estensione,  anche  per  il futuro, a tutti i
pensionati dell'adeguamento dei relativi trattamenti economici e che,
pertanto, la sentenza n. 501 del 1988 non e' utilmente invocabile ove
si   controverta   dell'adeguamento   delle  pensioni  agli  ordinari
incrementi retributivi;
        che questa Corte ha, inoltre, ripetutamente affermato che non
esiste   nel  nostro  ordinamento  un  principio  costituzionale  che
garantisca  il  costante  adeguamento  delle  pensioni  al successivo
trattamento  economico  dell'attivita'  di servizio corrispondente, e
che  il  rispetto  degli  artt. 36  e  38 Cost. impone solo che siano
individuati meccanismi che assicurino la perdurante adeguatezza delle
pensioni  ai  mutamenti  del  potere di acquisto della moneta, sia al
momento del collocamento a riposo, sia successivamente (si vedano, da
ultimo,  sentenza  n. 30 del 2004, ordinanze n. 162 del 2003 e n. 531
del 2002);
        che  il  rispetto  dei principi di sufficienza ed adeguatezza
del  trattamento  pensionistico impone al legislatore «di individuare
un   meccanismo   in  grado  di  assicurare  un  reale  ed  effettivo
adeguamento  dei  trattamenti di quiescenza alle variazioni del costo
della  vita»,  di tal che il verificarsi di irragionevoli scostamenti
tra  l'importo  delle  pensioni e le variazioni del potere d'acquisto
della  moneta «sarebbe indicativo della inidoneita' del meccanismo in
concreto prescelto» (sentenza n. 30 del 2004);
        che,  la'  dove  tale  limite venga rispettato, rientra nella
discrezionalita'  del  legislatore  operare  il  bilanciamento tra le
varie esigenze di politica economica e le disponibilita' finanziarie;
        che, peraltro, nel corso degli anni, il rispetto dell'art. 36
Cost.  e'  stato  perseguito  dapprima  con singole leggi emanate per
specifici  settori,  attraverso le quali si e' provveduto ad adeguare
le  pensioni  al  successivo  andamento  dei  livelli retributivi, e,
successivamente,  in  via  generale  attraverso  l'introduzione di un
meccanismo  di  adeguamento  della  pensione  all'andamento del costo
della  vita  (articolo 11  del  decreto legislativo 30 dicembre 1992,
n. 503,  e articolo 34 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 -- Misure
di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo);
        che dunque la mancata previsione, ad opera della legge n. 141
del  1985,  della  riliquidazione  del  trattamento pensionistico dei
pubblici  dipendenti  collocati  a  riposo, a far data dal 1° gennaio
1988,  non  contrasta  con  gli  artt. 3  e  36  Cost.  e pertanto la
prospettata  questione  di  legittimita'  costituzionale  deve essere
dichiarata manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  comma 2,  delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.