LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza. Svolgimento dei fatti Con ricorso depositato il 17 dicembre 2003 e ritualmente notificato all'Agenzia delle entrate di Macerata il 18 novembre 2003 il dott. Gianfranco Ballatori, rappresentato e difeso dal dott. Roberto Angeletti ha proposto ricorso contro il silenzio rifiuto in ordine all'istanza di rimborso dell'imposta IRAP versata negli anni 1998-2002 presentata il 20 luglio 2002 all'Ufficio imposte dirette di Macerata, senza che a tale istanza sia stato emesso alcun provvedimento da parte dell'Ufficio. Il contenuto sia dell'istanza di rimborso che del ricorso e' identico per quanto riguarda gli aspetti fattuali e di diritto. Si afferma, in particolare, che il Ballatori, nato a Loreto il 14 ottobre 1951 e residente in Civitanova Marche, esercita l'attivita' di medico convenzionato con la locale struttura del servizio sanitario nazionale (l'azienda unita' sanitaria locale), ha proposto istanza di rimborso dell'IRAP versata negli anni 1998-1999-2000-2001-2002 per un importo di Euro 11.955,98 (L. 23.150.000). Il silenzio rifiuto e' sorto in quanto, nel termine di giorni novanta dalla proposizione dell'istanza, non e' stato emesso alcun provvedimento espresso. Da cio' la proponibilita' del ricorso basato sul fatto che il ricorrente, medico convenzionato e, quindi, libero professionista, ha svolto in questi anni la sua attivita' senza l'ausilio di personale dipendente e/o collaboratori coordinati e continuativi, utilizzando beni strumentali per un importo modesto e comunque, strettamente funzionale all'espletamento della propria attivita'. Stando cosi' le cose, si afferma sempre nel ricorso de quo, e' venuto meno il presupposto fondamentale per l'assoggettabilita' all'imposta IRAP. Si invoca, sul punto, la autorita' della Corte costituzionale che, con sentenza n. 156 del 21 maggio 2001 ha statuito che il presupposto fondamentale del tributo in esame e' costituito dall'esercizio abituale di un'attivita' autonomamente organizzata, diretta alla produzione o allo scambio di un determinato bene o servizio. Aggiunge il ricorso che la Corte costituzionale ha di fatto limitato a tali fattispecie l'assoggettamento all'imposta, interpretando la normativa nel senso che, soltanto nal caso di impresa, sussiste connaturato a tale nozione l'elemento organizzativo, mentre nel caso di lavoro autonomo, ancorche' svolto con carattere di abitualita', e' possibile ipotizzare un'attivita' professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali e di lavoro. A mente della giurisprudenza citata in ricorso, tra cui la Commissione tributaria provinciale di Trento, sezione I, del 5 luglio 2001, n. 101, occorre che l'opera personale del professionista non assuma carattere decisivo e prevalente per l'acquisizione del reddito, ma che l'attivita' possa svilupparsi «in assenza del professionista», in modo che i «fattori capitale e lavoro utilizzati nell'attivita' siano coordinati ed organizzati in modo talmente autonomo da essere in grado di creare valore aggiunto anche da soli, senza l'apporto personale del professionista». Nel caso allora di medico, che esercita l'attivita' necessariamente con il solo apporto personale, essendo il capitale impiegato meramente marginale, non puo' ricorrere l'ipotesi di un'attivita' autonomamente organizzata, sicche' quanto pagato a fini IRAP risulta indebito e deve essere rimborsato. Si concludeva nel senso che dovesse essere rimborsata l'IRAP pagata, secondo l'elenco riportato nell'istanza di rimborso pari a complessivi Euro 11.955,98. Ha allegato al ricorso il dott. Ballatori le denunce dei redditi per gli anni di riferimento, Quadro IQ, oltre che le quietanze di pagamento dell'imposta (documenti questi non contestati dall'Ufficio). L'Agenzia delle entrate ha ammesso che l'attivita' e' stata esercitata in via esclusivamente personale, senza l'ausilio di collaboratori e dipendenti e con l'impiego di modesti beni strumentali, ma ha affermato che ugualmente il ricorso e' infondato alla luce di una diversa interpretazione da darsi alla sentenza ricordata della Corte costituzionale ed alla luce anche di alcune pronunce di Commissioni regionali. Si e' osservato in particolare che la sentenza invocata nel ricorso ha confermato la legittimita' delle disposizioni contenute nel decreto legislativo istitutivo dell'IRAP, n. 446/1997; e la loro piena rispondenza ai principi costituzionali. Invero siamo di fronte ad una imposta di carattere reale che colpisce il valore aggiunto prodotto dalle attivita' autonomamente organizzate, valore che e' direttamente connesso all'elemento organizzativo, che costituisce l'indice idoneo della capacita' contributiva. Quest'elemento organizzativo e' connaturato con la nozione di impresa, che sussiste nel caso di attivita' libero professionale pur svolta in assenza di fattori della produzione. Riconosce l'Ufficio che nella motivazione della sentenza piu' volte citata e' stato affermato che un'attivita' di lavoro autonomo svolta in difetto di organizzazione di capitali o lavoro altrui - condizione questa da verificare, in via di fatto - non realizza il presupposto dell'imposta con la conseguente inapplicabilita' dell'imposta medesima alle varie situazioni, ma aggiunge che, alla luce del fatto che l'Alta Corte non ha modificato i presupposti oggettivi di applicazione del tributo indicati negli artt. 2 e 3 del decreto legislativo n. 446/1997, e' consentito interpretare la suddetta decisione nell'unico senso fatto proprio della ratio della decisione e che cioe' la locuzione autonomamente organizzata, cosi' come precisato nella circolare ministeriale n. 141/E del 4 giugno 1998, vada inteso nel senso che si deve trattare non di attivita' libero professionali svolte abitualmente, in modo autonomo, ma solo di casi di collaborazione coordinata e continuativa (c.d. parasubordinazione) disciplinata dall'art. 49, comma 2, lettera a) del T.U.I.R., oppure di prestazioni libero professionali del tutto occasionali. L'attivita' libero professionale abituale ancorche' svolta senza l'ausilio di dipendenti e con impiego di modesti beni strumentali rientra nella prefigurazione delle norme istitutive dell'IRAP. Invero si afferma nella citata memoria di costituzione, che e' stata ritualmente depositata il 2 dicembre 2003, e, quindi, nei termini, che da una lettura coordinata degli artt. 2 e 3 del decreto legislativo n. 446/1997 risulta evidente che il requisito della organizzazione connota l'attivita' di tutti i soggetti passivi indicati nell'art. 3 e, quindi, anche degli esercenti arti e professioni di cui all'art. 49, comma 1 del medesimo T.U. Dopo avere citato la risoluzione n. 32 del 31 gennaio 2002 dell'Agenzia delle entrate centrale, a mente della quale non siamo di fronte nemmeno ad una sentenza interpretativa di rigetto sicche' la interpretazione della normativa deve essere quella liberamente effettuata da dottrina e da giurisprudenza, si afferma che gli orientamenti piu' accreditati smentiscono in modo palese la tesi della parte ricorrente. Invero la Commissione tributaria regionale di Venezia con sentenza n. 82 del 26 settembre 2002, ha affermato che tutta l'attivita' abituale libero professionale rientra tra i presupposti dell'imposta de qua, essendo ininfluente la quantificazione dei singoli fattori della produzione tra di loro coordinati e cioe' organizzati. Per produrre valore aggiunto e' sufficiente la capacita' di ottenere credito o la possibilita' di procurarsi una propria clientela senza che rilevi la maggiore o minore autonoma organizzazione individuata dalla coordinazione di quantita' anche minime di qualche elemento enunciato o similare. Secondo quella Commissione, prosegue la memoria de qua, solo per i professionisti sprovvisti totalmente di propria organizzazione difetta il presupposto di applicabilita' dell'IRAP, come ad esempio nel caso del professionista che svolga la sua attivita' a favore di associazioni, enti, altri studi professionali, ecc. Viene poi citata la Commissione tributaria regionale di Bologna che, con sentenza n. 120 del 25 settembre 2002, ha affermato che l'elemento caratterizzante della inesistenza di una organizzazione e' rappresentato dal fatto che questa attivita' viene controllata da altri soggetti. Non rileva affatto per il professionista la esistenza o meno di capitali o beni strumentali, dato che per organizzazione si deve intendere la capacita' di produrre reddito mediante l'impiego di intelligenza, cultura e professionalita' prevalenti rispetto al lavoro eventualmente manuale, sempre che sussista discrezionalita' della prestazione nell'esercizio dell'attivita' effettuata altresi' indipendentemente dal risultato. Affermati questi principi di diritto la Agenzia delle entrate di Macerata rileva che l'attivita' di un medico generico, quale quella esercitata dal ricorrente, rientra tra quelle di lavoro autonomo disciplinate dagli artt. 49, comma 1 e 50 del T.U.I.R., in quanto nella stessa sono rinvenibili sia l'autonomia delle prestazioni non coordinate ne' dirette da altri, sia la professionalita' che si realizza attraverso comportamenti coordinati tra loro, sia l'abitualita' che sussiste quando gli atti vengono posti in essere con continuita' e sistematicita', sia, infine, la natura non imprenditoriale che si caratterizza nella prevalenza del fattore lavoro sul fattore capitale e nella mancanza di un'organizzazione in forma d'impresa delle risorse economiche ed umane disponibili. Ha concluso, quindi, l'Ufficio per l'irrilevanza del fatto che quel medico non avesse alcuni collaboratori e potesse disporre di modesti beni strumentali, in quanto siamo di fronte ugualmente ad un'attivita' autonomamente organizzata. Sussistendo il presupposto per l'applicazione dell'IRAP si e' chiesto il rigetto del ricorso ad ogni effetto di legge. All'udienza del 9 aprile 2004 veniva effettuata la riserva ai sensi dell'art. 35 del decreto legislativo n. 546/1992, che veniva sciolta con ordinanza del 7 maggio 2004, con la quale veniva ordinato al ricorrente di depositare l'elenco analitico delle spese esposte nel Modello Unico 2001 alla voce 1 Q 28 in L. 26.841.000, con i relativi importi per ciascuna delle spese stesse, e si rinviava la trattazione del ricorso alla udienza del 18 giugno 2004. Il ricorrente ha eseguito l'ordinanza con deposito dell'elenco in data 4 giugno 2004 ed all'udienza del 18 giugno 2004 si decideva di sollevare d'Ufficio la questione di costituzionalita' delle norme poste a base del ricorso emettendo formale ordinanza che cosi' viene motivata, in Diritto Si solleva la questione di incostituzionalita' degli artt. 2, 3, comma 1, lettera c), 4, 8 e 11 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 nelle parti che soggettano all'imposta regionale sulle attivita' produttive (IRAP) anche gli esercenti di arti e professioni che svolgano abitualmente la propria attivita' in forma individuale e cioe' non in forma associata, ed in modo autonomo, purche' non difetti in modo assoluto la organizzazione di capitali e di lavoro; e cio' per contrasto con gli artt. 3, 23, 24 e 53 della nostra Carta costituzionale. I In punto a rilevanza della questione Come risulta dalla esposizione dei fatti il ricorrente e' un libero professionista (medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale) che, nello svolgimento della sua attivita', non ha dipendenti (e cio' e' pacifico tra le parti e risulta dalla documentazione prodotta), ne' collaboratori neanche esterni, ed ha impiegato negli anni di riferimento modesti beni strumentali, quelli tipici del medico ed indispensabili per l'esercizio della sua attivita' professionale, come emerge anche dalla istruttoria eseguita a seguito della richiamata ordinanza. I suoi redditi sono quelli medi di un libero professionista medico, nel 1988 ha avuto ricavi per L. 189.164.000 e costi di L. 25.438.000. Lo stesso e' avvenuto nell'anno successivo; nel 2000 ha avuto ricavi lievemente superiori L. 192.654.000 con costi pari a L. 26.841.000, e cosi' anche negli anni successivi, senza variazioni di rilievo. In tale situazione di fatto non vi sarebbero dubbi, a parere della Commissione, che egli dovrebbe essere assoggettato ad IRAP in tutti gli anni di riferimento, dato che viene qui condivisa la interpretazione secondo cui e' sufficiente per l'assoggettamento a tributo del libero professionista che egli goda di un reddito che consenta di ricavare il sufficiente per vivere, che abbia beni strumentali adeguati all'attivita' svolta ed eserciti la sua attivita' continuativamente e cioe' non occasionalmente, oltre che in modo autonomo nel senso che non dipenda da altrui organizzazioni (nel nostro caso il ricorrente esercita la sua attivita' in piena autonomia, come risulta pacifico in atti). Nulla rileva che non abbia dipendenti e collaboratori esterni, essendo sufficienti per l'assoggettamento a tributo i dati sopra specificati. Ai fini della giusta interpretazione della norma come diritto vivente la Commissione fa propria la interpretazione delle due decisioni di Commissioni regionali citate nella memoria dell'Ufficio e dinanzi riassunte nelle parti essenziali delle loro motivazioni, e in particolare si condividono nella sostanza le tesi dell'ufficio che hanno trovato recentemente conforto nella sentenza della Commissione tributaria regionale dell'Emilia-Romagna, Sezione di Parma, n. XXXIII, del 14 gennaio 2004, n. 62 pubblicata per esteso in Giurisprudenza di merito 2004, pagine 1275 e seguenti secondo cui non integra il presupposto impositivo dell'IRAP il solo caso in cui il lavoro autonomo sia svolto in assenza di organizzazione di capitali e lavoro, con la conseguenza che e' sufficiente per giungere alla ridetta imposizione che si abbia una organizzazione che consenta di ricavare un reddito non basso, che utilizzi beni strumentali adeguati, oppure in alternativa abbia dei dipendenti; requisito questo non assolutamente necessario essendo sufficiente una organizzazione capace di produrre un reddito che non sia modesto con beni strumentali adeguati ed anche modesti (nella fattispecie di cui a quest'ultima decisione sono stati ritenuti sufficienti beni di poco piu' 9 milioni). E' vero che il soggetto contemplato da tale decisione aveva anche collaboratori esterni pagati, ma dal tenore della sentenza si ritiene sufficiente al fine di verificarsi il presupposto per la imposizione del Tributo, una sia pur minima organizzazione e cioe' che tale «attivita' di lavoro autonomo» non sia «svolta in assenza di organizzazione di capitali e lavoro». Ma si deve ritenere che e' impossibile che un professionista, che svolga il suo lavoro in modo continuativo e professionalmente adeguato non abbia una sua organizzazione sia pure minima, essendo sufficiente la stessa capacita' intellettiva di produrre reddito testimoniata dalla professionalita' adeguata allo svolgimento della sua attivita' unita a beni strumentali funzionali alla stessa, anche se di modesto costo. L'unica eccezione, considerata anche dall'Ufficio come rilevante ai fini dell'esclusione del presupposto d'imposta, e' che il libero professionista si avvalga di una organizzazione di altri, cioe' collabori nell'interno di una struttura altrui. Condivisa tale interpretazione nel senso che per escludere la capacita' impositiva occorre che l'attivita' autonoma sia svolta in assenza di organizzazione di capitali e lavoro, non vi sono dubbi che la questione di costituzionalita' delle norme di cui agli artt. 2, 3, comma 1, lettera c), 4, 8 e 11 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 che assoggettano all'IRAP anche gli esercenti di arti e professioni che svolgano abitualmente la propria attivita' in forma individuale ed in modo autonomo, purche' non difetti in modo assoluto la organizzazione di capitali e di lavoro, per contrasto con le norme di cui agli artt. 3, 23, 24 e 53 della Costituzione e' rilevante, in quanto, una volta dichiarata la incostituzionalita' di esse, il ricorso dovra' essere accolto, in quanto non esiste piu' il presupposto impositivo dell'IRAP relativamente alla posizione di quel libero professionista. Da cio' consegue che il tributo non potra' rendersi applicabile a quei liberi professionisti, che non svolgano attivita' meramente occasionali (perche' allora non rileverebbe alcuna questione di costituzionalita' essendo essi esclusi per interpretazione della stessa Agenzia delle entrate dall'IRAP medesima), ma che abbiano una loro organizzazione nel senso che risulta dalla interpretazione delle norme in partibus quibus che qui si condivide. E tale interpretazione porta a risultati non conformi alla Costituzione nei sensi e sotto i profili che vengono qui di seguito illustrati. II In punto a non manifesta infondatezza della questione II.1. - I profili che vengono qui illustrati sono radicalmente diversi da quelli sollevati da altre Commissioni tributarie e che sono state oggetto della Sentenza di rigetto di codesta Corte del 21 maggio 2001, n. 156 e di successive ordinanze di manifesta infondatezza tra cui la n. 426 del 18 ottobre 2002, dal momento che non si discute ne' puo' discutersi dei profili oramai superati dai precedenti specifici in questa materia, non potendo avere alcuna rilevanza giuridica pretese disparita' di trattamento tra redditi di lavoro autonomo con redditi di impresa oppure con redditi di lavoro subordinato. Assai rilevante invece costituisce l'enucleazione della natura giuridica del tributo che, secondo quanto risulta dalla indicata sentenza, non rientra tra le imposte sul reddito, ma costituisce imposta avente carattere reale, il cui presupposto e' costituito dall'elemento dell'organizzazione. In particolare essa colpisce con carattere di realita' un fatto economico, diverso dal reddito «comunque espressivo di capacita' di contribuzione» in capo a chi, in quanto organizzatore dell'attivita', e' autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i diversi soggetti che, in varia misura concorrono alla sua creazione». Ed allora, prosegue la citata sentenza, per quanto riguarda l'attivita' di lavoro autonomo, non necessariamente sussiste, come nel caso della impresa, l'elemento organizzativo, ma puo' ipotizzarsi «un'attivita' professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui». In quest'ultimo caso, da accertare in via di fatto, risultera' mancante il presupposto stesso della imposta sulle attivita' produttive rendendosi inapplicabile l'art. 2 del decreto legislativo in parola. Ritiene questa Commissione che tali parti motive della sentenza in oggetto siano da interpretarsi nel senso che, per escludere il presupposto dell'imposta debbano sussistere due condizioni alternative risultanti dalla disgiuntiva «O» posta tra i capitali ed il lavoro altrui e cioe' ci si deve trovare in assenza di capitali propri e/o in assenza di lavoro altrui e cioe' non avere collaboratori o dipendenti. In sostanza la stessa presenza di beni strumentali anche minimi come un'autovettura, oppure apparecchi necessari per l'esercizio della professione medica, oppure macchine da scrivere o computer utilizzati da qualsiasi libero professionista, di fronte ad un'attivita' abitualmente svolta e continuativa, non potrebbe non rientrare nel ricordato concetto di organizzazione, pur in assenza di dipendenti. E' questa la interpretazione che la Commissione ritiene da dare a questa sentenza che afferma poi in proposito che «l'IRAP non colpisce il reddito personale del contribuente, bensi' il valore aggiunto prodotto dalle attivita' autonomamente organizzate». Tale autonoma organizzazione e' sicuramente propria del ricorrente e comunque, concerne ogni libero professionista che svolga in modo continuativo la sua attivita' e che, pur non avendo dipendenti o collaboratori, abbia una sua autonomia di scelte nella utilizzazione anche di beni strumentali propri. II.2. - A seguito di tale decisione di rigetto delle proposte questioni di costituzionalita', facendo leva sulle affermazioni che abbiamo teste' enucleato, molte Commissioni tributarie specie provinciali si sono impegnate in una specie di gara giuridica per dare contenuto in diritto ed in fatto al concetto di organizzazione, fonte della realta' della imposta medesima. I risultati sono stati di una assoluta contraddittorieta', in quanto abbiamo decisioni che affermano che, in assenza di personale dipendente, non sussiste il presupposto impositivo, nulla rilevando la presenza di beni strumentali propri, mentre altre decisioni, pubblicate in molte riviste, affermano che non sussiste il presupposto per la imposizione nei casi di un libero professionista che esercita la propria attivita' presso uno studio professionale altrui e cioe' gode di onorari percepiti per la collaborazione prestata nello studio altrui. Si osserva, nel ricco panorama giurisprudenziale che risulta dalle riviste specializzate del settore, che le Commissioni provinciali contengono aperture e spunti favorevoli al professionista, pur in presenza - ad esempio - della proprieta' di beni strumentali propri di valore non esiguo, mentre le Commissioni regionali e non solo quelle citate nella presente ordinanza affermano nella sostanza che il fatto stesso che venga esercitata l'attivita' libero professionale con abitualita' ed autonomia costituisce prova della organizzazione posta a base della decisione costituzionale di rigetto che abbiamo dinanzi richiamato. Ovviamente riteniamo non opportuno in questa sede effettuare un panorama giurisprudenziale sulla materia e tanto meno richiamare le tesi della dottrina molto piu' favorevoli per il contribuente ed adesive per quanto riguarda le decisioni delle Commissioni piu' aperte nella formulazione del concetto di organizzazione, limitandoci pero' ad evidenziare che la Commissione trib. regionale della Lombardia sezione I di Milano del 22 aprile 2004, n. 13 che si legge in Bollettino tributario 2004, 1112 e seguenti ha concluso che, qualora siamo di fronte ad un esercente l'attivita' di arti e professioni che decida autonomamente «nel senso di libero arbitrio» l'organizzazione del proprio lavoro, sussiste il presupposto impositivo dell'IRAP, mentre l'assoluta mancanza di elementi di organizzazione e' una ipotesi inesistente. Ma tale decisione deve essere adeguatamente interpretata; non e' vero, come evidenziato dal commento dottrinario, che la Commissione abbia voluto fornire una nozione diversa di organizzazione rispetto a quella formulata dalla Alta Corte, ma ha voluto soltanto evidenziare che e' diversa la ipotesi dell'assenza della organizzazione rispetto alla esistenza di una organizzazione anche basata su pochi beni di scarso valore; solo nel primo caso il professionista e' esente dall'imposizione tributaria. Questa decisione non merita le critiche della dottrina, tanto che gli esempi forniti nella nota riguardano professionisti che si avvalgono della organizzazione altrui che pacificamente sono esenti dal tributo. Invece si ritiene impossibile scriminare l'assoggettabilita' al tributo sulla base del quantum dei beni organizzativi, se pochi, scarsi oppure di maggior valore, dato che il tributo non offre in proposito alcuna tipizzazione chiara e cioe' non contiene elementi per stabilire in che cosa consista la organizzazione propria e cioe' di quali e quanti beni strumentali debba essere fornito, dal momento che una indagine puramente quantitativa sul valore dei beni strumentali rappresenta non una specie di interpretazione della norma, ma un'attivita' creativa della stessa. Anche il medico nell'esempio effettuato dalla dottrina che riceve e visita nell'ambulatorio (proprio) non puo' essere privo di beni strumentali; lo stesso apparecchio per misurare la pressione del sangue o lo stesso lettino in cui adagiare il paziente sono comunque beni organizzati per l'esercizio dell'attivita'; il problema semmai si sposta dall'an dei beni sempre sussistente, al quantum degli stessi, ma una tale indagine creativa della norma non e' consentita all'interprete che deve prendere atto che organizzazione comunque esiste. Pur non giungendosi ad affermare che e' sufficiente avere la capacita' di produrre reddito e cioe' la professionalita' per giungere ad applicare il tributo, tuttavia e' certo che organizzazione presuppone la sussistenza di beni strumentali che non possono mancare in un libero professionista, anche se egli non ha dipendenti o collaboratori, a meno che non lavori per altri oppure utilizzi beni altrui, come autovettura del titolare dello studio oppure il medico che non abbia alcun ambulatorio e cioe' svolga attivita' occasionale, come potrebbe essere un medico gia' in pensione, ma in questo caso non deve possedere nemmeno un proprio apparecchio o una propria autovettura. II.3. - Le considerazioni che precedono consentono di entrare nel cuore delle problematiche di non manifesta infondatezza della proposta questione di costituzionalita'. In sostanza la interpretazione della norma in riferimento all'attivita' degli esercenti arti e professioni, in ordine alla sussistenza del requisito indispensabile della organizzazione e, quindi, del verificarsi certo del presupposto della realta' del tributo che colpisce un valore aggiunto prodotto, secondo le efficaci e giuridicamente ineccepibili espressioni che si leggono nella piu' volte richiamata sentenza, non ha in se' un filo conduttore preciso e cioe' non e' possibile enucleare una base certa e definita per giungere a stabilire in concreto la sussistenza dei presupposti del tributo. La incertezza si ha non soltanto per stabilire il discrimen tra assenza di organizzazione o presenza di organizzazione, in riferimento ad un supposto - minimo o meno - valore dei beni strumentali, ma soprattutto nello stabilire quale sia l'apporto dell'attivita' professionale e personale del soggetto che produce un reddito che non deve essere colpito dall'imposta e quanto invece e' costituito dal valore aggiunto determinatosi per effetto della organizzazione. Se il tributo ha natura reale, deve essere stabilita una divaricazione netta tra l'apporto personale ed il valore aggiunto, nel senso che solo quest'ultimo possa e debba essere colpito. Mentre cio' e' certo nel caso dell'impresa in cui il valore aggiunto e' dato da tutta la produzione, nel caso di esercente attivita' libero professionale oppure di artista, non e' possibile colpire con imposizione quello che e' il mero frutto della sua professionalita' intellettiva e cioe' la sua intelligenza, preparazione, esperienza ecc. che assume una valenza diversa rispetto alla pur sussistente organizzazione dei beni sempre presente in via di massima nel caso di attivita' libero professionale, che sia continuativa, abituale e produca un reddito dignitoso o di media entita'. Vengono quindi a confluire nel tributo piu' elementi in fatto e in diritto e cioe' l'elemento che in se' e' produttivo di reddito e che non puo' essere soggetto ad imposizione, dall'elemento di natura reale e cioe' il figlio diretto della organizzazione e, quindi, deriva dalla presenza di eventuali maggiori beni strumentali, dall'esistenza di dipendenti, ecc. In sostanza qui si deve rivendicare una coerenza interpretativa della norma in oggetto, proprio sulla base della pienamente condivisibile sentenza della Corte costituzionale. Per coerenza, se e' vero che l'IRAP non e' imposta sul reddito, ma reale, il discrimen tra capitale e lavoro deve pur essere effettuato; se si vuol colpire la capacita' di contribuzione, che deriva dalla migliore e piu' efficace organizzazione dell'attivita' con la effettuazione di scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i diversi soggetti che, in varia misura concorrono alla sua creazione», non e' possibile assoggettare a tributo l'intero reddito esposto dal professionista nel quadro «e» di legge, ma e' necessario che si sappia quale sia nel quantum l'apporto legato da un nesso causale tra questa organizzazione e la produzione della ricchezza, dovendosi ovviamente esonerare, per coerenza, quanto deriva dalla ricordata capacita' personale e professionale che prescinde ovviamente dalla maggiore o minore presenza dell'organizzazione. In tale situazione il tributo e' sicuramente privo di specificazione concreta di tutte le sue componenti impositive, difettando la base imponibile dell'indice di natura reale derivante con nesso causale, anche eventualmente presuntivo, da sottoporre a tributo. Nella specie nel modello IQ si deve riportare l'intero reddito prodotto. Siamo quindi di fronte ad una carenza degli elementi che possano determinare il quantum della imposta in modo coerente con le stesse premesse fornite dal massimo interprete delle nostre leggi: la Corte costituzionale. II.4. - Le conclusioni cui si giunge facilmente dall'esame della struttura del tributo dimostrano come tale tipo di imposizione si pone in contraddittorieta' con quanto voluto dallo statuto dei diritti del contribuente che se non contiene norme integrative della costituzione, e' pur sempre il faro che deve guidarci anche nella interpretazione nella applicazione delle norme tributarie. Ed in realta' la legge 27 giugno 2000, n. 212, specie con l'art. 1, costituisce non solo la attuazione, ma anche la giusta interpretazione degli artt. 3, 23 e 53 della Costituzione, che sono le norme che vengono qui addotte al fine di dimostrare il sospetto di incostituzionalita' che grava sulle menzionate norme istitutive dell'IRAP nei riguardi degli esercenti arti e professioni. Tale disposizione della legge n. 212/2000, ricollegata con i successivi artt. 2 e 4, detta il principio della chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie che rappresenta in modo icastico il titolo dello stesso, altrettanto fondamentale, art. 2 della legge medesima. In sostanza le disposizioni tributarie devono essere chiare e trasparenti, dal contenuto specifico e determinato accessibile alla maggioranza dei contribuenti, i quali, oltre tutto, sono facoltatizzati ad adire gli organi tributari per avere la giusta interpretazione della norma. Nel caso in cui la legge tributaria sia irrimediabilmente inesatta nel suo contenuto il legislatore deve al piu' presto provvedere con norma interpretativa. Questa chiara novita' nel nostro ordinamento non puo' lasciare tollerabile e sopportabile una normativa come quella di specie, in cui difettano la determinazione e la specificazione concreta dei presupposti per l'applicazione del tributo. Ed invero la impossibilita' di stabilire quale sia il valore aggiunto nel quantum posto a base del tributo, il fissare quale debba essere la organizzazione che sia suscettibile di essere valutata al fine di stabilire non solo l'astratta assoggettabilita' al tributo, ma anche il quantum dovuto per questo valore aggiunto che e' espressione della natura reale del tributo stesso, non possono non essere poste a base del sospetto di incostituzionalita'. Non si dimentichi che tale scissione, nell'applicazione del tributo della parte relativa al reddito personale, dal valore aggiunto derivante dalla maggiore o minore organizzazione non e' consentita dalla legge se si pensi che essa esige che l'intero reddito del professionista, indicato a fini IRPEF sia riportato nella denuncia IRAP e precisamente nel ricordato modello IQ a titolo di valore della produzione lorda. L'unica possibilita' di detrazione e' riferita alle spese pure menzionate nello stesso quadro inerente l'IRPEF dei professionisti. Superato il problema della duplicazione del reddito professionale, in quanto non piu' rilevante alla luce della precedente ricordata pronuncia, resta comunque il fatto che il concetto di realita' del tributo non e' collimante con il sistema prefigurato dal legislatore e cioe' di assoggettare l'intero reddito al tributo, una volta che comunque sussista una specie di organizzazione. Invero e' da considerarsi insito nel giudizio dato nella fondamentale sentenza del 21 maggio 2001, n. 156, che la organizzazione causa e fonte della realita' rappresenta una condicio - sine qua non, per il sorgere della pretesa tributaria, ma non esaurisce i presupposti della imposta, ove si tenga ferma la necessita' del binomio inscindibile reddito di fonte personale e valore aggiunto derivante dalla utilizzazione e sfruttamento della organizzazione medesima. Diversamente opinando e cioe' riconducendo l'an ed il quantum della pretesa tributaria alla sola esistenza della organizzazione nell'an, non avrebbe senso la differenziazione teorizzata nella ricordata sentenza tra «il fatto economico diverso dal reddito espressivo di capacita' di contribuzione in capo al soggetto» che, in quanto organizzatore dell'attivita e' autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza....», ed il reddito stesso che non e' confondersi con il valore aggiunto prodotto (vedasi punto 6.2 della sentenza stessa). In sostanza difettano le condizioni di specificazione e chiarezza volute dal nostro ordinamento nella formulazione delle norme de quibus in riferimento alla imposizione del tributo agli esercenti le arti e professioni. E cio' perche' gli elementi che devono necessariamente concorrere nella fattispecie, ma di cui uno solo e' soggetto ad imposizione e cioe' il valore aggiunto, non sono scindibili nella formulazione della norma, non potendosi individuare l'apporto di ciascuno nella formazione della ricchezza soggetta ad imposizione. Tale problematica non e' stata affatto affrontata dal Ministero nella sua nota circolare, essendosi limitato a stabilire quali siano le condizioni perche' un reddito possa andare esente da imposta e non invece quali debbano essere i componenti della imposizione ma cio' in realta' non poteva essere effettuato, data la stessa confusa formulazione della norma medesima. II.5. - Alla luce di quanto precede riteniamo che un tributo del genere, nella soggetta materia, contrasti, innanzitutto, con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, dal momento che quel difetto di specificazione degli elementi necessari per l'assoggettabilita' a tributo di una determinata ricchezza (incertezza sul concetto stesso di organizzazione) e, inoltre, per stabilire il quantum del valore aggiunto qualora la risposta al primo quesito in ordine alla esistenza della organizzazione sia positiva, oltre a causare non chiarezza nella formulazione della norma, con indeterminatezza della stessa base normativa, crea una situazione di disparita' di trattamento tra questo tipo di contribuenti e gli altri pur assoggettati a tale tributo che possono stabilire il quantum del valore aggiunto, come accade per le imprese, societa' ed in genere per tutti gli imprenditori, enumerati insieme agli esercenti le arti e professioni nell'ambito delle norme de quibus. E cio' con ritenuta violazione dell'art. 3 della Costituzione. Ma soprattutto cio' urta con l' art. 23 della Costituzione che esige, alla luce anche delle ricordate norme dello statuto dei diritti del contribuente, che vi siano chiarezza e specificazione nella imposizione della prestazione patrimoniale assoggettata a tributo. Ed anche non e' manifestamente infondata la questione relativa al contrasto con l'art. 53 della Cost. in quanto non e' rinvenibile in modo specifico la capacita' contributiva da assoggetare all'IRAP, dal momento che non e' enucleata legislativamente la nozione di valore aggiunto ipotizzato in via teorica e generica, ma non calato nella singola realta' di ogni fattispecie. E vogliamo anche aggiungere il possibile conflitto anche con l'art. 24 sul diritto di difesa del contribuente, il quale non e' in grado di conoscere quali siano gli obblighi propri e quale tipo di difesa possa svolgere di fronte ad un tributo di cui manca quella doverosa specificazione. Ovviamente riteniamo che tale contrasto sia maggiore con il primo comma dell'art. 24. La stessa storia giudiziaria che si e' formata in conseguenza della prima sentenza della Corte costituzionale, con la presentazione di centinaia di ricorsi da parte di soggetti che per un titolo o altro ritenevano di non avere una organizzazione sufficiente atta a formare quel fantomatico valore aggiunto, dimostra come tutti, contribuenti e giudici, si siano trovati di fronte ad un ostacolo insormontabile stanti le acute osservazioni del Ministero nelle sue circolari che hanno evidenziato come la sentenza n. 146/2001 non abbia contenuto interpretativo, ma contenga solo alcuni concetti cardine, che poi nella realta' hanno dato luogo a difformi orientamenti giurisprudenziali. Riteniamo, pertanto, dovere di codesta Commissione di chiedere, l'annullamento di queste norme cosi' confuse, in modo da poi il legislatore possa dare una nuova disciplina al tributo che tenga conto dei principi costituzionali che vengano ad essere formulati dalla auspicata emananda sentenza. II.6. - E prima di concludere, questa Commissione intende chiarire che non si chiedono questa o quella interpretazione della normativa de qua, ma una sentenza di annullamento del tributo, tenuto conto del fatto che questa Commissione ritiene non possa effettuarsi una interpretazione, che sia conforme alla nostra Carta costituzionale, dal momento che solo il legislatore potra' e dovra' far chiarezza nella enucleazione dei singoli presupposti di imposta, non potendo trovare una sicura e certa base imponibile la cosi' detta realta' del tributo. E non e' possibile, alla luce di tutto quanto precede che sia il giudice a colmare con la sua fantasia il vuoto della legge e cioe' ad entrare nelle questioni astratte di organizzazione e di valore aggiunto, quando solo il legislatore puo' colmare queste lacune e stabilire i presupposti chiari e specifici per l'applicazione dell'IRAP, adeguandosi ai concetti e precetti, vero frutto di civilta' giuridica, che sono nati con l'entrata in vigore della legge 27 luglio 2000, n. 212. Ma per giungere a tanto, occorre che sia annullata la legge qui sospettata di incostituzionalita'. III Per tutte le ragioni sopra esposte la Commissione dichiara rilevante e non manifetamente infondata per contrasto con gli artt. 3, 23, 24 e 53 della Costituzione, la questione di costituzionalita' degli artt. 2, 3, comma 1, lettera c), 4, 8 e 11 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, nelle parti che assoggettano all'imposta regionale sulle attivita' produttive (IRAP) anche gli esercenti arti e professioni che svolgano abitualmente la propria attivita' in forma individuale ed in modo autonomo, purche' non difetti in maniera assoluta la organizzazione di capitali e di lavoro, e rimette la decisione sulla questione alla Corte costituzionale.