ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei   giudizi   di   legittimita'   costituzionale  dell'art. 41-bis,
comma 2-bis,    della    legge    26 luglio   1975,   n. 354   (Norme
sull'ordinamento   penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle  misure
privative  e  limitative  della liberta), come modificato dall'art. 2
della  legge  23 dicembre  2002,  n. 279,  promossi,  nell'ambito  di
diversi  procedimenti  di sorveglianza, dal Tribunale di sorveglianza
di  Napoli  con ordinanze del 26 marzo (2 ordinanze), del 7 aprile (2
ordinanze), del 9 aprile, del 14 marzo, del 10 luglio, del 2 maggio e
del  26 marzo  2003,  rispettivamente iscritte ai numeri 599, 663, da
702  a  705, 903, 906 e 1030 del registro ordinanze 2003 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 35, 36, 37, 45 e 49,
1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 17 novembre 2004 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  con nove ordinanze identiche nella parte motiva il
Tribunale di sorveglianza di Napoli ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3,  13,  primo  e  secondo  comma, 24, secondo comma, 27, terzo
comma,  97,  primo  comma,  e  113,  primo  e  secondo  comma,  della
Costituzione,     questione     di     legittimita'    costituzionale
dell'art. 41-bis,  comma 2-bis,  della  legge  26 luglio 1975, n. 354
(Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure
privative  e  limitative  della liberta), come modificato dall'art. 2
della  legge 23 dicembre 2002, n. 279, nella parte in cui prevede che
i   provvedimenti   ministeriali   di  sospensione  delle  regole  di
trattamento  sono  prorogabili  «purche' non risulti che la capacita'
del  detenuto o dell'internato di mantenere contatti con associazioni
criminali, terroristiche o eversive sia venuta meno»;
        che  il Tribunale di sorveglianza, in sede di reclamo avverso
provvedimenti  ministeriali  di  proroga, osserva che la legge n. 279
del  2002  ha  modificato  profondamente l'istituto della sospensione
delle  regole  di  trattamento, adeguandolo alle pronunce della Corte
costituzionale intervenute a partire dal 1993;
        che   tuttavia   la   disciplina  della  proroga  del  regime
differenziato    finirebbe    per    vanificare   la   giurisprudenza
costituzionale  sopra menzionata che ancora l'applicazione del regime
differenziato  alla  sussistenza  di un effettivo ed attuale pericolo
per  l'ordine e la sicurezza derivante dal permanere dei collegamenti
con  la criminalita', richiedendo altresi' che venga fornita autonoma
e congrua motivazione al riguardo;
        che,  secondo  il rimettente, il comma 2-bis dell'art. 41-bis
dell'ordinamento  penitenziario  «reintroduce  nel  sistema  la prova
negativa sul venir meno di quella capacita' del detenuto di mantenere
contatti  con  associazioni  criminali», consentendo di prolungare la
durata  del  regime  differenziato a prescindere dalla sussistenza di
reali  esigenze  di  tutela  dell'ordine  e della sicurezza, mediante
provvedimenti  di  proroga  privi  di  motivazione  o con motivazioni
inidonee a giustificare in termini di attualita' le misure disposte;
        che, in particolare, la disposizione censurata si porrebbe in
contrasto con gli artt. 3, 13, primo e secondo comma, e 27, secondo e
terzo  comma, Cost. in quanto individua, esclusivamente in ragione di
una  presunzione  di  pericolosita'  sociale  e senza che ricorrano i
requisiti   di  necessita'  e  urgenza,  una  categoria  di  detenuti
sottoposti  ad  un  regime  di  esecuzione  della pena diverso e piu'
afflittivo rispetto a quello previsto per la criminalita' comune, con
sacrificio  anche  del  principio  della  finalita' rieducativa della
pena,  che impone trattamenti individualizzati e ispirati al senso di
umanita';
        che il regime differenziato, disancorato dalla valutazione di
«atteggiamenti  particolarmente  significativi del detenuto, comunque
riconducibili  alla  sua  pericolosita' sociale, alla sua capacita' a
delinquere, alla condotta intramuraria ovvero ai suoi rapporti con il
mondo esterno», verrebbe ad essere giustificato solo in ragione della
«tipizzazione   del   detenuto   "speciale"»  in  quanto  imputato  o
condannato per determinati delitti;
        che  sarebbero  inoltre  violati gli artt. 24, secondo comma,
97, primo comma, e 113, primo e secondo comma, Cost. perche' la norma
censurata  - la' dove «non prescrive idonea motivazione, in positivo,
comprovante  l'esistenza di una realta' certa, concreta ed essenziale
ai  fini  dell'emissione del provvedimento» - introduce, in contrasto
con  il  diritto  di  difesa,  con  il  buon andamento della pubblica
amministrazione  e  con  il  diritto alla tutela giurisdizionale, «un
sistema  diabolico,  in  base  al  quale  l'applicazione  del  regime
differenziato  finisce con l'essere prorogabile anche a mezzo [di] un
decreto  ministeriale  privo  della  parte documentale, relativa alla
motivazione  sulla  sussistenza  di  collegamenti con un'associazione
criminale»;
        che  infine, quanto alla rilevanza, il rimettente osserva che
nei  provvedimenti  impugnati «appare quanto meno pretestuoso leggere
che  le  limitazioni imposte sono dettate dalla necessita' di evitare
l'utilizzazione  degli  istituti trattamentali per mantenere rapporti
con  l'esterno, laddove contemporaneamente si contesta la sussistenza
e l'attualita' dei collegamenti con l'esterno e con gruppi malavitosi
nonostante il regime differenziato»;
        che  in  tutti  i  giudizi  e'  intervenuto il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  chiedendo  che le questioni siano dichiarate
inammissibili  o  infondate,  sul  presupposto che ripropongono nella
sostanza  aspetti  gia'  affrontati  e  superati dalla giurisprudenza
costituzionale con riferimento al provvedimento di prima applicazione
del regime differenziato;
        che,  in  particolare, del tutto infondata sarebbe la censura
relativa   alla   violazione  dell'art. 3  Cost.,  atteso  che,  come
affermato  dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 376 del 1997,
il  regime  differenziato  «non  si applica a categorie astrattamente
determinate  ma  a  singoli  soggetti  da individuarsi tra i detenuti
condannati  o  imputati  per  delitti di criminalita' organizzata che
siano  ritenuti  [...]  in  grado  di  partecipare, attraverso i loro
collegamenti interni ed esterni, alle organizzazioni criminali e alle
loro attivita»;
        che  in  riferimento  all'art. 13  Cost. l'Avvocatura osserva
come  il  potere, attribuito al Ministro della giustizia, di adottare
il  provvedimento  di  proroga  del regime differenziato e' limitato,
alla  stregua  della  sentenza n. 349 del 1993, alla sola sospensione
delle   regole   e  degli  istituti  che  si  riferiscono  al  regime
penitenziario  in  senso  stretto,  non potendo incidere sulla pena e
quindi  sul  grado residuale di liberta' del detenuto, e che comunque
tale  potere  e'  suscettibile di sindacato da parte del tribunale di
sorveglianza attraverso il reclamo del detenuto;
        che  per  le  medesime  ragioni  non  puo'  ritenersi violato
neppure  l'art. 27,  terzo comma, Cost., in quanto le misure disposte
non possono porsi in contrasto con il divieto di trattamenti contrari
al senso di umanita' e con la finalita' rieducativa della pena;
        che  del  tutto  priva di fondamento sarebbe anche la censura
riferita    all'art. 24    Cost.,   perche'   la   norma   impugnata,
nell'escludere  la  proroga  del regime differenziato nel caso in cui
venga meno la capacita' dell'interessato di mantenere contatti con le
organizzazioni criminali, e' coerente con la particolare natura delle
ipotesi considerate, che presuppongono l'esistenza di stabili vincoli
associativi, e non sembra pregiudicare le potenzialita' difensive del
destinatario, cui non e' rimesso alcun onere di prova negativa;
        che,  infine,  infondate  sarebbero  le censure riferite alla
violazione  degli  artt. 97  e  113  Cost.,  posto  che  l'obbligo di
motivazione  sussiste  anche in relazione ai provvedimenti di proroga
del  regime  differenziato,  in  base  al  principio generale sancito
dall'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e a quanto disposto in
particolare   dai   commi 2-quinquies   e  2-sexies  dell'art. 41-bis
dell'ordinamento   penitenziario,   che  impongono  al  tribunale  di
sorveglianza,  in sede di reclamo avverso il provvedimento con cui e'
stata  disposta o confermata l'applicazione del regime differenziato,
di  valutare  «la  sussistenza  dei  presupposti  per  l'adozione del
provvedimento»  e  la  «congruita'  del  contenuto  dello  stesso  in
relazione alle esigenze di ordine e sicurezza pubblica».
    Considerato  che  con nove ordinanze identiche nella parte motiva
il  Tribunale  di  sorveglianza di Napoli dubita, in riferimento agli
artt. 3,  13,  primo  e  secondo  comma, 24, secondo comma, 27, terzo
comma,  97,  primo  comma,  e  113,  primo  e  secondo  comma,  della
Costituzione,  della  legittimita'  costituzionale  dell'art. 41-bis,
comma 2-bis,    della    legge    26 luglio   1975,   n. 354   (Norme
sull'ordinamento   penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle  misure
privative  e  limitative  della liberta), come modificato dall'art. 2
della  legge 23 dicembre 2002, n. 279, nella parte in cui prevede che
i   provvedimenti   ministeriali   di  sospensione  delle  regole  di
trattamento  sono  prorogabili  «purche' non risulti che la capacita'
del  detenuto o dell'internato di mantenere contatti con associazioni
criminali, terroristiche o eversive sia venuta meno»;
        che, attesa l'identita' delle questioni, deve essere disposta
la riunione dei relativi giudizi;
        che  il  giudice rimettente - pur prendendo atto che la legge
n. 279   del   2002  ha  modificato  profondamente  l'istituto  della
sospensione   delle   regole  di  trattamento  previsto  dal  comma 2
dell'art. 41-bis  dell'ordinamento  penitenziario,  adeguandolo  alle
sentenze  pronunciate in materia dalla Corte costituzionale - ritiene
che   la   nuova   formulazione   del   comma  2-bis  vanifichi  tale
giurisprudenza,  che,  anche  in  tema di proroghe, aveva ancorato il
regime   differenziato  all'esistenza  di  un  attuale  ed  effettivo
pericolo  per  l'ordine  e  la sicurezza, derivante dal permanere dei
collegamenti con la criminalita' organizzata;
        che,  in particolare, la norma censurata avrebbe reintrodotto
una  presunzione  di pericolosita' collegata alla tipologia dei reati
elencati  nell'art. 4-bis  (comma  1, primo periodo) dell'ordinamento
penitenziario   e   consentirebbe,  mediante  la  previsione  di  una
impossibile  prova  negativa,  di  disporre  la  proroga  del  regime
differenziato  a  prescindere  da  reali  esigenze  di  ordine  e  di
sicurezza,  sulla  base  di  provvedimenti  privi  di  motivazione  o
motivati  in  maniera  non  idonea  a  giustificare  l'attualita' del
pericolo;
        che  risulterebbero pertanto violati gli artt. 3, 13, primo e
secondo  comma,  e  27,  terzo  comma,  Cost.,  per  contrasto con il
principio  di  eguaglianza  e  con quello della finalita' rieducativa
della  pena,  nonche' gli artt. 24, secondo comma, 97, primo comma, e
113,  primo e secondo comma, Cost., per lesione del diritto di difesa
e del principio della effettivita' della tutela giurisdizionale;
        che  in relazione all'originaria disciplina della sospensione
delle   regole   di   trattamento,  introdotta  dal  decreto-legge  8
giugno 1992,  n. 306,  convertito  nella legge 7 agosto 1992, n. 356,
questa  Corte, con numerose decisioni che si sono succedute a partire
dal  1993  (sentenze numeri 349 e 410 del 1993, 351 del 1996, 376 del
1997),   ha  chiarito  come  fosse  possibile  e  doveroso  dare  una
interpretazione  conforme  a  Costituzione della disciplina in esame,
volta  a  fronteggiare  specifiche  esigenze  di  ordine e sicurezza,
discendenti dalla «necessita' di prevenire ed impedire i collegamenti
fra  detenuti  appartenenti  a  organizzazioni criminali, nonche' fra
questi  e  gli appartenenti a tali organizzazioni ancora in liberta»,
collegamenti   che   potrebbero  realizzarsi  proprio  «attraverso  i
contatti   con   il   mondo   esterno»   che  lo  stesso  ordinamento
penitenziario favorisce quali strumenti di reinserimento sociale;
        che,  cosi'  definite le finalita' dell'istituto, la Corte ha
precisato  che  i provvedimenti che applicano l'art. 41-bis, comma 2,
dell'ordinamento  penitenziario debbono essere concretamente motivati
in relazione alle specifiche esigenze di ordine e di sicurezza che ne
costituiscono  il  presupposto,  in quanto il regime differenziato si
fonda  sull'effettivo  pericolo  della  permanenza  dei  collegamenti
interni  ed  esterni  con  le  organizzazioni criminali e con le loro
attivita',  e  non  sull'essere  i  detenuti  autori  di  particolari
categorie di reati;
        che,  proprio  per  questa ragione, i detenuti debbono essere
sottoposti  «a quelle sole restrizioni che siano concretamente idonee
a  prevenire tale pericolo, attraverso la soppressione o la riduzione
delle  opportunita'  che [...]  discenderebbero dall'applicazione del
normale regime penitenziario»;
        che  tali  garanzie,  relative  sia  ai  presupposti  che  ai
contenuti  del  regime  differenziato,  il cui rispetto e' assicurato
dall'obbligo  di  motivazione  da  parte  dell'amministrazione  e dal
successivo  controllo  giurisdizionale, operano anche in relazione ai
provvedimenti di proroga;
        che  ogni  provvedimento  di  proroga deve pertanto contenere
«una  autonoma  congrua motivazione in ordine alla permanenza attuale
dei  pericoli  per  l'ordine  e  la  sicurezza che le misure medesime
mirano a prevenire» e non possono ammettersi «motivazioni apparenti o
stereotipe,  inidonee  a  giustificare  in  termini  di attualita' le
misure disposte» (v. in particolare sentenza n. 376 del 1997);
        che  le  modifiche apportate dalla legge n. 279 del 2002 alla
disciplina  della  proroga  del  regime  differenziato,  prevista nel
comma 2-bis   dell'art. 41-bis,   devono   essere   interpretate   in
conformita' ai principi affermati nella giurisprudenza costituzionale
per quanto riguarda sia i presupposti e i contenuti dell'istituto che
il controllo giurisdizionale sul provvedimento di proroga;
        che tali principi sono stati recepiti dalla giurisprudenza di
legittimita'    formatasi   in   relazione   al   nuovo   comma 2-bis
dell'art. 41-bis,  la  quale ha ribadito che ai fini della proroga e'
necessaria  un'autonoma  e congrua motivazione in ordine alla attuale
esistenza  del  pericolo  per l'ordine e la sicurezza derivante dalla
persistenza  dei  vincoli  con  la  criminalita'  organizzata e della
capacita' del detenuto di mantenere contatti con essa;
        che  la  giurisprudenza  di legittimita' ha pure sottolineato
che  l'inciso  di  cui  al  comma 2-bis  («purche' non risulti che la
capacita'  del  detenuto  o  dell'internato di mantenere contatti con
associazioni  criminali,  terroristiche  o eversive sia venuta meno»)
non  comporta una inversione dell'onere della prova, in quanto rimane
intatto l'obbligo di dare congrua motivazione in ordine agli elementi
da cui «risulti» che il pericolo che il condannato abbia contatti con
associazioni criminali o eversive non e' venuto meno;
        che i dubbi di costituzionalita' sollevati dal rimettente non
hanno  pertanto ragion d'essere, posto che e' possibile attribuire ai
presupposti  del  provvedimento  di  proroga  di  cui  al comma 2-bis
dell'art. 41-bis  dell'ordinamento  penitenziario una interpretazione
conforme a Costituzione;
        che,   in  particolare,  il  provvedimento  di  proroga  deve
contenere  una  adeguata motivazione sulla permanenza dei presupposti
che  legittimano l'applicazione del regime differenziato, vale a dire
sugli  specifici  ed  autonomi elementi da cui risulti la persistente
capacita'  del  condannato  di  tenere contatti con le organizzazioni
criminali;
        che,  a  sua  volta,  in  sede  di controllo giurisdizionale,
spettera'  al  giudice verificare in concreto - anche alla luce delle
circostanze  eventualmente  allegate  dal  detenuto - se gli elementi
posti  dall'amministrazione a fondamento del provvedimento di proroga
siano  sufficienti  a  dimostrare  la  permanenza  delle  eccezionali
ragioni  di  ordine e sicurezza che, sole, legittimano l'adozione del
regime speciale;
        che   le   questioni   devono   pertanto   essere  dichiarate
manifestamente infondate.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.