ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel   giudizio   di   legittimita'  costituzionale  dell'articolo 12,
comma 1,  del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico
delle  disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero), sostituito dall'articolo 11,
comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifiche alla normativa
in  materiadi  immigrazione  e  di asilo), promosso con ordinanza del
17 marzo  2004  dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di  Torino  nel  procedimento  penale  a  carico di M.I., iscritta al
n. 698  del  registro  ordinanze  2004  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 35, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 15 dicembre 2004 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che con l'ordinanza in epigrafe il giudice dell'udienza
preliminare del Tribunale di Torino ha sollevato, in riferimento agli
artt. 25  e  35,  quarto  comma,  della  Costituzione,  questione  di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 12,  comma 1,  del  decreto
legislativo  25 luglio  1998,  n. 286 (Testo unico delle disposizioni
concernenti  la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione
dello  straniero), come sostituito dall'art. 11, comma 1, della legge
30 luglio  2002,  n. 189  (Modifiche  alla  normativa  in  materia di
immigrazione e di asilo), nella parte in cui punisce chi «compie atti
diretti  a  procurare l'ingresso illegale in altro Stato del quale la
persona non e' cittadina o non ha titolo di residenza permanente»;
        che  il  giudice  a  quo  - investito del processo penale nei
confronti  di  persona  imputata, in concorso con altre, del reato di
favoreggiamento  dell'emigrazione  clandestina  previsto  dal comma 3
dell'art. 12   del   d.lgs.   n. 286   del   1998,   come  sostituito
dall'art. 11,  comma 1,  della  legge  n. 189 del 2002 - premette che
nella  condotta  ascritta  al  giudicabile  dovrebbe  ravvisarsi,  in
realta',  il meno grave delitto di cui alla seconda parte del comma 1
dello stesso articolo;
        che  alla  stregua  delle  risultanze  processuali,  infatti,
l'imputato  si  era  limitato a favorire l'emigrazione clandestina di
alcuni  conoscenti  verso  l'Inghilterra,  prendendo  contatto con un
gruppo  di  «passeurs»  ed  accompagnando  gli  interessati nel luogo
convenuto, affinche' potessero salire clandestinamente su un treno;
        che  il fatto non risultava peraltro commesso a fine di lucro
o  nell'ambito  di  una sia pur rudimentale organizzazione: elementi,
questi,   da   ritenere   indispensabili   per   la  configurabilita'
dell'ipotesi  criminosa  contestata,  che  avrebbe  natura  di  reato
autonomo,  e  non  gia'  di  circostanza aggravante della fattispecie
delineata dal comma 1 del citato art. 12;
        che   ad   avviso   del   rimettente,   tuttavia,   la  norma
incriminatrice  effettivamente  applicabile  nella  specie  - quella,
appunto,  di  cui  alla  seconda  parte  del comma 1 dell'art. 12 del
d.lgs.  n. 286  del  1998  - contrasterebbe sotto piu' profili con la
Carta costituzionale;
        che  l'incriminazione  del  favoreggiamento  della migrazione
clandestina  verso  l'estero  -  non contemplata dal testo originario
dell'art. 12  -  sarebbe  stata infatti introdotta dalla legge n. 189
del  2002, in aggiunta a quella del favoreggiamento dell'immigrazione
illegale  in  Italia,  al  fine  di  colmare  un vuoto normativo, che
impediva  di  reprimere  penalmente, ex se, l'attivita' di «gestione»
sul  territorio  nazionale  del  traffico dei clandestini in transito
verso  altri  paesi:  attivita'  ritenuta,  per contro, meritevole di
sanzione  penale,  perche'  potenzialmente  pericolosa  per  l'ordine
pubblico   ed   espressiva  del  fenomeno  dello  sfruttamento  della
migrazione clandestina;
        che  nel  quadro di tale intervento, pero', mentre il comma 3
dell'art. 12  descriverebbe una fattispecie criminosa non lontana dal
modello   del   reato  associativo  speciale  e,  dunque,  con  delle
«connotazioni  antigiuridiche  chiare»,  in  quanto  evocative  di un
«mercato»  organizzato del traffico dei clandestini a scopo di lucro;
invece,  il reato di favoreggiamento «semplice» delineato dal comma 1
avrebbe,  quale  unico  «elemento  tipizzante»,  il  «presupposto  di
illiceita'  speciale»  costituito  dalla  «illegalita»  dell'ingresso
nello   stato  estero:  solo  tale  «illegalita»  renderebbe  infatti
antigiuridica  una  condotta  che,  altrimenti, si risolverebbe nella
mera agevolazione dell'esercizio di un diritto della persona, e cioe'
quello di emigrare dal territorio italiano verso altri stati;
        che,  al  fine  di  stabilire  se  si  sia  di  fronte ad una
emigrazione  «illegale»,  occorrerebbe  peraltro far riferimento alla
normativa del paese di destinazione del migrante clandestino, ammesso
che  lo  si  possa individuare con certezza: circostanza, questa, non
«scontata»,  dato  che  la  norma denunciata punisce anche i semplici
«atti   diretti»   a   procurare  l'ingresso  in  uno  stato  estero,
indipendentemente dall'ottenimento di un qualsiasi risultato;
        che  si  sarebbe pertanto al cospetto di una norma penale «in
bianco»,  il  cui  precetto  e' descritto attraverso il rinvio ad una
legge  straniera,  con  conseguente violazione della riserva di legge
stabilita  dall'art. 25  Cost.  e  dei  principi  di  tassativita'  e
determinatezza delle norme incriminatrici;
        che  la  carenza  di  determinatezza  della  fattispecie  non
potrebbe  essere  «sanata» neppure valorizzando le modalita' concrete
della condotta: ossia ritenendo che la norma punisca l'agevolazione a
lasciare il territorio italiano con modalita' «clandestine»;
        che   tale  procedimento,  oltre  a  non  apparire  corretto,
porterebbe,  infatti,  ad una «pericolosa confusione di piani», posto
che  l'emigrazione  in condizioni di «illegalita» - vista nell'ottica
della  legge  italiana: e dunque, in pratica, l'emigrazione di chi si
trova  in  Italia  come  clandestino  -  non  e'  destinata affatto a
sfociare  sempre  e  comunque  in  una  situazione  di clandestinita'
rispetto a qualunque paese straniero: onde la fattispecie criminosa -
stante  la  sua natura di reato a consumazione anticipata - finirebbe
per colpire una «illegalita» solo futura ed eventuale;
        che   lo   status  di  clandestino  in  Italia  comporterebbe
necessariamente,  d'altra  parte,  che  non  vengano  utilizzati, ove
necessari,  documenti validi per l'espatrio: sicche' - nell'anzidetta
prospettiva  -  qualsiasi  atto diretto ad agevolare l'emigrazione di
chi  non  si  trovi regolarmente sul territorio italiano risulterebbe
passibile  di  sanzione  penale,  persino  ove  miri  a permettere al
soggetto  favorito  di  rientrare  nel  paese d'origine senza doversi
«autodenunciare» come clandestino;
        che,  proprio  per  evitare  tale risultato «paradossale», la
giurisprudenza di legittimita' sarebbe stata in effetti «costretta» a
«singolari   oscillazioni»   nelle  prime  applicazioni  della  nuova
disciplina:  talora  escludendo  la configurabilita' del reato quando
l'ingresso  nello  stato  straniero,  oggetto  di agevolazione, abbia
carattere   solo  momentaneo  e  provvisorio;  altre  volte,  invece,
ritenendo  irrilevante che detto ingresso fosse finalizzato, in tesi,
all'attraversamento del territorio dello stato estero per raggiungere
il  paese  d'origine:  giacche', altrimenti, in quest'ultima ipotesi,
l'integrazione   della   fattispecie  penale  per  il  favoreggiatore
verrebbe a dipendere dalle affermazioni del favorito, senza che vi si
sia  modo  di  controllare la serieta' di detta intenzione ne' la sua
effettiva realizzazione;
        che  tali pronunce renderebbero peraltro palese come la norma
incriminatrice  sia suscettibile di generare contrasti interpretativi
legati  non gia' alla valutazione della condotta del soggetto agente,
ma  alla  vicenda concreta del soggetto favorito: situazione, questa,
da  ritenere  «inaccettabile» sul piano del rispetto del principio di
determinatezza;
        che  la norma impugnata si porrebbe altresi' in contrasto con
l'art. 35,  quarto  comma,  Cost.,  che riconosce, come diritto della
persona, la liberta' di emigrazione;
        che se pure, infatti, il precetto costituzionale contiene una
«riserva   di   legge»,  la  compressione  dell'anzidetto  diritto  -
compressione  che  verrebbe  di  fatto  attuata, allorche' si punisce
l'agevolatore  -  dovrebbe  ritenersi  consentita solo in presenza di
condizioni  eccezionali, collegate a situazioni di pericolosita' o ad
esigenze  di  tutela  dell'ordine pubblico: condizioni che potrebbero
ritenersi   integrate   rispetto   all'ipotesi   di  cui  al  comma 3
dell'art. 12  del  d.lgs.  n. 286  del  1998,  stante la sua ratio di
contrasto del fenomeno della «mercificazione» dei flussi migratori e,
quindi,   dell'agevolazione   «professionale»;  ma  non,  invece,  in
rapporto alla fattispecie oggetto di censura;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata manifestamente inammissibile o infondata.
    Considerato  che  il giudice rimettente dubita della legittimita'
costituzionale   dell'art. 12,   comma 1,   del  decreto  legislativo
25 luglio  1998, n. 286, come sostituito dall'art. 11, comma 1, della
legge  30 luglio 2002, n. 189, nella parte in cui punisce chi «compie
atti diretti a procurare l'ingresso illegale in altro Stato del quale
la persona non e' cittadina o non ha titolo di residenza permanente»,
assumendo  che  la  norma denunciata contrasterebbe con la riserva di
legge  in  materia  penale  ed  il  principio di determinatezza della
fattispecie  incriminatrice,  sanciti dall'art. 25 Cost., nonche' con
la  liberta' di emigrazione, riconosciuta dall'art. 35, quarto comma,
Cost.;
        che  il giudice a quo motiva il dubbio di costituzionalita' -
in  rapporto  ad  entrambi  i  parametri  -  ponendo  a  raffronto la
fattispecie  criminosa  censurata  con quella di cui al comma 3 dello
stesso  art. 12,  che  egli ritiene per contro rispettosa del dettato
costituzionale,  in quanto volta a colpire, in assunto - diversamente
dalla prima - il «mercato organizzato» della migrazione clandestina;
        che,  successivamente  all'ordinanza di rimessione, peraltro,
l'art. 12   del   d.lgs.  n. 286  del  1998  e'  stato  ulteriormente
modificato  dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni
urgenti  in  materia di immigrazione), convertito, con modificazioni,
in   legge   12 novembre  2004,  n. 271,  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 267 del 13 novembre 2004;
        che,   per   quanto  attiene  all'odierno  thema  decidendum,
l'art. 1-ter  del  citato  decreto-legge  -  aggiunto  dalla legge di
conversione  -  non  si  e'  limitato  ad  inasprire  il  trattamento
sanzionatorio  della  fattispecie  di  cui  al  comma 1  della  norma
novellata, ma ha anche inciso, in modo significativo, sulla figura di
cui   al   comma 3   e,   correlativamente,  sulla  disciplina  delle
circostanze aggravanti di entrambe le fattispecie;
        che  anteriormente alla novella, infatti, l'ipotesi di cui al
comma 3  dell'art. 12  del d.lgs. n. 286 del 1998 risultava integrata
sia  quando  il  favoreggiamento dell'immigrazione o dell'emigrazione
clandestina  fosse  commesso  a  fine  di profitto, «anche indiretto»
(primo  periodo  del  comma 3);  sia quando fosse realizzato da tre o
piu'   persone   in   concorso   tra   loro,  o  utilizzando  servizi
internazionali  di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati
o comunque illegalmente ottenuti (secondo periodo del comma 3);
        che,  a  seguito  del  recente  intervento  legislativo,  per
contro,  l'unico  elemento specializzante della fattispecie di cui al
comma 3,  rispetto  a  quella  del comma 1, e' costituito dal fine di
profitto;
        che  gli ulteriori elementi, che precedentemente integravano,
in  via  alternativa,  la  fattispecie di favoreggiamento piu' grave,
sono  stati  invece  trasformati  in circostanze aggravanti, riferite
peraltro, in termini indifferenziati, ad ambedue le ipotesi criminose
in  discorso  (art. 12, comma 3-bis, lettera c-bis, del d.lgs. n. 286
del 1998, come novellato);
        che  gli  atti devono essere pertanto restituiti al giudice a
quo,  ai  fini  di  una nuova valutazione della rilevanza e della non
manifesta  infondatezza  della  questione, alla luce dei sopravvenuti
mutamenti della struttura delle due fattispecie poste a confronto.