ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di ammissibilita' del conflitto tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  delibera  della  Camera  dei  deputati  del
4 febbraio   2004,   relativa   alla   insindacabilita',   ai   sensi
dell'art. 68,   primo   comma,  della  Costituzione,  delle  opinioni
espresse  dall'on.  Vittorio  Sgarbi  nei  confronti del dott. Manlio
Mele,  promosso  dalla Corte d'appello di Palermo - sezione I penale,
con  ricorso  depositato  il 16 giugno 2004 ed iscritto al n. 267 del
registro ammissibilita' conflitti.
    Udito  nella  camera di consiglio del 15 dicembre 2004 il giudice
relatore Paolo Maddalena.
    Ritenuto  che,  nell'ambito  del  giudizio  d'appello  avverso la
sentenza  del  7 ottobre  2002  del  Tribunale di Palermo di condanna
dell'on.  Vittorio  Sgarbi  alla  pena di euro 500,00 di multa per il
delitto  previsto  e  punito dall'art. 595 cod. pen. nei confronti di
Manlio  Mele,  la  Corte d'appello di Palermo - sezione I penale, con
ricorso  depositato  il  16  giugno 2004,  ha  sollevato conflitto di
attribuzione  fra  poteri  dello  Stato contro la deliberazione della
Camera  dei  deputati  del 4 febbraio 2004, con cui tale assemblea ha
dichiarato  che  i  fatti  per  i quali l'on. Sgarbi e' sottoposto al
suddetto    procedimento    penale   concernono   opinioni   espresse
nell'esercizio delle funzioni di parlamentare, ai sensi dell'art. 68,
primo comma, della Costituzione;
        che  il ricorrente, dopo aver richiamato: le sentenze n. 10 e
n. 11 del 2000 di questa Corte, relative al nesso funzionale che deve
intercorrere  tra le opinioni espresse e l'attivita' parlamentare, la
legge   20   giugno 2003,   n. 140   (Disposizioni  per  l'attuazione
dell'articolo 68  della  Costituzione  nonche' in materia di processi
penali   nei   confronti   delle  alte  cariche  dello  Stato)  e  la
«interpretazione  costituzionalmente  orientata»  data dalla sentenza
n. 120  del 2004, rileva come nel caso di specie non possa ravvisarsi
alcun nesso di tal genere, in quanto le dichiarazioni sono state rese
nell'ambito  di una trasmissione televisiva condotta dal parlamentare
senza alcun collegamento con l'attivita' istituzionale dello stesso e
senza  che  queste  rappresentino una divulgazione all'esterno di una
opinione gia' espressa dall'interessato nell'esercizio delle funzioni
parlamentari tipiche;
        che  pertanto,  secondo  la Corte d'appello, la deliberazione
della   Camera   esorbiterebbe   dall'ambito  derogatorio  consentito
dall'art. 68   della   Costituzione  e  verrebbe,  in  tal  senso,  a
interferire   illegittimamente  con  le  attribuzioni  dell'autorita'
giudiziaria.
    Considerato   che,   in   questa   fase  del  giudizio,  a  norma
dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
la    Corte    costituzionale   e'   chiamata   a   valutare,   senza
contraddittorio,  se  «esiste  la  materia  di  un  conflitto  la cui
risoluzione spetti alla sua competenza», restando impregiudicata ogni
ulteriore decisione, anche in punto di ammissibilita';
        che  nella  fattispecie sussistono i requisiti, soggettivo ed
oggettivo, del conflitto;
        che infatti, quanto al requisito soggettivo, devono ritenersi
legittimati  ad  essere  parte  del  presente  conflitto sia la Corte
d'appello  di  Palermo - essendo principio costantemente affermato da
questa Corte che i singoli organi giurisdizionali, esplicando le loro
funzioni  in  situazione  di  piena  indipendenza, costituzionalmente
garantita,   sono   da   considerarsi   legittimati,   attivamente  e
passivamente,  ad  essere parti di conflitti di attribuzione - sia la
Camera  dei  deputati,  in  quanto  organo  competente  a  dichiarare
definitivamente  la  propria  volonta'  in  ordine all'applicabilita'
dell'art. 68, primo comma, della Costituzione;
        che,  quanto  al  profilo  oggettivo, sussiste la materia del
conflitto,  dal  momento  che  la ricorrente lamenta la lesione della
propria sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantita, da parte
della citata deliberazione della Camera dei deputati;
        che  dal ricorso possono ricavarsi «le ragioni del conflitto»
e  «le  norme costituzionali che regolano la materia», come richiesto
dall'art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale.