Ricorso per il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, nei confronti della Regione Emilia-Romagna, in persona del suo Presidente della Giunta; Avverso l'art. 26 comma 4, l'art. 29 comma 2 (e, per quanto ivi richiamato, l'art. 8 comma 3), l'art. 32, l'art. 33 commi 1, 2, 3 e 4 (eccettuata, nel comma 3, la lettera d) e l'art. 34 commi 1 e 2 (del comma 2 con esclusione delle lettere b, c, d ed e) della legge regionale 21 ottobre 2004, n. 23, intitolata «vigilanza e controllo dell'attivita' edilizia ed applicazione della normativa statale di cui all'art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 326...», pubblicata nel Boll. Uff. n. 26 del 22 ottobre 2004. La determinazione di proposizione del presente ricorso e' stata approvata dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 10 dicembre 2004 (si depositera' estratto del relativo verbale). L'art. 32 comma 25 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326 ammette al cosiddetto condono edilizio anche le «nuove costruzioni residenziali» non superiori ai limiti volumetrici ivi indicati. L'art. 33, comma 1 della legge regionale in esame invece esclude dalla sanatoria straordinaria tutti i nuovi manufatti edilizi realizzati «in contrasto con la legislazione urbanistica o (ripetesi, o) con le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data del 31 maggio 2003.». L'art. 33, comma 1 citato, oltre a non essere coordinato con 1'art. 17 della medesima legge regionale ed a non considerare l'efficacia di strumenti urbanistici eventualmente sopravvenuti dopo il 31 marzo 2003, contrasta con l'art. 117 e l'art. 119 Cost.: Nella fondamentale sentenza n. 196 del 2004 codesta Corte ha affermato che la disciplina amministrativa del condono edilizio (non anche la repressione penale degli abusi piu' gravi) rientra nella materia di competenza concorrente «governo del territorio» (art. 117 comma terzo Cost.). Ne consegue che la Regione e' tenuta ad attenersi ai principi posti dalla legislazione statale. La sanabilita' delle «nuove costruzioni residenziali» di relativamente modeste dimensioni realizzate in contrasto con gli strumenti urbanistici (non anche in contrasto con vincoli extraurbanistici) e' principio cui ogni Regione deve attenersi. La Regione puo' specificare i limiti (quantitativi e non) della sanabilita', e persino «limare» entro margini di ragionevole tollerabilita' (come qualche altra Regione ha fatto) le volumetrie massime previste del legislatore statale; non puo' invece negare in toto o in misura prevalente (rispetto al quantum di volumetria ammesso dalla legge statale) la sanabilita' di dette nuove costruzioni. Un diniego totale ed aprioristico, quale quello contenuto nella citata disposizione regionale, contraddice uno dei principi fondamentali determinati dal legislatore statale e persino la configurabilita' - ammessa anche da codesta Corte - di una sanatoria straordinaria degli illeciti urbanistici. L'art. 33 comma 1 contrasta inoltre con gli artt. 117 comma secondo e 119 Cost.. L'art. 117 comma secondo lettere A ed E attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di rapporti con l'Unione europea (e relativi stringenti «vincoli») e di «moneta» (oggi moneta unica difesa dai noti parametri di Maastricht) nonche' in materia di «sistema tributario e contabile dello Stato». D'altro canto, l'art. 117 comma terzo e l'art. 119 comma secondo attribuiscono allo Stato il compito - particolannente arduo - di coordinare la «finanza pubblica» (al singolare). Notoriamente, piu' leggi del Parlamento fanno affidamento sul gettito del condono edilizio per la copertura (art. 81 Cost.) di spese pubbliche e di minori entrate; comprimere in misura oggettivamente eccessiva le possibilita' di accedere alla sanatoria straordinaria riduce sensibilmente quel gettito, lede le potesta' statali di governo della finanza pubblica, e potrebbe persino essere considerato indebita turbativa dell'equilibrio finanziario del Paese nel suo insieme. Del resto, la Regione non assume a proprio carico l'onere conseguente alla riduzione del predetto gettito, non sposta cioe' prelievo da coloro che hanno commesso gli abusi edilizi alla generalita' dei cittadini che in essa risiedono. Parimenti grave appare la lesione del principio di eguaglianza (art. 3, comma primo Cost.) delle persone rispetto alla legge e della competenza esclusiva ex art. 117, comma secondo lettera L Cost. (ordinamento civile e penale). Indubbiamente i giudici comuni devono applicare anche le leggi regionali; conseguentemente l'eccessiva restrizione, ad opera del legislatore emiliano, dell'ambito di applicazione della legislazione statale in tema di condono edilizio obbliga i Giudici comuni a rendere, a carico dei proprietari ed autori di illeciti (e di eventuali controinteressati e parti offese), pronunce quanto meno asistematiche; cio' malgrado l'art. 26 comma 2 della legge regionale in esame reciti «fermo restando gli effetti estintivi del reato conseguenti alla corresponsione dell'oblazione.». Identiche doglianze per inosservanza dei dianzi evocati parametri costituzionali devono essere mosse anche nei confronti dell'art. 33, commi 2 e 3, dell'art. 34 commi 1 e 2 e dell'art. 32 della legge in esame. La sanabilita' di ampliamenti e sopraelevazioni e' stata sottoposta dai predetti commi 2 e 3 dell'art. 33 a limiti che irrazionalmente ed eccessivamente si discostano da quelli previsti dall'art. 32, comma 25 citato e dalla legislazione statale in esso comma richiamata: la legge in esame ammette «aumenti della cubatura» diversamente modulati e che, per solito, risultano molto minori specialmente per gli edifici residenziali monofamiliari e bifamiliari. Per quest'ultimi, tra l'altro, il limite di 100 metri cubi risulta irrazionalmente piu' severo di quello (100 metri quadri) che segna il confine tra la nozione di variazione essenziale e la nozione di parziale difformita' (per l'Emilia Romagna, art. 23 della legge reg. n. 25 novembre 2002, n. 31). Inoltre, contrasta con il carattere straordinario del condono edilizio il far grossomodo coincidere (in realta' le parole «per singola unita' immobiliare «sono restrittive) con l'anzidetto confine lo aumento della cubatura» (10 per cento) massimo consentito per l'accesso alla sanatoria. L'art. 33 comma 3 ed anche l'art. 34 comma 2 consentono la sanatoria straordinaria di interventi «che siano conformi alla legislazione urbanistica ma che contrastino con le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data del 31 maggio 2003.». Non del tutto chiaro e' il significato dell'espressione «conformi alla legislazione urbanistica» (si allude forse a standards urbanistici); una puntualizzazione in proposito potrebbe venire dalla difesa della Regione. E' comunque palese che una interpretazione ampia di quella espressione chiuderebbe la strada alla sanabilita' di qualsiasi, anche minore, abuso. Lesivo dell'autonomia degli enti locali per quanto ne vincola oltre misura la potesta' urbanistica e contrastante - oltre che con i parametri costituzionali dianzi evocati - anche con la garanzia costituzionale della proprieta' (art. 42 Cost.) appare l'art. 33, comma 4, che impone di mantenere per venti anni la destinazione d'uso non abitativa. L'art. 34, comma 1 non ammette a sanatoria, «fatto salvo quanto disposto dal comma 2», gli interventi di ristrutturazione edilizia senza distinguere tra ristrutturazioni per le quali e' necessario permesso di costruire e ristrutturazioni a volumetria e superfice utile lorda invariate. Detto comma ricalca il comma 2 dell'art. 33, ed utilizza esso pure lo «o» disgiuntivo. L'art. 34, comma 2 ammette invece a sanatoria gli interventi di ristrutturazione, purche' ricorrano tutte le condizioni elencate ed essi «siano conformi alla legislazione urbanistica». Anche questi due commi dell'art. 34, oltre ad essere poco coordinati con l'art. 14 commi 2 e 4 della medesima legge regionale, sostanzialmente contrastano con i principi della legislazione statale e con i parametri costituzionali dianzi evocati. Oltretutto, le ristrutturazioni edilizie a carico urbanistico invariato o poco variato non comportano necessita' di interventi di riqualificazione urbana e i relativi oneri per le comunita' locali. Priva di giustificazione, e quindi solo ostruzionistica, appare la «condizione» introdotta dalla lettera a) dell'art. 34 comma 2, in assenza di principio determinato dal Parlamento. Quanto all'art. 32 oggi in esame, e, esso - oltre a contrastare con gli artt. 117 e 119 Cost. per quanto dianzi esposto - viola anche il principio di eguaglianza (art. 3 comma primo Cost.) e la garanzia costituzionale della proprieta' (art. 42 Cost.) introducendo «ex novo» due esclusioni che irrazionalmente discriminano tra proprietari di edifici ed anche tra autori (eventualmente imputati) degli illeciti edilizi. In particolare, risulta ingiustificata l'esclusione di cui alla lettera a), e troppo rigida e «meccanica - si pensi alla regolarizzazione in passato di un minuscolo abuso - l'esclusione prevista dalla lettera b); per quest'ultima avrebbe potuto essere proporzionato alla finalita' perseguita ad esempio il non computare la volumetria in passato «condonata» nella base per il calcolo del 10% di «aumento della cubatura.». La demolizione delle disposizioni sin qui considerate (ed ove occorra anche dell'art. 40 lettera b della legge in esame) non produce lacune, posto che essa consente il riespandersi della normativa statale. Si confida peraltro in un nuovo sollecito intervento legislativo della Regione, intervento che - se effettivamente idoneo a superare la controversia - potrebbe non essere reputato tardivo. Ulteriore doglianza deve muoversi nei confronti dell'art. 26, comma 4 della legge regionale in esame, ove la Regione - contraddicendo la linea seguita nei menzionati articoli 32, 33 e 34 - prevede una sanatoria straordinaria gratuita ed «ope legis» non sorretta da alcun principio fondamentale determinato dallo Stato, e contrastante con le esigenze della finanza pubblica. Del resto, anche gli illeciti urbanistici non recenti, se non sanati, permangono; e non v'e' ragione di introdurre una discriminazione (art. 3 comma primo Cost.) tra proprietari. L'art. 29, comma 4 concerne le «asseverazioni non veritiere» e prevede sanzioni disciplinari ed eventualmente penali a carico del professionista. La disposizione appare lesiva della competenza esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile e penale», e della competenza concorrente in materia di «professioni» (art. 117 comma secondo lettera L e comma terzo Cost.) . La disposizione non puo' essere considerata meramente confermativa di regole generali, posto che le «asseverazioni» delle quali qui si tratta sono richieste anche per trasformazioni edilizie gia' realizzate (non solo progettate) e che possono non essere ricomprese tra quelle per le quali e' sufficiente la dichiarazione di inizio attivita'.