IL TRIBUNALE Premesso che: con decreto penale del 19 settembre 2003 Gallizioli Gianfranco e stato condannato a pagare l'importo di complessivi euro 800,00 per la violazione degli artt. 21 e 89, comma 2, lett. b) decreto legislativo n. 626/1994 e degli artt. 22 e 89, comma 2, lett. b) decreto legislativo n. 626/1994; Il predetto decreto e' stato notificato a mezzo posta presso la residenza anagrafica del Gallizioli, con perfezionamento della procedura tramite compiuta giacenza, con corretto deposito del plico presso l'ufficio postale, immissione dell'avviso nella cassetta della corrispondenza e invio del secondo avviso; Successivamente al decorso dei termini previsti per la proposizione di opposizione al decreto penale il destinatario del decreto, affermando di non aver avuto effettiva conoscenza del decreto, ha formulato, in via principale, opposizione e, in via subordinata, istanza di restituzione nel termine, affermando che la mancata conoscenza del decreto era dovuta alla circostanza che dal luogo di residenza egli si era allontanato da data precedente a quella di notifica del decreto penale, in quanto l'immobile era stato assegnato alla moglie in sede di giudizio di separazione dei coniugi; Osservato che l'opposizione appare a prima vista tardiva, in quanto in forza dell'art. 461, comma 1, c.p.p. il termine per l'opposizione decorre dal momento in cui si perfeziona il procedimento di notifica disciplinato dal codice e che, pertanto, l'istanza, allo stato della normativa, potrebbe essere valutata nel merito solo in relazione alla chiesta restituzione nel termine per proporre opposizione, formulata, in via subordinata, dall'istante; Svolta apposita udienza ex art. 127 c.p.p. a seguito della riserva assunta in quella sede, vagliati gli atti e dopo approfondito studio della problematica giuridica connessa, si debbono formulare le seguenti osservazioni e svolgere il conseguente incidente di costituzionalita': nel merito non si puo' omettere di rilevare che anche l'istanza di restituzione nel termine, allo stato della normativa, dovrebbe essere rigettata, perche' emerge immediatamente che l'evento che ha determinato, secondo la narrazione dei fatti svolta dallo stesso istante, la sua mancata conoscenza del provvedimento e' un evento addebitabile integralmente all'istante medesimo, atteso che questi non si e' premurato di mutare la propria residenza o di apprestare quanto necessario ad avere conoscenza della corrispondenza che gli fosse stata notificata presso la precedente residenza, avendo per di piu' gia' avuto conoscenza della pendenza di un procedimento penale per avere esso preso avvio da un sopralluogo effettuato presso l'impresa dell'istante in esito al quale erano gia' state contestate le infrazioni accertate; alla luce di questi profili di fatto si e' in presenza di un evento che di certo non e' qualificabile come caso fortuito o forza maggiore, ma che impedisce anche l'operare del disposto dell'art. 175, comma 2, c.p.p., dettato appositamente per regolare in modo piu' ampio della disciplina ordinaria la restituzione nel termine per proporre opposizione a decreto penale (oltre che impugnazione a sentenza contumaciale): il citato art. 175, comma 2, c.p.p., infatti, consente la restituzione del termine anche in presenza della mera prova della mancata effettiva conoscenza del provvedimento, purche' cio' non sia dipeso da colpa del destinatario; come detto nel caso di specie i profili di colpa dell'istante sono indiscutibili, posto cio' si impone, pero', al giudicante l'onere di vagliare se questa disciplina sia compatibile con il dettato costituzionale pertinente alla struttura del processo penale, che con l'art. 111 Cost. e' stato ampiamente aggiornato; oggi, infatti, l'utilizzo di meccanismi processuali alternativi a quello ordinario e' ammesso, qualora essi incidano sul momento di formazione delle prove escludendo il contraddittorio, solo ove tale esclusione sia motivata da eventi specifici, che consistono in situazioni qualificabili come illecite (provata condotta illecita), in eventi che rendano impossibile adottare il contraddittorio e, infine, nel consenso dell'imputato; la compatibilita' del procedimento per decreto con il nuovo art. 111 Cost. ha gia' passato il vaglio della Corte costituzionale, la quale, con due diverse pronunce (ord. 15 gennaio 2003, n. 8 e ord. 4 febbraio 2003 n. 32), da un lato, ha confermato la possibilita' di qualificare l'acquiescenza al decreto come consenso all'utilizzazione degli atti di indagine raccolti dal pubblico ministero", (ord. 4 febbraio 2003 n. 32), dall'altro, ha definito la natura del rito in termini tali per cui, al di la' della denominazione formale, il decreto di condanna costituisce [...] una sorta di decisione preliminare, destinata ad essere posta nel nulla in caso di opposizione ed a trasformarsi in pronuncia definitiva di condanna solo nel caso in cui l'imputato, non opponendosi, vi presti acquiescenza" (ord. 15 gennaio 2003, n. 8), con assoluta conformita' al modello processuale delineato dal nuovo art. 111 Cost.; quelle valutazioni appaiono, ovviamente, del tutto condivisibili, ma da esse non si puo' omettere di ricavare una connotazione del rito qui in esame in termini ampiamente differenti da come lo stesso e' stato tradizionalmente inteso e ha tradizionalmente operato, il tutto con effetti ineludibili sul profilo che viene qui piu' direttamente in considerazione; l'art. 111 Cost., infatti, ha imposto uno spostamento di piano, che si coglie in modo paradigmatico nella pronuncia n. 8 del 2003 della Corte costituzionale, laddove a fronte di una affermazione che ripete il tenore di altre risalenti pronunce (addirittura la n. 29/1974), per le quale il decreto penale «costituisce [...] una sorta di decisione preliminare, destinata ad essere posta nel nulla in caso di opposizione» (nella sent. n. 29/1974 si leggeva che il decreto penale costituisce «una decisione preliminare, contro la quale l'imputato puo' proporre opposizione» e che l'opposizione mette «nel nulla il decreto»), tuttavia, emerge poi un allargamento del piano di analisi dal momento dell'opposizione a quello speculare della non opposizione, laddove la Corte conclude che quella «sorta di decisione preliminare» e' destinata «a trasformarsi in pronuncia definitiva di condanna solo nel caso in cui l'imputato, non opponendosi, vi presti acquiescenza»; laddove si vede bene come una simile acquiescenza non possa che assumere i tratti piu' pregnanti del «consenso», perche' l'esigenza di fermare l'attenzione sul momento adesivo al decreto e' imposta dal tenore dell'art. 111, comma 5, Cost., il quale, come detto, permette una rinuncia al contraddittorio sulla formazione delle prove solo in presenza di eccezioni determinate, tra le quali, non l'acquiescenza, ma il consenso dell'interessato; ovviamente non e' il dato lessicale che conta, ma il dato sostanziale, per cui cio' che rileva e' l'assunzione di rilievo autonomo al momento adesivo (comunque lo si voglia chiamare) al decreto, il quale realizza uno spostamento radicale del piano di ricostruzione dell'istituto: non piu' un procedimento che si svolge inaudita altera parte, in cui la condanna «preliminare» e' destinata ad essere dissolta dall'eventuale impugnazione del destinatario; ma un procedimento audita altera parte, la quale e' chiamata a dare il suo consenso ad una proposta di condanna, seppure in forma tacita e per fatti concludenti, consentendo in tal modo che quella proposta possa trasformarsi in pronuncia definitiva; quello spostamento prospettico impone di concludere che l'atto volitivo essenziale nella dinamica del rito non e' piu' l'opposizione, come poteva essere in passato, ma quello che la Corte chiama l'acquiescenza, e che l'art. 111, comma 5, Cost. chiama il consenso, secondo uno schema che, merita di essere notato, non differisce molto dal modello di cui agli artt. 444 ss. c.p.p., presentando le sole specificita' che l'intervento di controllo giurisdizionale sulla proposta di pena e' anticipato rispetto alla manifestazione di volonta' dell'interessato e che esso investe non solo la congruita' della pena ma anche il merito dell'imputazione; quel che ne deriva, ai soli fini qui rilevanti, e' evidente: se e' l'adesione alla proposta di condanna contenuta nel decreto a dare a questo valenza propria di pronuncia di condanna definitiva occorre che l'interessato abbia avuto effettiva conoscenza del decreto, perche' senza quella conoscenza effettiva non potra' mai ritenersi maturato un suo consenso; in questo contesto l'art. 175, comma 2, c.p.p. pare rispettare perfettamente (nella sua prima parte) questa ricostruzione, ammettendo alla proposizione di una opposizione tardiva colui che formalmente (ossia secondo i meccanismi di notifica vigenti: i quali per il decreto penale sono gia' stati ampiamente ridotti dalla stessa Corte costituzionale proprio allo scopo di garantire l'effettiva conoscenza) avrebbe dovuto avere conoscenza del decreto, ma «provi di non aver avuto effettiva conoscenza del provvedimento» questo recupero di effettivita' della conoscenza e', infatti, indispensabile, perche' senza quell'attributo non si potrebbe affermare che il decreto abbia ricevuto il necessario consenso dell'imputato; a fronte di cio', invece, nella sua seconda parte il medesimo art. 175, comma 2, c.p.p. aggiunge un requisito che diviene incompatibile con la struttura che il procedimento per decreto deve avere per essere compatibile con l'art. 111 Cost., imponendo che la mancata conoscenza effettiva non sia dovuta a colpa del destinatario; con una simile aggiunta quel che avviene e' che si ammette che il destinatario del decreto possa non avere avuto effettiva conoscenza del decreto, ma, malgrado cio', si' ritiene maturato un suo consenso al decreto perche' la mancata conoscenza e' dovuta a sua colpa: si vede bene come cio' sia inaccettabile; l'art., 175, comma 2, c.p.p., dunque, appare manifestamente in contrasto con l'art. 111 Cost. nella parte in cui subordina la possibilita' di essere rimesso nel termine per proporre opposizione a decreto penale al fatto che la mancata conoscenza non dipenda da una sua colpa, anche per colui che provi di non aver avuto effettiva conoscenza del provvedimento; va da se' e si deve prospettare in via subordinata che ove non si ritenesse in contrasto con la norma costituzionale indicata l'art. 175, comma 2, c.p.p., perche' essendo istituto eccezionale puo' rispondere a ragionevoli esigenze di stabilita' che se ne subordini l'operativita' anche a requisiti quali l'assenza di colpa dell'interessato, allora diverrebbe necessario ravvisare l'illegittimita' del combinato disposto degli artt. 461, comma 1, e 648, comma 3, c.p.p., per contrasto con l'art. 111, comma 5. Cost., nella parte in cui omettendo di attribuire qualsiasi rilievo al consenso del destinatario fanno decorrere i termini per l'opposizione e per la conseguente irrevocabilita' del decreto dalla mera notificazione del decreto penale e non gia' dall'effettiva conoscenza del decreto penale, evento che puo' presumersi in presenza di una procedura di notifica regolare ma che, per lo stesso ordinamento (v. art. 175, comma 2, c.p.p. e 420-bis c.p.p.), puo' non coincidere; quanto alla rilevanza della questione per questo giudice e in questa fase, essa emerge in modo piano dalla considerazione che, come si e' gia' notato, ove rimanga la situazione normativa attuale l'opposizione dovra' essere dichiarata inammissibile in quanto tardiva, mentre la richiesta di restituione nel termine dovra' essere rigettata perche' la mancata effettiva conoscenza, se esistente, appare fin d'ora imputabile a colpa dell'istante, mentre ove venga accolta la questione principale l'opposizione dovra' essere ugualmente dichiarata inammissibile in quanto tardiva ma potra' vagliarsi la richiesta di restituzione nel termine, deliberando se quanto documentato sia idoneo a far ritenere provata la mancata effettiva conoscenza del decreto e se sussistano gli altri presupposti per la chiesta restituzione e parimenti ove venga accolta la questione subordinata potra' vagliarsi la tempestivita' dell'opposizione dovendo il termine decorrere dall'effettiva conoscenza del decreto;