Ricorso   per   il   Presidente   del   Consiglio  dei  ministri,
rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato.

    Nei confronti della Regione Marche, in persona del suo presidente
della  giunta,  avverso  l'art. 3 (eccettuato il comma 4) della legge
regionale  29 ottobre  2004  n. 23, intitolata «norme sulla sanatoria
degli abusi edilizi», pubblicata nel Boll. Uff. del 4 novembre 2004.
    La  determinazione  di proposizione del presente ricorso e' stata
approvata  dal  Consiglio dei ministri nella riunione del 23 dicembre
2004 (si depositera' estratto del relativo verbale).
    L'art. 1 della legge in esame giustamente riconosce che l'art. 32
del d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito nella legge 24 novembre
2003  n. 326,  determina  principi  fondamentali  ai quali le regioni
devono  conformarsi.  Ed  invero la sentenza 28 giugno 2004 n. 196 di
codesta  Corte  ha  riconosciuto  «al  legislatore regionale un ruolo
rilevante  ....  di articolazione e specificazione delle disposizioni
dettate  dal  legislatore  statale  in  tema di condono, sul versante
amministrativo»,  ed  ha affermato che «l'adozione della legislazione
(di articolazione e specificazione) da parte delle regioni appare non
solo   opportuna  ma  doverosa  e  da  esercitare  entro  il  termine
determinato dal legislatore nazionale».
    L'art. 3,   comma 1,   in  esame,  senza  distinguere  tra  nuove
costruzioni  ed  ampliamenti  (o  ristrutturazioni) e tra permanere o
mutare  delle destinazioni d'uso, stabilisce due limiti quantitativi:
200 metri cubi per ogni singola unita' immobiliare per i fabbricati a
destinazione  residenziale,  150  metri quadri (alias, mediamente 600
metri  cubi)  per  i  fabbricati  a  destinazione  non  residenziale.
Peraltro,  detto  comma 1  e'  parzialmente  - per gli ampliamenti di
fabbricati a destinazione non residenziale - integrato dal successivo
comma 2.  Inoltre,  per  i  centri storici sono dal comma 3 stabiliti
altri  limiti  quantitativi, con ammissione a sanatoria di volumetrie
pari grossomodo ad un terzo di quelle di cui al comma 1.
    Cosi'  disponendo la legge marchigiana si e' molto discostata dai
principi determinati dallo Stato, contraddicendo quanto enunciato nel
citato  art. 1 della medesima legge regionale; per di piu' essa si e'
discostata  dai  principi  anzidetti  non  soltanto  nel senso di una
riduzione delle volumetrie massime sanabili. Infatti, ad esempio, per
effetto  dell'abolizione del limite del 30 per cento della volumetria
prevista  dall'art. 32,  comma 25,  del citato d.l. 30 settembre 2003
n. 269,   un   piccolo   fabbricato  (ad  esempio,  una  officina  di
elettrauto)  di  220  metri  cubi abusivamente ampliato di aggiuntivi
1000 metri cubi puo' essere sanato, ossia puo' esserlo per molto piu'
del  30  per  cento  ammesso, come limite massimo, dalla legislazione
statale.
    Per  contro,  la  legge  marchigiana  in  pratica  esclude  dalla
sanatoria   straordinaria   quasi   tutte   le   «nuove   costruzioni
residenziali».  Infatti,  la  volumetria  massima  di  200 metri cubi
(alias  circa  60  metri quadri di superfice utile lorda) e' talmente
modesta  da  di  fatto non consentire il condono edilizio dalle nuove
costruzioni di normali dimensioni.
    Oltre  a  non  rispettare  i  principi  posti  dalla legislazione
statale, l'art. 3 in esame stranamente alterna misure di volumetria a
misure  di superfice (e di superfice utile, non e' precisato se lorda
o netta), ed appare nel complesso poco razionale; cio' anche per aver
soppresso   la   essenziale   distinzione  tra  nuove  costruzioni  e
ampliamenti,  e  fatto  ricorso soltanto a limiti massimi espressi in
cifre assolute.
    L'art. 3  in  esame  contrasta  con  gli  artt. 117  e  119 della
Costituzione,  e  -  come  si  dira'  nel prosieguo - per separati e,
potrebbe dirsi, contrari motivi.
    Come  dianzi  osservato,  la  regione  ha  riconosciuto di essere
tenuta  ad  attenersi  ai  principi posti dalla legislazione statale,
poiche'  la disciplina amministrativa del condono edilizio (non anche
la  repressione  penale degli abusi piu' gravi) rientra nella materia
di  competenza  concorrente «governo del territorio» (art. 117, comma
terzo   della  Costituzione).  In  questo  quadro,  la  regione  puo'
specificare  i  limiti  (quantitativi  e  non)  della  sanabilita', e
persino  «limare»  entro  margini di ragionevole tollerabilita' (come
qualche  altra  regione  ha fatto) le volumetrie massime previste del
legislatore  statale;  non  puo'  invece  negare  in toto o in misura
prevalente  (rispetto  al  quantum  di volumetria ammesso dalla legge
statale) la sanabilita' delle nuove costruzioni o degli ampliamenti.
    Le  disposizioni  in  esame comprimono oltre il tollerabile ed il
consentito  la  sanabilita' delle «nuove costruzioni residenziali» ed
anche  degli  ampliamenti dei fabbricati a destinazione residenziale.
Come  osservato,  esse  rendono praticamente impossibile la sanatoria
straordinaria delle «nuove costruzioni residenziali» di non minuscola
dimensione,  riducendo  da  750  metri  cubi a 200 metri cubi (e, nei
centri  storici, a 75 metri cubi) la volumetria massima sanabile «per
ogni  singola unita' immobiliare». Per contro, e' soppresso il limite
dei   3000   metri  cubi.  Analogo  discorso  deve  farsi  per  degli
ampliamenti, essi pure sanabili solo se l'aumento della volumetria e'
non superiore a 200 metri cubi (e nei centri storici a 75 metri cubi)
anziche' a 750 metri cubi.
    Per   gli   ampliamenti   dei   fabbricati   a  destinazione  non
residenziale  l'art. 3  e' meno restrittivo, se si considera anche la
probabile   cumulabilita'  (cfr.  lo  «inoltre»  nel  comma 2)  della
maggiore  volumetria  corrispondente  ai 150 metri quadri (comma 1) e
della  maggiore  superfice utile «senza aumento di volume» (comma 2).
Il  comma 1  parrebbe  consentire anche la sanatoria straordinaria di
nuove costruzioni non residenziali fino a 150 metri quadrati.
    L'art. 3  in  esame  contrasta inoltre con gli artt. 117, secondo
comma   e  119  Cost.  L'art. 117,  secondo  comma  lettere  A  ed  E
attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di rapporti
con  l'Unione europea (e relativi stringenti «vincoli») e di «moneta»
(oggi moneta unica difesa dai noti parametri di Maastrich) nonche' in
materia  di  «sistema  tributario  e  contabile dello Stato». D'altro
canto,   l'art. 117,   terzo   comma   e  l'art. 119,  secondo  comma
attribuiscono  allo  Stato  il  compito  - particolarmente arduo - di
coordinare  la  «finanza pubblica» (al singolare). Notoriamente, piu'
leggi  del  Parlamento  fanno  affidamento  sul  gettito  del condono
edilizio  per  la  copertura  (art. 81 Cost.) di spese pubbliche e di
minori  entrate;  comprimere  in  misura  oggettivamente eccessiva le
possibilita'   di   accedere   alla  sanatoria  straordinaria  riduce
sensibilmente quel gettito, lede le potesta' statali di governo della
finanza  pubblica,  e  potrebbe  persino  essere considerato indebita
turbativa  dell'equilibrio finanziario del Paese nel suo insieme. Del
resto,  la  regione  non  assume a proprio carico l'onere conseguente
alla  riduzione  del  predetto  gettito, non sposta cioe' prelievo da
coloro  che  hanno  commesso  gli  abusi edilizi alla generalita' dei
cittadini che in essa risiedono.
    Parimenti  grave  appare  la lesione del principio di eguaglianza
(art. 3, primo comma, Costituzione) delle persone rispetto alla legge
e  della competenza esclusiva ex art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost.  (ordinamento  civile e penale). Indubbiamente i giudici comuni
devono   applicare   anche   le   leggi  regionali;  conseguentemente
l'eccessiva   restrizione,  ad  opera  del  legislatore  marchigiano,
dell'ambito  di  applicazione  del  legislatore  statale  in  tema di
condono  edilizio  obbliga  i  giudici comuni a rendere, a carico dei
proprietari ed autori di illeciti (e di eventuali controinteressati e
parti offese), pronunce quanto meno asistematiche.
    Quest'ultima considerazione conduce a trattare del diverso e, per
cosi'  dire,  contrario motivo di illegittimita' costituzionale delle
disposizioni  in  esame.  Come  si  e'  detto,  queste ammettono alla
sanatoria  opere  abusive  non  ammesse  ad  essa  dalla legislazione
statale,  per effetto della soppressione dei citati limiti del 30 per
cento  e  dei  3000  metri cubi, ed anche non differenziando le nuove
costruzioni  non  residenziali.  Per  quanto estendono l'ambito della
sanabilita',  dette  disposizioni  invadono palesemente la competenza
esclusiva  del Parlamento nazionale in materia di «ordinamento civile
e  penale» (art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione):
nei  giudizi  civili  e  penali  i proprietari (imputati o convenuti)
beneficiari  di sanatoria solo «regionale» chiederebbero pronunce non
consentite  dalla  legislazione statale (con prevedibili questioni di
legittimita' costituzionale sollevate in via incidentale).
    La demolizione delle disposizioni considerate non produce lacune,
posto  che  essa consente il riespandersi della normativa statale. Si
confida  peraltro  in un nuovo sollecito intervento legislativo della
regione  intervento  che  -  se  effettivamente  idoneo a superare la
controversia - potrebbe non essere reputato tardivo.