Ricorso   per   il   Presidente   del   Consiglio  dei  ministri,
rappresentato dall'Avvocatura dello Stato,

    Nei  confronti  della  Regione  Lombardia,  in  persona  del  suo
presidente  della  giunta,  avverso  l'art. 1, comma 1 (limitatamente
alle  parole «salvo quanto disposto dalla presente legge»), l'art. 2,
commi  1  e  2, e l'art. 3, comma 1, della legge regionale 3 novembre
2004,   n. 31,  intitolata  «disposizioni  regionali  in  materia  di
illeciti  edilizi»,  pubblicata  nel Bollettino ufficiale n. 45 del 5
novembre 2004 (supplemento ordinario).
    La  determinazione  di proposizione del presente ricorso e' stata
approvata  dal  Consiglio dei ministri nella riunione del 23 dicembre
2004 (si depositera' estratto del relativo verbale).
    L'art. 32,   comma 25,   del   d.l.   30 settembre  2003,  n. 269
convertito  nella legge 24 novembre 2003 n. 326 ammette al cosiddetto
condono  edilizio  anche  le  «nuove  costruzioni  residenziali»  non
superiori ai limiti volumetrici ivi indicati. L'art. 2, comma 1 della
legge regionale in esame invece esclude dalla sanatoria straordinaria
tutte  le  «nuove costruzioni, residenziali e non, qualora realizzate
in  assenza  del  titolo  abilitativo  edilizio,  e (ripetesi, e) non
conformi   agli  strumenti  urbanistici  generali  (ossia  non  anche
attuativi)  vigenti  alla  data  di  entrata in vigore della presente
legge».  La  disposizione  appare  non  univoca  laddove  menziona la
«assenza del titolo abilitativo» e non anche la totale difformita' da
esso o le variazioni essenziali. Considerato il carattere derogatorio
della  disposizione  rispetto all'art. 1, comma 1, dovrebbe ritenersi
che  l'esclusione  dalla  sanatoria  concerna  soltanto il caso della
assenza  del  titolo  abilitivo;  ma  potrebbe  anche essere data una
opposta  interpretazione.  L'art. 2,  comma 1 inoltre riduce, per gli
ampliamenti,  i  limiti  massimi  di  volumetria aggiuntiva ammessa a
sanatoria straordinaria. L'art. 2, comma 2, pone alla sanabilita' dei
mutamenti  di  destinazione  d'uso,  senza  distinguere tra mutamenti
implicanti  opere  ed  altri  mutamenti e tra mutamenti incidenti sui
carichi   urbanistici  ed  altri  mutamenti,  due  limiti  (o  se  si
preferisce  due  condizioni).  Infine,  l'art. 3, comma 1, esclude la
sanabilita delle opere abusive realizzate in «aree soggette a vincoli
... qualora il vincolo comporti inedificabilita' assoluta ...»
    Le   disposizioni   menzionate   contrastano  con  l'artt. 117  e
l'art. 119 della Costituzione. Nella fondamentale sentenza n. 196 del
2004  codesta Corte ha affermato che la disciplina amministrativa del
condono  edilizio  (non  anche la repressione penale degli abusi piu'
gravi)  rientra  nella materia di competenza concorrente «governo del
territorio»  (art. 117, terzo comma, della Costituzione). Ne consegue
che  la  regione  e'  tenuta  ad  attenersi  ai  principi posti dalla
legislazione statale.
    In   particolare,   la   sanabilita'   delle  «nuove  costruzioni
residenziali»  di  relativamente  modeste  dimensioni  realizzate  in
contrasto  con  gli strumenti urbanistici (non anche in contrasto con
vincoli   extraurbanistici)   e'  principio  cui  ogni  regione  deve
attenersi.  La regione puo' specificare i limiti (quantitativi e non)
della  sanabilita',  e  persino «limare» entro margini di ragionevole
tollerabilita'  (come  qualche  altra regione ha fatto) le volumetrie
massime  previste  del legislatore statale; non puo' invece negare in
toto  o  in  misura  prevalente  (rispetto  al  quantum di volumetria
ammesso   dalla   legge   statale)  la  sanabilita'  di  dette  nuove
costruzioni.  Un  diniego  totale,  quale quello contenuto nel citato
art. 2,   comma 1,   contraddice   uno   dei   principi  fondamentali
determinati  dal  legislatore statale e persino la configurabilita' -
ammessa anche da codesta Corte - di una sanatoria straordinaria degli
illeciti  urbanistici. Per rafforzare il diniego la disposizione reca
anche  le  parole «e non conformi agli strumenti urbanistici generali
vigenti». La non conformita' di un intervento edilizio agli strumenti
urbanistici costituisce pero' necessario presupposto logico-giuridico
della sanatoria straordinaria; configurarla come limite condizionante
si traduce, in sostanza, in una ulteriore ragione di esclusione dalla
sanatoria stessa.
    L'art. 2,  comma  1, contrasta inoltre con gli artt. 117, secondo
comma e 119 della Costituzione. L'art. 117, secondo comma, lettere a)
ed  e)  attribuisce  allo Stato la competenza esclusiva in materia di
rapporti  con l'Unione europea (e relativi stringenti «vincoli») e di
«moneta»  (oggi moneta unica difesa dai noti parametri di Maastricht)
nonche'  in  materia di «sistema tributario e contabile dello Stato».
D'altro  canto,  l'art. 117,  terzo comma e l'art. 119, secondo comma
attribuiscono  allo  Stato  il  compito  - particolarmente arduo - di
coordinare  la  «finanza pubblica» (al singolare). Notoriamente, piu'
leggi  del  Parlamento  fanno  affidamento  sul  gettito  del condono
edilizio  per  la  copertura  (art. 81  della  Costituzione) di spese
pubbliche  e  di  minori entrate; comprimere in misura oggettivamente
eccessiva  le  possibilita'  di accedere alla sanatoria straordinaria
riduce  sensibilmente  quel  gettito,  lede  le  potesta'  statali di
governo della finanza pubblica, e potrebbe persino essere considerato
indebita  turbativa  dell'equilibrio  finanziario  del  Paese nel suo
insieme.  Del  resto,  la regione non assume a proprio carico l'onere
conseguente  alla  riduzione  del  predetto gettito, non sposta cioe'
prelievo  da  coloro  che  hanno  commesso  gli  abusi  edilizi  alla
generalita' dei cittadini che in essa risiedono.
    Parimenti  grave  appare  la lesione del principio di eguaglianza
(art.  3, primo comma della Costituzione) delle persone rispetto alla
legge e della competenza esclusiva ex art. 117, secondo comma lettera
l)  della Costituzione (ordinamento civile e penale). Indubbiamente i
giudici   comuni   devono   applicare   anche   le  leggi  regionali;
conseguentemente  l'eccessiva  restrizione,  ad opera del legislatore
lombardo, dell'ambito di applicazione del legislatore statale in tema
di  condono edilizio obbliga i giudici comuni a rendere, a carico dei
proprietari ed autori di illeciti (e di eventuali controinteressati e
parti offese), pronunce quanto meno asistematiche.
    Identiche doglianze per inosservanza dei dianzi evocati parametri
costituzionali  devono  essere mosse anche nei confronti dell'art. 2,
comma  2.  Piu'  del  limite  quantitativo (500 metri cubi per unita'
immobiliare),  non  congruo  ai  mutamenti  della destinazione d'uso,
rileva  l'altro  limite sul quale si e' gia' argomentato in occasione
della identica formula usata nel comma 1.
    Una  doglianza  diversa  e, per cosi' dire, di segno opposto deve
essere  formulata nei riguardi dell'art. 3, comma 1, comma che appare
di  non  agevole  interpretazione.  Se  inserito  nel  tessuto  della
legislazione statale confermata dall'art. 1, comma 1, la disposizione
parrebbe  superflua;  se invece considerato esaustivo ed a se' stante
il comma, interpretabile a contrario, contrasterebbe con il principio
posto dall'art. 32, comma 27, lettera d) del citato d.l. 30 settembre
2003, n. 269.
    Per quanto estenda l'ambito della sanabilita', detta disposizione
invade  palesemente  la competenza esclusiva del Parlamento nazionale
in  materia i «ordinamento civile e penale» (art. 117, secondo comma,
lettera  l),  della  Costituzione):  nei  giudizi  civili  e penali i
proprietari  (imputati  o  convenuti)  beneficiari  di sanatoria solo
«regionale»  chiederebbero pronunce non consentite dalla legislazione
statale  (con  prevedibili  questioni  di legittimita' costituzionale
sollevate in via incidentale).
    La demolizione delle disposizioni sin qui considerate non produce
lacune,  posto  che  essa  consente  il  riespandersi della normativa
statale.  Si  confida  peraltro  in  un  nuovo  sollecito  intervento
legislativo  della regione, intervento che - se effettivamente idoneo
a superare la controversia - potrebbe non essere reputato tardivo.