IL TRIBUNALE

    Decidendo  in ordine alla richiesta di archiviazione avanzata dal
p.m.  nei  confronti  di  Lombardi  Anna,  Prandini  Diego  e  Barzoi
Giuseppe;
    Rilevato  che  il  presente  procedimento  e'  stato  fissato  ex
art. 409,  comma 5  c.p.p.  non apparendo accoglibile la richiesta di
archiviazione   avanzata   dal  p.m.,  risultando  in  atti  elementi
sufficienti  a  pronosticare  una condanna in giudizio per i reati di
cui  agli  artt. 44  d.P.R. n. 380/2001 (20, legge n. 47/1985) e 163,
d.P.R.  n. 490/1999 connessi all'esecuzione di opere edilizie in zona
vincolata  in  assenza  dei  prescritti  provvedimenti autorizzatori,
atteso che quanto realizzato non appare ricomprensibile nella nozione
di  opere  eseguite  in  difformita'  parziale,  comportando sagome e
volumi  diversi  da  quelli  assentiti,  peraltro  realizzati in zona
sottoposta  a  vincolo (cfr. artt. 10, lett. c) e 22, commi 1, 2 e 3,
d.P.R. n. 380/2001), ne' in quella di opere pertinenziali, sia per la
esecuzione   in   zona   sottoposta   a   vincolo   (con  conseguente
ravvisabilita'  del  menzionato  reato  di  cui  all'art. 163, d.P.R.
n. 490/1999  e  inapplicabilita'  della  esenzione  da  provvedimento
concessorio  prevista  dall'art. 7,  comma 2 della legge n. 94/1982),
sia per la loro spiccata autonomia fisica rispetto alla pretesa opera
principale;
    Rilevato   infatti   che   la   procedura  di  sanatoria  seguita
dall'indagato  ai  sensi dell'art. 13, legge n. 47/1985 (ora art. 36,
d.P.R  n. 380/2001)  non  appare idonea a conseguire l'estinzione dei
reati per cui e' procedimento, atteso che:
        1)  il  reato  edilizio in senso stretto, per l'esecuzione di
opere  edilizie  in  assenza  o  in  totale  difformita'  dal  titolo
abilitativo, non appare sanato non risultando definiti ne' pagati gli
oneri  concessori  di  cui  all'art. 13,  comma 3,  legge  n. 47/1985
(art. 36,  d.P.R. n. 380/2001), al cui versamento la norma riconnette
l'effetto estintivo del reato;
        2)  nel  fatto  denunziato e' ravvisabile anche la violazione
dell'art. 163  del  d.P.R. n. 490/1999, non estinta dalla concessione
in   sanatoria  rilasciata  ai  sensi  degli  artt. 36  e  45  d.P.R.
n. 380/2001 (artt. 13 e 22, legge n. 47/1985);
    Osservato che il procedimento andrebbe tuttavia sospeso nella sua
interezza  per  effetto  del  richiamo  ai  capi  IV  e V della legge
n. 47/1985  (ove  trova  collocazione  l'art. 44,  che  prescrive  la
sospensione  dei  procedimenti  giurisdizionali,  ivi compresi quelli
penali,  sino alla scadenza del termine - fissato al 10 dicembre 2004
dall'art. 32, comma 32, d.l. n. 269/2003, come modificato dall'art. 5
del  d.l. n. 168/2004 - stabilito per la presentazione della «domanda
relativa  alla definizione dell'illecito edilizio») operato dall'art.
32,  comma 25  del  d.l.  n. 269/2003,  ora  convertito  nella  legge
n. 326/2003,  trattandosi di opere suscettibili di «condono» ai sensi
dei  commi  1,  26  e 27 del predetto art. 32, considerandosi come il
comma  28 del citato art. 32 dispone che rovino applicazione anche le
norme  di  cui  all'art. 39  della legge n. 724/1994, il cui comma 8,
espressamente   stabiliva   che  il  rilascio  della  concessione  in
sanatoria  (se preceduta dalle prescritte autorizzazioni delle pp.aa.
preposte  alla  tutela  del vincolo) produceva l'estinzione del reato
relativo alla violazione del vincolo;
    Letti gli atti, ha pronunziato la seguente ordinanza.
    Il presente procedimento ha ad oggetto reati edilizi in relazione
ai  quali  assume rilievo l'art. 32 della legge n. 326/2003 (la quale
ultima  ha convertito il d.l. n. 269/2003), che prevede la sanatoria,
ad  istanza dell'interessato e dietro pagamento di una somma a titolo
di  «oblazione», dei reati edilizi e di quelli commessi in violazione
del  vincolo  sui beni ambientali e culturali, commessi entro la data
del  31 marzo  2003; in attesa della scadenza del termine fissato per
la  presentazione  dell'istanza  ed  il  pagamento  della  somma,  il
procedimento  penale  e'  sospeso  in  forza della legge suddetta, la
quale  infatti  richiama  anche l'art. 44 della legge n. 47/1985 (che
appunto  detto  effetto sospensivo riconnette alle domande di condono
edilizio).
    Poiche'  il procedimento ha ad oggetto opere condonabili ai sensi
della  suddetta legge (in quanto realizzate prima del 31 marzo 2003 e
non  rientranti nella categorie elencate dall'art. 32, comma 27 della
legge  n. 326/2003),  questo  giudice e' chiamato a fare applicazione
della normativa indicata, quanto meno sotto il profilo del limite che
la  sospensione  del procedimento pone alla sua capacita' di adottare
una decisione; cio' si sottolinea a rimarcare, comunque, la rilevanza
delle  questioni  che  si andranno a sollevare, e che sono gia' state
sollevata da questo giudice in questo stesso procedimento ed in altri
aventi oggetto analogo con ordinanze emanate in data 5 dicembre 2003;
la  Corte  costituzionale,  con  l'ordinanza  n. 197 del 24-28 aprile
2004,  ha  disposto  la  restituzione  degli  atti  a questo giudice,
ritenendo  di avere operato una modifica sostanziale della disciplina
impugnata  con  l'emanazione,  in  quelle stesse date, della sentenza
n. 196/2004,   che   aveva   dichiarato  la  parziale  illegittimita'
costituzionale  dell'art. 32  della  legge n. 326/2003; di talche', a
giudizio  della  Corte,  si poneva il problema di «un nuovo esame dei
termini delle questioni e della loro perdurante rilevanza nei giudizi
a quibus».
    Osserva  il giudicante che la Corte, con la sentenza n. 196/2004,
non  ha  vagliato le specifiche censure che questo giudice (sulle cui
ordinanze  di rimessione quella sentenza peraltro non decideva) aveva
mosso  alla  legittimita'  in se' delle leggi di condono o sanatoria,
avendo la Corte osservato che, nel sollevare la questione, le (altre)
autorita'  rimettenti  non  avevano  svolto argomentazioni diverse da
quella  gia'  confutate  dalla Corte con proprie precedenti sentenze,
alle quali pertanto riteneva di doversi uniformare.
    Ritiene  questo  giudice di avere invece ulteriori argomentazioni
da   sottoporre   al  vaglio  della  Corte,  e  tali  che  dovrebbero
verosimilmente  indurla  a  rivedere le sue pur argomentate pregresse
decisioni  in  ordine  a compatibilita' costituzionale delle leggi di
condono con effetti estintivi del reato.
    Tanto  premesso, puo' quindi passarsi all'esame particolareggiato
delle   rilevabili   cause  di  illegittimita'  costituzionale  della
normativa indicata.
    Il contrasto con l'art. 79 della Costituzione.
    Va  quindi  prima  di  tutto  ricordato,  quanto al contrasto con
l'art.  79,  comma 1  della  Costituzione,  che  tale norma affida la
potesta'  di  estinguere i reati con atto legislativo solo alla legge
di amnistia, che deve essere approvata con la maggioranza qualificata
di 2/3 dei membri di ciascuna Camera. Tale puntualizzazione appare di
tutto  rilievo, atteso che la previsione di un procedimento estintivo
di  tutti  i  reati di una determinata specie gia' commessi entro una
data   prefissata,   subordinata  al  pagamento  di  somme  ed  altri
comportamenti del reo, altro non e' che un'amnistia condizionata come
disciplinata  dall'art. 151,  comma 4  c.p.,  a prescindere dal nomen
iuris  «condono», «sanatoria» et similia) prescelto dal legislatore e
che non puo' valere a mascherare l'effettiva natura del provvedimento
emanato.   Infatti,   opinare  diversamente  significa  accettare  la
frustrazione delle garanzie e dei vincoli posti dalla Costituzione in
relazione   all'oggetto,   allo   scopo  ed  alla  funzione  di  quei
provvedimenti  che  -  come  quelli  che, dichiarando l'estinzione di
determinati  gia' commessi reati, sono disciplinati nelle forme della
legge   di  amnistia  -  appaiono  dotati  di  particolare  rilevanza
costituzionale (operando sulla eguaglianza dei cittadini davanti alla
legge  penale),  sicche' non a caso la legge fondamentale dello Stato
li   disciplina   operando  una  attenta,  ragionata  e  non  casuale
ripartizione  di  competenze  tra i poteri dello Stato e, nell'ambito
delle  attribuzioni dello stesso potere, prevede altresi' procedure e
limiti per l'esercizio dello stesso.
    Va quindi ricordato che analoghe questioni di incostituzionalita'
per   violazione   dell'art. 79   Cost.,  sollevate  in  relazione  a
precedenti  leggi  di condono furono ritenute non fondate dalla Corte
costituzionale,  che  escluse  - anche in ragione dell'eccezionalita'
dell'istituto  -  che le leggi di condono potessero essere equiparate
ad  amnistie  condizionate, anche in ragione della complessita' delle
fattispecie  di sanatoria; cio', tuttavia, in forza di argomentazioni
che,  a distanza di tempo, ed alla luce dell'esperienza maturatasi in
questi  anni  in ordine all'uso ed abuso degli strumenti di condono e
sanatoria,   appaiono   meritevoli  di  riconsiderazione,  almeno  in
relazione al caso in oggetto, atteso che:
        a)   e'  proprio  dell'amnistia  c.d.  «condizionata»  vedere
l'effetto  estintivo  del  reato promanare non gia' in via diretta ed
immediata dal provvedimento di clemenza, ma dall'adempimento da parte
dell'interessato  di  obblighi  od  oneri  specificati  dal  suddetto
provvedimento  di  clemenza,  oltre che dal verificarsi di condizioni
eventualmente  esterne  alla  volonta'  dello interessato: sicche' la
circostanza  che  l'effetto estintivo previsto dalla richiamata legge
n. 326/2003  consegua  ad una complessa fattispecie (presentazione di
apposita domanda corredata di documentazione varia; versamento di una
somma  di danaro commisurata generalmente all'entita' dell'opera; non
e  invece  necessario il rilascio del provvedimento amministrativo di
concessione  in  sanatoria, atteso che ex art. 39, legge n. 47/1985 -
richiamata  dal  d.l.  perche'  compreso  nel  capo  IV  della  legge
n. 47/1985 - l'effetto estintivo del reato consegue al mero pagamento
della   somma   dovuta  a  titolo  di  «oblazione»),  peraltro  tutta
consistente  di  obblighi il cui adempimento e' rimesso alla volonta'
dell'imputato,   appare   attagliarsi   perfettamente   alla   figura
dell'amnistia  condizionata;  e' per tale ragione che non convincono,
ed appaiono superate dall'effetto dell'abuso dell'istituto in meno di
un   decennio,   le   diverse  argomentazioni  proprie  di  C.  cost.
n. 369/1988  e 427/1995, che comunque sembravano poggiare sul rilievo
dell'eccezionalita'  dell'istituto  (eccezionalita' negata dall'abuso
dell'istituto  e  su  cui  comunque,  ampiamente  si dira' oltre, per
negarne la sussistenza);
        b)  in  ogni  caso, quand'anche volesse ritenersi, reiterando
l'insegnamento  di  cui alle due pronunzie della Corte costituzionale
citate  da  ultimo,  che  la  complessita' (peraltro eventuale) della
fattispecie  estintiva  delineata  dalle procedure di cui all'art. 32
della  legge  n. 326/2003  mal  si  attagli alla figura dell'amnistia
condizionata,  non  puo'  comunque  non  dubitarsi  fortemente  della
legittimita'   costituzionale  di  provvedimenti  legislativi  aventi
effetti  estintivi  del  reato  ma  diversi dall'amnistia, atteso che
quello  di  emanare quest'ultima (con un procedimento particolarmente
garantito  dalla  necessaria  sussistenza  del  voto  positivo  della
maggioranza  dei  2/3 dei componenti di ciascuna delle Camere su ogni
articolo  oltre  che sul testo finale) e' l'unico potere che la Carta
costituzionale assegni al Parlamento come strumento ed espressione di
una  potesta'  assolutamente  eccezionale  (di  talche'  e' lo stesso
insegnamento  della  Corte costituzionale a ricordare che presupposti
legittimanti  devono  esserne  situazioni  particolari)  di  paralisi
dell'azione  penale,  che  l'art. 112  Cost.  vuole  obbligatoria  e,
secondo   il   comune  insegnamento  della  dottrina  costituzionale,
irretrattabile;
        b-bis)   invero,   anche   l'esegesi   storica   della  carta
Costituzionale   conduce   allo   stesso   risultato  interpretativo:
nell'impianto originario, il potere di emanare amnistia era assegnato
al  Presidente  della  Repubblica,  sia  pure  su legge di delega del
Parlamento:  legge,  tuttavia,  che  costituiva in capo al Presidente
della  Repubblica  un  potere,  e  non  gia'  un  obbligo (di emanare
l'amnistia);  potere,  a  sua  volta, che era assegnato al Capo dello
Stato  perche',  nella  sua  veste  di  garante  super  partes  delle
istituzioni e della Costituzione, valutasse l'opportunita' di emanare
un  provvedimento  di amnistia, che la Costituzione evidentemente non
voleva   assegnato   all'arbitrio   delle   contingenti   maggioranze
politiche,  stante  l'ovvio  ed  evidente  pericolo  di  abusi  della
maggioranza   e   della   realizzazione  di  privilegi  di  esenzione
dall'obbligatorieta'  dell'azione  penale,  e quindi in violazione di
tale  ultimo  principio,  dalla  Costituzione  istituito  a garantire
l'effettivita'  del  principio di eguaglianza dei cittadini anche nel
processo penale.
    Nell'impianto  successivo  alla  modifica  apportata  dalla legge
costituzionale  n. 1/1992,  all'emanazione dell'amnistia e necessaria
una  legge  votata  con  maggioranza  altamente  qualificata (2/3 dei
componenti  di  ciascuna  Camera,  per  ogni  articolo  e  sul  testo
complessivo),  al  fine precipuo di realizzare quella stessa garanzia
la  cui  tutela  era  prima  affidata al Presidente della Repubblica,
atteso  che  -  sottratto il relativo potere a quest'ultimo (anche al
fine  di  accentuarne  la  deresponsabilizzazione politica) - solo il
concorso  di  maggioranze  altamente  qualificate, statisticamente di
gran  lunga  eccedenti  quelle  proprie delle maggioranze di governo,
poteva garantire da quel pericolo di abusi cui gia' si e' accennato.
        b-ter)  ne consegue che, come premesso, le leggi di «condono»
o  «sanatoria»,  in  cui  l'effetto  estintivo  della responsabilita'
penale  per  fatti  gia'  commessi  e'  collegata  all'adempimento di
condizioni  od  obblighi  da  parte  dell'imputato,  sia o meno detto
adempimento sottoposto a controllo da parte di organi amministrativi,
sono senz'altro costituzionalmente illegittime se non adottate con le
maggioranza  qualificate  di  cui  all'art. 79 Cost.: infatti, se non
costituiscono  provvedimenti  di  amnistia  condizionata «mascherata»
senz'altro  si  pongono  oltre  i  limiti  dei poteri assegnati dalla
Costituzione  al  Parlamento,  e  sono  pertanto comunque illegittimi
costituzionalmente.
        c)  Pertanto a prescindersi dal nomen iuris attribuibile agli
istituti estintivi disciplinati dall'art. 32 della legge n. 326/2003,
pur  dopo le modifiche apportate dalla sentenza C. cost. n. 196/2004,
questi appaiono comunque costituzionalmente illegittimi: se si tratta
di  un'amnistia «mascherata», e' in concreto incostituzionale perche'
deliberata  senza  la  maggioranza  qualificata imposta dall'art. 79,
primo  comma  Cost.;  ma  anche  ove  non  si ritenga trattarsi di un
provvedimento  di amnistia mascherata, e' incostituzionale perche' la
Costituzione  appare  aver  volutamente  e scientemente previsto solo
l'amnistia  - in forza del suo particolare procedimento deliberativo,
prima  rimesso ad un potere del capo dello Stato pur se su delega del
Parlamento, poi ad una maggioranza altamente qualificata - come unico
strumento  per  paralizzare per via normativa l'esercizio dell'azione
penale e derogare al principio dell'eguaglianza dei cittadini davanti
alla legge penale.
    Il  contrasto  con  gli  art.  3,  112  e  9  della  Costituzione
(principio   di   eguaglianza   dei  cittadini  davanti  alla  legge;
obbligatorieta'  dell'azione  penale  e sua irretrattabilita'; tutela
del paesaggio).
    Effetto  principe  di ogni legge di condono o sanatoria, ed anche
delle  leggi  di  amnistia,  e'  quello  di operare una disparita' di
trattamento  tra i cittadini: sia perche' coloro che hanno violato la
legge  vengono  trattati  come  coloro  che  non l'hanno violata; sia
perche',  tra  cittadini  entrambi contravventori della legge, alcuni
beneficiano  del  provvedimento di clemenza, altri no (ad esempio, in
dipendenza  del  tempus commissi delicti, o del titolo del reato, pur
eventualmente a parita' di pena edittale).
    E'  per  tale  ragione  che,  anche con riferimento alle leggi di
amnistia,  la  Corte  costituzionale  ha  nel passato rilevato che le
stesse  debbano giustificarsi in relazione a circostanza particolari,
nelle quali possa trovarsi ragionevole fondamento della previsione di
una  simile disparita' di trattamento; e la previsione costituzionale
di  maggioranze  altamente  qualificate  (addirittura  piu'  ampie di
quelle  necessarie  per  una  legge  di  riforma  costituzionale) per
l'emanazione  della legge di amnistia sembra assolvere in buona parte
alla stessa esigenza.
    Nel  caso  di  leggi  di  condono o sanatoria che, come quella in
oggetto,   sono   state   adottate   senza  le  maggioranze  previste
dall'art. 79   della   Costituzione,   l'effetto   di  disparita'  di
trattamento  diviene  di  assoluta  evidenza;  e  cio' tanto piu' con
riferimento  proprio  alla  specifica normativa prevista dall'art. 32
della legge n. 326/2003, come meglio oltre si dira'.
    Va subito sgombrato il campo da ogni possibile equivoco in ordine
alla  pretesa assimilabilita' dei condoni all'istituto dell'oblazione
disciplinato  dagli  artt. 162  e  162-bis della codice penale, dalla
quale  sia  l'amnistia che il provvedimento di condono tributario, al
di  la'  dei  nomina  iuris  scelti dal legislatore, profondamente si
differenziano.  Infatti,  l'oblazione  e'  un mezzo di estinzione del
reato previsto dal legislatore in via ordinaria, generale ed astratta
per  tutti  i  reati,  generalmente  ancora  da commettere e non gia'
commessi,  rientranti  in  una determinata tipologia (contravvenzioni
puniti  con  pena  pecuniaria,  da  sola  o  in  alternativa a quella
detentiva), che li caratterizza come reati di ridotta gravita', per i
quali  e'  gia'  in  via  ordinaria prevista la pena pecuniaria, come
unica   pena  o  come  alternativa  alla  pena  detentiva;  l'effetto
estintivo  del  reato  e'  ricollegato al pagamento di una somma che,
essendo  una  quota  rilevante  del  massimo  della  pena  pecuniaria
prevista  per tali reati (tant'e' che non e' prevista oblazione per i
reati  per  i  quali  la  pena  da irrogarsi abbia natura detentiva),
assolve  nel  concreto  alle  finalita' proprie della condanna a pena
pecuniaria,  e non appare pertanto porsi in violazione con i principi
di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge penale.
    Rileva pertanto che, invece, sia l'amnistia (condizionata o meno)
che  il  condono  edilizio  disciplinato  dalle norme richiamate sono
rivolti   solo  a  reati  gia'  commessi  prima  dell'emanazione  del
provvedimento  estintivo,  essendo peraltro il c.d «condono» connesso
al  pagamento  di  somme che non costituiscono quota parte della pena
prevista per i reati «condonabili» (ordinariamente, ed in particolare
nel  caso  in oggetto, puniti con pena pecuniaria congiunta alla pena
detentiva),  sicche',  anche  per  tal  via, il suddetto «condono» si
presta  ad  assurgere  a  lesione  del principio di eguaglianza tra i
cittadini  (tra quelli che hanno rispettato la legge e quelli che non
l'hanno  rispettata,  e tra quelli che sono stati condannati con pena
di  legge  e  quelli  che, magari per la maggior capacita' di rendere
difficoltoso  l'accertamento  della  loro responsabilita', ancora non
sono  stati  condannati  a  pena  di  legge,  e mai lo saranno grazie
proprio al «condono»: principio di eguaglianza peraltro che la stessa
legge di amnistia rispetta - in quel che appare essere l'insegnamento
della  Corte  costituzionale  -  ove  ancorata ad eventi e situazioni
eccezionali, mentre l'attuale legge di condono sembra essere ancorata
solo  ad  una  eccezionale difficolta' (apparentemente politica, piu'
che oggettiva) di reperire altrimenti fonti finanziarie sufficienti a
coprire le spese dello Stato.
    Concludendo,   la  disciplina  di  cui  all'art. 32  della  legge
n. 326/2003   realizza   con   tutta   evidenza   un  trattamento  di
ingiustificato ed iniquo favore nei confronti del cittadino disonesto
rispetto  a  quello  corretto e fedele, con ingiustificata violazione
della  tutela  del  paesaggio  e  manifesta  violazione  anche  degli
artt. 3,  112  e  9  Costituzione,  che predicano la necessita' delle
tutela  del  paesaggio  ed  ambiente  (che  come puo' essere leso dal
singolo,  cosi'  puo'  essere  leso  dalla  regione  o dal comune che
adottino  provvedimenti  autorizzativi  in violazione degli strumenti
urbanistici  approvati),  l'eguaglianza  dei  cittadini  davanti alla
legge    in    generale,    a    quella    penale    in   particolare
(l'irrettrattabilita'   dell'azione  penale  essendo  corollario  del
principio  dell'obbligatorieta'  di detta azione il quale a sua volta
e'  applicazione  del  principio  di  eguaglianza  davanti alla legge
penale),  e  non  ammettono  pertanto che il cittadino infedele possa
ricevere  un  trattamento  di  maggior  favore - vedendosi dichiarare
l'estinzione   del   reato,   laddove   l'azione   penale  e'  voluta
irretrattabile    come    corollario    del   principio   della   sua
obbligatorita',   cui   solo   il   procedimento   costituzionale  di
legislazione  di  amnistia  puo'  porre  fine - rispetto al cittadino
fedele,   atteso   che   e'   insegnamento   costante   della   Corte
costituzionale  che ogni disparita' di trattamento deve rinvenire una
ragionevole  giustificazione, e la commissione di un illecito (penale
e/o  amministrativo  in  materia  edilizia)  non  puo'  evidentemente
assurgere  a  giustificazione  di  un  privilegio  o  comunque  di un
trattamento di favore proprio in materia penale ed edilizia.
    Violazione dell'art. 54 della Costituzione.
    Va  inoltre  osservato  che, pur espressamente sancendo lo stesso
art. 54  della  Costituzione che tutti i cittadini hanno il dovere di
osservare  la Costituzione e le leggi, la legge di condono tributario
si pone invece a premio (come appena osservato) di chi la legge abbia
violato,  ed  addirittura a disincentivazione del cittadino onesto al
rispetto  per il futuro delle norme di legge: cosi' ravvisando questo
giudice  nella  normativa  di condono una violazione anche del citato
art. 54 della Costituzione.
    Confutazione della ricorrenza di casi di «eccezionalita».
    La  stessa  Corte costituzionale, peraltro, come si accennava, ha
sempre  strettamente  collegato  la legittimita' costituzionale delle
leggi  di  condono  alla  ricorrenza  di  situazioni particolari ed a
carattere   eccezionale,   che,   uniche,   avrebbero  assicurato  la
legittimita'  costituzionali  di  leggi  estintive  della punibilita'
penale  e  non  aventi  le  caratteristiche  delle leggi di amnistia;
premesso   che  da  cio'  si  evince  che  secondo  la  stessa  Corte
costituzionale,  pertanto,  le  leggi di sanatoria e condono non sono
ordinariamente  legittime  costituzionalmente,  ma possono diventarlo
solo  in  dipendenza  di  situazioni  eccezionali,  e  riservando  al
successivo  sviluppo  di questa ordinanza alcune doverose riflessioni
sulla  dignita'  costituzionale della categoria della «eccezionalita»
quale  ipotesi di deroga ai principi costituzionali, vale la pena qui
richiamare  le  parole che ancora con la citata sentenza n. 196/2004,
la Corte ha pronunziato, affermando che:
        «Questa  Corte,  nella gia' richiamata giurisprudenza in tema
di  condono  edilizio, ha piu' volte messo in evidenza che fondamento
giustificativo  di  questa  legislazione  e'  stata  la necessita' di
chiudere  un  passato  illegale in attesa di poter infine giungere ad
una  repressione  efficace  dell'abusivismo edilizio, pur se non sono
state  estranee  a  simili  legislazioni anche "ragioni contingenti e
straordinarie  di  natura  finanziaria"  (tra le altre, cfr. sentenze
n. 256 del 1996, n. 427 del 1995 e n. 369 del 1988, nonche' ordinanza
n. 174 del 2002).
    Cio' a giustificazione di un provvedimento normativo senza dubbio
eccezionale  e  straordinario,  che deve trovare la propria ratio sia
nella  "persistenza  del  fenomeno  dell'abusivismo,  con conseguente
esigenza  di  recupero  della  legalita'", sia nella imputabilita' di
tale  fenomeno  di  abusivismo  "almeno in parte, proprio alla scarsa
incisivita'  e  tempestivita' dell'azione di controllo del territorio
da parte degli enti locali e delle regioni" (cfr. sentenza n. 256 del
1996 e, analogamente, sentenze n. 302 del 1996 e n. 270 del 1996).
    Su  questo  piano,  non  puo' negarsi che la legislazione statale
negli   ultimi   anni  sia  profondamente  mutata,  prevedendo  ormai
strumenti preventivi e repressivi adeguati, e che abbia trovato anche
una  sua  relativa  stabilizzazione  nel  recente  testo  unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia adottato
con  d.P.R.  n. 380  del  2001  (non  a caso, il comma 2 dello stesso
art. 32  impugnato si riferisce appunto - seppur con norma contestata
dalle  ricorrenti ed alla quale si fara' riferimento oltre - a questo
testo  unico  come  ad una fonte idonea a creare discontinuita' nella
stessa legittimazione ad adottare un condono edilizio).
    Al  tempo stesso, non poche realta' comunali e regionali sembrano
aver  assunto linee di politica amministrativa e legislativa coerenti
con  un  azione di contrasto dell'abusivismo edilizio, anche se certo
non in modo omogeneo in tutto il territorio nazionale.
    In   realta',   la  giurisprudenza  di  questa  Corte  ha  sempre
considerato   ogni   condono  edilizio,  che  incide  -  come  si  e'
ripetutamente  sottolineato  -  sulla  sanzionabilita' penale e sulla
stessa   certezza   dei  diritto,  nonche'  sulla  tutela  di  valori
essenziali come il paesaggio e l'equilibrato sviluppo del territorio,
solo   come   un  istituto  "a  carattere  contingente  e  del  tutto
eccezionale"  (in  tale senso, ad esempio, sentenze n. 427 del 1995 e
n. 416  del  1995), ammissibile solo "negli stretti limiti consentiti
dal  sistema  costituzionale"  (sentenza n. 369 del 1988), dovendo in
altre   parole   "trovare   giustificazione   in   un   principio  di
ragionevolezza" (sentenza n. 427 del 1995).
    Pertanto   questa   Corte,   specie   dinanzi   alla  sostanziale
reiterazione  -  tramite  l'art. 39 della legge n. 724 del 1994 - del
condono  edilizio  degli anni ottanta, piu' volte ha ammonito che non
avrebbe   superato  il  vaglio  di  costituzionalita'  una  ulteriore
reiterazione  sostanziale della preesistente legislazione del condono
(fra  le  molte,  cfr.  sentenze  n. 427  del 1995 e n. 416 del 1995,
nonche' ordinanze n. 174 del 2002, n. 45 del 2001 en. 395 del 1996).
    Tali   affermazioni,  tuttavia,  non  implicano  l'illegittimita'
costituzionale  di  ogni  tipo di condono edilizio straordinario, mai
affermata da questa Corte.
    Piuttosto,  occorre  uno  stretto  esame di costituzionalita' del
testo  legislativo  che  preveda un nuovo condono edilizio al fine di
individuare   un   ragionevole   fondamento,   nonche'   elementi  di
discontinuita'  rispetto  ai  precedenti  condoni edilizi, in modo da
evitare  l'obiezione  secondo  cui  si sarebbe in realta' prodotto un
vero   e   proprio   ordinamento   legislativo   stabile,  diverso  e
contrapposto  a quello ordinario, della cui gestione per di piu' sono
in larga parte titolari soggetti istituzionali diversi dallo Stato.
    Sottoponendo l'art. 32 oggetto del presente giudizio all'esame se
sussista una giustificazione del condono, rileva il comma 2 di questo
articolo,  il  quale  esprime  -  seppure  con  linguaggio  in  parte
improprio  -  l'opportunita'  che  si  preveda  ancora  una  volta un
intervento   straordinario  di  condono  edilizio  nelle  contingenze
particolari  della  recente  entrata  in vigore del testo unico delle
disposizioni  in  materia  edilizia  (che  - tra l'altro - disciplina
analiticamente  la vigilanza sull'attivita' urbanistico-edilizia e le
relative  responsabilita' e sanzioni), nonche' dell'entrata in vigore
del  nuovo  Titolo  V  della  seconda  Parte  della Costituzione, che
consolida ulteriormente nelle regioni e negli enti locali la politica
di gestione del territorio».
    Orbene, deve assolutamente rilevarsi che - ad una verifica calata
nel  caso  concreto  -  non  appare  possibile  affermare  che, dalla
«recente  entrata  in  vigore  del  testo unico delle disposizioni in
materia  edilizia  (che  - tra l'altro - disciplina analiticamente la
vigilanza   sull'attivita'   urbanistico-edilizia   e   le   relative
responsabilita' e sanzioni), nonche' dell'entrata in vigore del nuovo
Titolo  V  della  seconda  parte  della  Costituzione,  che consolida
ulteriormente  nelle  regioni  e  negli  enti  locali  la politica di
gestione   del   territorio»   possano  trarsi  quelle  stringenti  e
rilevantissime   giustificazioni  che  la  stessa  Corte  pone  quali
condizioni  necessarie  ad  una  legge di condono: ed invero, il t.u.
delle   disposizioni  in  materia  urbanistica  ed  edilizia  (d.P.R.
n. 380/2001)   ha   natura   per  lo  piu'  meramente  ricognitiva  e
riorganizzativa   della   legislazione  preesistente  in  materia,  e
pertanto  in  nulla  di rilevante la innova; quanto al titolo V della
Costituzione,  proprio la legge di condono in oggetto, come la stessa
Corte  ha  dovuto riconoscere proprio con la sentenza n. 196/2004, ne
operava   una   grave  violazione,  sicche'  ben  difficilmente  puo'
nell'entrata  in  vigore  di detta normativa costituzionale - che tra
l'altro  si  limita  a  sottrarre alla competenza statale determinate
materie  -  rinvenirsi  la  giustificazione della legge di condono, e
cioe', occorre forse sottolinearlo, di una legge che non si preoccupa
di  stabilire  nuovi  criteri  di  normazione  circa  l'uso umano del
territorio, ma solo di escludere la punibilita' di fatti che comunque
rimarrebbero  reati  per  chi  invece  dovesse  commetterli  dopo  il
31 marzo  2003;  infine,  il  condono  in  oggetto non appare segnare
alcuna  discontinuita'  con  i  precedenti condoni, atteso che non ne
restringe,  ma  semmai  amplia,  l'ambito  e l'oggetto, prevedendo la
«condonabilita»   anche   delle   opere   edilizie  realizzate  prima
dell'entrata  in  vigore delle precedenti leggi di condono, ma che in
forza  di queste ultime comunque non sarebbero state sanabili a causa
del loro contrasto con gli strumenti urbanistici.
    Alla  stregua  delle  considerazioni  svolte,  appare  del  tutto
conseguente  ritenere  quindi l'illegittimita' costituzionale, in via
di principio, delle leggi di «sanatoria» o «condono», e senz'altro di
quella  che  qui  interessa,  in  quanto la Costituzione - si ritiene
necessario  ripeterlo  -  e'  chiara  nel  riservare  alla  legge  di
amnistia,  col  suo particolare procedimento deliberativo (previsto a
garanzia  del  principio  di  eguaglianza  dei cittadini davanti alla
legge  penale  e per sottrarre detto principio alla disponibilita' ed
alle  scelte di maggioranze contingenti), la possibilita' di produrre
effetti estintivi del reato gia' commesso.
    Ne',  a  parere  di questo giudice, appare possibile affermare in
via  di principio che detti effetti estintivi possano essere connessi
a  differenti  fonti e procedimenti normativi (appunto, le leggi c.d.
di  «sanatoria»  o  «condono»),  in  dipendenza da pretese ragioni di
«eccezionalita»  perche'  invero, anche laddove la suddetta categoria
della   «eccezionalita»,   quale   ipotesi   di  deroga  ai  principi
costituzionali,   possa   essere   intesa  come  dotata  di  dignita'
costituzionale,   e'  dalla  natura  stessa  della  Costituzione  che
discende l'impossibilita' che, nel vigente assetto costituzionale, vi
sia  posto  per leggi di «condono» o «sanatoria», che abbiano effetti
estintivi  dell'illecito  penale,  fuori  dei casi disciplinati nelle
legittime  forme delle leggi di amnistia; e non appare quindi inutile
ripercorrere  alcune nozioni in ordine alla natura della Costituzione
della Repubblica italiana.
    Come  e'  noto,  la  Costituzione  e' la legge fondamentale dello
Stato: cio' non solo nel senso che si pone al vertice della gerarchia
delle  fonti  ma, prima di tutto, nel senso che la stessa e' la legge
fondante  dello  Stato, nella sua veste di patto sociale che assicura
la pacifica convivenza dei portatori di opposti interessi: e' infatti
in  forza  di  detto  patto  sociale  che  i convenuti concordano nel
sottomettersi  al  principio  di  maggioranza,  e  cioe'  di  vedersi
vincolati  dalle  scelte  da  quest'ultima  operate,  in quanto dette
scelte comunque non potranno incidere - se non in casi particolari, e
con  maggioranze  talmente  qualificate  da manifestare la necessita'
della modifica per il bene comune - sul nucleo fondante di quel patto
sociale,  e  sui diritti e le altre situazioni personali di cui detto
patto proclama la (almeno tendenziale) inviolabilita'.
    Con  la  Costituzione,  pertanto,  si  stabilisce  un  nucleo  di
principi e valori comuni di cui si afferma l'assoluta rilevanza e che
pertanto  si  vogliono sottratti all'eventuale strapotere o dittatura
della  maggioranza,  la  quale  ultima  e'  normalmente contingente e
transeunte; per tal verso, la Costituzione delinea pertanto l'anima e
l'identita' di fondo di una nazione (e la ragion d'essere dello Stato
che  ne e' ente strumentale), che persiste nel tempo a prescindere da
quelle che siano le maggioranze contingenti.
    Ne   consegue  l'assoluta  delicatezza  del  tema  delle  deroghe
all'assetto  costituzionale  motivate  da «ragioni di eccezionalita»:
deroghe  che la Costituzione non ammette ne' in alcuna forma prevede,
e  che  pertanto  appare  assolutamente  rischioso  ricavare  in  via
interpretativa da un vuoto normativo che non offre agganci, se non la
condivisa  considerazione che, nell'ambito dei valori costituzionali,
e'  ravvisabile  una  sorta di «gerarchia», taluni principi apparendo
piu'  importanti  - per la piu' immediata e diretta pertinenza con la
tutela della persona - degli altri, pur tutti apparendo indefettibili
perche' oggetto di previsione costituzionale; il che, tuttavia, si e'
sempre  ritenuto  giustificare al piu' una compressione nella ricerca
di  un equilibrio tra esigenze eventualmente contrapposte ma tutte di
rilievo costituzionale - del rispetto di un principio costituzionale,
ove  assolutamente necessaria ad assicurare la tutela di un principio
di  rango «sovraordinato» e non gia' la sia pure momentanea negazione
del rispetto del principio «subordinato».
    Anzi,  vale  la  pena  ricordare  come  con  la  citata  sentenza
n. 196/2004 la stessa Corte costituzionale ha espressamente affermato
che  la  «primarieta»  non  legittima  un  primato  assoluto  in  una
ipotetica  scala  gerarchica dei valori costituzionali, ma origina la
necessita' che essi debbano sempre essere presi in considerazione nei
concreti  bilanciamenti  operati  dal  legislatore  ordinario e dalle
pubbliche  amministrazioni;  in altri termini, la "primarieta'" degli
interessi che assurgono alla qualifica di "valori costituzionali" non
puo'   che   implicare   l'esigenza  di  una  compiuta  ed  esplicita
rappresentazione   di   tali   interessi   nei  processi  decisionali
all'interno  dei  quali  si  esprime la discrezionalita' delle scelte
politiche o amministrative».
    Appare  quindi  senz'altro  legittimo  che  una  legge ordinaria,
chiamata  a  disciplinare  una  materia  in  cui vengano in conflitto
beni-interessi  entrambi  oggetto  di  tutela  costituzionale,  possa
operare  un contemperamento di detti interessi ricercando il punto di
equilibrio  tra gli stessi nella ponderazione comparata della diversa
rilevanza  ed  importanza  gerarchica  dei  principi  coinvolti (come
ricorda  la  stessa sentenza n. 196/2004 della Corte costituzionale);
ma  non  che  -  a  tutela  di  un  principio  costituzionale - in un
determinato  ambito  o  in una determinata materia un altro principio
costituzionale, di rango asseritamente inferiore, venga sacrificato o
compresso drasticamente sino a svuotarlo sostanzialmente di tutela, e
cioe'  si «deroghi» a detto principio: e cio' perche' la Costituzione
e'  comunque  quella  legge fondamentale che nella sua unitarieta' (e
quindi, in tutte le sue parti) delinea l'assetto di fondo dello Stato
che  la  comunita' nazionale ha deciso di darsi come condizione della
sua  pacifica  esistenza  e  della  legittimazione  della istituzioni
statuali, e non ammette pertanto lesioni nemmeno parziali.
    Tra  i  principi  piu'  importanti, e forse il piu' importante in
assoluto (come svelato anche dalla sua collocazione quasi in apertura
della Carta costituzionale), appare senz'altro essere il principio di
eguaglianza  dei  cittadini  davanti  alla legge, senza del quale non
appare  nemmeno  predicabile  la  nozione  di costituzione come patto
sociale,  perche' un patto e' equo, ed e' tale, solo se stipulato tra
eguali:  e  l'intera  Costituzione  appare  ispirata dal principio di
eguaglianza  ed  equita', quali fondamenta dello Stato democratico di
diritto.
    Per  tal  verso,  si  usa  talora dire che la Costituzione appare
quindi  assimilabile  ad  un  trattato o contratto: con la differenza
che,  nei  trattati,  gli  Stati  si  riservano clausole di recesso o
sospensione    dell'applicazione    degli   stessi,   in   situazioni
particolari,  a  tutela  dell'interesse  nazionale,  cosi'  come  nei
contratti ad ogni parte spetta il diritto di chiederne la risoluzione
per  inadempimento  dell'altra  parte;  mentre,  nell'attuale assetto
Costituzionale,  la  tutela  dell'eventuale  «contraente  debole»  (e
cioe',   la   contingente   minoranza)   dagli  eventuali  abusi  del
«contraente»  di maggioranza, non riposa altro che nella indipendenza
ed   imparzialita'  dei  suoi  giudici,  ed  in  primis  della  Corte
costituzionale,  chiamati  a  valutare  la correttezza costituzionale
dell'operato della maggioranza.
    Se la stessa Corte ha ritenuto con la sentenza n. 196/2004 che la
partecipazione   delle   regioni   e   dei   comuni  al  procedimento
deliberativo dei limiti di ammissibilita' del condono possa valere ad
assicurare  la  tutela dell'art. 9 Cost., non puo' invece nel caso in
oggetto ritenersi che la tutela dei diritti dei cittadini al rispetto
dei  principi  «primari»  (quello  di  eguaglianza; di democrazia; ma
anche  di  tutela del territorio da eventuali abusi degli stessi enti
pubblici  territoriali) possa essere rinvenuta in forme diverse dalla
pronunzia di incostituzionalita' della legge. Se infatti, quanto alla
tutela  dell'art. 9  Cost. (nonche' degli artt. 117, 118, 119 Cost.),
va  (almeno  in  parte, per quel che attiene all'art. 9 Cost., atteso
che,  come detto, non puo' escludersi che proprio l'ente territoriale
possa  abusare  dei propri poteri in danno del territorio) con divisa
l'osservazione  che  «il  doveroso  riconoscimento  alla legislazione
regionale  di  un  ruolo  specificativo  -  all'interno  delle scelte
riservate  al  legislatore nazionale - delle norme in tema di condono
contribuisce  senza  dubbio  a rafforzare la piu' attenta e specifica
considerazione   di   quegli   interessi  pubblici,  come  la  tutela
dell'ambiente  e  del  paesaggio, che sono - per loro natura - i piu'
esposti  a  rischio di compromissione da parte delle legislazioni sui
condoni  edilizi»  e'  peraltro  del  tutto  evidente  come  manchino
istituzioni  ulteriori  legittimate  a  farsi  titolari - e quindi ad
assurgere  al  ruolo  di interlocutori del Governo o del Parlamento -
dell'interesse  dei  cittadini  al  rispetto  del  principio  di  cui
all'art. 3  Cost. e di quelli che ne sono corollari attuativi in tema
di  eguaglianza  davanti  alla  legge  penale e di godimento dei beni
ambientali  ed addirittura della salute (la cui tutela discende anche
dalle  condizioni  ambientali)  atteso che la legge 326/2003 comunque
permette  un eventuale concorso di intenti tra Stato, (si noti che la
maggioranza   delle   regioni  non  ha  ne'  sollevato  conflitto  di
attribuzioni  con  lo  Stato  ne' impugnato la legge n. 326/2003) nel
sacrificare   il   bene   territorio,  che  e'  anche  dimensione  di
esplicazione,   in   quanto   ambito   spaziale  di  realizzazione  e
precondizione di godimento, del bene salute.
    L'unica   via   aperta   e'  pertanto  quella  dell'eccezione  di
incostituzionalita'  rimessa  al giudice, e del sindacato della Corte
costituzionale  su  detta  eccezione,  con pronunzia abrogativa della
norma  eventualmente  ritenuta  incostituzionale  per  violazione dei
principi «primari».
    Ritornando quindi al tema della possibilita' o meno di fondare su
situazioni  di  «eccezionalita»  le  eventuali  deroghe  ai  principi
costituzionali, e ricordato come l'unico appiglio all'accoglimento di
tale  tesi possa rinvenirsi nella ipotetica gerarchia ravvisabile tra
i  valori costituzionali (di talche' potrebbe al piu' - ammesso e non
concesso  che  ai  principi  costituzionali  si  possa  «derogare»  -
ipotizzarsi  la  possibilita'  di  derogare  ad  un principio solo se
assolutamente  necessario  a  tutelarne  uno  di  rango  maggiore), e
richiamate  le  considerazioni  appena  svolte  in ordine alla natura
della  Costituzione  come  patto sociale di garanzia contro gli abusi
della  maggioranza,  e  la conseguente assoluta necessita' di evitare
che  tali  abusi  possano  essere perpetrati dietro lo schermo di una
pretesa  situazione  di  eccezionalita',  ritiene questo giudice che,
anche   a   volersi  ammettere  la  possibilita'  che  situazioni  di
eccezionalita'  possano giustificare una deroga (nel senso anzidetto)
ai  principi  costituzionali, non possano non trarsene le conseguenze
che seguono:
        1)  non  sono  suscettibili  di deroga - se non a garanzia di
altri  principi  di  rango ancora superiore (ad es. la intangibilita'
della  vita o salute umana), e sempre che il sacrificio sia contenuto
nei  limiti dell'assolutamente indispensabile - i principi rientranti
tra    quelli   all'apice   della   scala   gerarchica   dei   valori
costituzionali,  posto  che  e'  a  tutela di questi ultimi principi,
semmai, che puo' ipotizzarsi la possibilita' di una deroga a principi
di  rango  inferiore;  tra  i  principi  di  vertice, in primo luogo,
occorre  evidenziare quello di eguaglianza dei cittadini davanti alla
legge   e   quelli   che   (come   quello   dell'obbligatorieta'   ed
irretrattabilita'  dell'azione penale, che pongono tutti cittadini in
posizione di parita' avanti alla legge penale; quelli sulla capacita'
contributiva,  che detta parita' realizzano avanti alle leggi fiscali
e tributarie) ne sono i corollari.
        2)  in  un  sistema  di  Costituzione rigida, quale e' quello
vigente,  le  deroghe  (nel  senso  di sia pure, parziale negazione o
disapplicazione   di   un   principio   costituzionale),  quand'anche
ipotizzabili,  devono  comunque  essere  limitate ai casi di assoluta
eccezionalita';   questi   ultimi   devono  essere  tali  in  maniera
assolutamente  oggettiva,  indiscutibile,  e  non  gia'  in  forza di
valutazioni politiche o prospettazioni di parte (anche perche' queste
sfuggirebbero  al  sindacato  della  Corte  costituzionale, giusta il
disposto  dell'art. 28  della  legge n. 87/1953: sicche' affermare il
contrario   legittimerebbe   la   possibilita'  di  violazioni  anche
gravissime  della  Costituzione  in  forza di contingenti valutazioni
politiche),   e   tantomeno   possono  pertanto  consistere  in  mere
situazioni  di difficolta' cui si sarebbe potuto ovviare attraverso i
normali strumenti normativi;
        3)  la  deroga (nel senso suddetto) a principi costituzionali
di  rango  subordinato  a quello che si intende tutelare deve infatti
presentarsi  come  assolutamente necessaria, e la situazione non puo'
essere  intesa  come  «eccezionale»  se  diversamente  evitabile;  la
«deroga»   deve   quindi  essere  l'unica  via  percorribile  per  la
salvaguardia  di  un principio costituzionale di valore assolutamente
essenziale;
        4)  non  possono pertanto essere ritenuti casi di assoluta ed
oggettiva  eccezionalita' nemmeno quelli che potevano essere previsti
e  cui  si  poteva ovviare per tempo in via ordinaria e con strumenti
costituzionalmente  corretti  perche'  rispettosi di tutti i principi
costituzionali;
        5)  non  e'  quindi eccezionale nemmeno quella situazione che
sia  stata dolosamente o con colpa grave realizzata da scelte operate
da  chi  all'eccezionalita'  intenda far ricorso a giustificazione di
deroghe  ai principi costituzionali, altrimenti si aprirebbe il varco
ad  abusi incontrollabili della maggioranza, che potrebbe artatamente
creare  situazioni  di eccezionalita' per giustificare le piu' odiose
violazioni dei principi costituzionali.
    Specialmente  l'ultimo  dei  punti  affrontati, potendo involgere
accertamenti  ed  apprezzamenti  che  agevolmente  puo'  apparire che
sconfinino  nell'ambito delle valutazioni politiche, svela appieno la
estrema delicatezza (non solo dal punto di vista della sindacabilita'
per  via  giudiziaria) delle questioni attinenti alla possibilita' di
derogare ai principi costituzionali per ragioni di eccezionalita'; ma
non e' tanto su questo (pur se rilevante), quanto sui punti 1, 2, 3 e
4    che   occorre   ed   e'   sufficiente   appuntare   l'attenzione
dell'interprete  nel  valutare  la  legittimita' costituzionale delle
leggi  di  condono o sanatoria, e cioe' di quelle leggi che producono
effetti  estintivi  del reato senza assumere le forme garantite delle
leggi  di  amnistia  (che, come gia' si e' osservato, sono adottabili
solo  con  maggioranze  estremamente  qualificate, a garanzia appunto
dagli  abusi della maggioranza contingente; cosi' come, per la stessa
ragione,  originariamente  l'emanazione del provvedimento di amnistia
era   affidato   al   Presidente   della   Repubblica,  cui  spettava
l'insindacabile    valutazione    in    ordine    alla   opportunita'
costituzionale  di  dar  corso  o  meno alla legge delega di amnistia
emanata dalla maggioranza parlamentare).
    Quanto  al  punto  1),  come peraltro gia' accennato, le leggi di
condono  e di sanatoria ledono il principio di eguaglianza, in quanto
derogano  al  principio  della  parita'  dei cittadini di fronte alla
legge  penale,  non  solo sottoponendo taluni a pena (che per i reati
che  qui  interessano,  e'  congiuntamente pecuniaria e detentiva) ed
altri  no  (in  quanto  tenuti  solo  a  versare  somme  per  lo piu'
assolutamente  irrisorie  e  senza  altri  effetti  penali), ma anche
premiando  il cittadino disonesto rispetto quello onesto, estinguendo
non  solo  il  debito  penale  del  primo,  ma garantendogli anche la
conservazione  di  un bene di rilevantissima importanza, che si vieta
invece  (si  pensi  alle  costruzioni  in  violazione degli strumenti
urbanistici,  realizzabili  solo in forza della predetta sanatoria di
un  abuso) al cittadino onesto: dalla consumazione di un illecito, si
permette  cosi'  che  venga  a  discendere  una situazione di maggior
favore  normativo  per  il  cittadino  disonesto che per il cittadino
onesto;  il  tutto,  quindi,  in  termini  di  estrema ed eccezionale
ingiustizia  per  disparita'  di  trattamento: e per tale ragione, le
leggi   di   condono   appaiono   direttamente   lesive  di  principi
costituzionali di rango assolutamente primario.
    Quanto ai punti 2), 3) e 4) (che si trattano unitariamente stante
la  loro  strettissima interdipendenza logica), occorre rilevare come
tale  lesione  sia stata realizzata al di fuori dei casi di oggettiva
eccezionalita'  e  senza  necessita': in realta', le leggi di condono
(quelle  di  condono  tributario  come  quelle  di  condono edilizio)
risultano  oggettivamente  essere  state  il  frutto di una scelta di
politica  economica e finanziaria non necessaria se non nell'ottica -
eminentemente politica, e cioe' svincolata dalla necessita' oggettiva
- di finanziare l'attivita' statale senza ricorrere alla leva fiscale
(quale alternativa a quei «tagli strutturali» della spesa pubblica la
cui  necessita'  era  stata  piu'  volte  rimarcata dalle istituzioni
economiche   internazionali,  ma  che  oggettivamente  era  difficile
realizzare  in  tempi brevi), ed in assenza peraltro di situazioni di
disequilibrio  finanziario  di carattere eccezionale e non altrimenti
affrontabili.
    Memore   della   necessita'   (propria;   ma  anche  della  Corte
costituzionale  in  forza  del  gia'  richiamato  art. 28 della legge
n. 87/1953)  di  non  fondare  la  propria  decisione  su valutazioni
politiche  anziche'  sui fatti, questo giudicante deve in primo luogo
evidenziare  come  il senso della norma sia di vietare che il giudice
decida  in  forza non gia' dell'applicazione della legge (ordinaria o
costituzionale), ma in forza di proprie personali scelte di valori od
opinioni: la legge, pertanto, deve essere oggetto (come peraltro ogni
res  judicanda)  di  uno  scrutinio  al quale saranno estranee sia le
personali   convinzioni   del   giudice,   sia  ragioni  di  politica
contingente, che pertanto ne' dovranno condurre ad una conclusione di
incostituzionalita',  ne'  salvare  dall'abrogazione  la norma che si
ponga in contrasto con la Costituzione.
    Questo  giudice  e' poi tenuto ad osservare come quanto qui si va
ad  esporre  non  consta  di valutazioni, ma di mero rilievo di fatti
della  cronaca  parlamentare  degli  ultimi anni, di cui i mass media
hanno  dato  diffusa  notizia, e da cui si evince come i vari condoni
(fiscali,  edilizi,  ecc.)  siano  stati  lo  strumento prescelto per
perseguire l'equilibrio di bilancio nell'ambito dei c.d. parametri di
Maastricht  senza intervenire ne' sul lato della leva fiscale, ne' su
quello  strutturale della spesa, una volta che gli ordinari strumenti
finanziari  a  legislazione  vigente si erano rivelati insufficienti,
per  essere  stata  la  crescita economica - e quindi l'ammontare del
gettito  fiscale  -  inferiore  alle  previsioni  del governo, che la
cronaca  permette  di'  rilevare  erano  state  sempre state ritenute
eccezionalmente ottimistiche dalle istituzioni internazionali, al cui
parere  imparziale  ci  si  e'  adeguati  sempre  con grande ritardo,
peraltro  allorche'  anche  le  stime  piu' pessimistiche erano ormai
superate, per essere state le stesse ulteriormente riviste al ribasso
dai   suddetti   organismi   internazionali.   La  riprova  e'  nella
notevolissima  entita'  della manovra finanziaria da approvarsi (che,
su  indicazione  del  nuovo ministro competente, il DPEF approvato ha
stimato  in  circa 24 miliardi di euro) per rientrare nell'equilibrio
di  bilancio: cifra il cui importo, attesane l'entita' ragguardevole,
non  e'  di  certo  maturato  tutto  ad  un  tratto,  come  si evince
esaustivamente  non  solo  dall'entita'  dello  sbilancio,  ma  anche
dall'avallo   che   a  tale  ricostruzione  e'  peraltro  offerto  da
autorevolissimi  esponenti  della  maggioranza  (si  segnala,  ad es.
l'intervista  rilasciata  dall'on. Bondi  e  pubblicata  dal Corriere
della  Sera  in  data 4 luglio 2004, a pag. 6, ove si e' testualmente
ammesso  che  sin  dal  2002  sarebbe  occorso essere piu' sinceri ed
ammettere   che   le   stime   di  crescita  erano  irrealisticamente
ottimistiche).
    Quanto  si  e' sin qui esposto, pertanto, permette di evidenziare
come  la  «deroga»  ai  principi  di  cui agli artt. 3, 112 e 9 della
Costituzione  sia  stata  realizzata per far fronte ad una situazione
economico-finanziaria  delle  casse  dello  Stato, che avrebbe potuto
essere   agevolmente   diversamente  risolta  senza  compromettere  i
suddetti  principi  costituzionali,  semplicemente agendo per tempo e
sulla  base  di  stime  veritiere con la leva fiscale e tenendo sotto
controllo la spesa pubblica; la situazione di difficolta' finanziaria
che  ha  portato  alla  dichiarata  necessita'  di  una manovra di 24
miliardi  euro  (ingente,  ma  neanche  questa  di per se' valevole a
definire  come «eccezionale» la presente situazione) non solo sarebbe
anch'essa  affrontabile  per  vie ordinarie (lo Stato italiano ha nel
passato  non  remoto  varato  manovre  anche piu' consistenti), ma di
certo non puo' essere definita eccezionale, se sono corretti - come a
questo  giudicante  pare  -  i paletti logici e normativi da porsi al
concetto  di  eccezionalita',  elencati  ai  numeri  1,  2, 3 e 4 che
precedono.
    A  ben  vedere,  di  veramente  eccezionale  nella situazione che
interessa  appare  esservi  solo  il grado di violazione dei principi
costituzionali  coinvolti  ed  il  privilegio e trattamento di favore
assicurato  a  chi ha violato la legge, cui sono stati riconosciute e
garantite  utilita'  e  beni maggiori che al cittadino onesto: con le
leggi  di  condono edilizio, si e' prevista la possibilita' di sanare
immobili  anche  di  rilevanti dimensioni (si pensi che il limite dei
750  mc e' espressamente fissato solo per singola unita' abitativa, e
non  per  l'immobile  nel  suo complesso), costruiti abusivamente, ed
anche se in violazione degli strumenti urbanistici.