ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, del
decreto-legge   20   giugno 2002,  n. 122  (Disposizioni  concernenti
proroghe  in  materia  di  sfratti, di edilizia e di espropriazione),
convertito,  con  modificazioni,  in  legge  1°  agosto 2002, n. 185,
promosso  con  ordinanza  del 24 marzo 2003 dal Tribunale di Grosseto
nel  procedimento  civile  vertente  tra  Fracchia Sandra e Corridori
Elda,  iscritta  al  n. 373  del registro ordinanze 2003 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 25, 1ª serie speciale,
dell'anno 2003.
    Visti l'atto di costituzione di Fracchia Sandra nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 15 dicembre 2004 il giudice
relatore Romano Vaccarella.
    Ritenuto   che   il   Tribunale   di  Grosseto,  in  composizione
collegiale,  nel  corso  del  giudizio  sull'opposizione promossa dal
locatore  avverso  il  decreto del 2 agosto 2002 col quale il giudice
dell'esecuzione  del  medesimo  Tribunale  aveva  sospeso, fino al 30
giugno 2003,  l'esecuzione per il rilascio per finita locazione di un
immobile  sito  in  Grosseto,  con  ordinanza  del  24 marzo  2003 ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 1, comma 2, del decreto-legge
20  giugno 2002, n. 122 (Disposizioni concernenti proroghe in materia
di  sfratti,  di  edilizia  e  di  espropriazione),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1 della legge 1° agosto 2002, n. 185;
        che il Tribunale rimettente riferisce, in punto di fatto, che
il  conduttore, ricevuta la notifica del preavviso di rilascio, aveva
formulato   istanza   di   sospensione   dell'esecuzione   ai   sensi
dell'art. 80  della  legge 23 dicembre 2000, n. 388, ottenendola, con
provvedimento del giudice dell'esecuzione del 24 giugno 2002, fino al
termine del 30 giugno 2002, e successivamente, intervenuta la proroga
di cui al decreto-legge n. 122 del 2002, fino al 30 giugno 2003;
        che  avverso tale ultimo provvedimento, del 2 agosto 2002, la
locatrice aveva proposto opposizione ai sensi del comma 2 dell'art. 1
del  medesimo decreto-legge n. 122 del 2002, nel frattempo convertito
dall'art. 1 della legge 1° agosto 2002, n. 185;
        che,  costituendosi nel giudizio di opposizione, il locatario
aveva eccepito l'inammissibilita' della domanda proposta dal locatore
per  essere  stata  questa  proposta  oltre  il termine perentorio di
cinque  giorni, decorrente dalla comunicazione del decreto impugnato,
previsto dall'art. 617 cod. proc. civ.;
        che,  sul contrasto delle parti in ordine alla qualificazione
del  giudizio  a  quo  come  opposizione  agli atti esecutivi ed alla
conseguente    applicabilita'   del   termine   perentorio   previsto
dall'art. 617 cod. proc. civ., il Tribunale ha sollevato questione di
legittimita' costituzionale, ritenuta rilevante in quanto il giudizio
a quo e' stato intrapreso con ricorso depositato il 27 settembre 2002
e  cioe'  oltre  il  termine  di  cinque  giorni  -  non  soggetto  a
sospensione  nel  periodo feriale - dalla comunicazione al conduttore
del provvedimento impugnato, avvenuta il 2 settembre 2002;
        che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo
-  premesso che la norma censurata prevede che avverso il decreto con
cui  il  giudice  dell'esecuzione  abbia  provveduto  in  ordine alla
sospensione  dell'esecuzione,  previa  verifica in capo al conduttore
dei  requisiti  richiesti,  «e' ammessa opposizione al tribunale, che
giudica   in   composizione   collegiale  con  le  modalita'  di  cui
all'art. 618 del codice di procedura civile» - osserva che il mancato
esplicito  richiamo  all'art. 617 cod. proc. civ. (pur se ritenuto da
alcuni  giudici  di merito, anche con riguardo all'analoga previsione
contenuta  nell'art. 6, comma 3, della legge 9 dicembre 1998, n. 431,
non  ostativo  all'applicazione  del termine perentorio ivi previsto)
deve   ritenersi   indicativo   dell'intenzione  del  legislatore  di
assoggettare  l'opposizione de qua non a tutta la disciplina prevista
dal  codice  di  rito  per l'opposizione agli atti esecutivi, ma solo
alla specifica disposizione richiamata;
        che  non  sarebbe  possibile  far discendere l'applicabilita'
dell'intera  disciplina  dell'opposizione  agli  atti  esecutivi  dal
generale  riconoscimento  di  tale  natura  all'opposizione in esame,
posto   che   questa   interpretazione   finirebbe  per  svuotare  di
significato  il  puntuale  richiamo  all'art. 618  cod. proc. civ. il
quale, invece, costituirebbe il sintomo, in uno alla previsione della
riserva  di  collegialita',  della  introduzione  di  una  disciplina
sostanzialmente   autonoma   del   procedimento,   come  conferma  la
circostanza  che  il  legislatore,  il  quale  pure  aveva richiamato
l'art. 617 cod. proc. civ. nel decreto-legge 30 dicembre 1988, n. 551
(convertito  con  modificazioni dalla legge 21 febbraio 1989, n. 61),
ha  omesso  ogni  richiamo a tale norma non solo nel decreto-legge in
questione, ma anche nella legge n. 431 del 1998;
        che,  se  cio' esclude ogni possibilita' di fare applicazione
analogica del termine di decadenza disciplinato da quella norma, tale
soluzione  legislativa  appare  in  contrasto  con  il  principio  di
uguaglianza   sancito   dall'art. 3  della  Costituzione  in  quanto,
disciplinando  una  opposizione sostanzialmente identica a quella che
«la   parte  interessata,  nell'ambito  di  una  procedura  ordinaria
esecutiva,  puo'  proporre  avverso  il  decreto  con  cui  sia stata
disposta  la  sospensione  dell'esecuzione,  ipotesi  quest'ultima da
ricondurre  nella fattispecie della opposizione all'atto esecutivo ex
art. 617,  secondo  comma,  c.p.c.», non consentirebbe l'applicazione
del   termine  perentorio  imposto  da  quella  norma,  in  tal  modo
configurando   «un  trattamento  piu'  favorevole  razionalmente  non
giustificabile»;
        che,  con  memoria  del  14 luglio  2003, si e' costituita in
giudizio  la  locatrice-opponente, la quale ha invocato una pronuncia
di inammissibilita' o infondatezza della questione cosi' sollevata;
        che   e'   altresi'   intervenuto,   con   la  rappresentanza
dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei
ministri  il  quale ha eccepito l'infondatezza della questione tenuto
conto  che  il  Tribunale  rimettente,  pur  avendo  dato  atto della
esistenza  di  un  contrasto  interpretativo  in  ordine  alla  norma
impugnata  e,  dunque,  del  mancato  consolidamento  di  un «diritto
vivente», ha prescelto l'opzione della inapplicabilita' dell'art. 617
cod.   proc.   civ.   e   contestualmente  sollevato  l'incidente  di
costituzionalita',    senza    aver   vagliato   la   percorribilita'
dell'ipotesi ermeneutica contraria, costituzionalmente compatibile e,
nella specie, agevolmente applicabile.
    Considerato   che   il   Tribunale   di   Grosseto  dubita  della
legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  all'articolo 3  della
Costituzione, dell'art. 1, comma 2, del decreto-legge 20 giugno 2002,
n. 122  (Disposizioni  concernenti proroghe in materia di sfratti, di
edilizia  e di espropriazione), convertito in legge dall'art. 1 della
legge  1° agosto  2002,  n. 185,  nella  parte in cui non prevede che
l'opposizione   al   tribunale,   avverso   il  decreto  del  giudice
dell'esecuzione,  sia  proposta  entro il termine di cui all'art. 617
cod. proc. civ.;
        che  la  questione  e'  manifestamente  infondata non essendo
condivisibile  la  premessa  -  dalla  quale apoditticamente muove il
rimettente   -   secondo  la  quale  l'opposizione  alla  sospensione
disciplinata    dal    decreto-legge    n. 122   del   2002   sarebbe
sostanzialmente  identica  a  quella  promuovibile nell'ambito di una
ordinaria procedura esecutiva avverso il provvedimento di sospensione
emesso dal giudice dell'esecuzione;
        che,   in   effetti,  la  sospensione  disposta  dal  giudice
dell'esecuzione  ai  sensi  degli  artt. 623  e  624  cod. proc. civ.
costituisce  strumento  di  coordinamento  del processo esecutivo con
giudizi   di   cognizione   destinati   ad  incidere  sull'esecuzione
(opposizioni  ex  artt. 615  e  619 cod. proc. civ., contestazioni ex
art. 512  cod. proc. civ.) ovvero previsti dalla legge quali fasi del
processo  esecutivo  (artt. 548  e  601),  laddove  quella  di cui al
decreto-legge  n. 122 del 2002 costituisce una vera e propria (se pur
temporanea) negazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata;
        che  la disomogeneita' dell'oggetto dell'opposizione de qua e
di   quella   agli   atti   esecutivi  comporta  che  il  riferimento
all'art. 618  cod.  proc.  civ., operato dal decreto-legge n. 122 del
2002,    non    giustifica    l'adozione    dell'intera    disciplina
dell'opposizione agli atti esecutivi come tertium comparationis, ma -
conformemente  alla  lettera  della norma, che parla di «modalita' di
cui  all'art. 618»  -  costituisce  un  mero  richiamo  ad  una  data
disciplina  del  procedimento  e del provvedimento conclusivo di esso
nonche' del regime di tale provvedimento.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.