Propone  il  seguente  ricorso  per conflitto di attribuzione nei
confronti  della  Camera  dei  deputati,  in  relazione alla delibera
adottata  dall'Assemblea  in data 13 novembre 2003, che ha dichiarato
non   sindacabili,   a   norma   dell'art. 68,   primo   comma  della
Costituzione,  le  opinioni  espresse  dal  convenuto on. Sgarbi, che
costituiscono oggetto del procedimento civile in epigrafe.
    Letti gli atti e documenti di causa, si osserva quanto segue:
        Con  atto  di  citazione  notificato  il 2 marzo 2001, l'avv.
Giuseppe  Lucibello  ha  evocato  in  giudizio  l'on. Vittorio Sgarbi
(unitamente a Giorgio Gori ed alla S.p.A. R.T.I.) avanti il Tribunale
di  Bergamo,  domandando l'accertamento del contenuto diffamatorio di
una  serie di puntate del programma «Sgarbi quotidiani», trasmesso da
Canale  5 per conto di R.T.I. S.p.A., con la conseguente condanna dei
convenuti,  in  via  solidale  o  concorrente  fra loro, al pagamento
dell'importo  di  lire 1.316.627.000 od altra diversa somma, a titolo
di  pregiudizi morali, patrimoniali, danno biologico ed esistenziale,
nonche'  di  lire  300.000.000,  od  altra diversa somma, a titolo di
riparazione pecuniaria, oltre alla pubblicazione della sentenza.
    Ritualmente costituitisi i convenuti, attualmente il procedimento
si trova in fase istruttoria.
    Con  missiva del 15 novembre 2003, la Presidenza della Camera dei
deputati  ha fatto pervenire a questo Tribunale copia della relazione
della Giunta per le autorizzazioni a procedere, nonche' del resoconto
stenografico  della  seduta del 13 novembre 2003, nel corso del quale
l'Assemblea  ha  deliberato  nel  senso che i fatti per i quali e' in
corso  il  procedimento  civile  nei  confronti  del  deputato Sgarbi
concernono   opinioni   espresse   da   un   membro   del  Parlamento
nell'esercizio  delle  sue  funzioni,  ai  sensi  dell'art. 68, primo
comma, della Costituzione.
    Premesso quanto sopra, si rileva in primo luogo che all'anzidetta
deliberazione  della  Camera  dei  deputati,  con  cui  si  riconosce
l'operativita'  nel  caso  di specie dell'art. 68, primo comma, della
Costituzione,  consegue,  com'e'  noto,  l'effetto  inibitorio  della
prosecuzione del presente giudizio.
    Il  tribunale  ha,  tuttavia, facolta' di promuovere un controllo
circa  la correttezza dell'esercizio del potere conferito alla Camera
dei  deputati  dall'art. 68, primo comma Cost., mediante lo strumento
del  ricorso  per  conflitto  di  attribuzione, a norma dell'art. 37,
legge  11  marzo  1953, n. 87 (vedansi, per tutte, Corte cost. sentt.
n. 129/1996 e n. 364/2001.
    A  tale  proposito la Corte costituzionale ha, in piu' occasioni,
avuto modo di chiarire, nell'ambito del giudizio in tema di conflitto
fra   poteri,  vertente  su  una  delibera  parlamentare  affermativa
dell'insindacabilita'   ai  sensi  dell'art. 68,  primo  comma  della
Costituzione  «....  La  Corte  non e' giudice dell'impugnazione ...»
(sentenze  n. 443  del  1993,  n. 265  del  1997,  n. 375  del 1997),
giacche'  il  vaglio che la stessa e' chiamata a compiere concerne il
controllo  sulla  «...  non arbitrarieta' della delibera parlamentare
...» (sentenza n. 1150 del 1988) e, pertanto, si svolge come verifica
esterna  ...»  (sentenza n. 443 del 1993), nel senso che la Corte non
puo'  rivalutare  la  ponderazione compiuta dalle Camere, ma soltanto
accertare  se  vi  sia  stato un uso distorto, arbitrario, del potere
parlamentare,  tale  da  vulnerare le attribuzioni degli organi della
giurisdizione o da interferire sul loro esercizio.
    Per usare ancora una volta le parole della Corte «E' pacifico che
la  funzione  della Corte costituzionale in ordine all'art. 68, primo
comma  Cost.,  sia quella di accertare - come giudice dei conflitti -
se dall'esercizio illegittimo da parte di uno dei poteri confliggenti
risulti  lesa  o menomata una competenza costituzionalmente spettante
all'altro;  e  cioe',  in  particolare, se l'esercizio della potesta'
spettante  alla  camera  di  appartenenza  in base all'art. 68, primo
comma,  abbia  determinato,  per  vizi  del procedimento o in ragione
dell'insussistenza   o   dell'arbitrarieta'   della  valutazione  dei
presupposti  richiesti  per  esercitare  tale  potere,  la lamentata,
illegittima    interferenza    nelle    attribuzioni   dell'autorita'
giudiziaria»  (sentenza  n. 289  del  1998; sentenza n. 11 del 2000).
Detto  accertamento  e'  volto  a  «verificare,  in  base a specifici
criteri, piu' complessi rispetto a quelli della mera "localizzazione"
dell'atto,   l'esistenza   di   un  "nesso  funzionale"  stretto  tra
espressione  di  "opinioni" e di "voti" ed "esercizio" delle funzioni
parlamentari»  (sentenza  n. 11  del  2000). Il nesso funzionale deve
cioe'  qualificarsi non «come semplice collegamento di argomento o di
contesto   fra   attivita'  parlamentare  e  dichiarazione,  ma  come
identificabilita'  della  dichiarazione  stessa  quale espressione di
attivita' parlamentare» (sentenza n. 10 del 2000).
    Per   quanto   poi   riguarda,  in  particolare,  il  c.d.  nesso
funzionale,  la  Corte  ha  altresi'  precisato che «segna appunto il
discrimine  fra  le  varie  manifestazioni dell'attivita' politica di
deputati  e  senatori  e  le  opinioni  che  godono della particolare
garanzia   introdotta   dall'art. 68,   primo  comma  Cost.;  con  la
conseguenza  che  non  e'  possibile  ricondurre  nella  sfera  della
funzione  parlamentare  l'intera  attivita' politica dei membri delle
Camere,   perche'   tale   interpretazione  allargata  finirebbe  per
vanificare  il requisito stesso del nesso funzionale, trasformando la
prerogativa  in  un  privilegio personale» (sentenza n. 329 del 1999;
sentenza n. 289 del 1998).
    Trattasi di un principio del tutto pacifico, che anche la suprema
Corte  ha ribadito, sostenendo che la prerogativa di insindacabilita'
sancita  dall'art. 68, primo comma Cost. e' operante a condizione che
l'attivita' extraparlamentare si configuri come strettamente connessa
all'espletamento delle funzioni tipiche e delle finalita' proprie del
mandato parlamentare (Cass., sez. III, 7 giugno 1999 n. 5573).
    Orbene,  nell'ipotesi  di specie, non e' dato ravvisare, a parere
di  questo  giudice, alcun collegamento funzionale tra le espressioni
ipotizzate  come  diffamatorie del deputato Sgarbi e la sua attivita'
parlamentare;  non  e',  invero, riscontrabile alcuna connessione con
atti  tipici  della  funzione  parlamentare,  ne'  risulta  possibile
individuare  nel  suo  comportamento,  portato  alla  cognizione  del
tribunale,  un  qualche  intento  divulgativo  di  una  scelta  o  di
un'attivita'  politico-parlamentare  (quale  ad  es.  una proposta di
legge, un'interrogazione o un'interpellanza, ecc.).
    A  tale  convincimento era, del resto, pervenuta la stessa Giunta
per  le  autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati, la cui
proposta  (di  dichiarare  che  i  fatti  per  i quali e' in corso il
procedimento  nei  confronti  dell'on. Sgarbi non concernono opinioni
espresse  nell'esercizio  delle funzioni di membro del Parlamento) e'
stata cosi' motivata: «... la Giunta ha anche esaminato due richieste
d'insindacabilita'  del  deputato Sgarbi relative a fatti per i quali
sono  in  corso  due  procedimenti penali pendenti innanzi alla Corte
d'appello  di  Milano  ... La Giunta ha concordato pienamente con gli
argomenti  contenuti  nelle  pronunce  di  condanna  di  primo grado,
considerandoli  ineccepibili.  Essi  lo  sono  in  punto di giustizia
sostanziale, dal momento che chiunque si sarebbe sentito offeso dalle
frasi  dell'onorevole  Sgarbi  che recavano addebiti falsi. Ed e' del
tutto  capzioso  affermare  apoditticamente che "un parlamentare puo'
dire  queste  cose,  perche'  rientra nelle sue funzioni". Sostenerlo
significa  avere  una ben misera concezione del mandato parlamentare.
Ma  lo  sono anche in punto di diritto formale: sono infatti conformi
alla  giurisprudenza  della Corte di cassazione, secondo cui "in tema
di  diritto  di  critica cio' che determina l'abuso del diritto e' la
gratuita'  delle espressioni non pertinenti ai temi apparentemente in
discussione; e' l'uso dell'argumentum ad hominem, inteso a screditare
l'avversario  politico  mediante  l'evocazione  di  una  sua  pretesa
indegnita'  o  inadeguatezza  personale, piuttosto che a criticarne i
programmi   e   le   azioni",   ...   ma  sono  anche  conformi  alla
giurisprudenza  assolutamente costante della Corte costituzionale dal
1998 in poi, che esige per la configurazione della scriminante di cui
all'art. 68, primo comma, della Costituzione un sicuro aggancio delle
affermazioni   rese   extra   moenia   ai   contenuti  dell'attivita'
parlamentare svolta mediante atti tipici».
    Sennonche'  l'Assemblea,  dopo  che il relatore aveva ribadito il
punto di vista della Giunta («Si tratta di affermazioni assolutamente
diffamatorie  rese  dall'onorevole  Sgarbi  nei  confronti  dell'avv.
Lucibello e che nulla hanno a che vedere con l'attivita' parlamentare
dell'onorevole  Sgarbi»),  e  con l'unica dichiarazione di voto dello
stesso  on.  Sgarbi,  ha  disatteso  la  proposta della Giunta per le
autorizzazioni  a procedere (cfr. resoconto stenografico della seduta
del  13 novembre 2003), deliberando nel senso che i fatti per i quali
e'  in  corso  il  procedimento  nei  confronti  del  deputato Sgarbi
concernono   opinioni   espresse   da   un   membro   del  Parlamento
nell'esercizio delle sue funzioni.
    Ad  avviso  di  questo  giudice  la  deliberazione adottata dalla
Camera  (fra  l'altro,  priva  di  motivazione  si appalesa del tutto
arbitraria  giacche',  nel  caso  in  parola,  difetta  ictu oculi il
necessario collegamento tra il comportamento per il quale il deputato
Sgarbi e' stato citato dinanzi a questo Tribunale e l'esercizio della
funzione parlamentare.
    Va,  in  particolare,  evidenziato come la Camera, respingendo la
proposta   argomentata  della  Giunta,  abbia  del  tutto  omesso  di
considerare che:
        1)   nella  funzione  parlamentare  non  si  puo'  ricondurre
l'intera  attivita' politica svolta dal deputato o dal senatore: tale
interpretazione finirebbe, invero, per vanificare il nesso funzionale
posto  dall'art.68,  primo  comma,  e  comporterebbe  il  rischio  di
trasformare  la  prerogativa  in  un  privilegio  personale  (vedansi
sentenze  n. 329  del 1999 e n. 11 del 2000 gia' sopra citate). Nella
vicenda  in  esame,  le  opinioni  espresse  dal  deputato Sgarbi nei
riguardi  dell'avv.  Lucibello  appaiono  - secondo la prospettazione
dell'attore  e  fatta  salva, evidentemente, qualunque valutazione di
merito  -  del  tutto  prive  di  alcuna  riferibilita' alle funzioni
parlamentari,  trattandosi non gia' di espressioni divulgative di una
scelta  o  di  un'attivita'  politico-parlamentare,  bensi'  di  meri
apprezzamenti  personali  espressi,  alla  stregua  di  un  qualunque
privato  cittadino,  con  riguardo  ai  protagonisti di una specifica
vicenda giudiziaria;
        2)  la palese carenza del presupposto di applicabilita' della
prerogativa  di  insindacabilita'  emerge,  in  ogni caso e con tutta
evidenza,  dalla seguente considerazione: anche a voler ammettere che
l'insindacabilita' di cui all'art. 68, primo comma della Costituzione
si  estenda  all'attivita'  svolta  al  di fuori delle Camere (per le
opinioni  espresse  in  comizi,  interviste,  ecc.),  sicuramente non
poteva  ravvisarsi  nella  partecipazione  del  deputato  Sgarbi alla
trasmissione   diffusa  dalla  rete  televisiva  privata  «Canale  5»
un'attivita' riconducibile all'esercizio delle sue funzioni di membro
del  Parlamento,  atteso  che  -  come  si evince dal complesso della
documentazione  prodotta  dalle  parti  - l'on. Sgarbi e' intervenuto
nella suddetta trasmissione nella veste di conduttore di un programma
televisivo,  denominato  «Sgarbi  quotidiani»,  nel  corso del quale,
com'e'  noto,  egli  aveva  l'obbligo  (alla  luce  di  uno specifico
contratto  stipulato  con  le Reti Televisive Italiane S.p.A., cui fa
capo  «Canale  5»  di  commentare ed esprimere le proprie opinioni su
argomenti   d'attualita'  e  su  quanto  riportato  dalla  stampa  in
generale.   Orbene,  poiche'  per  tali  prestazioni  era,  altresi',
contrattualmente   prevista  una  determinata  retribuzione,  non  e'
seriamente  revocabile  in  dubbio che l'on. Sgarbi abbia preso parte
alle  varie  puntate  del  programma  «Sgarbi  quotidiani»  nella sua
qualita' di privato cittadino, non essendo ovviamente ammissibile che
un membro del Parlamento percepisca aliunde ricompense o retribuzioni
come  corrispettivo  per  atti  inerenti  lo  svolgimento del proprio
mandato (artt. 67 e 69 della Costituzione).
    La   delibera  di  insindacabilita'  adottata  dalla  Camera  dei
deputati  nella  seduta del 13 novembre 2003 appare, pertanto, lesiva
delle  attribuzioni  di  questo  organo giurisdizionale, in quanto il
potere   conferito   al   Parlamento  dall'art. 68  Cost.  -  secondo
l'interpretazione della Corte costituzionale - e' stato esercitato in
modo arbitrario.
    Va,   pertanto,  sollevato  conflitto  di  attribuzione  a  norma
dell'art. 37,  legge  11  marzo 1953, n. 87, vertendosi in materia di
correttezza  dell'esercizio  del  potere  conferito  alla  Camera dei
deputati  dall'art. 68,  primo  comma,  Cost.  con  riferimento  alla
lesione di attribuzioni giurisdizionali costituzionalmente previste e
garantite (artt. 102 e seguenti della Costituzione).