ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 61, comma 1,
lettera a),   del   decreto   legislativo   3 febbraio   1993,  n. 29
(Razionalizzazione    dell'organizzazione    delle    amministrazioni
pubbliche  e  revisione  della  disciplina  in  materia  di  pubblico
impiego,   a  norma  dell'articolo 2  della  legge  23 ottobre  1992,
n. 421),   come   modificato  dall'art. 43  del  decreto  legislativo
23 dicembre  1993,  n. 546 [recte: decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 80],  promosso dal Consiglio di Stato con ordinanza del 13 gennaio
2004 sul ricorso proposto da M. G. contro G. E. ed altro, iscritta al
n. 493  del  registro  ordinanze  2004  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 23, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Visti gli atti di costituzione di M. G. e di G. E. nonche' l'atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  14 dicembre  2004  il giudice
relatore Francesco Amirante;
    Uditi  gli  avvocati  Raffaele Versace per M. G., Fabio Lorenzoni
per G. E. e l'avvocato dello Stato Ettore Figliolia per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
    Ritenuto  che  nel  corso  di  un  giudizio di appello avverso la
sentenza  del  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Veneto,  di
annullamento  degli  atti  del concorso per il posto di direttore del
museo  del  comune  di  Bassano  del Grappa, il Consiglio di Stato ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3  e  51 della Costituzione,
questione   di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 61,  comma 1,
lettera a),   del   decreto   legislativo   3 febbraio   1993,  n. 29
(Razionalizzazione    dell'organizzazione    delle    amministrazioni
pubbliche  e  revisione  della  disciplina  in  materia  di  pubblico
impiego,   a  norma  dell'articolo 2  della  legge  23 ottobre  1992,
n. 421),   come   modificato  dall'art. 43  del  decreto  legislativo
23 dicembre  1993,  n. 546 [recte: decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 80];
        che  il  giudice  a  quo premette in punto di fatto che nella
procedura  di  concorso  in  contestazione  l'attuale appellata aveva
sostenuto   la   prova  scritta,  valutata  come  insufficiente,  con
conseguente  esclusione  dalle  prove successive e che il concorso si
era poi concluso con la nomina a vincitore dell'odierno appellante;
        che  a  seguito  dell'accoglimento  del  ricorso  della prima
avverso  il  provvedimento  di  esclusione - fondato sulla violazione
dell'art. 9,  comma 2,  del d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 (Regolamento
recante    norme   sull'accesso   agli   impieghi   nelle   pubbliche
amministrazioni  e  le  modalita'  di  svolgimento  dei concorsi, dei
concorsi  unici  e  delle  altre  forme  di  assunzione  nei pubblici
impieghi),  in base al quale almeno un terzo dei posti dei componenti
delle  commissioni  di  concorso  e' riservato alle donne - il comune
aveva  dato  esecuzione  alla  sentenza,  licenziando  il vincitore e
includendo  in  una  nuova commissione giudicatrice un commissario di
sesso femminile;
        che   in   esito   alla  rinnovata  procedura  era  risultata
vincitrice l'appellata;
        che il Consiglio di Stato - dopo aver richiamato il contenuto
della   norma   impugnata  ed  aver  osservato  che  la  disposizione
regolamentare  di cui al menzionato art. 9, comma 2, trova il proprio
fondamento  nell'art. 61  del  d.lgs.  n. 29  del  1993 - dichiara di
condividere la tesi del giudice di primo grado circa l'applicabilita'
di  tale complesso normativo anche alle procedure di concorso indette
dai comuni;
        che,   quanto   alla  rilevanza,  il  remittente  rileva  che
l'art. 9,  comma 2,  del d.P.R. n. 487 del 1994 si basa integralmente
sull'impugnato    art. 61,   che   e'   attualmente   vigente   nella
disposizione,  d'identico  contenuto,  di cui all'art. 57 del decreto
legislativo  30 marzo  2001, n. 165, sicche' l'eventuale declaratoria
di  illegittimita' costituzionale della norma primaria si tradurrebbe
nella  conseguente inapplicabilita' della citata norma regolamentare,
con corrispondenti riflessi sull'esito della decisione dell'appello;
        che,  d'altra  parte,  l'applicabilita'  della  normativa  in
questione,  relativa  alla  presenza  obbligatoria  delle donne nella
commissione  giudicatrice,  contestata dall'appellante con il secondo
motivo  d'appello, costituisce l'unica restante - e quindi decisiva -
questione sottoposta all'esame del remittente;
        che  il  Consiglio  di  Stato  richiama, a sostegno della non
manifesta  infondatezza della sollevata questione, la sentenza n. 422
del   1995  di  questa  Corte,  con  la  quale  e'  stata  dichiarata
l'illegittimita'  costituzionale  delle  disposizioni  di  legge  che
imponevano  la  presenza  di  candidati  d'ambo  i  sessi nelle liste
elettorali;
        che  la  disposizione  impugnata appare al Consiglio di Stato
tale  da  imporre  la  presenza  di  donne  per almeno un terzo nelle
commissioni  di concorso, con la asserita e irragionevole conseguenza
che  una  commissione risulterebbe legittimamente composta se formata
di sole donne, mentre sarebbe illegittimamente composta se formata di
soli uomini;
        che, oltre a cio', la norma appare al remittente in contrasto
col  principio  di  razionalita'  in  quanto,  se il suo obiettivo e'
quello  «di  garantire  pari  opportunita'  tra  uomini  e  donne per
l'accesso   al   lavoro  ed  il  trattamento  sul  lavoro»,  la  pari
opportunita'  deve  essere  quella  finalizzata  al conseguimento del
posto   di   lavoro   e  non  alla  partecipazione  alle  commissioni
esaminatrici;
        che,  anche  ragionando  diversamente, la disposizione sembra
comunque    irragionevole,    perche'    finisce    con   l'affermare
implicitamente  che  i  commissari  di  concorso tendono a favorire i
colleghi del loro sesso;
        che qualora, invece, l'impugnato art. 61 del d.lgs. n. 29 del
1993  dovesse  intendersi  come  norma  volta  a  consentire  la pari
opportunita' nell'accesso alle commissioni esaminatrici, esso sarebbe
ugualmente irrazionale, in quanto imporrebbe la scelta dei commissari
non   in   base  all'unico  criterio  della  competenza  specifica  -
espressamente   indicato   nell'art. 36,   comma 3,  lettera e),  del
medesimo  decreto n. 29 del 1993 - bensi' anche in base all'ulteriore
fattore dell'appartenenza ad un sesso, nella specie quello femminile,
ritenuto svantaggiato;
        che  dal  complesso  di  ragioni  ora elencate deriverebbe la
necessita' di una declaratoria di illegittimita' costituzionale della
norma impugnata;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, concludendo per la manifesta infondatezza della questione, sul
principale  assunto  secondo cui non vale piu' richiamare la sentenza
n. 422  del  1995  di  questa  Corte,  in  quanto  emessa prima della
modifica   dell'art. 51  Cost.  operata  dalla  legge  costituzionale
30 maggio  2003, n. 1 (Modifica dell'articolo 51 della Costituzione),
che  ha aggiunto al primo comma un ulteriore periodo in base al quale
«la   Repubblica   promuove   con   appositi  provvedimenti  le  pari
opportunita'  tra  donne e uomini», in presenza del quale l'ordinanza
del  Consiglio  di  Stato  appare  carente di motivazione, non avendo
tenuto  conto  del fatto che la riforma costituzionale e' palesemente
orientata  nel  senso  di  rimuovere  gli  ostacoli  ad  una adeguata
presenza femminile nel mondo istituzionale;
        che nella medesima direzione, inoltre, andrebbero considerati
anche  altri  recenti  interventi  normativi: la legge costituzionale
31 gennaio  2001,  n. 2  (Disposizioni concernenti l'elezione diretta
dei  presidenti  delle  regioni  a  statuto speciale e delle Province
Autonome  di  Trento e di Bolzano), che, integrando gli statuti delle
regioni  ad autonomia differenziata, ha espressamente attribuito alle
leggi  elettorali  delle regioni il compito di promuovere «condizioni
di  parita'  per  l'accesso  alle consultazioni elettorali»; la legge
costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3  (Modifiche al titolo V della
parte  seconda  della  Costituzione),  che  ha  introdotto  nel corpo
dell'articolo 117  un'espressa  previsione (settimo comma) sulle pari
opportunita'  con  riguardo  alle  leggi  regionali; nonche' la legge
8 aprile  2004,  n. 90  (Norme  in materia di elezioni dei membri del
Parlamento  europeo  e  altre  disposizioni  inerenti  ad elezioni da
svolgersi  nell'anno 2004),  concernente  le  elezioni dei membri del
Parlamento  europeo,  secondo  cui, al momento della formazione delle
liste  elettorali, nessuno dei due sessi puo' essere rappresentato in
misura superiore ai due terzi dei candidati;
        che,  in tale ottica, l'Avvocatura richiama la sentenza n. 49
del  2003  di  questa Corte, nella quale si sarebbe operata una netta
inversione  di  tendenza rispetto alle argomentazioni sostenute nella
sentenza n. 422 del 1995;
        che,  quindi,  la  norma  impugnata  sarebbe  coerente con il
mutato  quadro  normativo  in  quanto, introducendo un vincolo legale
nella  formazione  delle  commissioni di concorso per il reclutamento
nel  pubblico  impiego,  non  andrebbe  ad  incidere sul fondamentale
diritto dei cittadini, dell'uno e dell'altro sesso, di partecipare in
piena  uguaglianza  ad  un concorso pubblico, bensi' sulla formazione
delle  scelte  dell'Amministrazione  pubblica in merito ai componenti
della commissione;
        che  l'Avvocatura  dello  Stato,  inoltre, sottolinea come la
norma   sia   volta   a   creare   le   condizioni  per  un'effettiva
partecipazione delle donne ai processi decisionali pubblici, in linea
con  una scelta politica che trova piena rispondenza nella situazione
attuale  della  pubblica  amministrazione,  ove  e' ancora necessario
correggere  uno  squilibrio  di  fatto  esistente  a svantaggio delle
donne;
        che  nel  giudizio  dinanzi  a  questa Corte si e' costituito
l'appellante,     chiedendo    la    declaratoria    d'illegittimita'
costituzionale della norma impugnata;
        che  si e' altresi' costituita in giudizio l'appellata che ha
concluso  per  la  declaratoria di irrilevanza ovvero di infondatezza
della questione, ribadendo tali conclusioni anche in un'ampia memoria
depositata in prossimita' dell'udienza;
        che  quest'ultima,  dopo  aver sostenuto la mera ipoteticita'
della   questione,   ha   posto   particolarmente   l'accento   sulla
fondamentale  importanza  della modifica dell'art. 51 Cost., ignorata
dall'ordinanza  di  rimessione, nonche' sulla piena conformita' della
disposizione impugnata alla normativa comunitaria.
    Considerato che il Consiglio di Stato dubita, in riferimento agli
artt. 3  e  51 Cost., della legittimita' costituzionale dell'art. 61,
comma 1,  lettera a),  del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29
(Razionalizzazione    dell'organizzazione    delle    amministrazioni
pubbliche  e  revisione  della  disciplina  in  materia  di  pubblico
impiego,   a  norma  dell'articolo 2  della  legge  23 ottobre  1992,
n. 421),   come   modificato  dall'art. 43  del  decreto  legislativo
31 marzo 1998, n. 80;
        che  con  la  legge  costituzionale  30 maggio 2003, n. 1, e'
stato aggiunto un periodo al primo comma dell'indicato art. 51 con il
quale  si  e'  prescritto  che, al fine di consentire ai cittadini di
entrambi  i  sessi  di  «accedere agli uffici pubblici e alle cariche
elettive  in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti
dalla  legge»,  «la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le
pari opportunita' tra donne e uomini»;
        che  nel  nuovo  testo la norma non si limita piu' a disporre
che  «la  diversita' di sesso, in se' e per se' considerata, non puo'
essere mai ragione di discriminazione legislativa» (v. sentenza n. 33
del  1960)  e,  quindi,  a costituire una sorta di specificazione del
principio   di   uguaglianza   enunciato,   a  livello  di  principio
fondamentale, dall'art. 3, primo comma, Cost. (v. sentenze n. 188 del
1994  e  n. 422  del  1995),  ma assegna ora alla Repubblica anche un
compito di promozione delle pari opportunita' tra donne e uomini;
        che,  di  conseguenza,  per l'esame dell'attuale questione il
primo  comma  dell'art. 51 Cost. nel testo attualmente vigente assume
un ruolo assorbente;
        che   con  riguardo  all'art. 51  Cost.  l'ordinanza  non  e'
adeguatamente  motivata,  in quanto il giudice remittente si limita a
richiamare  la  sentenza di questa Corte n. 422 del 1995, senza alcun
riferimento alla sopravvenuta modifica di tale norma costituzionale;
        che,  pertanto,  la  carenza  argomentativa dell'ordinanza di
rimessione si traduce in una determinante mancanza di motivazione sul
parametro  costituzionale  evocato e sulla non manifesta infondatezza
della  questione,  in  quanto  il  richiamo  esclusivo sul punto alla
sentenza  n. 422  del  1995  di questa Corte induce a ritenere che il
Consiglio di Stato remittente abbia inteso riferirsi al vecchio testo
della  disposizione  costituzionale,  senza specificare le ragioni di
tale  scelta e senza una complessiva valutazione delle sopravvenienze
legislative  e  del  contesto  globale della giurisprudenza di questa
Corte (v. sentenza n. 49 del 2003 ed ordinanza n. 172 del 2001);
        che    la   questione   deve,   quindi,   essere   dichiarata
manifestamente  inammissibile  (v., ex plurimis, ordinanze n. 191 del
1992, n. 357 del 2001, n. 200 del 2003).