ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  deliberazione della Camera dei deputati del
27 maggio    2003,   relativa   alla   insindacabilita',   ai   sensi
dell'art. 68,   primo   comma,  della  Costituzione,  delle  opinioni
espresse  dall'on. Giancarlo Cito, promosso con ricorso del Tribunale
di  Taranto,  sezione  seconda  penale, notificato il 17 agosto 2004,
depositato  in  cancelleria il 14 settembre 2004 ed iscritto al n. 20
del registro conflitti 2004.
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito  nella  camera di consiglio del 15 dicembre 2004 il giudice
relatore Alfonso Quaranta.
    Ritenuto  che il Tribunale di Taranto, sezione seconda penale, in
composizione collegiale, ha promosso - con atto notificato in data 17
giugno 2004  e  pervenuto  presso  la  cancelleria di questa Corte il
successivo  23 giugno  -  conflitto  di attribuzione tra poteri dello
Stato  nei  confronti  della  Camera  dei deputati, in relazione alla
deliberazione  da essa adottata nella seduta del 27 maggio 2003 (doc.
IV-quater n. 68);
        che    il   ricorrente   -   chiamato   a   giudicare   della
responsabilita'  penale  dell'on.  Giancarlo  Cito, imputato (come e'
dato  evincere  dai provvedimenti ex art. 429 del codice di procedura
penale  emessi  a  carico  del  medesimo,  ed  allegati dal Tribunale
tarantino  all'ordinanza suddetta) dei reati, tra gli altri, previsti
e puniti dagli artt. 81, secondo comma, e 595, primo, secondo e terzo
comma  del codice penale, nonche' dall'art. 13 della legge 8 febbraio
1948,  n. 47  (Disposizioni  sulla  stampa)  -  evidenzia  come nella
summenzionata  deliberazione della Camera dei deputati si affermi che
i  fatti  oggetto  di  giudizio  «concernono  opinioni espresse da un
membro  del  Parlamento  nell'esercizio  delle  sue funzioni ai sensi
dell'art. 68, primo comma, della Costituzione»;
        che,  tuttavia,  il  Tribunale  di  Taranto  reputa  che  «le
dichiarazioni  di  cui si tratta, in quanto rese fuori dell'esercizio
di  funzioni parlamentari tipiche, non possono essere a queste ultime
ricondotte»  (con  conseguente  esclusione  della  garanzia  prevista
dall'art. 68,   primo   comma,   della   Costituzione),  giacche'  la
giurisprudenza  costituzionale  sarebbe «pacifica» nell'affermare che
«per  poter  ricondurre  le  dichiarazioni  extra  moenia  nell'alveo
dell'art. 68  Cost. «non basta la semplice comunanza di argomenti ne'
la  medesimezza  del  contesto  politico  tra  quelle dichiarazioni e
l'espletamento   di   atti   tipici   della  funzione  parlamentare»,
occorrendo,  invece,  una «sostanziale» corrispondenza di significati
tra  tali  dichiarazioni  e  le opinioni gia' espresse nell'ambito di
attivita'  parlamentari  tipiche» (il ricorrente richiama le sentenze
nn. 257 e 207 del 2002, nonche' la sentenza n. 321 del 2000);
        che  la  condotta  contestata  all'on.  Cito,  viceversa, non
appare  «in  alcun  modo collegata con la funzione parlamentare» (non
potendosi  nella  stessa  ravvisare  alcun intento divulgativo di una
scelta  o  di  un'attivita'  politico-parlamentare),  trattandosi  di
opinioni  espresse  nel  corso  sia  «di un comizio tenuto a chiusura
della   campagna  elettorale»,  sia  «di  due  distinte  trasmissioni
televisive»  andate  in  onda  presso  un'emittente locale, senza che
quelle  dichiarazioni  «fossero  riproduttive  di opinioni altrimenti
espresse in sede parlamentare»;
        che su tali basi, quindi, la ricorrente ha concluso affinche'
la  Corte  costituzionale  «adotti la decisione prevista dall'art. 38
della legge 11 marzo 1953, n. 87»;
        che  il  conflitto  e' stato dichiarato ammissibile da questa
Corte, in sede di prima delibazione, con ordinanza n. 296 del 2004;
        che  il  ricorrente  ha  provveduto ad effettuare la notifica
alla  Camera  dei  deputati,  in  persona del suo Presidente, in data
17 agosto  2004,  con successivo deposito presso la cancelleria della
Corte in data 14 settembre 2004;
        che  si  e'  costituita  in  giudizio la Camera dei deputati,
premettendo   che  l'ordinanza  che  promuove  il  conflitto  sarebbe
inammissibile,  giacche'  priva  di descrizione dei fatti all'origine
del conflitto stesso;
        che  la  difesa  della  Camera ritiene che il conflitto debba
essere,   altresi',   dichiarato  inammissibile,  sia  per  avere  il
ricorrente  omesso  di  descrivere  il  contenuto delle dichiarazioni
extra   moenia   del  parlamentare  e  di  raffrontarle  con  atti  e
dichiarazioni  funzionali  dello  stesso  e di altri parlamentari (si
richiamano,  a tal proposito, le sentenze nn. 364, 363 e 274 del 2001
di  questa  Corte);  sia  perche'  l'atto  introduttivo  del presente
conflitto  non  e'  stato  emanato  nella forma del ricorso bensi' in
quello  dell'ordinanza,  come  risulterebbe  dalla autoqualificazione
contenuta  nella  parte dispositiva e dalle statuizioni relative alle
notificazioni e alle comunicazioni, tipiche del giudizio incidentale;
        che, a tale ultimo proposito, la difesa della Camera da' atto
della giurisprudenza della Corte che ha affermato la fungibilita' del
ricorso e dell'ordinanza quali strumenti utili a promuovere conflitto
di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato, a condizione pero' - non
soddisfatta  nel  caso  di  specie  -  che  «l'atto  contenga tutti i
requisiti specificamente prescritti»;
        che,  in  particolare, nell'ipotesi in esame, mancherebbe: a)
«qualunque  descrizione  dei  fatti  all'origine  del  conflitto»; b)
l'indicazione  delle  ragioni  del  conflitto  (si richiama parte del
contenuto  della  sentenza  n. 363  del  2001);  c)  la  menzione dei
parametri   costituzionali,  avendo  il  ricorrente  citato  soltanto
l'art. 68   della   Costituzione  che  «e'  posto  a  presidio  delle
attribuzioni   del  confliggente  potere»;  d)  la  formulazione  del
petitum,  essendosi  l'autorita' giudiziaria limitata semplicemente a
promuovere  conflitto  di  attribuzione  «in  relazione alla delibera
della  Camera  dei  deputati  del  27 maggio  2003  relativa  a  Cito
Giancarlo»  e  a  richiedere  «che  la Corte costituzionale adotti la
decisione prevista dall'art. 38 della legge 11 marzo 1953, n. 87»;
        che, nel merito, si osserva che le opinioni espresse dall'on.
Cito   nelle   vicende   sopra  indicate  risulterebbero  oggetto  di
specifiche interrogazioni parlamentari proposte dallo stesso on. Cito
aventi  tutte  ad oggetto, sotto diversi profili, la vicenda relativa
al servizio di polizia municipale nella citta' di Taranto;
        che  dovrebbe,  pertanto, ritenersi che le dichiarazioni rese
extra  moenia  dall'on. Cito siano «riproduttive di opinioni espresse
nel  corso di una polemica parlamentare, attraverso specifici atti di
funzione» (sul concetto di nesso funzionale si richiamano le sentenze
n. 120  del  2004;  n. 379 del 2003; nn. 321, 320, 11 e 10 del 2000 e
n. 417 del 1999);
        che, con memoria del 17 novembre 2004, la difesa della Camera
dei   deputati,  oltre  a  ribadire  le  conclusioni  gia'  formulate
nell'atto   di   costituzione,  ha  eccepito  l'improcedibilita'  del
giudizio per tardivita' del deposito dell'atto introduttivo, avvenuto
oltre  la  scadenza  del  termine  di  venti  giorni  dalla notifica,
previsto  dall'art.  art. 26,  comma 3, delle norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale.
    Considerato  che  l'atto  e'  stato  notificato  alla  Camera dei
deputati,  unitamente all'ordinanza che lo ha dichiarato ammissibile,
il  17 agosto  2004, ed e' pervenuto alla Corte, ai fini del deposito
prescritto  dall'art. 26,  comma 3,  delle  norme  integrative  per i
giudizi  davanti alla Corte costituzionale, in data 14 settembre 2004
a  mezzo  del servizio postale, e cioe' oltre la scadenza del termine
di  venti  giorni  dalla  notifica,  previsto  dallo  stesso art. 26,
comma 3;
        che,  in  conformita'  alla costante giurisprudenza di questa
Corte  (tra  le altre, sentenze nn. 278 e 250 del 2004), tale termine
deve   ritenersi  perentorio  e,  dunque,  il  deposito  considerarsi
tardivo,  non trovando applicazione nei giudizi avanti a questa Corte
l'istituto  della  sospensione  feriale  previsto  dall'art. 1, primo
comma, della legge 7 ottobre 1969, n. 742;
        che,   pertanto,   il   giudizio   deve   essere  considerato
improcedibile.