ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale degli artt. 6 e 10 della
legge  30 luglio  1990,  n. 217  (Istituzione  del patrocinio a spese
dello  Stato per i non abbienti) e successive modificazioni, promossi
con  ordinanze  del  14  e  del  21  (n. 2  ordinanze) gennaio  e del
23 maggio  2003 dal Tribunale di Messina, rispettivamente iscritte ai
nn. 322,  368,  369  e  767  del registro ordinanze 2003 e pubblicate
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica nn. 23, 25 e 39, 1ª serie
speciale, dell'anno 2003.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 13 ottobre 2004 il giudice
relatore Fernanda Contri.
    Ritenuto  che  il  Tribunale di Messina, con quattro ordinanze di
identico  contenuto emesse in data 14 gennaio, 21 gennaio e 23 maggio
2003,   ha   sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3  e  24  della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale degli artt. 6
e 10 della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a
spese  dello  Stato  per  i  non  abbienti),  nella  parte in cui non
prevedono  la  possibilita'  di impugnare davanti al tribunale o alla
corte  di  appello  il  provvedimento  di  revoca  di  ammissione  al
patrocinio  a  seguito dell'accertamento della mancanza, originaria o
sopravvenuta, del requisito del limite di reddito del beneficiario;
        che  il rimettente e' investito dell'esame di quattro ricorsi
ex  art. 6,  comma 4,  della  legge  n. 217  del  1990,  a seguito di
altrettante  sentenze  della  Corte  di  cassazione con le quali sono
stati  cosi' qualificati i ricorsi presentati da quattro imputati nei
cui  confronti  la  Corte  di  assise  di  Messina  aveva revocato il
beneficio  della  ammissione  al  patrocinio  a spese dello Stato per
sopravvenuta mancanza dei requisiti di legge;
        che  secondo  il giudice a quo nel sistema della legge n. 217
del  1990,  cosi'  come  modificato dalla legge 29 marzo 2001, n. 134
(Modifiche alla legge 30 luglio 1990, n. 217, recante istituzione del
patrocinio  a  spese  dello  Stato  per i non abbienti), il potere di
revoca  del  provvedimento  di ammissione al patrocinio a spese dello
Stato  e'  previsto nel caso di omessa comunicazione delle variazioni
di reddito o di mancata presentazione della documentazione prescritta
per  i  redditi  prodotti  all'estero,  o  ancora  quando  vi  e' una
variazione del reddito comunicata tempestivamente dall'interessato;
        che,  secondo  il  rimettente,  in  questi  casi  e' prevista
l'adozione  del  provvedimento  di  revoca  nella  forma  del decreto
motivato,  che  puo' essere impugnato con ricorso al tribunale o alla
corte  di  appello  cui  appartiene  il  giudice  che  ha  emesso  il
provvedimento   di  revoca  o  modifica  e  con  la  possibilita'  di
successivo ricorso per cassazione per violazione di legge;
        che  sempre  il  rimettente  osserva  che l'art. 10, comma 2,
della  citata legge n. 217 del 1990 prevede anche un potere di revoca
o  modifica  del  provvedimento  di  ammissione, esercitabile in ogni
momento  su  richiesta  del  competente  ufficio dell'amministrazione
finanziaria  entro cinque anni dalla definizione del procedimento per
il  quale era stato ottenuto il beneficio, attribuito alla competenza
del  tribunale o della corte di appello cui appartiene il giudice che
aveva  provveduto  all'ammissione,  con  la possibilita' di ricorrere
successivamente per cassazione;
        che,  come  sostiene  il  giudice  a quo, esistono divergenze
circa  l'ammissibilita' di una revoca ex officio del provvedimento di
ammissione  al  patrocinio  a spese dello Stato disposta dallo stesso
giudice  che ha accordato il beneficio in relazione al difetto di uno
dei  presupposti  di  ammissibilita',  o  alla mancanza, originaria o
sopravvenuta, delle condizioni di reddito del soggetto, pur avendo la
giurisprudenza riconosciuto tale potere in caso di erronea ammissione
del  beneficio  per procedimenti riguardanti reati contravvenzionali,
con conseguente esperibilita' del reclamo di cui all'art. 6, comma 4,
della  legge  citata  ed  esclusione della ricorribilita' diretta per
cassazione;
        che,   sempre  secondo  il  rimettente,  appare  problematica
l'ammissibilita'  di  una  revoca  per  difetto  delle  condizioni di
reddito,  non  sempre  ritenuta  possibile in assenza di richiesta da
parte  dell'amministrazione finanziaria, per la quale un orientamento
giurisprudenziale  ritiene  possibile  la  revoca,  anche in mancanza
della  richiesta  dell'intendente di finanza, quale espressione di un
generale potere di autotutela dell'amministrazione, mentre altra tesi
afferma  che  essa sarebbe l'espressione di un potere giurisdizionale
che   non   puo'   essere   attivato   d'ufficio   senza  la  domanda
dell'amministrazione finanziaria;
        che,  quanto  al  rimedio  esperibile, mentre alcune sentenze
affermano  che  in  caso  di  revoca  disposta  per la modifica delle
condizioni   di   reddito  sarebbe  esperibile  il  solo  ricorso  in
cassazione, altre pronunce ammettono in questo caso l'impugnazione di
cui all'art. 6, comma 4, della legge n. 217 del 1990;
        che  ad  avviso  del  giudice  a  quo,  se appare ragionevole
ritenere  sempre  consentito  al  giudice  che  procede,  anche senza
l'iniziativa  di altra amministrazione, il controllo sul diritto alla
conservazione del beneficio in relazione al possesso delle condizioni
di reddito previste dalla legge, problematica appare l'individuazione
di  un completo sistema di tutela verso tali provvedimenti, posto che
il ricorso per cassazione e' previsto dall'art. 10 della legge citata
nel  caso in cui vi sia stata richiesta da parte dell'amministrazione
finanziaria  rivolta al giudice, ma non appare esperibile nel caso in
cui  sia lo stesso giudice procedente a revocare il beneficio, e cio'
in  ragione  del principio di tassativita' dell'impugnazione prevista
dall'art. 6   della   legge  n. 217  del  1990  citata,  non  essendo
assimilabile  l'ipotesi  di difetto originario del requisito a quella
del diniego;
        che,  sempre  secondo  il  Tribunale  di  Messina,  in questa
ipotesi    non    sarebbe    possibile    dare    alla   disposizione
un'interpretazione  secondo  Costituzione, con la conseguenza che gli
interessati    resterebbero    privi   di   una   adeguata   garanzia
dell'effettivita'  della loro tutela giurisdizionale, con conseguente
violazione   sia   dell'art. 3  Cost.,  in  quanto,  in  presenza  di
provvedimenti che muovono da presupposti comuni, non e' assicurata la
medesima  garanzia,  sia  dell'art. 24  Cost.,  per  la  compressione
dell'effettivita' del diritto di difesa;
        che,  secondo il rimettente, la situazione non e' destinata a
mutare  a seguito delle modifiche del quadro normativo introdotte dal
d.P.R.   30 maggio  2002,  n. 115  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), il cui
art. 299  ha  espressamente abrogato l'intera legge n. 217 del 1990 e
la  successiva  legge n. 134 del 2001, posto che l'art. 99 del d.P.R.
citato  prevede  e  disciplina  -  con  una  disposizione che ricalca
l'art. 6,  commi 4  e 5, della legge n. 217 del 1990 - l'impugnazione
dei  provvedimenti  di  rigetto  dell'istanza  di  ammissione, mentre
l'art. 113  ha  riprodotto  la  norma  che  consentiva il ricorso per
cassazione    in    caso    di   richiesta   di   revoca   da   parte
dell'amministrazione finanziaria, ma non contempla la possibilita' di
impugnare il provvedimento negli altri casi;
        che  nei  quattro  giudizi  di legittimita' costituzionale e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di
dichiarare la questione inammissibile e comunque infondata;
        che  preliminarmente  la  difesa  erariale  osserva che prima
della  emanazione delle ordinanze di rimessione l'intera legge n. 217
del  1990,  come  modificata  dalla  legge  n. 134 del 2001, e' stata
integralmente   abrogata  dall'art. 299  del  d.P.R.  n. 111  (recte:
n. 115) del 2002, entrato in vigore il 1° luglio dello stesso anno;
        che  la  materia  e'  ora disciplinata dal Capo IV (Decisione
sull'istanza  di ammissione al patrocinio) e dal Capo VII (Revoca del
decreto di ammissione al patrocinio) del Titolo II del d.P.R. citato,
nei  quali  sono  state  trasfuse  le disposizioni precedentemente in
vigore, pur se con modifiche non prive di rilievo;
        che di cio' ha mostrato di essere a conoscenza il rimettente,
il  quale  ha  pero'  espresso  l'avviso  che  «la  situazione non e'
destinata  a  mutare»  ed  ha  diretto  le  censure  nei confronti di
disposizioni  ormai  abrogate,  senza  svolgere alcuna considerazione
circa la loro perdurante applicabilita' nei giudizi a quibus;
        che,  come  osserva  l'Avvocatura, nella prospettazione delle
ordinanze   di   rimessione   lo   scopo   della   dichiarazione   di
illegittimita'  costituzionale  sarebbe quello di rendere applicabile
il rimedio di cui all'art. 6, comma 4, della legge n. 217 del 1990 al
di  la'  dell'ambito espressamente considerato dalla norma e anche in
caso di revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato;
        che  ai  sensi  dell'art. 99  del  d.P.R. n. 115 del 2002, la
competenza  a decidere del ricorso dell'interessato e' attribuita non
gia' al tribunale o alla corte di appello, ma, a seconda dei casi, al
presidente  del  tribunale  o al presidente della corte di appello ai
quali appartiene il magistrato che ha emesso il decreto impugnato, il
che  conferma  che  le  modifiche  introdotte sono rilevanti e che le
censure  non  possono,  di conseguenza, essere trasferite sulle nuove
disposizioni;
        che,  ad  avviso  della  difesa  erariale,  vi  e' difetto di
rilevanza  della  questione  o  comunque  manca  la motivazione sulla
stessa,  in  quanto  il  suo  accoglimento  renderebbe  configurabile
un'impugnazione  che  non sarebbe comunque di competenza dello stesso
rimettente;
        che  quanto ai profili di infondatezza, secondo l'Avvocatura,
malgrado  il  silenzio  delle  disposizioni,  dovuto ad un difetto di
coordinamento  normativo,  e'  agevolmente  ricavabile dal sistema la
possibilita'  di  una interpretazione adeguatrice secondo la quale e'
sempre  esperibile  nei confronti dei provvedimenti emessi in materia
dal  giudice  competente  il ricorso al presidente del tribunale o al
presidente   della   corte  di  appello,  i  cui  provvedimenti  sono
ricorribili  per  cassazione,  salvo  il  caso  di  revoca disposta a
seguito di istanza dell'ufficio finanziario, per la quale e' previsto
il ricorso diretto per cassazione, e tale interpretazione adeguatrice
sarebbe  del  resto  confermata  dalla  qualificazione giuridica che,
secondo l'ordinanza, la Cassazione avrebbe dato ai ricorsi de quibus.
    Considerato che il Tribunale di Messina dubita della legittimita'
costituzionale  degli artt. 6 e 10 della legge 30 luglio 1990, n. 217
(Istituzione  del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti),
nella  parte in cui non prevedono, nel caso in cui sia stata disposta
la revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello
Stato,    revoca   disposta   d'ufficio   dal   giudice   a   seguito
dell'accertamento  della  mancanza,  originaria  o  sopravvenuta, dei
requisiti  di  reddito, la possibilita' di impugnare il provvedimento
davanti  al  tribunale o alla corte di appello ai quali appartiene il
giudice che ha disposto la revoca del beneficio;
        che   le   disposizioni   violerebbero   sia  l'art. 3  della
Costituzione  -  in quanto, in presenza di provvedimenti di revoca di
ammissione  al  beneficio  che  muovono  da  presupposti  comuni, non
sarebbe  assicurata  a  tutti  gli  interessati  la  medesima  tutela
giurisdizionale  -  sia  l'art. 24  Cost.,  perche' la limitazione al
diritto  di  impugnazione comprometterebbe l'effettivita' del diritto
di difesa;
        che le quattro ordinanze hanno identico contenuto e i giudizi
vanno quindi riuniti per essere decisi con unico provvedimento;
        che  prima  della  pronuncia  delle  ordinanze  di rimessione
l'intera  legge  n. 217  del 1990, come modificata dalla legge n. 134
del  2001,  e'  stata integralmente abrogata dall'art. 299 del d.P.R.
n. 115  del  2002  (Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia di spese di giustizia), entrato in vigore il
1° luglio dello stesso anno;
        che  la  materia e' ora disciplinata dagli artt. 99 e 112 del
d.P.R.  n. 115  del  2002  citato,  nei  quali sono state trasfuse le
disposizioni  precedentemente in vigore, pur se con alcune modifiche,
e  su  tali  articoli le questioni sollevate dal Tribunale di Messina
vanno  quindi  trasferite,  avendo il rimettente mostrato di essere a
conoscenza dell'intervenuto mutamento del quadro normativo;
        che,  come  rileva  esattamente  l'Avvocatura,  nonostante un
difetto  di  coordinamento  normativo delle disposizioni trasfuse nel
testo  unico  ed  in parte novellate, si puo' ricavare dal sistema la
possibilita'  di  una interpretazione adeguatrice secondo la quale e'
sempre  esperibile,  nei  confronti dei provvedimenti di revoca della
ammissione  al  patrocinio  a  spese  dello  Stato emessi dal giudice
competente,  il  ricorso al presidente del tribunale o della corte di
appello,  i cui provvedimenti sono ricorribili per cassazione ovvero,
in caso di revoca richiesta dall'ufficio finanziario, direttamente il
ricorso per cassazione;
        che per «diritto vivente», come espresso in numerose pronunce
della  Corte  di  cassazione, confermato dalla recente sentenza delle
sezioni   unite   penali   del  14 luglio  2004,  n. 36168,  tutti  i
provvedimenti  che dispongono in ordine alla ammissione al patrocinio
a  spese  dell'erario,  compresi  quelli  di  revoca di un precedente
provvedimento, sono impugnabili negli stessi termini e con i medesimi
rimedi  stabiliti dall'art. 99 del d.P.R. n. 115 del 2002, non avendo
il  testo  unico  abrogato i diritti e le garanzie difensive previsti
dalla previgente disciplina;
        che  il  rimettente  e'  partito  quindi  da  un  presupposto
interpretativo  erroneo  e da una incompleta ricostruzione del quadro
normativo e giurisprudenziale, con conseguente manifesta infondatezza
delle questioni sollevate.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.