LA CORTE DI APPELLO

    Visti  gli  atti  della  causa civile iscritta al n.172/04 R.G. a
seguito  di appello proposto da Girardi Rolando, Lobis Markus, Troger
Christian, Senoner Klaus Robert, Comploj Hubert, Martini Toni, Berger
Karl,  Gruber  Johann, Michaeler Hans-Jörg, Siller Rudolf, Unterhuber
Anton   Franz  e  Weisssteiner  Ferdinand  Oswald  nei  confronti  di
Durnwalder  dott. Luis,  del  Presidente  pro  tempore  del Consiglio
provinciale  di  Bolzano,  del  Presidente  pro tempore del Consiglio
regionale  del  Trentino-Alto  Adige  e  del p.m. avverso la sentenza
n.808/04  dd.  19-24 agosto 2004 pronunciata dal Tribunale di Bolzano
nella  sua  sede  principale  nonche'  gli  atti  della  causa civile
iscritta   al  n. 177/04  RG.  a  seguito  di  appello  proposto  dal
Procuratore  della  Repubblica  presso  il  Tribunale  di Bolzano nei
confronti  di  Durnwalder  dott. Luis, del Presidente pro tempore del
Consiglio  provinciale  di  Bolzano,  del  Presidente pro tempore del
Consiglio  regionale  del  Trentino-Alto  Adige  nonche'  di  Girardi
Rolando,  Lobis  Markus,  Troger  Christian,  Senoner  Klaus  Robert,
Comploj  Hubert,  Martini Toni, Berger Karl, Gruber Johann, Michaeler
Hans-Jörg,  Siller  Rudolf,  Unterhuber  Anton  Franz  e Weisssteiner
Ferdinand    Oswald   ad   impugnazione   della   medesima   sentenza
(procedimenti  poi  riuniti sotto il n. 172/04 RG. all'udienza del 27
ottobre 2004);
    Uditi  in  pubblica  udienza,  a  seguito  di relazione fatta dal
presidente,  i  procuratori  delle parti costituite ed il Procuratore
Generale presso questa sezione distaccata della Corte di appello;
    Sciogliendo  la riserva formulata alla specificata udienza del 27
ottobre 2004; ha pronunciato la seguente ordinanza.

                      Svolgimento del processo

    Con  il  ricorso dd. 20-21 luglio 2004 presentato al Tribunale di
Bolzano  nella  sua  sede  principale, Girardi Rolando, Lobis Markus,
Troger Christian, Senoner Klaus Robert, Comploj Hubert, Martini Toni,
Berger  Karl,  Gruber  Johann,  Michaeler  Hans-Jörg,  Siller Rudolf,
Unterhuber  Anton  Franz e Weisssteiner Ferdinand Oswald, tutti nella
loro  veste  di  cittadini  iscritti nelle liste elettorali di comuni
della  Provincia  di  Bolzano  e per l'effetto chiamati a partecipare
alle  elezioni  del  Consiglio  provinciale di Bolzano indette per il
giorno  26  ottobre  2003  e  sfociate  nella  elezione a consigliere
provinciale  di  Durnwalder dott. Luis, poi convalidata dal Consiglio
provinciale  in  data  8  giugno  2004,  domandarono  che il predetto
consigliere  Durnwalder  fosse  dichiarato  decaduto  di  diritto sin
dall'origine,  dalla  relativa carica per avere ricoperto, da diversi
anni  e  fino  a  tutto  il  14 maggio 2004, ossia fino alla naturale
scadenza  del  relativo  mandato  assunto  per il triennio 2001/03 la
qualifica  di  membro  del consiglio di amministrazione della Sadobre
S.p.a.,  della quale la Provincia autonoma di Bolzano era stata socio
con una quota di partecipazione eccedente il 50%, versando cosi' esso
Durnwalder, alla data dell'ultimo giorno fissato per la presentazione
delle  candidature,  nella situazione di ineleggibilita' prevista dal
combinato disposto degli artt. 10 e 11 della legge regionale 8 agosto
1983,  n. 7,  recepita dall'art. 1 comma 1 della legge provinciale 14
marzo 2003, n. 4.
    Il  consigliere  Durnwalder,  costituendosi  con  comparsa dd. 11
agosto  2004, resistette alla domanda, facendo sostanzialmente valere
che  la  carica  di  membro  del  consiglio  di amministrazione della
Sadobre  S.p.a.  da  esso  rivestita  non  era  bastata a produrre la
denunciata  situazione  di  conflitto,  in quanto l'art. 11, comma 1,
lett. c),  della legge regionale n. 7/1983 richiamata dai ricorrenti,
per  il  dato  testuale e per la sua collocazione sistematica in seno
all'impianto  normativo,  era venuto a disciplinare esclusivamente la
posizione  dell'amministratore  o  dirigente  che avesse ricoperto la
qualifica  di  legale  rappresentante  di  societa'  per  azioni  con
partecipazione  maggioritaria  dell'ente (Regione o Provincia) ed era
anche  stato  conformemente e ripetutamente interpretato ed applicato
dal competente Consiglio Regionale della Regione Trentino-Alto Adige,
da varie legislature, in vari altri casi del tutto analoghi.
    Con  l'ora appellata sentenza numero 808/04 dd. 19-24 agosto 2004
il  Tribunale  di  Bolzano  provvide  a  rigettare la domanda a spese
compensate,  richiamando  a tal fine gli insegnamenti impartiti dalla
Corte  costituzionale  con  la  sentenza  n. 129 dd. 21 maggio 1975 e
pervenendo, attraverso l'interpretazione costituzionalmente orientata
dall'art. 11  della  citata  legge  regionale,  al  risultato  che la
qualifica  di  membro  del consiglio di amministrazione della Sadobre
S.p.a.  ricoperta  dal Durnwalder avesse integrato una semplice causa
di  incompatibilita'  accostabile  a  quelle rimaste disciplinate dal
successivo  art. 12  e,  nel  caso  di  specie,  venuta meno in epoca
pacificamente  anteriore  al  momento  in cui era stata deliberata la
convalida della contestata elezione del predetto consigliere.
    Con   il   proposto   appello   i  cittadini  elettori  originari
ricorrenti,  censurando  la validita' dell'interpretazione effettuata
dal  primo  giudice e sostenendo che una corretta lettura della norma
avrebbe  imposto  l'inquadramento  della  fattispecie,  anche perche'
testualmente   definita   come   di   ineleggibilita',   fra   quelle
disciplinate   dall'art. 10   delle   legge  regionale,  tornarono  a
domandare  che  l'adita  Corte  di  appello,  ravvisata la denunciata
situazione di ineleggibilita', dichiarasse la cessazione dalla carica
fin dall'origine del consigliere Durnwalder.
    Il  Procuratore  della Repubblica presso il Tribunale di Bolzano,
sviluppando    autonomo   appello   per   contestare   la   soluzione
interpretativa  percorsa dal Tribunale in aderenza a quella risalente
sentenza  «additiva» della Consulta, insistette, per l'ipotesi che la
posizione  del  consigliere Durnwalder non fosse ritenuta sussumibile
sotto le norme dettate a disciplina delle ipotesi di ineleggibilita',
che fosse dichiarata la non manifesta infondatezza della questione di
legittimita' costituzionale del combinato disposto dell'art. 1, comma
1  della  legge  provinciale  n. 4/2003  e  dell'art. 11  della legge
regionale  n. 7/1983  in  quanto  venuti  a ledere il principio della
ragionevolezza  ed a risultare praticamente inapplicabili per ragioni
sostanzialmente   identiche   a  quelle  gia'  valutate,  seppure  in
riferimento  ad  una  diversa  legge  intervenuta su materia analoga,
appunto con la specificata pronuncia emessa nell'anno 1975.
    L'appellato   consigliere   Durnwalder,   invece,   costituendosi
nuovamente,   si  limito'  ad  invocare  il  rigetto  delle  proposte
impugnazioni.
    A  cause  di  appello  gia'  avviate  il  Consiglio regionale del
Trentino-Alto  Adige  approvo'  la legge regionale 29 settembre 2004,
n. 3  («interpretazione  autentica dell'art. 11, comma 1, della legge
regionale 8 agosto 1983, n. 7»), il cui unico art. 1 (interpretazione
autentica) recita:
        «1.  Nell'art.  11,  comma  1, della legge regionale 8 agosto
1983,  n. 7,  e successive modifiche, le espressioni amministratori o
dirigenti, ovunque ricorrano, sono riferite esclusivamente a soggetti
titolati alla rappresentanza esterna dell'ente o societa».
    Tale legge, essendo stata pubblicata sul Bollettino della Regione
Trentino-Alto  Adige n. 41/I-II del 12 ottobre 2004, entro' in vigore
il 27 ottobre 2004, ossia con lo stesso giorno per il quale era stata
fissata  l'udienza  di  discussione  nei  due giudizi di appello, poi
riuniti.
    Peraltro  ancora  prima  ed  in previsione dell'entrata in vigore
della  predetta  legge  regionale  gli appellanti cittadini elettori,
presentando  memoria  difensiva dd. 18 ottobre 2004, avevano eccepito
l'illegittimita'  costituzionale della nuova normativa per un duplice
ordine di considerazioni:
        sotto  un  primo  profilo in quanto la potesta' legislativa a
dettare   la  disciplina  affidata  alla  nuova  legge,  anche  sotto
l'aspetto  interpretativo,  sarebbe dovuta considerarsi riservata, in
virtu'  della novella apportata dalla legge costituzionale 31 gennaio
2001,  n. 2,  allo  Statuto  speciale  per il Trentino-Alto Adige, al
Consiglio  provinciale di Bolzano, per cui il Consiglio regionale del
Trentino-Alto Adige, legiferando in materia, sarebbe venuto a violare
le previsioni statutarie sul punto; e sotto un profilo ulteriore e di
merito, in quanto la recentissima norma interpretativa, innovando con
effetti  retroattivi,  senza  che  fossero  emerse  esigenze  di vera
interpretazione, ad una disciplina tracciata da una normativa gia' di
per  se'  chiara  ed  inequivoca, peraltro in pendenza di un giudizio
avente  per  oggetto  l'applicazione di tale normativa, sarebbe stata
emanata   senza   il  doveroso  rispetto  dei  generali  principi  di
ragionevolezza,  della  tutela  dell'affidamento  e  della coerenza e
certezza  dell'ordinamento  giuridico,  in specifica violazione degli
artt. 3, 51 e 102 della Carta costituzionale.
    Invocarono pertanto i predetti appellanti cittadini elettori che,
previa  deliberazione  della  rilevanza  ai  fini  della decisione da
emettere   nell'instaurata   controversia   e   della  non  manifesta
infondatezza   delle   questione   di  legittimita'  sollevate  negli
illustrati  termini,  l'adita  Corte  rimettesse  gli atti alla Corte
costituzionale per il relativo giudizio.
    Il  Procuratore generale, presentando in udienza una propria nota
dd.   27  ottobre  2004  e  facendo  in  essa  valere  l'impostazione
innovativa  e non gia' interpretativa della nuova legge regionale, ne
contesto'  l'applicabilita'  alla fattispecie portata all'esame della
Corte,  insistendo  per  l'accoglimento delle richieste formulate dal
Procuratore  della  Repubblica  presso  il Tribunale con l'interposto
gravame.
    L'appellato  consigliere  Durnwalder,  mediante  memoria  dd.  27
ottobre  2004  prodotta  e  scambiata sempre in udienza, resistette a
tutte le nuove avversarie richieste, invocandone il rigetto.

                      Considerazioni in diritto

    Essendo  la  Corte  chiamata  a  pronunciarsi  sulle questioni di
legittimita'  costituzionale  finora  a  piu' riprese sollevate dalle
diverse  parti  e  dovendo,  per  ragioni  di  ordine  logico, essere
preminentemente   verificata   la   rilevanza,   agli  effetti  della
controversia   da   decidere  in  questa  sede,  delle  questioni  di
legittimita'  costituzionale  sviluppate  dagli  appellanti cittadini
elettori  con  la memoria difensiva dd. 18 ottobre 2004, s'impone una
preliminare   analisi   dell'intrinseca   funzione   perseguita   dal
legislatore   con   l'emanazione  della  citata  legge  regionale  29
settembre 2004 n. 3.
    Balza, infatti, agli occhi come tale legge, ove non la si potesse
ritenere  caratterizzata  da  contenuti  interpretativi  di  per  se'
retroattivi,  essendo  entrata  in  vigore  il  27 ottobre 2004 senza
alcuna  specifica  disposizione che ne avesse previsto l'applicazione
retroattiva, non sarebbe applicabile alla fattispecie in esame.
    Va, tuttavia, pur a prescindere dalla (non determinante) conforme
autodefinizione     emergente     dall'intitolazione,    riconosciuta
l'intrinseca  natura  interpretativa  della predetta legge, in quanto
indubbiamente  non venuta ad innovare ai contenuti dell'art. 11 della
legge  regionale  8  agosto 1983, n. 7 bensi' a rendere genericamente
piu'  chiara  ed  inequivoca  la portata delle originarie espressioni
«rappresentanti  legali  o  amministratori  dirigenti» riportate alle
lettere  b)  e  c)  del comma 1, quando il significato della predetta
norma,  se  intesa secondo il dato letterale messa a raffronto con il
dettato  del  comma  4  del  successivo  art. 12,  ma  soprattutto se
valutata  alla  luce  della  costante interpretazione che allo stesso
art. 11  risulta  essere  stata data nella pratica applicazione dalla
Commissione  di  convalida  del  Consiglio  regionale e dal Consiglio
stesso  da  piu'  legislature,  era divenuto e poteva ragionevolmente
ritenersi opinabile.
    E'  vero che la tesi interpretativa sostenuta fin dal giudizio di
prime  cure  e  ribadita  in  questa sede dal consigliere Durnwalder,
secondo  cui  la  dicitura  «rappresentanti  legali, amministratori o
dirigenti  delle societa' per azioni con capitale maggioritario della
Regione  o  delle  Province autonome» dovrebbe equivalere a quella di
«legali  rappresentanti, siano essi amministratori o dirigenti» delle
considerate  societa'  per azioni, sembrerebbe a prima vista smentita
dalla  mancanza di una virgola a seguito del vocabolo «dirigenti» (la
cui  presenza  soltanto  avrebbe  reso  piu' stringente o addirittura
imposto la lettura reclamata dal Durnwalder), tantopiu' che l'analogo
precetto dettato dalla precedente lettera b) del comma 1, riferito ai
«rappresentanti  legali,  amministratori  o  dirigenti  di  imprese o
societa'  volte  al  profitto di privati e sussidiati dalla Regione o
dalle  Province»,  risulta  sempre  carente di identica virgola e che
perdippiu'  la  versione  tedesca  della  norma  qui  in  esame («die
gesetzlichen    Vertreter,    die    Verwalter    oder   Leiter   von
Aktiengesellschaften   mit   Mehrheitskapital  der  Region  oder  der
autonomen  Provinzen») sembrerebbe sempre ancora incompatibile con la
voluta  specificazione  accompagnatoria  da  abbinare  e  riferire ai
legali  rappresentanti,  se appunto da intendersi come i soli colpiti
dalla previsione di ineleggibilita'.
    Ne'  si dimentichi che la predetta tesi sembrerebbe ulteriormente
smentita  dal  fatto  che,  alla  lettera  a)  del  medesimo  comma 1
dell'art. 11,  si  fosse  fatto  richiamo a «rappresentanti legali di
societa'  o  imprese  private  ...  legati  con  la  Regione o con le
Province...»  senza alcuna specificazione, quando la medesima tecnica
legislativa  sarebbe  potuta essere adottata nelle successive lettere
b)  e  c),  sempre  che  effettivamente  si  fosse inteso riferire la
relativa disciplina esclusivamente ai rappresentanti legali.
    Una   serie   di   elementi   e   non  trascurabili  imperfezioni
terminologiche  della  legge  regionale  n. 7/1983  rendono  pero' in
qualche   maniera   sostenibile  la  tesi  avanzata  dal  consigliere
Durnwalder  e,  di  riflesso, quantomeno dubbi i propositi perseguiti
dal legislatore regionale con la norma in esame:
        il  fatto  che,  nella  societa'  per  azioni, secondo quanto
disposto   dall'art. 2384  del  codice  civile  e  per  assolutamente
pacifica  elaborazione  giurisprudenziale, i poteri di rappresentanza
possano  finire effettivamente affidati tanto ad amministratori (soci
o  non soci, investiti a norma dell'art. 2380 codice civile) quanto a
direttori    generali    (ossia   a   lavoratori   qualificati,   non
necessariamente  investiti  anche della carica di amministratore, pur
risultando la medesima cumulabile con quella del dipendente);
        il fatto che, nelle disposizioni dettate alle lettere b) e c)
del  comma  1  dell'art. 11  della  legge  regionale,  si fosse fatto
significativamente  uso  della disgiunzione «o», poco indicata a fare
apparire  semplicemente elencativa la sequenza dei riportati concetti
«rappresentanti  legali», «amministratori» e «dirigenti», soprattutto
se  raffrontata a quella emergente dalla successiva lettera d), nella
quale  il  richiamo, evidentemente cumulativo, ai «consulenti legali,
amministrativi  e  tecnici» risulta essere stato fatto con pertinente
ricorso  alla  congiunzione «e»; il fatto che la norma risulti essere
stata formulata in evidente aderenza all'analoga disposizione dettata
- a livello nazionale - nella legge 23 aprile 1981, n. 154 («norme in
materia  di  ineleggibilita'  ed  incompatibilita'  alle  cariche  di
consigliere  regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in
materia  di  incompatibilita'  degli  addetti  al  Servizio sanitario
nazionale»),  la  quale  significativamente,  elencando all'art. 2 le
situazioni  di  ineleggibilita' a consigliere regionale, provinciale,
comunale  e  circoscrizionale,  contempla al numero 10 del comma 1 «i
legali  rappresentanti  ed  i dirigenti delle societa' per azioni con
capitale maggioritario rispettivamente della regione, della provincia
o del comune», facendo proprio ricorso alla congiunzione «e»;
        la    poca    determinatezza   terminologica   dei   concetti
«amministratori e «dirigenti» impiegati, la quale - quanto al secondo
-  risulta  avvalorata dal fatto che la suprema Corte, con la recente
sentenza numero 10779 dd. 9 luglio 2003, fosse dovuta intervenire per
chiarire,  seppure  in  riferimento all'appena citato n. 10 del primo
comma dell'art. 2 della predetta legge 23 aprile 1981, n. 154, che la
«ivi  recepita  nozione  di  dirigente non e' da intendere, nel senso
proprio   dell'art. 2095  c.c.,  come  indicativa  di  una  specifica
categoria   di   prestatori   di   lavoro  subordinato,  bensi'  come
riferimento  alla  posizione  di  quanti concorrano - come coloro che
compongono   il   suddetto   organo   collegiale   amministrativo   -
all'elaborazione  delle scelte gestorie e di politica economica della
societa' stessa»;
        e,  non  ultimo, il fatto che alle lettere a) b), c) e d) del
comma 4 del successivo art. 12 della legge regionale numero 7/1983 si
fosse  fatto  un  anilitico  e  dettagliato  richiamo  alle figure di
«presidente»,  di  «membro  del  consiglio  di  amministrazione»,  di
«direttore  generale»  e  di «dirigente» di enti, istituti e societa'
varie,  quando  il  ricorso agli identici concetti avrebbe certamente
contribuito a rendere univoco il precetto formulato alle lettere b) e
c) del comma 1 dell'art. 11, sempre che lo si fosse inteso estendere,
oltre  che  ai  legali  rappresentanti,  anche  a semplici membri del
consiglio di amministrazione o a fantomatici diversi dirigenti.
    A  cio'  si aggiunga che l'esigenza interpretativa, a seguito dei
dubbi  sorti  a  seguito  e  per  effetto dell'iniziativa giudiziaria
assunta  dagli  attuali appellanti cittadini elettori, risulta essere
stata  avvertita  proprio  in considerazione del fatto (avvalorato da
documenti  prodotti  dal consigliere Durnwalder nel giudizio di prime
cure)  che, gia' all'inizio della passata legislatura, la Commissione
di  convalida  del  Consiglio  regionale del Trentino-Alto Adige e lo
stesso   Consiglio,   evidentemente   a   seguito   di   sospetti  di
ineleggibilita'  gia'  allora  sorti  in ordine a diversi consiglieri
eletti  in  provincia  di  Bolzano  e risultati membri di consigli di
amministrazione   di   societa'   con  capitale  maggioritario  della
Provincia,  autonoma  di Bolzano (dei consiglieri Werner Frick, Alois
Kofler  e  Michael  Josef Laimer in particolare), avessero ogni volta
deciso per 1' insussistenza della situazione di conflitto, escludendo
cosi' 1' applicabilita' della contestata norma alla fattispecie.
    Dalla  ritenuta  incontrovertibile  natura  interpretativa  della
recentissima  legge  regionale  numero  3/2004  discende cosi' la sua
retroattiva   forza   vincolante   e   concreta  applicabilita'  alla
fattispecie da esaminare.
    Va  altresi'  precisato,  ad  ulteriore  supporto della rilevanza
delle   questioni  di  legittimita'  costituzionale  sollevate  dagli
appellanti  cittadini  elettori in riferimento alla specificata legge
regionale    numero   3/2004   come   l'ipotetica   declaratoria   di
illegittimita'  della medesima avrebbe da comportare la rivisitazione
della  posizione  del  consigliere  Durnwalder alla luce del disposto
dell'art. 11  della  legge  regionale  numero  7/1983 intendersi come
dettato a disciplina di ipotesi di autentica ineleggibilita'.
    Ritiene, infatti, a tale riguardo la Corte che la interpretazione
costituzionalmente  guidata  data  alla  norma  dal primo giudice non
regga  al  vaglio  critico, risultando sufficientemente chiara, oltre
che  esaustiva e sistematicamente valida, la disciplina emergente dal
combinato disposto degli artt. 10, 11 e 12 della citata legge.
    Se,  infatti,  l'art. 12 contempla le ipotesi di incompatibilita'
di  cariche  dettando  anche  i  meccanismi  per  la  loro efficace e
tempestiva rimozione, appare piu' che evidente come gli artt. 10 e 11
traccino,  entrambi,  l'alternativa disciplina di situazioni definite
tutte di ineleggibilita'.
    Non   a   caso   l'art. 11   (con  la  rubrica  «Altre  cause  di
ineleggibilita»)  riprende tale concetto tanto all'inizio del comma 1
(«Non  sono  eleggibili  inoltre:  a)  ... b) ... c) ... ») quanto al
successivo  comma 2 («Non sono eleggibili infine: a)... b) abrogato e
c)...»).
    Ne   consegue   che  la  disciplina  dettata  dai  commi  2  e  3
dell'art. 10  -  secondo  cui le cause di ineleggibilita' previste al
primo  comma  (rispettivamente per membri del Governo, Commissari del
Governo,  sindaci  dei  comuni maggiori, magistrati, militari di alto
rango,   dipendenti  regionali  o  provinciali  ed  ecclesiastici  in
particolari situazioni) sono destinate a non produrre effetto qualora
l'interessato   cessi   dalle   relative   funzioni  per  dimissioni,
trasferimento,  revoca  dell'incarico  o richiesta di collocamento in
aspettativa  rispettivamente  intervenuti  non  oltre l'ultimo giorno
fissato  per la presentazione delle candidature - non puo' non essere
applicata  in  via  analogica  in riferimento alle ulteriori cause di
ineleggibilita'  previste nell'art. 11, da ritenersi sempre destinate
a  non  avere  effetto  se rimosse, con l'abbandono delle considerate
cariche  ostative (di cui al comma 1) ovvero con la presentazione del
conto  finanziario  o  di  amministrazione  nel  caso  previsto dalla
lettera  a)  del comma 2 o dell' estinzione del debito prevista dalla
successiva  lettera c), entro la scadenza del termine previsto per la
presentazione delle candidature.
    Si  deve  cioe'  ritenere  che  gli insegnamenti sviluppati dalla
Corte  costituzionale  nella  sentenza numero 129 del 21 maggio 1975,
richiamati  dal  tribunale  nella sentenza ora appellata per ritenere
incompleto  l'impianto  dell'art. 11  e sostanzialmente inapplicabile
alle  relative situazioni le disposizioni dettate dai commi 2 e 3 del
precedente  art. 10  e  per  cosi' giungere, in via interpretativa, a
fare  rientrare  la situazione di cui alla lettera c) del comma 1 del
medesimo  art. 11  -  quella  venuta  ad  interessare  il consigliere
Dumwalder  -  fra  le  ipotesi  di incompatibilita' e, soprattutto, a
ritenere  in  concreto  sanato  il conflitto a causa della cessazione
della  carica intervenuta prima della convalida dell'elezione, non si
attaglino in alcun modo alla fattispecie in esame.
    La  considerata  pronuncia  della  Corte  delle  leggi,  infatti,
risulta  essere  intervenuta  in  riferimento  all'art. 15,  n. 3 del
d.P.R.   16   maggio  1960,  n. 570,  quando  tale  norma  prevedeva,
raggruppandole   e   concentrandole  nell'unica  categoria  di  cause
denominate   di  ineleggibilita'  e  senza  precisare  a  quale  arco
temporale  dovesse  aversi  riguardo  per  ritenerne la sussistenza e
perduranza,  tutta  una serie di situazioni di conflitto di interessi
che, negli strumenti legislativi approvati a disciplina dell'identica
materia in epoca successiva sia a livello nazionale che nelle regioni
autonome  e cosi' ancora e proprio nella ora invocata legge regionale
8 agosto 1983, n. 7, finirono incluse o fra le cause tuttora definite
di  ineleggibilita' (soggiacenti, agli effetti di una loro efficace e
tempestiva  eliminazione,  a disciplina sostanzialmente impostata sul
principio della rimozione entro il termine utile per la presentazione
delle  candidature  e  quindi anticipata ad un momento anteriore alla
consultazione  degli  elettori)  o,  in  alternativa, fra le cause di
incompatibilita'  (passibili  di  rimozione  in epoca successiva alle
elezioni, purche' attuata entro la data della convalida).
    Ne  consegue  che la piu elaborata e comunque completa disciplina
della   precisata  materia,  quale  appunto  ottenuta  con  la  legge
regionale  numero  7/1983,  non puo' che avere reso assolutamente non
pertinenti  ed  obsoleti,  ai  fini  della  presente  controversia, i
rilievi e le precisazioni sviluppati dalla Corte costituzionale nella
specificata  sentenza  (interpretativa  di  rigetto) emessa nel ormai
lontano anno 1975.
    A  cio'  si  aggiunga che la Corte di cassazione, con la sentenza
numero 7123 dd. 21 luglio 1998, pur dopo essersi sforzata a tracciare
la    differenza   ontologica   intercorrente   tra   le   cause   di
ineleggibilita' alle cariche pubbliche elettive (definite come quelle
condizioni  personali  del  cittadino  consistenti  nel  possesso  di
determinate  cariche pubbliche o private o dello status di dipendente
di  alcuni  enti  che  limitano  il diritto di elettorato passivo del
cittadino  e che, se non rimosse entro un certo termine precedente le
elezioni,  le  invalidano  senza  che  al cittadino sia consentito di
scegliere,  una volta eletto, tra l'ufficio precedentemente ricoperto
e  quello  elettivo)  e  le cause di incompatibilita' (individuate in
quelle  volte  a  garantire  il  regolare  esercizio  delle  funzioni
pubbliche  mediante  il  divieto  di cumulo della carica elettiva con
altre cariche, ma non incidenti sul diritto di elettorato passivo del
cittadino  che  e'  posto di fronte alla scelta di optare per l'una o
l'altra carica) ebbe a stabilire - in aderenza, peraltro, a quanto in
precedenza chiarito dalla Corte costituzionale con la sentenza numero
276  dd.  25  luglio 1997 - che la valutazione circa l'inserimento di
cariche  ritenute configgenti con un determinato mandato elettivo nel
novero  delle cause di ineleggibilita' a consigliere regionale ovvero
fra   quelle  di  incompatibilita',  ove  non  irragionevole,  e'  da
intendersi  rimessa  alla  discrezionalita'  del  legislatore  (nella
specie regionale).
    Nel  caso  in  esame, quindi, non appare condivisibile nemmeno il
ragionamento che risulta avere portato il Tribunale di Bolzano, nella
sentenza  ora  impugnata  e  per  via  nterpretativa, a ritenere piu'
appropriata  l'inclusione  della  carica  in  concreto  rivestita dal
consigliere Durnwalder nella Sadobre s.p.a. fra quelle implicanti una
semplice  incompatibilita' e, quindi, a ritenere che la situazione di
conflitto fosse rimasta soggetta alla disciplina dettata nell'art. 12
della legge regionale numero 7/1983.
    Proprio  il  fatto  che  il legislatore regionale, novellando gli
artt. 11 e 12 della predetta legge regionale numero 7/83 con la legge
regionale 26 febbraio 1990, n. 5, avesse voluto sopprimere la lettera
b)  del  secondo comma dell'art. 11 («coloro che hanno liti pendenti,
ad  eccezione  di  quelle  in  materia tributaria, in quanto parte in
procedimento civile o amministrativo con la Regione o con le Province
di  Trento  e  di Bolzano») e contestualmente inserire, dopo il comma
terzo  dell'art. 12,  l'ulteriore comma 3-bis («Non puo' ricoprire la
carica di consigliere regionale colui che ha lite pendente, in quanto
parte in un procedimento civile o amministrativo con la Regione o con
le  Province Autonome di Trento e di Bolzano. La pendenza di una lite
in  materia  tributaria  non  determina  incompatibilita'.»),  sta  a
significare  come  esso  legislatore  si fosse ritenuto investito del
considerato  potere  di  discrezionale  scelta  ed avesse, con quella
modifica  legislativa, confermato la validita' anche sotto il profilo
terminologico   dell'   originaria  inclusione  delle  situazioni  di
conflitto    previste    dall'    art. 11   nella   categoria   dell'
ineleggibilita',  e  fosse soltanto perche' diversamente il trasporto
della  previsione  del  soggetto  avente  liti  in  corso  con l'ente
dall'art. 11  al  successivo  art. 12  non  avrebbe avuto alcun senso
logico ne' meno che mai prodotto pratiche conseguenze.
    Risultando  cosi'  appurata la rilevanza, ai fini della decisione
richiesta  nell'instaurata controversia, delle sollevate questioni di
legittimita'  costituzionale,  va  altresi'  ravvisata  la  loro  non
manifesta  infondatezza  sotto  i  profili  prospettati dai cittadini
elettori (seppure con non pertinente richiamo all'art. 70 della Carta
costituzionale,  quando  le  norme  di riferimento dovevano e debbono
essere   quelle   corrispondenti   dello,  statuto  speciale  per  il
Trentino-Alto Adige).
    Si  deve,  infatti,  in primo luogo, seriamente dubitare che alla
Regione  Trentino-Alto  Adige  fosse spettata la potesta' legislativa
all' emissione della legge regionale numero 3/2004 e che il potere ad
intervenire  in  materia  non  fosse,  invece,  come dagli appellanti
cittadini   elettori   affermato,  da  intendersi  passato  ed  ormai
riservato alla Provincia autonoma di Bolzano.
    A  seguito  delle  modifiche  apportate  dall'art. 4  della legge
costituzionale  31  gennaio  2001  n. 2  allo statuto speciale per il
Trentino-Alto  Adige  nel  testo  approvato con d.P.R. 31 agosto 1972
n. 670 (ed in particolare agli artt. 25 e 47) e', infatti, innegabile
come,  dall'entrata  in vigore della novella, il Consiglio regionale,
anziche'  essere  espressione  di elezione diretta dei cittadini come
nel   passato  (con  la  precisazione  che  i  consiglieri  regionali
risultati  eletti  nelle  due  province andavano a formare i Consigli
provinciali rispettivamente di Trento e di Bolzano), fosse finito per
cosi'   dire   degradato  a  semplice  sommatoria  dei  due  Consigli
provinciali  autonomamente  e  separatamente eletti e come a ciascuna
Provincia  autonoma  fosse  rimasto  attribuito  (secondo la dicitura
dell'art. 47  novellato)  il  potere di determinare con propria legge
provinciale  approvata  dal  Consiglio provinciale con la maggioranza
assoluta  dei suoi componenti, seppure in armonia con la Costituzione
ed  i  principi  dell'ordinamento  giuridico  della  Repubblica,  nel
rispetto   degli   obblighi   internazionali  e  tenuto  conto  delle
differenziate    disposizioni    dettate    dallo    stesso   Statuto
rispettivamente  per  le  due  Province,  la  forma  di governo della
provincia e, specificatamente, le modalita' di elezione del Consiglio
provinciale, del Presidente della Provincia e degli assessori.
    Non  a  caso  entrambe  le  province  risultano avere prontamente
provveduto  ad approvare, rendendo obsoleta la disciplina transitoria
tracciata   ai   commi   2   e   3  dell'art. 4  della  citata  legge
costituzionale numero 2/2001, le previste leggi provinciali, emanando
la  Provincia  Autonoma di Trento la legge 5 marzo 2003, n. 2 («Norme
per  l'elezione  diretta  del  Consiglio  provinciale di Trento e del
presidente  della  provincia»)  e  la  Provincia  autonoma di Bolzano
appunto  la  richiamata  legge  14  marzo  2003,  n. 4 («Disposizioni
sull'elezione  del  Consiglio della Provincia autonoma di Bolzano per
l'anno 2003»).
    Ne   consegue   che,   dall'intervenuta  attuazione  della  nuova
disciplina  statutaria  e  dall'entrata  in  vigore delle considerate
leggi  provinciali, i consiglieri provinciali eletti nella Provincia,
autonoma  di  Trento  e  quelli  eletti in quella di Bolzano (seppure
destinati  a  comporre  congiuntamente  anche il Consiglio regionale)
possono  astrattamente  derivare e sono venuti in concreto a derivare
la  spettia  investitura  da  elezioni  rimaste disciplinate da norme
chiaramente  differenziate  e nemmeno preordinate a garantire - come,
errando,  sembrerebbe  avere ritenuto il primo giudice nell'appellata
sentenza - ne' unitarieta' ne' identita' di presupposti e di effetti.
    Va  anche  rilevato  come  la  legge  trentina,  risultando cosi'
espressione   proprio   dell'autonomia  riconosciuta  in  materia  al
relativo  Consiglio provinciale, si fosse premurata a disciplinare in
maniera  completa ed originaria, seppure rifacendosi a schemi mutuati
da  piu'  antichi  strumenti  legislativi  anche  statali, le diverse
ipotesi  di  non  candidabilita', ineleggibilita' ed incompatibilita'
(dedicando  alla  relativa  disciplina il capo II e, si badi, facendo
rientrare   fra   le   ipotesi   di   incompatibilita',  disciplinate
dall'art. 17,  al  comma  4, fra altre anche la posizione del «legale
rappresentante,  amministratore,  direttore  generale  o dirigente di
enti,  istituti  o societa' al cui capitale la Regione o la provincia
autonoma  di  Trento  partecipino  oppure  nei  confronti dei quali i
medesimi  enti  assegnino  finanziamenti»), mentre la legge bolzanina
non  risulta  essersi soffermata sull'argomento con norme specifiche,
limitandosi al comma I dell'unico articolo 1 della legge a richiamare
genericamente   e   quindi   anche   a   proposito  della  disciplina
dell'ineleggibilita'  e  dell'incompatibilita'  non  piu' toccata dai
successivi  commi  dedicati  ad  altre materie, alla precedente legge
regionale  («Ai  fini  delle  elezioni  del  Consiglio provinciale da
indirsi  nell'anno  2003  trovano  applicazione  le norme di cui alla
legge  regionale  8  agosto  1983,  n. 7, e successive modificazioni,
compatibilmente con le disposizioni di cui ai seguenti commi»).
    La scorciatoia cosi' percorsa dal legislatore provinciale non e',
pero',  ovviamente  bastata  a  fare  sopravvivere  una  qualsivoglia
potesta'  legislativa della Regione Trentino-Alto Adige sulla materia
indicata  e  deve  fare ritenere, ammesso che la volonta' del (nuovo)
legislatore   al   riguardo   fosse   rimasta   oscura  per  presunte
imperfezioni  della richiamata legge regionale e che il dettato della
medesima  fosse apparso bisognoso di un intervento di completamento o
di interpretazione, che fosse spettato proprio ed esclusivamente alla
Provincia autonoma di Bolzano (e per essa al Consiglio provinciale di
Bolzano)  rimediare  all'inconveniente  e  provvedere,  se  dal caso,
all'approvazione di una legge interpretativa.
    Appare,  d'altra  parte,  assai  poco  lineare  che  la  relativa
iniziativa  fosse  stata  assunta  dalla  Regione Trentino-Alto Adige
soltanto  perche'  in  altri  tempi  e  sotto il vigore dello statuto
speciale  nell'originaria versione era stata appunto essa ad emettere
la legge ora apparsa bisognosa di «aggiustamento», quando ormai nella
relativa potesta' legislativa erano subentrate le due province ed era
certamente  assurdo  che  a ridisegnare l'assetto istituzionale della
Provincia  autonoma  di  Bolzano,  seppure  sotto  forma di una legge
interpretativa  riferita  ad  una legge regionale divenuta obsoleta e
sopravvissuta unicamente per effetto del richiamo ad esso fatto nella
legge  provinciale  numero 4/2003 approvata dal Consiglio provinciale
di   Bolzano,   si  fossero  intromessi,  a  fianco  dei  consiglieri
bolzanini, i colleghi trentini.
    Anche  i  sospetti di incostituzionalita' sollevati dai cittadini
elettori censurando che la recente legge interpretativa, approvata in
pendenza  di  un  giudizio  vertente  proprio sull'applicazione della
norma  ora fatto oggetto di interpretazione autentica, sarebbe venuta
ad  urtare  contro  i  principi  costituzionalmente  garantiti  della
ragionevolezza,   della  tutela  dell'affidamento  e  della  certezza
dell'ordinamento  giuridico  e, per l'effetto, a violare gli artt. 3,
51   e   102  della  Carta  costituzionale,  appaiono  tuttaltro  che
pretestuosi,  tanto  da giustificare e richiedere ancora una relativa
declaratoria di non manifesta infondatezza.
    Se,  infatti,  la  Corte  costituzionale  ha  avuto ripetutamente
occasione  di  stabilire  come,  purche'  non  si  venga  a ledere il
fondamentale disposto dell' art. 25 della Carta costituzionale che fa
divieto  di  legiferare  con efficacia retroattiva in materia penale,
sia   da  considerare  legittima  e  non  di  per  se'  irragionevole
l'emanazione  di  leggi  con  effetti  retroattivi,  non  importa  se
interpretative  o  autenticamente innovative, quando la disciplina da
esse  emergente  non  contrasti con il dettato della ragionevolezza e
non    comporti    la   lesione   di   altri   valori   o   interessi
costituzionalmente  protetti (cfr. C. cost. 7 giugno 1999, n. 229), e
se  e' vero che, in riferimento a leggi interpretative, la violazione
del  principio  di  ragionevolezza  e'  stata  normalmente esclusa in
presenza  di  comprovate situazioni di incertezza e di reali esigenze
di chiarificazione (cfr. C. cost. 5 novembre 1993, n.  402 e 9 aprile
2002,  n. 374),  non  va  sottaciuto  che  la  violazione del dettato
dell'art. 3  Cost.  e' stato ravvisato in ipotesi in cui una norma di
interpretazione  autentica  con  effetti  retroattivi  era  venuta  a
trovarsi  in  urto  con  l'affidamento  dei consociati nella certezza
dell'ordinamento  giuridico  per riscontrata non prevedibilita' della
soluzione  interpretativa  adottata dal legislatore (cfr. C. cost. 15
novembre 2000, n. 525).
    La  Corte delle leggi, con la sentenza numero 397 dd. 10 novembre
1994,   ha   altresi'  precisato  che  non  e'  contestabile  che  il
legislatore    ordinario   abbia   il   potere   di   dettare   norme
dall'applicazione  della  quali possono derivare effetti nei riguardi
dei   procedimenti   giudiziari   in  corso,  specie  allorche'  tale
intervento  sia  dettato  al  fine  di  impedire  una  situazione  di
irrazionale  disparita' di trattamento, e che in simili casi la legge
interpretativa,  pur  interferendo  necessariamente  nella  sfera del
potere  giudiziario,  non  incide  sul  principio della divisione dei
poteri,  dal  momento  che essa agisce sul piano astratto delle fonti
normative  e  determina  una  indiretta incidenza generale su tutti i
giudizi,  presenti  o  futuri,  senza  far  venire  meno  la potestas
iudicandi,  bensi'  semplicemente ridefinendo il modello di decisione
cui  l'esercizio  di  detta  potesta' deve attenersi. La Corte non ha
pero'  mancato  di  soggiungere che, allorquando risulti l'intenzione
della  legge  interpretativa  di vincolare il giudice ad assumere una
determinata  decisione  in specifiche ed individuate controversie, la
funzione  perde  la  propria  natura  ed  assume  contenuto meramente
provvedimentale.
    A   cio'   si   aggiunga,  per  tornare  alla  specifica  materia
dell'ineleggibilita' ad una carica elettiva e delle incompatibilita',
che  la  Corte  di cassazione, con la gia' richiamata sentenza numero
7123  dd.  21 luglio 1998, prendendo lo spunto dalla pure gia' citata
legge  23 aprile 1981, n. 154, venuta a trasformare alcune precedenti
condizioni   di  ineleggibilita'  in  cause  di  incompatibilita'  e,
soprattutto,  soffermandosi  sull'art. 12, secondo cui le nuove norme
dovevano   essere   applicate   anche   ai   giudizi  in  materia  di
ineleggibilita'  ed incompatibilita' in corso al momento dell'entrata
della   legge,  se  non  ancora  definiti  con  sentenza  passata  in
giudicato,  ha  avuto  cura  di  avvertire come tale disciplina fosse
venuta   ad   integrare  eccezione  alla  regola  non  sufficiente  a
consentire  una  generalizzata  applicazione  del  principio ad altre
leggi  analoghe in assenza di specifica disposizione in esse inserita
e,  nel  caso  di  specie,  resa  meno  scandalosa  dal  fatto che la
retroattivita'  della  nuova  disciplina  a  situazioni gia' divenute
oggetto  di  controversia ancora pendente fosse stata prevista in una
legge   statale,   venuta   appunto   a  regolare  la  materia  dell'
ineleggibilita'  e delle incompatibilita' alle cariche di consigliere
regionale,   provinciale,   comunale   e  circoscrizionale  e  quella
dell'incompatibilita'  degli addetti al Servizio sanitario nazionale,
mentre  non  ha  avuto  remore  a  soggiungere  la suprema Corte che,
qualora  una  clausola  analoga  fosse stata inserita in una legge da
organo  intento  a  disciplinare  le  regole  riguardanti  le proprie
elezioni,    essa    si    presterebbe    a    sicuri   sospetti   di
incostituzionalita', anche perche' nella relativa assemblea sarebbero
potuti  sedere  (con diritto di voto) alcuni rappresentanti eletti in
condizioni  di  ineleggibilita',  i  quali,  votando  per l'efficacia
retroattiva  della  nuove  regole elettorali, sarebbero finiti con il
decidere  circa la propria sorte (la permanenza o meno nell'assemblea
stessa).
    Ebbene,  essendo  fin  troppo  evidente come nel caso in esame si
fosse  verificata  proprio  l'illustrata  situazione  e  come  con la
disciplina  retroattiva  dettata  dalla  contestata  legge  regionale
numero  3/2004,  si  fosse  venuti  non  soltanto  a  capovolgere, ad
elezioni  espletate,  la  definizione dei presupposti di accesso alle
relative   candidature,   lasciando   consolidata   l'esclusione  dei
potenziali  aspiranti  alla  carica di consigliere provinciale che in
ipotesi  avessero rinunciato alla candidatura e quindi all' esercizio
del  diritto di elettorato passivo in ottemperanza alla nel passato a
prima  vista  ostativa  formulazione della norma ora fatta oggetto di
interpretazione, ma, soprattutto, ad influenzare l'esito del giudizio
gia' anteriormente promosso dai cittadini elettori attuali appellanti
per fare valere 1' ineleggibilita' del consigliere Durnwalder fondata
su  quella medesima norma, la richiesta verifica della compatibilita'
della  nuova  legge  con i principi stabiliti negli artt. 3, 51 e 102
della Carta costituzionale appare piu' che giustificata ed imposta.
    Quanto  precisato  in precedenza ad illustrazione della rilevanza
delle questioni appena esaminate rende, invece, evidente la manifesta
infondatezza  della  diversa questione di legittimita' costituzionale
sollevata  dal  Procuratore  della  Repubblica presso il Tribunale di
Bolzano in riferimento alla legge regionale numero 7/1983 e la quale,
in ipotesi, sarebbe potuta divenire rilevante in caso di pronuncia di
inammissibilita'  o  di rigetto sulle questioni che stanno per essere
rimesse  al vaglio della Corte delle leggi, sicche' su tale ulteriore
questione non vi sara' da provvedere al momento.