IL GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE

    A scioglimento della riserva assunta alla udienza preliminare del
29 settembre 2004 questo giudice,

                            O s s e r v a

    Contro  Fiori Giovanni Francesco il pubblico ministero ha chiesto
il  rinvio  a  giudizio  per  i  reati di maltrattamenti in famiglia,
lesioni, minaccia, favoreggiamento e truffa.
    Alla  udienza  del 25 febbraio 2005, dichiarata la contumacia del
prevenuto,  contestualmente  alla richiesta di ammissione al giudizio
abbreviato il difensore ha depositato il fascicolo del difensore e ne
ha   domandato   l'acquisizione:   nel   fascicolo  e'  inserita  una
deposizione testimoniale e documentazione concernente la causa.
    Alla  udienza  preliminare  del  19  maggio  2004  - rinviata per
legittimo   impedimento   dell'imputato   il  pubblico  ministero  ha
preannunciato  una  questione  di incostituzionalita' depositando una
memoria scritta.
    L'eccezione  e'  stata illustrata nella successiva udienza del 29
settembre  2003.  In quella udienza la difesa ha domandato al giudice
di  dichiarare  l'eccezione manifestamente infondata. Questo giudice,
sentite  le  parti, si e' riservato rinviando il processo all'udienza
odierna.
    Nella memoria del pubblico ministero cosi' e' dato leggere:
        «"questione  di legittimita' costituzionale degli artt. 438 e
442, comma 1-bis c.p.p.
    Prima  di  formulare la questione di legittimita' costituzionale,
appare  necessario  chiarire  se  atti  di indagine difensiva possano
confluire  nel  materiale probatorio utilizzabile dal giudice ai fini
della deliberazione nel giudizio abbreviato.
    Pur  in  presenza  dell'infelice  formulazione  del  comma  1-bis
dell'art.  442,  nonche'  dell'art. 391-octies, comma 3 c.p.p., e' la
stessa logica della disciplina delle indagini difensive a condurre ad
una risposta positiva.
    L'art.  442,  comma  1-bis indica come utilizzabili ai fini della
deliberazione "agli atti contenuti nel fascicolo di cui all'art. 416,
comma  2,  la documentazione di cui all'art. 419, comma 3, e le prove
assunte nell'udienza".
    Mentre in relazione alla documentazione di cui all'art. 419 comma
3  non  vi  e'  dubbio che la stessa riguardi l'attivita' di indagine
(integrativa)  di  qualunque  parte  del  processo, il riferimento al
fascicolo  di  cui  all'art. 416, comma 2 potrebbe far sorgere dubbi:
secondo   la   previsione   dell'art.   391-octies,   comma   3,   la
documentazione  degli atti di indagine difensiva, custodita nel corso
delle   indagini   nel  fascicolo  del  difensore  tenuto  presso  la
cancelleria del g.i.p., viene inserita "nel fascicolo di cui all'art.
433",  a sua volta formato dopo il rinvio a giudizio e per esclusione
rispetto al fascicolo per il dibattimento.
    Un'interpretazione   letterale   dell'art. 391-octies  porterebbe
allora  alla conclusione che la documentazione degli atti di indagine
difensiva salterebbe l'udienza preliminare, per confluire solo in via
eventuale  nel  fascicolo  di cui all'art. 433. La conclusione appare
paradossale,  posto che ne deriverebbe l'inutilizzabilita' degli atti
di  indagine difensiva proprio nel momento piu' significativo, quello
della  decisione  sul  rinvio a giudizio; atti magari gia' utilizzati
dal  g.i.p.  nel  corso  delle indagini; ne' sarebbe comprensibile il
perche',  al contrario, sarebbero pienamente utilizzabili gli atti di
indagine  difensiva  compiuti dopo la richiesta di rinvio a giudizio,
secondo  il  letterale  richiamo  all'art. 419,  comma 3. Deve allora
logicamente  concludersi  che  tutta  la  documentazione  relativa ad
indagini  difensive,  prodotta  al  giudice  ovvero al p.m. nel corso
delle  indagini, confluisce nel materiale utilizzabile dal g.u.p. per
la decisione, e che il "fascicolo di cui all'art. 416, comma 2" debba
oggi essere inteso non piu' come fascicolo delle indagini preliminari
del p.m. ma come fascicolo delle indagini di tutte le parti.
    Altri  dubbi  interpretativi  dell'art.  442, comma 1-bis possono
sorgere   con  riferimento  alle  "prove  assunte  nell'udienza".  E'
indubbio  che  tale  disposizione  si  riferisce  alle  prove assunte
nell'udienza   di  svolgimento  del  giudizio  abbreviato,  ai  sensi
dell'art. 441 commi 5 e 6.
    Resta  da  chiedersi  se  il riferimento valga anche per le prove
assunte  nell'udienza  preliminare,  ai  sensi  dell'art.  422 e, per
quanto  riguarda  il tema del quale ci si occupa, alla documentazione
di  atti di indagine difensiva prodotti nell'udienza preliminare. Con
riguardo  a  questi ultimi, anche volendo estendere il significato di
"udienza" a quella preliminare, parrebbe assai arduo sostenere che la
produzione  di  documentazione di atti di' indagine difensiva rientri
nel  concetto di prova assunta in udienza. E' tuttavia, ancora non si
capirebbe  perche' atti di indagine, dei quali il difensore (ma anche
il   p.m.   possono   chiedere  l'ammissione  fino  all'inizio  della
discussione dell'udienza preliminare (art. 421, comma 3,) non debbano
poi  essere  utilizzabili  al  pari  di  quelli  gia'  contenuti  nel
fascicolo delle indagini, dal giudice del giudizio abbreviato.
    Sul  presupposto  quindi che tutti gli atti di indagine difensiva
legittimamente  acquisiti  ai  fini  della  decisione  sul  rinvio  a
giudizio  entrino,  al  pari  di  quelli  del  p.m.  tra il materiale
utilizzabile   dal   giudice   per   la  deliberazione  nel  giudizio
abbreviato,  deve  concludersi  che  sotto tale profilo la disciplina
dell'art. 438  c.p.p.,  ed in particolare il diritto dell'imputato ad
ottenere  di  essere giudicato con rito abbreviato senza che le altre
parti possano opporsi, e dell'art. 442, comma 1-bis, come sopra si e'
cercato   di   interpretare,   sull'utilizzabilita'   ai  fini  della
deliberazione  degli  atti  di  indagine  difensiva,  si  pongono  in
contrasto con l'art. 111, comma 4 Costituzione.
    Non  puo'  infatti  porsi  in  dubbio  che  gli  atti di indagini
difensiva,  qualora  utilizzati per la decisione nel merito, come nel
caso   di   definizione   del   procedimento   con  rito  abbreviato,
costituiscono prove formate in assenza di contraddittorio, al pari di
quelli di indagine.
    E  tuttavia,  mentre l'utilizzabilila' degli atti di indagine del
p.m. (o di altre parti - persona offesa, altri imputati) e' con forme
alla  disciplina costituzionale, per l'espressa eccezione alla regola
del  contraddittorio  stabilita  dall'art. 111,  comma 5: l'imputato,
chiedendo  il giudizio abbreviato, rinuncia a contraddire, acconsente
all'utilizzo  di  una  prova formata senza contraddittorio (e d'altra
parte la disciplina della prima parte del comma 5 dell'art. 11 appare
introdotta  proprio  allo  scopo  di legittimare costituzionalmente i
riti  alternativi) altrettanto non si puo' dire per l'utilizzabilita'
degli  atti  di  indagine  difensiva  di chi ha richiesto il giudizio
abbreviato.  In particolare, non appare possibile sostenere che anche
per  tali  atti  operi l'eccezione sopra detta, posto che in tal caso
l'utilizzabilita'  dell'atto  non  sarebbe  autorizzata  dal consenso
dell'imputato ma deriverebbe da una sua scelta unilaterale.
    Se  infatti non solo il senso comune, ma il significato letterale
della parola consenso presuppongono un accordo di volonta' (consenso:
il  consentire  ad  una  cosa  richiesta,  conformita'  di voleri, di
opinioni; accordo - dizionario Garzanti della lingua italiana) appare
fuori  di  dubbio  che  il  caso  in  esame  esula  dalla  previsione
dell'art. 111,  comma 5 Costituzione, laddove proprio il consenso del
p.m.  e'  stato  escluso dai requisiti di ammissibilita' del giudizio
abbreviato.
    L'imputato  puo'  rinunciare  a  contraddire,  scegliendo il rito
abbreviato,  ma  non  puo' rinunciare ad una facolta' che non rientra
nella  sua  disponibilita',  e  cioe'  il contraddittorio delle altre
parti.
    E  cio'  vale  non  solo per il p.m., ma anche per le altre parti
processuali:  non  puo'  essere  certo escluso in linea di' principio
che,  ad  esempio,  eventuali coimputati abbiano interessi opposti in
ordine  all'utilizzo  delle  prove,  e eguale diritto alla scelta del
rito.
    E'  appena  il  caso  di  osservare che al principio del consenso
(accordo  delle  parti)  si  ispirano  altre norme del codice di rito
(art.  431,  comma 2 e 493, comma 3) che ammettono l'utilizzo di atti
raccolti in modo unilaterale.
    Ne'  vale  osservare  che  il  giudice  del  giudizio  abbreviato
conserva   ampi   poteri   di   integrazione   probatoria,  ai  sensi
dell'art. 441,  comma 5, perche' in primo luogo il giudice ha solo la
facolta' e non l'obbligo di procedere a tale attivita', ed in secondo
luogo  perche',  anche  qualora  il giudice esercitasse tale facolta'
(per  esempio,  esaminando  un  testimone  le cui dichiarazioni siano
oggetto di un atto di indagine difensiva, cio' non farebbe perdere il
valore  di  prova  piena  utilizzabile  ai  fini della decisione alle
dichiarazioni gia' rese al difensore.
    Non  ci  si  nasconde. che tale conclusione porta alla necessaria
conseguenza   dell'esclusione   del   rito   abbreviato  in  tutti  i
procedimenti   nei  quali  siano  stati  prodotti  atti  di  indagine
difensiva   ma,   laddove  non  si  ritenga  di  intervenire  in  via
interpretativa  (ad  esempio,  introducendo  un  consenso delle altre
parti,  non  al  rito  ma  all'utilizzabilita' degli atti di indagine
unilaterali,  applicando  in  via  analogica  i richiamati artt. 431,
comma  2  e 493, comma 3), e' compito del legislatore intervenire per
dare  anche  sotto  tale  profilo  attuazione  ai principi del giusto
processo initrodotti dall'art. 111 Costituzione"».
    A  sua  volta  la  difesa  ha sostenuto la manifesta infondatezza
della  questione  proposta  sottolineando in particolare come nessuna
violazione  del principio costituzionale potesse essere lamentata dal
pubblico   ministero   dal   momento  che,  secondo  quanto  previsto
dall'art. 438/5   c.p.p.   e'  dato  all'organo  di  accusa  chiedere
l'ammissione della prova contraria.
    Preliminarmente  questo  giudice ritiene che il giudizio non puo'
essere  definito  indipendentemente dalla risoluzione della questione
proposta   e   che   la   questione   proposta   non  possa  stimarsi
manifestamente  infondata:  essa attiene alla parita' processuale tra
le parti e al limite del consenso alla deroga del contraddittorio, e,
se  accolta, imporrebbe la individuazione di una diversa procedura in
ordine alla valenza delle indagini difensive nell'ambito del giudizio
abbreviato.
    In  particolare,  al  fine  di  compiutamente  dare attuazione al
principio  di  parita' delle parti indicato chiaramente nell'art. 111
Cost.,  nel  presente giudizio si pone il problema se sia possibile e
consentito  che  il  difensore  possa accedere al giudizio abbreviato
subito  dopo  avere  depositato il fascicolo del difensore e indicato
egli autonomamente e unilateralmente le prove; e, contestualmente, se
sia  o  meno  consentito  al giudice procedere con il rito abbreviato
valutando  come  processualmente  utilizzabili gli atti contenuti nel
fascicolo  del  difensore alla stregua degli altri atti contenuti nel
fascicolo  messo  a disposizione del giudice e sui quali quest'ultimo
deve formare il proprio convincimento e definire il giudizio.
    Occorre   in   primo   luogo  sottolineare  l'inconferenza  della
deduzione  della  difesa  dal  momento  che  il  potere  del pubblico
ministero  di chiedere l'ammissione della prova contraria, e, dunque,
di  riportarsi  su  un  piano  di  parita' processuale con la difesa,
riguarda  esclusivamente  l'intervento  a  seguito  di  richiesta  di
giudizio  abbreviato  sottoposto a condizione da parte dell'imputato:
il potere di cui si tratta e' affidato al Pubblico ministero infatti,
al  solo  ed  esclusivo  fine  di  contrastare la prova oggetto della
condizione la cui ammissione e' stata domandata dall'imputato.
    Nel   caso  in  esame  nessuna  condizione  e'  stata  posta  nel
richiedere  il  giudizio  abbreviato,  con  la conseguenza che quella
norma non puo' essere invocata dal pubblico ministero.
    Su  tale  conclusione  ci  si deve attestare, salvo non si voglia
considerare   il   giudizio  abbreviato  implicitamente  condizionato
all'acquisizione  del  fascicolo  del  difensore: ma, concordemente a
quanto  assunto  nella memoria dal pubblico ministero, deve ritenersi
che  tale  fascicolo  entri  a  fare  parte  di  quello  del  giudice
automaticamente,  rappresentando  un diritto della parte privata (per
il   pubblico  ministero  cio'  costituisce  anche  un  dovere)  fare
conoscere  al  giudice  gli elementi di prova acquisiti: sul punto si
rinvia   alle   osservazioni  indicate  nella  memoria  del  pubblico
ministero piu' sopra trascritta.
    L'art. 111  della  Costituzione cosi' come modificato dalle leggi
25  febbraio  2000  n. 35  e 24 marzo 2001 n. 89, disponendo che ogni
processo  si  svolga  nel  contraddittorio tra le parti, sancisce che
queste  ultime si debbano trovare in condizioni di parita'. Il quinto
comma  della  norma  citata  dispone testualmente: «la legge regola i
casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio
per consenso dell'imputato ...».
    La  forma  ordinaria  processuale, cio' che rappresenta la regola
nelle  modalita'  di  svolgimento  del processo. deve essere ritenuta
pertanto  quella che si svolge nell'ambito del contraddittorio tra le
parti.
    Attraverso  esso  ciascuna  delle  parti  puo'  interloquire  con
l'altra  al  fine  di  consentire l'acquisizione completa e obiettiva
della  prova  da  parte  del giudice che poi dovra' valutarla: cosi',
nata come soggettiva, con il contraddittorio la prova si oggettivizza
e solo in questa veste fonda il corretto convincimento del giudice.
    Il contraddittorio dunque consiste, nella sostanza, nel potere di
confutare   la   prova   antagonista  secondo  il  proprio  interesse
processuale e le contingenze del caso concreto:
    cosi'  ad  esempio  e'  dato  al difensore di contro esaminare un
teste  del  pubblico  ministero  (dunque  un  teste  di  accusa) e di
chiedere  di essere ammesso alla prova contraria; allo stesso modo e'
dato  al pubblico ministero di contro esaminare un teste della difesa
e di chiedere di essere ammesso alla prova contraria relativamente al
contenuto delle affermazioni del teste.
    Pertanto,   la   confutazione   della   prova  proveniente  dalla
controparte  costituisce  l'essenza  e  il  cardine del principio del
contraddittorio  su  cui  si  basa  il  processo  inteso  dalla norma
costituzionale citata.
    La  deroga  posta  dal ricordato quinto comma dell'art. 111 della
Costituzione,  in  via  evidentemente eccezionale, consente - al solo
imputato  e  non  anche  al  pubblico  ministero - di provvedere alla
formazione processuale della prova senza il contraddittorio: la prova
nasce   come   soggettiva,  ma  l'accettazione  che  di  essa  fa  la
controparte, la rende automaticamente oggettiva, idonea a far fondare
su di essa il corretto giudizio del giudice.
    Una tale discriminazione, la possibilita' che e' data di superare
il  contraddittorio  al solo imputato e non anche pubblico ministero,
dunque  la evidente diseguaglianza nei poteri delle parti nell'ambito
del  processo,  discende  principalmente dell'ossequio che si deve al
principio  del  favor  rei l'imputato e' considerato parte debole del
processo,   quantomeno  in  ragione  della  sperequazione  dei  mezzi
investigativi  di  cui  dispone  rispetto al pubblico ministero, e il
legislatore,  per  intuibili  ragioni  di riequilibrio, ha introdotto
alcune  norme - come quella in esame - che rappresentano posizioni di
vantaggio  dell'imputato sull'accusa; in tal modo deve anche leggersi
l'abrogazione   della  norma  del  codice  di  procedura  penale  che
consentiva  al  pubblico  ministero  di  opporsi  alla  richiesta del
giudizio abbreviato.
    Oppure, come ribadito anche dalla Corte costituzionale ad esempio
con  la  sentenza  n. 115  del  7-9 maggio 2001, tale eventualita' di
rinuncia  al  contraddittorio  da  parte dell'imputato si spiega come
«rischio  da  correre  o  come  prezzo  da  pagare»  per il vantaggio
derivato  dalla  decurtazione  della  pena  di  un  terzo  in caso di
condanna.
    Si  osservi  subito  che  la diseguaglianza in esame non e' stata
estesa  tuttavia  fino a non avere dei confini: essa, gia' nel nostro
ordinamento  processuale  penalistico  incontra dei limiti espliciti.
Cosi' ad esempio, qualora l'imputato subordini il giudizio abbreviato
all'accoglimento  di una data condizione, e' vero che la norma di cui
all'art. 438  c.p.p. offre all'imputato un potere che non e' concesso
al  pubblico  ministero  e  che non puo' essere da questi contrastato
(ossia  quello  di  modificare  unilateralmente il rito), ma e' anche
vero  che il richiamato art. 438 c.p.p. riserva al pubblico ministero
la  facolta'  di essere ammesso su sua richiesta alla prova contraria
rispetto a quella oggetto della condizione.
    Focalizzando  il  contenuto  del  potere di deroga dell'imputato,
deve   rimarcarsi  che  esso  consiste,  per  una  scelta  di  difesa
processuale,  nella  rinuncia  a  confutare  la  prova proveniente in
particolare  dal  pubblico  ministero  sua controparte processuale, e
nella  conseguente  autorizzazione  al giudice di decidere allo stato
degli  atti: l'imputato, per cosi' dire, si acquieta sull'esito delle
emergenze   investigative   prodotte   da   pubblico   ministero  sua
controparte.  le  quali  in  quel  momento,  cioe' nel momento in cui
l'imputato  consente  alla  deroga  e  proprio  per  effetto  di tale
consenso,  divengono,  per  cosi'  dire,  obiettive  e obiettivamente
consacrate, acquisendo il valore di vere e proprie prove similmente a
quelle raccolte nel contraddittorio delle parti.
    Si sottolinea cioe' che l'attivita' unilaterale e incontrastabile
dell'imputato  fa  modificare  la  natura  e  la valenza stessa degli
elementi   istruttori   raccolti  fino  a  quel  momento  nella  fase
istruttoria,  facendoli  assurgere - per il solo consenso manifestato
dall'imputato  -  da  elementi  senza alcun valore di prova (la prova
infatti avrebbe dovuto formarsi nel contraddittorio) a vere e proprie
prove.
    Tutto  cio'  appare ragionevole e lineare nei casi - che peraltro
rappresentano  la norma nell'esperienza pratica e quotidiana - in cui
il materiale probatorio di cui si tratta e' integralmente fornito dal
Pubblico  ministero,  essendo  libero  l'imputato  di  chiedere o non
chiedere  il  giudizio abbreviato e dunque di valutare se, secondo la
propria  strategia  processuale,  sia o non sia conveniente che detto
materiale  probatorio  pur  proveniente dalla sua controparte divenga
automaticamente  «insieme  di  prove»  su cui domandare al giudice di
decidere:  qualora  lo  stato  degli  atti  non fosse soddisfacente e
rassicurante per l'imputato e fosse invece necessario confutare uno o
piu' elementi di prova acquisiti dal pubblico ministero, all'imputato
rimarrebbe  comunque  e  pur sempre l'alternativa di non scegliere il
giudizio  alternativo  in  parola e di accedere al rito ordinario nel
cui   ambito,   attraverso   il   contraddittorio,   potranno  essere
liberamente  confutate le risultanze proposte dal pubblico ministero,
oppure   di   scegliere   il  giudizio  abbreviato  sottoponendolo  a
condizione.
    Si  ha  motivo  di  ritenere  che  il  legislatore della modifica
costituzionale  dell'art. 111  Cost., compiutamente disciplinando gli
aspetti sopra richiamati i quali, si ripete, costituiscono pressoche'
la  totalita'  dei  casi  nella  prassi  quotidiana,  non ha valutato
invece,  una situazione per cosi' dire inversa e opposta, sicuramente
eccezionale   nella   prassi   quotidiana,  la  quale  tuttavia  puo'
realizzarsi  come in effetti e' avvenuto nel caso in esame: si allude
cioe'  a  quella  situazione  nella  quale le emergenze investigative
presentate  al  giudice  della  udienza  preliminare provengono dallo
stesso  imputato,  costituendo esse l'esito delle indagini difensive,
ammesse  e  previste  dal  titolo  VI-bis  del  libro V del codice di
procedura penale.
    La  peculiarita'  e  l'anomalia  della  situazione  ora descritta
appare  all'evidenza: il soggetto che provvede a fornire le prove per
il  giudizio  del  giudice,  ossia  l'imputato,  e'  lo  stesso unico
soggetto  processuale che ha il potere di acconsentire alla deroga al
contraddittorio,  dunque  a  permettere  che sulle «sue» prove non si
estenda  il  contraddittorio.  Per  giunta  senza alcuna possibilita'
della  sua controparte, cioe' il pubblico ministero di provvedere con
prova contraria.
    Nel caso in esame cioe' e' completamente distorto quel meccanismo
di   consacrazione  obiettiva  della  prova  che  piu'  sopra  si  e'
illustrato: la prova infatti nasce soggettiva e diviene oggettiva non
per  il  consenso della controparte pubblico ministero - quella cioe'
che   dovrebbe   rinunciare   al   contraddittorio   -   ma  per  una
determinazione  che pone in essere lo stesso soggetto da cui proviene
la   prova:   in  sostanza  si  assiste  all'illogico  paradosso  che
l'imputato,   nel   caso   in   contestazione,   sta  rinunciando  al
contraddittorio,   sta   esprimendo   la   volonta'  di  rinuncia  al
contraddittorio,  sostituendosi con cio' al pubblico ministero, unico
soggetto che per logica puo' essere titolare di tale facolta'.
    Se  si ritenesse corretta una tale eventualita', sarebbe come se,
estromesso  da  ogni  interlocuzione  e opposizione l'imputato, fosse
consentito  unilateralmente  al  pubblico  ministero  di  chiedere  e
ottenere automaticamente che il processo si svolga e venga deciso con
le  forme  del giudizio abbreviato dunque senza contraddittorio sulla
base di prove da egli solamente acquisite.
    Sotto  il profilo del rispetto dei nuovi principi costituzionali,
invece,  il  quadro  normativo  impone  la  parita'  delle  parti nel
processo  e proprio tale principio prevede posizioni di vantaggio per
la  parte  piu'  debole  che  come si e' visto rappresentano forme di
riequilibrio tra i poteri delle parti.
    Ora  pero',  appare marcatamente irragionevole che tali posizioni
di  vantaggio  si  estendano al punto che l'imputato possa consentire
alla  deroga  del contraddittorio sulle prove da egli stesso prodotte
sostituendosi  nella  manifestazione  della  volonta'  addirittura al
pubblico  ministero:  la  logica vorrebbe infatti che in tali casi la
deroga  al  contraddittorio  venga  richiesta  dalla parte che non ha
prodotto le prove.
    Del resto il gia' citato art. 438/5 c.p.p. fornisce lo spunto per
ulteriori  argomentazioni  in senso favorevole all'accoglimento della
domanda   del  pubblico  ministero:  infatti,  in  via  ordinaria  e'
consentito  al difensore di subordinare il giudizio abbreviato ad una
«integrazione  probatoria  necessaria  ai  fini  della  decisione» ad
esempio  sentire  un testimone; tale richiesta dovra' essere valutata
dal  giudice  che  potra'  anche  non  ammetterla travolgendo in tale
maniera la stessa richiesta principale della modifica del rito.
    Ebbene, un difensore che proprio temendo tale ultima eventualita'
volesse  sicuramente  evitarla  a  suo favore, sarebbe autorizzato ad
utilizzare  la  piu'  comoda strada della presentazione del fascicolo
del  difensore  contenente  ad  esempio  proprio  la  testimonianza a
rischio  di non ammissione; domandando e ottenendo il rito abbreviato
(evidentemente   non   condizionato),  otterrebbe  la  trasformazione
automatica  del  rito,  l'automatica  acquisizione  come  prova della
testimonianza in contestazione senza che il giudice possa valutarla e
eventualmente  escluderla  dal  processo,  l'esclusione  del pubblico
ministero da ogni interlocuzione, e financo l'esclusione del pubblico
ministero  dalla  possibilita'  di «chiedere l'ammissione della prova
contraria»  come  sarebbe  stato  nell'ipotesi descritta all'art. 438
c.p.p. meglio conosciuta come «giudizio abbreviato condizionato».
    Infine  si  osservi  che  la  prova  in questione potrebbe essere
sottratta non solamente al contraddittorio del pubblico ministero, ma
anche  a  quello di altri soggetti come ad esempio alla parte offesa,
oppure  ad  altri  coimputati  evidentemente  portatori  di interessi
confliggenti  con  le risultanze che emergono dall'indagine difensiva
in questione.
    Ne'  puo'  ritenersi  soddisfacente l'eventualita' che i pubblico
ministero   solleciti  il  potere  del  giudice  di  provvedere  alla
citazione del teste esaminato dal difensore nelle indagini difensive:
infatti, a parte la considerazione che tale eventualita' potrebbe non
verificarsi in tutte quelle occasioni in cui il giudice non ritenesse
necessario  provvedere nel senso sopra detto con cio' definitivamente
frustrando  la  possibilita' per il publico ministero di interloquire
nella   formazione   della  prova  (si  osservi  inoltre  l'ulteriore
complicazione  suggerita  in  via  teorica  dal pubblico ministero al
riguardo, realizzabile nel caso di contrasto tra cio' che ha riferito
il  teste al difensore e quello che dice davanti al giudice nel corso
del  giudizio  abbreviato trattandosi per entrambi gli atti di vere e
proprie prove), il problema che si pone non e' quello di come ovviare
ad   una   diseguaglianza   tra  le  parti,  ma  piuttosto  che  tale
diseguaglianza sia possibile e si realizzi senza che sia giustificata
nel  quadro  dei  principi costituzionali e anzi possa essere data in
palese contrasto con gli stessi.
    In   sostanza   nella  nuova  formulazione  dell'art.  111  della
Costituzione  sembra  emergere  un  principio  secondo  il  quale  la
rinuncia  al contraddittono puo' essere disposta esclusivamente dalla
parte  da  cui  non  proviene la prova, unica a poter stabilire se le
condizioni  di parita' possano o meno essere derogate con la rinuncia
alla  confutazione  della prova stessa e sotto tale riguardo sembrano
viziati  di  illegittimita' costituzionale gli artt. 438 e 442, comma
1-bis  c.p.p.  i  quali  non  contemplano il divieto del difensore di
depositare  il  fascicolo  di  cui  all'art. 391  c.p.p.  e domandare
contestualmente il giudizio abbreviato, o, in alternativa, consentano
al  giudice  di  dichiarare  inutilizzabili  gli  atti  contenuti nel
fascicolo   del   difensore   nel  caso  sia  domandato  il  giudizio
abbreviato,  oppure infine, consentano al pubblico ministero nel caso
in esame quantomeno di provvedere con prova contraria.