IL GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE A scioglimento della riserva assunta alla udienza preliminare del 29 settembre 2004 questo giudice, O s s e r v a Contro Fiori Giovanni Francesco il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio per i reati di maltrattamenti in famiglia, lesioni, minaccia, favoreggiamento e truffa. Alla udienza del 25 febbraio 2005, dichiarata la contumacia del prevenuto, contestualmente alla richiesta di ammissione al giudizio abbreviato il difensore ha depositato il fascicolo del difensore e ne ha domandato l'acquisizione: nel fascicolo e' inserita una deposizione testimoniale e documentazione concernente la causa. Alla udienza preliminare del 19 maggio 2004 - rinviata per legittimo impedimento dell'imputato il pubblico ministero ha preannunciato una questione di incostituzionalita' depositando una memoria scritta. L'eccezione e' stata illustrata nella successiva udienza del 29 settembre 2003. In quella udienza la difesa ha domandato al giudice di dichiarare l'eccezione manifestamente infondata. Questo giudice, sentite le parti, si e' riservato rinviando il processo all'udienza odierna. Nella memoria del pubblico ministero cosi' e' dato leggere: «"questione di legittimita' costituzionale degli artt. 438 e 442, comma 1-bis c.p.p. Prima di formulare la questione di legittimita' costituzionale, appare necessario chiarire se atti di indagine difensiva possano confluire nel materiale probatorio utilizzabile dal giudice ai fini della deliberazione nel giudizio abbreviato. Pur in presenza dell'infelice formulazione del comma 1-bis dell'art. 442, nonche' dell'art. 391-octies, comma 3 c.p.p., e' la stessa logica della disciplina delle indagini difensive a condurre ad una risposta positiva. L'art. 442, comma 1-bis indica come utilizzabili ai fini della deliberazione "agli atti contenuti nel fascicolo di cui all'art. 416, comma 2, la documentazione di cui all'art. 419, comma 3, e le prove assunte nell'udienza". Mentre in relazione alla documentazione di cui all'art. 419 comma 3 non vi e' dubbio che la stessa riguardi l'attivita' di indagine (integrativa) di qualunque parte del processo, il riferimento al fascicolo di cui all'art. 416, comma 2 potrebbe far sorgere dubbi: secondo la previsione dell'art. 391-octies, comma 3, la documentazione degli atti di indagine difensiva, custodita nel corso delle indagini nel fascicolo del difensore tenuto presso la cancelleria del g.i.p., viene inserita "nel fascicolo di cui all'art. 433", a sua volta formato dopo il rinvio a giudizio e per esclusione rispetto al fascicolo per il dibattimento. Un'interpretazione letterale dell'art. 391-octies porterebbe allora alla conclusione che la documentazione degli atti di indagine difensiva salterebbe l'udienza preliminare, per confluire solo in via eventuale nel fascicolo di cui all'art. 433. La conclusione appare paradossale, posto che ne deriverebbe l'inutilizzabilita' degli atti di indagine difensiva proprio nel momento piu' significativo, quello della decisione sul rinvio a giudizio; atti magari gia' utilizzati dal g.i.p. nel corso delle indagini; ne' sarebbe comprensibile il perche', al contrario, sarebbero pienamente utilizzabili gli atti di indagine difensiva compiuti dopo la richiesta di rinvio a giudizio, secondo il letterale richiamo all'art. 419, comma 3. Deve allora logicamente concludersi che tutta la documentazione relativa ad indagini difensive, prodotta al giudice ovvero al p.m. nel corso delle indagini, confluisce nel materiale utilizzabile dal g.u.p. per la decisione, e che il "fascicolo di cui all'art. 416, comma 2" debba oggi essere inteso non piu' come fascicolo delle indagini preliminari del p.m. ma come fascicolo delle indagini di tutte le parti. Altri dubbi interpretativi dell'art. 442, comma 1-bis possono sorgere con riferimento alle "prove assunte nell'udienza". E' indubbio che tale disposizione si riferisce alle prove assunte nell'udienza di svolgimento del giudizio abbreviato, ai sensi dell'art. 441 commi 5 e 6. Resta da chiedersi se il riferimento valga anche per le prove assunte nell'udienza preliminare, ai sensi dell'art. 422 e, per quanto riguarda il tema del quale ci si occupa, alla documentazione di atti di indagine difensiva prodotti nell'udienza preliminare. Con riguardo a questi ultimi, anche volendo estendere il significato di "udienza" a quella preliminare, parrebbe assai arduo sostenere che la produzione di documentazione di atti di' indagine difensiva rientri nel concetto di prova assunta in udienza. E' tuttavia, ancora non si capirebbe perche' atti di indagine, dei quali il difensore (ma anche il p.m. possono chiedere l'ammissione fino all'inizio della discussione dell'udienza preliminare (art. 421, comma 3,) non debbano poi essere utilizzabili al pari di quelli gia' contenuti nel fascicolo delle indagini, dal giudice del giudizio abbreviato. Sul presupposto quindi che tutti gli atti di indagine difensiva legittimamente acquisiti ai fini della decisione sul rinvio a giudizio entrino, al pari di quelli del p.m. tra il materiale utilizzabile dal giudice per la deliberazione nel giudizio abbreviato, deve concludersi che sotto tale profilo la disciplina dell'art. 438 c.p.p., ed in particolare il diritto dell'imputato ad ottenere di essere giudicato con rito abbreviato senza che le altre parti possano opporsi, e dell'art. 442, comma 1-bis, come sopra si e' cercato di interpretare, sull'utilizzabilita' ai fini della deliberazione degli atti di indagine difensiva, si pongono in contrasto con l'art. 111, comma 4 Costituzione. Non puo' infatti porsi in dubbio che gli atti di indagini difensiva, qualora utilizzati per la decisione nel merito, come nel caso di definizione del procedimento con rito abbreviato, costituiscono prove formate in assenza di contraddittorio, al pari di quelli di indagine. E tuttavia, mentre l'utilizzabilila' degli atti di indagine del p.m. (o di altre parti - persona offesa, altri imputati) e' con forme alla disciplina costituzionale, per l'espressa eccezione alla regola del contraddittorio stabilita dall'art. 111, comma 5: l'imputato, chiedendo il giudizio abbreviato, rinuncia a contraddire, acconsente all'utilizzo di una prova formata senza contraddittorio (e d'altra parte la disciplina della prima parte del comma 5 dell'art. 11 appare introdotta proprio allo scopo di legittimare costituzionalmente i riti alternativi) altrettanto non si puo' dire per l'utilizzabilita' degli atti di indagine difensiva di chi ha richiesto il giudizio abbreviato. In particolare, non appare possibile sostenere che anche per tali atti operi l'eccezione sopra detta, posto che in tal caso l'utilizzabilita' dell'atto non sarebbe autorizzata dal consenso dell'imputato ma deriverebbe da una sua scelta unilaterale. Se infatti non solo il senso comune, ma il significato letterale della parola consenso presuppongono un accordo di volonta' (consenso: il consentire ad una cosa richiesta, conformita' di voleri, di opinioni; accordo - dizionario Garzanti della lingua italiana) appare fuori di dubbio che il caso in esame esula dalla previsione dell'art. 111, comma 5 Costituzione, laddove proprio il consenso del p.m. e' stato escluso dai requisiti di ammissibilita' del giudizio abbreviato. L'imputato puo' rinunciare a contraddire, scegliendo il rito abbreviato, ma non puo' rinunciare ad una facolta' che non rientra nella sua disponibilita', e cioe' il contraddittorio delle altre parti. E cio' vale non solo per il p.m., ma anche per le altre parti processuali: non puo' essere certo escluso in linea di' principio che, ad esempio, eventuali coimputati abbiano interessi opposti in ordine all'utilizzo delle prove, e eguale diritto alla scelta del rito. E' appena il caso di osservare che al principio del consenso (accordo delle parti) si ispirano altre norme del codice di rito (art. 431, comma 2 e 493, comma 3) che ammettono l'utilizzo di atti raccolti in modo unilaterale. Ne' vale osservare che il giudice del giudizio abbreviato conserva ampi poteri di integrazione probatoria, ai sensi dell'art. 441, comma 5, perche' in primo luogo il giudice ha solo la facolta' e non l'obbligo di procedere a tale attivita', ed in secondo luogo perche', anche qualora il giudice esercitasse tale facolta' (per esempio, esaminando un testimone le cui dichiarazioni siano oggetto di un atto di indagine difensiva, cio' non farebbe perdere il valore di prova piena utilizzabile ai fini della decisione alle dichiarazioni gia' rese al difensore. Non ci si nasconde. che tale conclusione porta alla necessaria conseguenza dell'esclusione del rito abbreviato in tutti i procedimenti nei quali siano stati prodotti atti di indagine difensiva ma, laddove non si ritenga di intervenire in via interpretativa (ad esempio, introducendo un consenso delle altre parti, non al rito ma all'utilizzabilita' degli atti di indagine unilaterali, applicando in via analogica i richiamati artt. 431, comma 2 e 493, comma 3), e' compito del legislatore intervenire per dare anche sotto tale profilo attuazione ai principi del giusto processo initrodotti dall'art. 111 Costituzione"». A sua volta la difesa ha sostenuto la manifesta infondatezza della questione proposta sottolineando in particolare come nessuna violazione del principio costituzionale potesse essere lamentata dal pubblico ministero dal momento che, secondo quanto previsto dall'art. 438/5 c.p.p. e' dato all'organo di accusa chiedere l'ammissione della prova contraria. Preliminarmente questo giudice ritiene che il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione proposta e che la questione proposta non possa stimarsi manifestamente infondata: essa attiene alla parita' processuale tra le parti e al limite del consenso alla deroga del contraddittorio, e, se accolta, imporrebbe la individuazione di una diversa procedura in ordine alla valenza delle indagini difensive nell'ambito del giudizio abbreviato. In particolare, al fine di compiutamente dare attuazione al principio di parita' delle parti indicato chiaramente nell'art. 111 Cost., nel presente giudizio si pone il problema se sia possibile e consentito che il difensore possa accedere al giudizio abbreviato subito dopo avere depositato il fascicolo del difensore e indicato egli autonomamente e unilateralmente le prove; e, contestualmente, se sia o meno consentito al giudice procedere con il rito abbreviato valutando come processualmente utilizzabili gli atti contenuti nel fascicolo del difensore alla stregua degli altri atti contenuti nel fascicolo messo a disposizione del giudice e sui quali quest'ultimo deve formare il proprio convincimento e definire il giudizio. Occorre in primo luogo sottolineare l'inconferenza della deduzione della difesa dal momento che il potere del pubblico ministero di chiedere l'ammissione della prova contraria, e, dunque, di riportarsi su un piano di parita' processuale con la difesa, riguarda esclusivamente l'intervento a seguito di richiesta di giudizio abbreviato sottoposto a condizione da parte dell'imputato: il potere di cui si tratta e' affidato al Pubblico ministero infatti, al solo ed esclusivo fine di contrastare la prova oggetto della condizione la cui ammissione e' stata domandata dall'imputato. Nel caso in esame nessuna condizione e' stata posta nel richiedere il giudizio abbreviato, con la conseguenza che quella norma non puo' essere invocata dal pubblico ministero. Su tale conclusione ci si deve attestare, salvo non si voglia considerare il giudizio abbreviato implicitamente condizionato all'acquisizione del fascicolo del difensore: ma, concordemente a quanto assunto nella memoria dal pubblico ministero, deve ritenersi che tale fascicolo entri a fare parte di quello del giudice automaticamente, rappresentando un diritto della parte privata (per il pubblico ministero cio' costituisce anche un dovere) fare conoscere al giudice gli elementi di prova acquisiti: sul punto si rinvia alle osservazioni indicate nella memoria del pubblico ministero piu' sopra trascritta. L'art. 111 della Costituzione cosi' come modificato dalle leggi 25 febbraio 2000 n. 35 e 24 marzo 2001 n. 89, disponendo che ogni processo si svolga nel contraddittorio tra le parti, sancisce che queste ultime si debbano trovare in condizioni di parita'. Il quinto comma della norma citata dispone testualmente: «la legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato ...». La forma ordinaria processuale, cio' che rappresenta la regola nelle modalita' di svolgimento del processo. deve essere ritenuta pertanto quella che si svolge nell'ambito del contraddittorio tra le parti. Attraverso esso ciascuna delle parti puo' interloquire con l'altra al fine di consentire l'acquisizione completa e obiettiva della prova da parte del giudice che poi dovra' valutarla: cosi', nata come soggettiva, con il contraddittorio la prova si oggettivizza e solo in questa veste fonda il corretto convincimento del giudice. Il contraddittorio dunque consiste, nella sostanza, nel potere di confutare la prova antagonista secondo il proprio interesse processuale e le contingenze del caso concreto: cosi' ad esempio e' dato al difensore di contro esaminare un teste del pubblico ministero (dunque un teste di accusa) e di chiedere di essere ammesso alla prova contraria; allo stesso modo e' dato al pubblico ministero di contro esaminare un teste della difesa e di chiedere di essere ammesso alla prova contraria relativamente al contenuto delle affermazioni del teste. Pertanto, la confutazione della prova proveniente dalla controparte costituisce l'essenza e il cardine del principio del contraddittorio su cui si basa il processo inteso dalla norma costituzionale citata. La deroga posta dal ricordato quinto comma dell'art. 111 della Costituzione, in via evidentemente eccezionale, consente - al solo imputato e non anche al pubblico ministero - di provvedere alla formazione processuale della prova senza il contraddittorio: la prova nasce come soggettiva, ma l'accettazione che di essa fa la controparte, la rende automaticamente oggettiva, idonea a far fondare su di essa il corretto giudizio del giudice. Una tale discriminazione, la possibilita' che e' data di superare il contraddittorio al solo imputato e non anche pubblico ministero, dunque la evidente diseguaglianza nei poteri delle parti nell'ambito del processo, discende principalmente dell'ossequio che si deve al principio del favor rei l'imputato e' considerato parte debole del processo, quantomeno in ragione della sperequazione dei mezzi investigativi di cui dispone rispetto al pubblico ministero, e il legislatore, per intuibili ragioni di riequilibrio, ha introdotto alcune norme - come quella in esame - che rappresentano posizioni di vantaggio dell'imputato sull'accusa; in tal modo deve anche leggersi l'abrogazione della norma del codice di procedura penale che consentiva al pubblico ministero di opporsi alla richiesta del giudizio abbreviato. Oppure, come ribadito anche dalla Corte costituzionale ad esempio con la sentenza n. 115 del 7-9 maggio 2001, tale eventualita' di rinuncia al contraddittorio da parte dell'imputato si spiega come «rischio da correre o come prezzo da pagare» per il vantaggio derivato dalla decurtazione della pena di un terzo in caso di condanna. Si osservi subito che la diseguaglianza in esame non e' stata estesa tuttavia fino a non avere dei confini: essa, gia' nel nostro ordinamento processuale penalistico incontra dei limiti espliciti. Cosi' ad esempio, qualora l'imputato subordini il giudizio abbreviato all'accoglimento di una data condizione, e' vero che la norma di cui all'art. 438 c.p.p. offre all'imputato un potere che non e' concesso al pubblico ministero e che non puo' essere da questi contrastato (ossia quello di modificare unilateralmente il rito), ma e' anche vero che il richiamato art. 438 c.p.p. riserva al pubblico ministero la facolta' di essere ammesso su sua richiesta alla prova contraria rispetto a quella oggetto della condizione. Focalizzando il contenuto del potere di deroga dell'imputato, deve rimarcarsi che esso consiste, per una scelta di difesa processuale, nella rinuncia a confutare la prova proveniente in particolare dal pubblico ministero sua controparte processuale, e nella conseguente autorizzazione al giudice di decidere allo stato degli atti: l'imputato, per cosi' dire, si acquieta sull'esito delle emergenze investigative prodotte da pubblico ministero sua controparte. le quali in quel momento, cioe' nel momento in cui l'imputato consente alla deroga e proprio per effetto di tale consenso, divengono, per cosi' dire, obiettive e obiettivamente consacrate, acquisendo il valore di vere e proprie prove similmente a quelle raccolte nel contraddittorio delle parti. Si sottolinea cioe' che l'attivita' unilaterale e incontrastabile dell'imputato fa modificare la natura e la valenza stessa degli elementi istruttori raccolti fino a quel momento nella fase istruttoria, facendoli assurgere - per il solo consenso manifestato dall'imputato - da elementi senza alcun valore di prova (la prova infatti avrebbe dovuto formarsi nel contraddittorio) a vere e proprie prove. Tutto cio' appare ragionevole e lineare nei casi - che peraltro rappresentano la norma nell'esperienza pratica e quotidiana - in cui il materiale probatorio di cui si tratta e' integralmente fornito dal Pubblico ministero, essendo libero l'imputato di chiedere o non chiedere il giudizio abbreviato e dunque di valutare se, secondo la propria strategia processuale, sia o non sia conveniente che detto materiale probatorio pur proveniente dalla sua controparte divenga automaticamente «insieme di prove» su cui domandare al giudice di decidere: qualora lo stato degli atti non fosse soddisfacente e rassicurante per l'imputato e fosse invece necessario confutare uno o piu' elementi di prova acquisiti dal pubblico ministero, all'imputato rimarrebbe comunque e pur sempre l'alternativa di non scegliere il giudizio alternativo in parola e di accedere al rito ordinario nel cui ambito, attraverso il contraddittorio, potranno essere liberamente confutate le risultanze proposte dal pubblico ministero, oppure di scegliere il giudizio abbreviato sottoponendolo a condizione. Si ha motivo di ritenere che il legislatore della modifica costituzionale dell'art. 111 Cost., compiutamente disciplinando gli aspetti sopra richiamati i quali, si ripete, costituiscono pressoche' la totalita' dei casi nella prassi quotidiana, non ha valutato invece, una situazione per cosi' dire inversa e opposta, sicuramente eccezionale nella prassi quotidiana, la quale tuttavia puo' realizzarsi come in effetti e' avvenuto nel caso in esame: si allude cioe' a quella situazione nella quale le emergenze investigative presentate al giudice della udienza preliminare provengono dallo stesso imputato, costituendo esse l'esito delle indagini difensive, ammesse e previste dal titolo VI-bis del libro V del codice di procedura penale. La peculiarita' e l'anomalia della situazione ora descritta appare all'evidenza: il soggetto che provvede a fornire le prove per il giudizio del giudice, ossia l'imputato, e' lo stesso unico soggetto processuale che ha il potere di acconsentire alla deroga al contraddittorio, dunque a permettere che sulle «sue» prove non si estenda il contraddittorio. Per giunta senza alcuna possibilita' della sua controparte, cioe' il pubblico ministero di provvedere con prova contraria. Nel caso in esame cioe' e' completamente distorto quel meccanismo di consacrazione obiettiva della prova che piu' sopra si e' illustrato: la prova infatti nasce soggettiva e diviene oggettiva non per il consenso della controparte pubblico ministero - quella cioe' che dovrebbe rinunciare al contraddittorio - ma per una determinazione che pone in essere lo stesso soggetto da cui proviene la prova: in sostanza si assiste all'illogico paradosso che l'imputato, nel caso in contestazione, sta rinunciando al contraddittorio, sta esprimendo la volonta' di rinuncia al contraddittorio, sostituendosi con cio' al pubblico ministero, unico soggetto che per logica puo' essere titolare di tale facolta'. Se si ritenesse corretta una tale eventualita', sarebbe come se, estromesso da ogni interlocuzione e opposizione l'imputato, fosse consentito unilateralmente al pubblico ministero di chiedere e ottenere automaticamente che il processo si svolga e venga deciso con le forme del giudizio abbreviato dunque senza contraddittorio sulla base di prove da egli solamente acquisite. Sotto il profilo del rispetto dei nuovi principi costituzionali, invece, il quadro normativo impone la parita' delle parti nel processo e proprio tale principio prevede posizioni di vantaggio per la parte piu' debole che come si e' visto rappresentano forme di riequilibrio tra i poteri delle parti. Ora pero', appare marcatamente irragionevole che tali posizioni di vantaggio si estendano al punto che l'imputato possa consentire alla deroga del contraddittorio sulle prove da egli stesso prodotte sostituendosi nella manifestazione della volonta' addirittura al pubblico ministero: la logica vorrebbe infatti che in tali casi la deroga al contraddittorio venga richiesta dalla parte che non ha prodotto le prove. Del resto il gia' citato art. 438/5 c.p.p. fornisce lo spunto per ulteriori argomentazioni in senso favorevole all'accoglimento della domanda del pubblico ministero: infatti, in via ordinaria e' consentito al difensore di subordinare il giudizio abbreviato ad una «integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione» ad esempio sentire un testimone; tale richiesta dovra' essere valutata dal giudice che potra' anche non ammetterla travolgendo in tale maniera la stessa richiesta principale della modifica del rito. Ebbene, un difensore che proprio temendo tale ultima eventualita' volesse sicuramente evitarla a suo favore, sarebbe autorizzato ad utilizzare la piu' comoda strada della presentazione del fascicolo del difensore contenente ad esempio proprio la testimonianza a rischio di non ammissione; domandando e ottenendo il rito abbreviato (evidentemente non condizionato), otterrebbe la trasformazione automatica del rito, l'automatica acquisizione come prova della testimonianza in contestazione senza che il giudice possa valutarla e eventualmente escluderla dal processo, l'esclusione del pubblico ministero da ogni interlocuzione, e financo l'esclusione del pubblico ministero dalla possibilita' di «chiedere l'ammissione della prova contraria» come sarebbe stato nell'ipotesi descritta all'art. 438 c.p.p. meglio conosciuta come «giudizio abbreviato condizionato». Infine si osservi che la prova in questione potrebbe essere sottratta non solamente al contraddittorio del pubblico ministero, ma anche a quello di altri soggetti come ad esempio alla parte offesa, oppure ad altri coimputati evidentemente portatori di interessi confliggenti con le risultanze che emergono dall'indagine difensiva in questione. Ne' puo' ritenersi soddisfacente l'eventualita' che i pubblico ministero solleciti il potere del giudice di provvedere alla citazione del teste esaminato dal difensore nelle indagini difensive: infatti, a parte la considerazione che tale eventualita' potrebbe non verificarsi in tutte quelle occasioni in cui il giudice non ritenesse necessario provvedere nel senso sopra detto con cio' definitivamente frustrando la possibilita' per il publico ministero di interloquire nella formazione della prova (si osservi inoltre l'ulteriore complicazione suggerita in via teorica dal pubblico ministero al riguardo, realizzabile nel caso di contrasto tra cio' che ha riferito il teste al difensore e quello che dice davanti al giudice nel corso del giudizio abbreviato trattandosi per entrambi gli atti di vere e proprie prove), il problema che si pone non e' quello di come ovviare ad una diseguaglianza tra le parti, ma piuttosto che tale diseguaglianza sia possibile e si realizzi senza che sia giustificata nel quadro dei principi costituzionali e anzi possa essere data in palese contrasto con gli stessi. In sostanza nella nuova formulazione dell'art. 111 della Costituzione sembra emergere un principio secondo il quale la rinuncia al contraddittono puo' essere disposta esclusivamente dalla parte da cui non proviene la prova, unica a poter stabilire se le condizioni di parita' possano o meno essere derogate con la rinuncia alla confutazione della prova stessa e sotto tale riguardo sembrano viziati di illegittimita' costituzionale gli artt. 438 e 442, comma 1-bis c.p.p. i quali non contemplano il divieto del difensore di depositare il fascicolo di cui all'art. 391 c.p.p. e domandare contestualmente il giudizio abbreviato, o, in alternativa, consentano al giudice di dichiarare inutilizzabili gli atti contenuti nel fascicolo del difensore nel caso sia domandato il giudizio abbreviato, oppure infine, consentano al pubblico ministero nel caso in esame quantomeno di provvedere con prova contraria.