IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato la seguente ordinanza nel proc. pen. n. 1007/2004
R.G.Trib. contro Arboit Alessandro + 23.
    Letta  la  memoria depositata dalla difesa degli imputati in data
15 novembre 2004, sentite le parti;

                            O s s e r v a

    1.  -  Nel  procedimento  penale a carico di Arboit Alessandro ed
altri  23,  imputati  di reati in materia di discriminazione razziale
etnica  e religiosa (artt. 110, 112 comma 1 n. 1, 614, 610, 582 e 594
tutti  aggravati  dall'art. 3  comma  d.l.  n. 122/1993  conv.  legge
n. 205/1993;  artt. 110,  112 comma 1 n. 1 e 3 comma 1 lett. b) legge
n. 654/1975   e  succ.  modificazioni;  nonche'  art. 697  c.p.),  il
Tribunale  di  Verona  con  ordinanza  in  data  7  aprile  2003,  in
accoglimento  di  una  questione  preliminare  sollevata  da  tutti i
difensori  degli  imputati - e relativa alla necessita' di rispettare
il  termine di 15 giorni di cui all'art. 449 commi 4 e 5 c.p.p. anche
alle  ipotesi  di  giudizio  direttissimo  atipico di cui all'art. 6,
comma  5,  legge  n. 205/1993  -  ha disposto, ai sensi dell'art. 452
c.p.p.,  la  trasmissione degli atti al p.m. affinche' procedesse con
le forme del rito ordinario.
    Nel  caso  di  specie  infatti  il  p.m.,  a fronte di arresti in
flagranza  avvenuti  il  10  gennaio  2003,  ha richiesto il giudizio
direttissimo  in data 12 marzo 2003, ossia dopo circa 60 giorni dalla
commissione del fatto.
    2.  -  Avverso detta ordinanza il Procuratore della Repubblica di
Verona  ha proposto ricorso per cassazione (ricorso in data 17 aprile
2003  depositato  nella  cancelleria  del  Tribunale  di Verona il 18
aprile 2003).
    3.  -  La  suprema  Corte di cassazione, con sentenza della prima
sezione  penale  n. 791  del  4 marzo 2004 (c.c. 11 febbraio 2004) ha
annullato  senza  rinvio  l'impugnata  ordinanza  e  ha  disposto  la
restituzione degli atti al Tribunale di Verona per l'ulteriore corso.
    4. - A seguito dell'annullamento gli imputati sono stati citati a
comparire al giudizio direttissimo avanti a questo tribunale.
    5.  -  All'odierna prima udienza di trattazione i difensori degli
imputati  hanno  illustrato  l'eccezione,  anticipata  con  la citata
memoria  del  15  novembre  2004,  di  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 6,  comma  5,  d.l.  26  aprile  1993  n. 122  in relazione
all'art. 24  nonche'  all'art. 111 della Costituzione, nella parte in
cui non prevede che l'imputato debba essere presentato in udienza nel
termine  di  giorni  15  dall'arresto  o dall'iscrizione nel registro
della notizia di reato (mod. 21).
    Ad avviso della difesa l'interpretazione del citato art. 6, comma
5,  d.l.  n. 122/1993  -  in senso conforme alla sentenza n. 791/2004
della  prima  sezione  della  Cassazione - violerebbe innanzitutto il
diritto di difesa (art. 24 Costituzione).
    A tale riguardo, la difesa degli imputati osserva che se il tempo
intercorrente   tra   l'arresto  e  il  giudizio  venisse  prolungato
superando  il limite di 15 giorni stabilito dal legislatore nell'art.
449  comma  5  c.p.p.,  la pubblica accusa avrebbe la possibilita' di
prolungare  discrezionalmente  le  proprie indagini accusatorie senza
limitazioni  di  sorta.  La  difesa,  contrariamente,  non avrebbe la
possibilita'  di  conoscere  tali  emergenze  probatorie  prima della
notifica  del decreto di citazione per il giudizio direttissimo, che,
dovendo  essere  eseguita «senza ritardo», potrebbe avvenire anche il
giorno  antecedente  l'udienza.  Verrebbe  pertanto  violato  in tale
circostanza  il diritto alla difesa, atteso che questa non avrebbe la
possibilita'  di  svolgere le indagini previste dagli artt. 391-bis e
segg. c.p.p., e di preparare una adeguata strategia tale da garantire
all'imputato la miglior tutela giudiziaria.
    Sottolineano,  inoltre,  i  difensori degli imputati che l'art. 6
del   suddetto   decreto   Mancino   viola   ampiamente   il  dettato
dell'art. 111   della   Costituzione   come  modificato  dalla  legge
costituzionale  23  novembre  1999  n. 2  e  in  particolare il comma
secondo  di tale disposizione, secondo il quale «... Ogni processo si
volge nel contraddittorio delle parti, in condizione di parita' ...»,
e  il comma terzo dello stesso articolo 111, secondo il quale «... La
legge  assicura  che  la  persona  accusata di un reato sia, nel piu'
breve   tempo   possibile,   informata  della  natura  e  dei  motivi
dell'accusa  elevata  a  suo  carico»,  e «disponga del tempo e delle
condizioni necessarie per preparare la sua difesa».
    Ed  invero l'art. 6, cosi' come interpretato dalla suprema Corte,
concede  alla  pubblica  accusa  di  potere  espletare  le necessarie
indagini   anche   all'insaputa   dell'indagato   per  molti  mesi  o
addirittura   per  anni,  mentre  nega  qualsiasi  possibilita'  agli
imputati  di difendersi con le modalita' previste dall'art. 111 della
Costituzione.
    Manca infatti, ad avviso della difesa, ogni condizione di parita'
nel  giudizio  direttissimo  tra pubblico ministero e difensore, come
invece  sancito dal secondo comma dell'art. 111 Cost., ed e' assente,
piu'  che  mai,  il  diritto, per l'imputato, di essere avvisato, nel
piu'  breve  tempo  possibile, relativamente alla natura ed ai motivi
dell'accusa,  in  modo  che  lo  stesso  disponga  del  tempo e delle
condizioni  necessarie  per  preparare la sua difesa (art. 111, terzo
comma, Cost.).
    La difesa rileva vieppiu' che nel giudizio direttissimo essa deve
preparare le proprie argomentazioni a tutela del proprio assistito in
10  giorni,  sempre  che  venga  ad  essa concesso il termine massimo
previsto  dall'art.  451 comma quarto c.p.p.; mentre, nel caso in cui
si  proceda  secondo  le  forme del rito ordinario, il difensore ha a
disposizione.  per  attuare  le  proprie  strategie, almeno 20 giorni
stabiliti   dall'art.   415-bis  c.p.p.,  10  giorni  secondo  quanto
disciplinato dall'art. 419 c.p.p. nonche' ulteriori 20 giorni a mente
dell'art. 429, comma terzo, c.p.p.
    I  difensori  degli  imputati  rilevano  ancora  come il giudizio
direttissimo  sia  l'unico,  tra  i riti alternativi al dibattimento,
disciplinati  dal  codice  di rito, che conceda un cosi' corto raggio
d'azione  alla  difesa  e  che  riservi  al  pubblico  ministero  una
iniziativa  cosi' esclusiva nei confronti dell'imputato, in quanto la
ratio  stessa di tale giudizio speciale e' giustificata dal fatto che
sia  possibile,  per  la  pubblica  accusa, ricorrere ad esso solo in
ipotesi tassative e, per quello che qui rileva, in termini ristretti.
    Se  pertanto  la legge speciale, il c.d. decreto Mancino, prevede
la  possibilita'  di applicare il rito direttissimo anche al di fuori
dei  casi previsti dall'art. 449 c.p.p., affinche' la norma non violi
i  principi  della  Costituzione, ovverosia il diritto di difesa e il
diritto  ad  un  giusto  processo,  che implichi lo svolgimento dello
stesso nel contraddittorio delle parti e in condizioni di parita', e'
necessario  che  esso  venga  interpretato dalle parti nel senso piu'
garantista,  e  cioe' che sia applicabile bensi' al di fuori dei casi
previsti dalla normativa generale, ma che le modalita', e soprattutto
i  tempi,  siano  gli  stessi  di quelli disciplinati dall'art. 449 e
segg.  c.p.p.,  al  fine  di  non  garantire  solamente  al  pubblico
ministero la possibilita' di effettuare indagini per moltissimo tempo
comprimendo il diritto della difesa di effettuare le proprie indagini
nel termine massimo di 10 giorni.
    6.  -  Ritiene  il  tribunale  che  la  questione di legittimita'
costituzionale,   cosi'   come  formulata  ed  argomentata,  non  sia
manifestamente infondata.
    7.  -  Ai  fini dell'esame e della valutazione della questione e'
opportuno, preliminarmente, procedere ad un excursus sulla disciplina
e sulla ratio del giudizio direttissimo.
    Il giudizio direttissimo, al pari del giudizio immediato, «salta»
l'udienza preliminare. E cio' con un'economia di tempo e di attivita'
processuale:  entrambi  i  riti  affluiscono  direttamente innanzi al
giudice   dibattimentale.  La  scelta  di  una  tale  semplificazione
dell'iter  processuale  fa capo esclusivamente al pubblico ministero,
beninteso  nelle sole ipotesi in cui ricorrano i relativi presupposti
normativi.
    Il  giudizio  direttissimo, peraltro, si differenzia dal giudizio
immediato   perche'   nel  primo  caso  l'imputato  viene  presentato
direttamente al giudice dibattimentale, mentre nel secondo caso e' il
g.i.p.  a  dovere emettere il decreto di giudizio immediato quando ne
ricorrano  i  presupposti  ai  sensi  degli artt. 453, 454, 455 e 419
comma 5 c.p.p.
    Il  giudizio direttissimo ha come suo presupposto una particolare
originaria  situazione  di evidenza della prova. L'evidenza si rivela
nell'avvenuto   arresto   in   flagranza   del   prevenuto:  arresto,
obbligatorio  o  facoltativo (artt. 380, 381 c.p.p.), in cui lo stato
di flagranza (art. 382 c.p.p.) esclude la necessita' di particolari o
speciali  indagini sulla sussistenza del reato e sull'addebitabilita'
di  questo  al  prevenuto.  L'evidenza  della  prova  si  estrinseca,
altresi',  nell'avvenuta  confessione  resa dall'indagato al p.m. nel
corso  dell'interrogatorio  (sia  nell'ipotesi  di  indagato  a piede
libero  ex  artt. 364,  374  comma  2,  370  comma  1, 388 c.p.p. sia
nell'ipotesi  di  indagato  colpito da ordinanza cautelare del g.i.p.
comportante  custodia  in  carcere,  arresti domiciliari, custodia in
casa  o  luogo  di  cura  ex  artt. 294, 391 c.p.p.). La bipartizione
dell'evidenza  della  prova  (flagranza  del  reato  con  arresto  ad
iniziativa   della  p.g.,  confessione  -  fuori  della  flagranza  -
dell'indagato  libero  o in custodia cautelare jussu judicis) si deve
coniugare,  per  la  corretta instaurazione del rito, con il rispetto
del  termine  stringente  di  15  giorni,  insuperabile  e decorrente
dall'arresto ovvero dalla notitia criminis (art. 449 c.p.p.) 1)
    Oltre  al  giudizio  direttissimo  tipico,  vale  a  dire  quello
disciplinato  dal codice di rito, il nostro ordinamento conosce anche
altre  figure  di  giudizio  direttissimo  cd. «atipiche», introdotte
storicamente da leggi e decreti speciali, e in particolare:
        dell'art. 12-bis  d.l.  8  giugno 1992, n. 306 (in materia di
armi);
        dell'art. 6 comma 5 d.l. 26 aprile 1993 n. 122 conv. in legge
25 giugno 1993 n. 205 (in materia di reati di discriminazione etnica,
razziale e religiosa);
        dell'art. 8-bis  d.l. 20 agosto 2001 n. 336 conv. in legge 19
ottobre  2001  n. 337  (in  materia  di  repressione  dei fenomeni di
violenza in occasione di manifestazioni sportive);
        degli  artt.  12,  comma  4,  13,  comma  13-ter,  e 14 comma
5-quinquies  d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e successive modifiche (in
materia di immigrazione).
    In  tutte  le  ipotesi da ultimo indicate il rito direttissimo e'
attivato   indipendentemente   dall'arresto   in  flagranza  o  della
confessione,  quindi prescindendo dal presupposto dell'evidenza della
prova. Il rito direttissimo, quindi, si giustifica con le esigenze di
celerita',  immediatezza  ed  esemplarita'  del  processo. Il termine
temporale  dei  15  giorni si pone come un limite alla valorizzazione
dell'evidenza  della  prova  ai  fini della celebrazione del giudizio
direttissimo,  giacche'  l'evidenza realizzatasi oltre i 15 giorni ed
entro  i  90  (giorni)  dall'iscrizione  del fatto nel registro delle
notizie  di  reato  (mod.  21) e' utilizzabile solo per instaurare il
giudizio  immediato  e  l'evidenza realizzatasi oltre i 90 giorni non
comporta  alcuna abbreviazione dell'ordinaria sequela delle scansioni
processuali.
    Poiche'   si   tratta   sempre   di   riduzioni   delle  sequenze
procedimentali  (con  limiti  anche  del  giudizio  di  appello, vds.
artt. 452,  comma  2 e 458 comma 2 c.p.p.), il giudizio direttissimo,
come  quello  immediato,  non  e' mai obbligatorio per il p.m., tanto
che,  pur  quando  ne  ricorrano  i  presupposti,  egli  puo'  sempre
scegliere  di  non  procedere  alla  loro adozione 2): trattandosi di
scelte  di  rito,  esse sono sempre discrezionali, con la differenza,
peraltro,  che  nell'ambito  della categoria del giudizi direttissimi
c.d.  atipici  il  rito  di cui si tratta e' imposto tout court o con
espressioni normative quali «il pubblico ministero procede comunque a
giudizio direttissimo» o con espressioni normative quali «il pubblico
ministero  procede  al  giudizio  direttissimo  anche  fuori dei casi
previsti  dall'art. 449  c.p.p.,  salvo che siano necessarie speciali
indagini»  come  stabilito  dall'art.  6 comma 5 d.l. 26 aprile 1993,
n. 122.  convertito  con  modificazioni  nella  legge 25 giugno 1993,
n. 205.   Nell'ipotesi  prevista  da  detto  articolo  puo',  quindi,
ritenersi  che, per i reati in materia di violenza o di incitamento a
commettere   violenza   per  motivi  razziali,  etnici,  nazionali  o
religiosi,  nonche' reati associativi in materia di discriminazione o
violenza  per  detti  motivi,  ovvero qualsiasi reato aggravato dalle
citate  finalita',  il  giudizio  direttissimo e' obbligatorio in via
tendenziale,  nel  senso  che l'esercizio dell'azione penale da parte
del  p.m.  deve avvenire soltanto con decreto di citazione a giudizio
direttissimo  da  emettersi  tutte  le  volte  in cui si versa in una
situazione  di  evidenza  probatoria  che  rende superflue specifiche
attivita'  di  indagine  e  consente  al p.m. di pronosticare una non
particolare      complessita'     dell'istruzione     dibattimentale.
L'accelerazione   del   rito   non   puo'   comunque  comportare  una
attenuazione delle garanzie difensive. Ne consegue che:
        a)  se  non  sono necessarie speciali indagini per i reati di
che  trattasi  il  p.m.  e' tenuto all'obbligo di esercitare l'azione
penale   con   l'emissione   del  decreto  di  citazione  a  giudizio
direttissimo   anche   in   assenza   dei   presupposti  generali  di
ammissibilita'  (arresto  in  flagranza  e/o  confessione),  salvo il
rispetto  del  termine di 15 giorni (dall'arresto e/o dall'iscrizione
nel registro di notizie di reato);
        b)  se  sono  necessarie  speciali  indagini  il p.m. non e',
invece,  vincolato  all'obbligo  di  esercitare  l'azione  penale con
l'emissione del decreto di citazione a giudizio direttissimo.
    8.  -  Alla  luce  delle  considerazioni  suesposte,  ritiene  il
tribunale  che l'interpretazione dell'art. 6, comma 5, della legge 25
giugno  1993,  n. 205,  coerente  con il sistema del codice di rito e
rispettosa  dei  principi  costituzionali,  sia  quella  proposta con
l'ordinanza  pronunciata  dal  Tribunale  di Verona all'udienza del 7
aprile   2003,   interpretazione  condivisa  da  un  ampio  indirizzo
dottrinario e da parte della giurisprudenza di legittimita'.
    Non    puo',   tuttavia,   omettersi   di   rilevare   che   tale
interpretazione  e' assolutamente minoritaria nella giurisprudenza di
legittimita' come, del resto, e' dimostrato dalla sentenza n. 791 del
4  marzo  2004  con  la quale la Corte suprema ha annullato la citata
ordinanza.
    Se  tale  deve  considerarsi il diritto vivente, non vi e' dubbio
che la disposizione di cui all'art. 6, comma 5, della citata legge si
presti   a   delle   censure  di  illegittimita'  costituzionale  con
riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione.
    Svincolando  la  pubblica  accusa  dal rispetto del termine di 15
giorni si determina, invero, un grave sbilanciamento tra i poteri del
pubblico   ministero   e   i   diritti   dell'imputato  in  danno  di
quest'ultimo,  consentendosi  in  astratto  all'organo  inquirente di
procedere   ad   indagini   preliminari,   prolungate   nel  tempo  e
approfondite  nel  merito,  e  di  portare tali indagini a conoscenza
dell'imputato  solo  nel momento in cui lo stesso venga presentato al
giudice  del  dibattimento.  Se  un tale esito si giustifica nei casi
previsti  dall'art.  449,  comma  5,  c.p.p.,  nei  quali  proprio la
brevita'  del  termine  di  15  giorni  impedisce  lo  svolgimento di
un'indagine   di   notevole   complessita',   ed  e'  compensato  dal
corrispondente   termine  di  10  giorni  concesso  all'imputato  per
approntare  la sua difesa, non altrettanto puo' dirsi nell'ipotesi in
cui  sia  consentita  al pubblico ministero la liberta' assolutamente
discrezionale   di   compiere  atti  di  indagine  senza  limitazioni
temporali  che  non  siano  quelle  previste  dall'art. 405, comma 2,
c.p.p.
    Il  rilievo suesposto e' sufficiente, ad avviso, del tribunale, a
ritenere  violate  le disposizioni dell'art. 3 Cost. sotto il profilo
della  manifesta  disparita'  di  trattamento  tra coloro che vengono
sottoposti  a  giudizio  direttissimo nei casi indicati dall'art. 449
c.p.p.  e coloro che a tale giudizio sono sottoposti nelle ipotesi di
cui  al  c.d.  Decreto  Mancino;  dell'art. 24 Cost. sotto il profilo
della  compressione  delle  garanzie  difensive;  dell'art. 111 Cost.
sotto  il  profilo  della  condizione  di  parita'  delle  parti  nel
processo,  del  diritto  dell'imputato  ad essere informato, nel piu'
breve  tempo possibile, della natura e dei motivi dell'accusa elevata
a  suo  carico  e,  conseguentemente,  dell'adeguatezza  del  tempo a
disposizione per approntare la difesa.
    9.  -  La questione di legittimita' costituzionale e' sicuramente
rilevante  nel  processo  di  cui  si  tratta.  Ed invero, non avendo
presentato gli imputati al dibattimento nel termine dei 15 giorni, il
pubblico  ministero  avrebbe dovuto procedere con le forme ordinarie:
sarebbero  state  ripristinate  cosi'  tutte  le garanzie difensive a
queste connesse.
          1) (Vds. Cass. sez. un. 23 novembre 1990, Colombo e altro).
          2) Vds., ex multis, Cass. pen., 30 aprile 1992, Mottes.