IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nella Camera di Consiglio
del 29 settembre 2004.
    Visto  il  ricorso  n. 1777/2004  proposto  da  Toumi  Mouhiddine
rappresentato  e  difeso  da  Sansone  Maurizio,  Sansone Gaetano con
domicilio  eletto  in  Lecce,  via  Zanardelli,  7,  presso Vantaggio
Angelo;
    Contro  Ministero  dell'interno  -  Roma,  rappresentato e difeso
dalla  Avvocatura  distretturale dello Stato, con domicilio eletto in
Lecce,  via  F.  Rubichi,  23, presso la sua sede per l'annullamento,
previa sospensione dell'esecuzione, del provvedimento cat. A. 12/2004
imm.  n. 08, emesso dal questore di Brindisi in data 31 gennaio 2004,
notificato in data 25 agosto 2004, di revoca del titolo di soggiorno;
del  successivo  e  consequenziale  decreto  di espulsione emesso dal
prefetto  della  provincia  di  Brindisi  in  data  6  febbraio 2004,
notificato  in data 25 agosto 2004; del contestuale ordine emesso dal
questore  di  Brindisi in data 25 agosto 2004 di trattenimento presso
il  Centro  di  temporanea permanenza di Restinco (Brindisi); di ogni
altro  atto  presupposto,  antecedente  e/o successivo per quanto non
noto;
    Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
    Vista la domanda di sospensione della escuzione del provvedimento
impugnato, presentata in via incidentale dal ricorrente;
    Visto   l'atto   di   costituzione   in  giudizio  del  Ministero
dell'interno - Roma;
    Udito  il relatore dott. Massimiliano Balloriani e uditi altresi'
per le parti l'avv. Vantaggiato, in sostituzione degli avvocati M. G.
Sansone, e l'avvocato dello Stato Libertini;
    Considerato in fatto e diritto quanto segue.

                              F a t t o

    Il  31  gennaio  2004,  il  questore di Brindisi, in applicazione
dell'art.   26,   comma   7-bis,   del  d.lgs.  n. 286/1998,  con  il
provvedimento  impugnato,  ha  revocato  al ricorrente il permesso di
soggiorno  per  motivi  di lavoro autonomo, atteso che il medesimo e'
risultato  essere  stato  condannato,  in  data  28  marzo  2003 (con
sentenza  divenuta  irrevocabile il 7 luglio 2003), alla pena di mesi
sei  di  reclusione  ed  Euro 2.000 di multa, con sentenza emessa dal
Tribunale  ordinario di Brindisi - Sezione staccata di Fasano, per la
violazione  della  norma di cui all'art. 171, lettera b), della legge
n. 633/1941, sul diritto d'autore, poiche' trovato in possesso di 119
musicassette   («da   altri  abusivamente  duplicate  o  riprodotte»)
destinate alla vendita.
    Inoltre,  il  ricorrente,  oltre al provvedimento del questore di
Brindisi,  di  annullamento  del  permesso  di soggiorno, ha altresi'
impugnato  il decreto di espulsione adottato dal prefetto di Brindisi
il  6  febbraio  2004,  adottato  ai  sensi dell'art. 13, comma 2, in
conseguenza della revoca del permesso di soggiorno.
    Questo    tribunale,    rilevando   profili   di   illegittimita'
costituzionale  a  carico  dell'art.  26,  comma  7-bis,  del  d.lgs.
n. 286/1998,  laddove  dispone  che  «La  condanna  con provvedimento
irrevocabile  per  alcuno  dei  reati previsti dalle disposizione del
Titolo III, Capo III, Sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633,
e  successive  modificazionei,  relativi  alla  tutela del diritto di
autore  (...) comporta la revoca del permesso di soggiorno rilasciato
allo  straniero  e l'espulsione del medesimo con accompagnamento alla
frontiera  a  mezzo della forza pubblica», con ordinanza n.1095/2004,
ha  accolto  l'istanza cautelare fino alla pronunzia di codesta Corte
sulla   q.l.c.   sollevata   con   la   presente  ordinanza,  ed  ha,
conseguentemente,   confermato   la   sospensione  dei  provvedimenti
impugnati, gia' disposta con decreto presidenziale n.1041/2004.
    La  sospensione,  inoltre,  e'  stata  estesa anche al decreto di
espulsione   del  prefetto,  rilevando  questo  tribunale,  altresi',
profili  di  illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 8, del
d.lgs.  25  luglio  1998,  n. 286, laddove, cosi' come modificato dal
comma  2,  dell'art.  1, d.-l. 14 settembre 2004, n. 241, prevede che
«Avverso  il  decreto di espulsione puo' essere presentato unicamente
il  ricorso  al  giudice di pace del luogo in cui ha sede l'autorita'
che  ha disposto l'espulsione. Il termine e' di sessanta giorni dalla
data del provvedimento di espulsione».

                            D i r i t t o

    1.  - La rilevanza della q.l.c., nella presente fase di giudizio,
e'  resa  evidente dalla premessa in fatto, dalla quale si evince che
la  pronunzia  della  Corte  costituzionale,  sulla  legittimita'  di
entrambe  le  norme  indicate,  condiziona  la  tutela cautelare, nei
termini in cui e' stata richiesta dal ricorrente.
    2.  -  L'art.  26,  comma  7-bis, del d.lgs. n. 286/1998, laddove
dispone  che  «La  condanna con provvedimento irrevocabile per alcuno
dei  reati  previsti  dalle  disposizioni  del  Titolo III, Capo III,
Sezione  II,  della  legge  22  aprile  1941,  n. 633,  e  successive
modificazioni,  relativi  alla  tutela  del  diritto  di autore (...)
comporta   la  revoca  del  permesso  di  soggiorno  rilasciato  allo
straniero  e  l'espulsione  del  medesimo  con  accompagnamento  alla
frontiera    a    mezzo   della   forza   pubblica»,   si   manifesta
costituzionalmente illegittimo, per diversi motivi.
    2.1.  -  Innanzitutto  e'  palese il contrasto con l'art. 3 della
Costituzione.
    Dal  combinato  disposto  degli  artt.  4,  comma  3,  del d.lgs.
n. 286/1998,  secondo  cui «Non e' ammesso in Italia lo straniero che
(...)  sia  considerato  una  minaccia  per  l'ordine  pubblico  o la
sicurezza  dello  Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia
sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere
interne  e  la  libera  circolazione  delle  persone  o  che  risulti
condannato,  anche  a seguito di applicazione della pena su richiesta
ai  sensi  dell'art.  444  del  codice di procedura penale, per reati
previsti  dall'art.  380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale
ovvero  per reati inerenti gli stupefacenti, la liberta' sessuale, il
favoreggiamento   dell'immigrazione   clandestina  verso  l'Italia  e
dell'emigrazione  clandestina  dall'Italia  verso  altri  Stati o per
reati   diretti   al   reclutamento  di  persone  da  destinare  alla
prostituzione  o allo sfruttamento della prostituzione o di minore da
impiegare  in  attivita'  illecite»,  art.  5,  comma  5,  del d.lgs.
n. 286/1998,  secondo  cui «Il permesso di soggiorno o il suo rinnovo
son  rifiutati  e,  se  il permesso di soggiorno e' stato rilasciato,
esso  e'  revocato,  quando  mancano  o vengono a mancare i requisiti
richiesti  per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato»,
art.  13,  comma  2,  lettera b), del d.lgs. n. 286/1998, secondo cui
«L'espulsione  e'  disposta  dal  prefetto quando lo straniero: a) e'
entrato  nel  territorio  dello  Stato  sottraendosi  ai controlli di
frontiera  (...);  b)  (...) quando il permesso di soggiorno e' stato
revocato o annullato, (...)», art. 15 del d.lgs. n. 286/1998, secondo
cui  «Fuori  dei  casi  previsti  dal  codice penale, il giudice puo'
ordinare  l'espulsione  dello straniero che sia condannato per taluno
dei  delitti  previsti  dagli artt. 380 e 381 del codice di procedura
penale,  sempre  che  risulti socialmente pericoloso», si desume, con
chiarezza,  che  l'espulsione  dal  territorio  nazionale (sia in via
amministrativa   che   come  misura  di  sicurezza)  dello  straniero
extracomunitario,  regolarmente  entrato,  presuppone  pur  sempre un
giudizio  di  pericolosita' sociale, spesso ancorato alla commissione
di reati perticolarmente sintomatici di tale pericolosita' sociale.
    L'aver   previsto,   con  l'art.  26,  comma  7-bis,  del  d.lgs.
n. 286/1998,  che  «La  condanna  con  provvedimento irrevocabile per
alcuno  dei  reati  previsti  dalle disposizioni del Titolo III, Capo
III,  Sezione  II,  della  legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive
modificazioni,  relativi  alla  tutela  del  diritto  di autore (...)
comporta   la  revoca  del  permesso  di  soggiorno  rilasciato  allo
straniero  e  l'espulsione  del  medesimo  con  accompagnamento  alla
frontiera  a mezzo della forza pubblica», postula, evidentemente, che
il  legislatore  abbia  collocato  tale  illecito penale sullo stesso
piano  dei  «reati previsti dall'art. 380, commi 1 e 2, del codice di
procedura  penale  ovvero  per  reati  inerenti  gli stupefacenti, la
liberta'  sessuale,  il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina
verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri
Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da desinare alla
prostituzione  o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da
impiegare  in attivita' illecite», che, in caso di condanna, ai sensi
del  combinato  disposto  degli  artt.  4, comma 3, 5, comma 5, e 13,
comma  2,  lettera  b), del d.lgs. n. 286/1998, comportano, di fatto,
l'espulsione  automatica  (a  prescindere da qualsivoglia giudizio di
pericolosita) dello straniero regolarmente entrato in Italia.
    E'   evidente,  pertanto,  l'irragionevolezza  del  giudizio  del
legislatore   che,   sotto  il  profilo  della  sintomaticita'  della
pericolosita' sociale dello straniero e delle conseguenti esigenze di
tutela,  sostanzialmente, pone i reati indicati dall'art. 4, comma 3,
del  d.lgs.  n. 286/198 sullo stesso piano di quelli di cui al Titolo
III,  Capo  III,  Sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, che
prevedono  pene  edittali  notevolmente  inferiori, ed in particolare
sullo  stesso  piano  del  reato  di  cui all'art. 171 della legge 22
aprile  1941,  n. 633,  cui  e'  stato condannato il ricorrente e che
prevede una pena edittale massima di un anno di reclusione.
    2.2.  -  L'irragionevolezza  si  manifesta, inoltre, allorche' il
legislatore,  a  condotte  dotate di offensivita' palesemente diverse
(quelle  espresse dai reati richiamati nell'art. 26, comma 7-bis, del
d.lgs.  n. 286/1998  e quelle espresse da quelli richiamati nell'art.
4,  comma  3,  del  d.lgs.  n. 286/1998),  assoggetta  gli  autori  a
conseguenze sfavorevoli di identico contenuto.
    2.3.   -   Questo   tribunale   non   concorda  (appare  doveroso
specificarlo  ai fini dell'ammissibilita' della presente ordinanza di
rimessione) con la qualificazione giuridica dell'espulsione, prevista
dall'art.  26,  comma  7-bis,  del  d.lgs.  n. 286/1998,  quale  pena
accessoria  ai reati previsti dalle disposizioni del Titolo III, Capo
III,  Sezione  II,  della  legge  22 aprile 1941, n. 633, come invece
ritenuto da altra giurisprudenza (v. ordinanza del 27 maggio 2004 del
tribunale  ordinario  di  Lecce, in G.U. n. 38 del 29 settembre 2004,
con  la quale e' stata rimessa, alla Corte costituzionale, q.l.c. del
medesimo art. 26, comma 7-bis, del d.lgs. n. 289/1998).
    Si ritiene, infatti, che essa non integri un effetto penale della
condanna,  ma  costituisca  l'oggetto  di  un successivo procedimento
amministrativo  vincolato, anche se trae fondamento dalla sentenza di
condanna pronunziata a carico dello straniero.
    Il  fatto  che  il  legislatore abbia vincolato l'amministrazione
all'adozione   di   un   atto   amministrativo,   non  giustifica  la
considerazione   secondo   cui  gli  effetti  di  esso  debbano  esse
qualificati come pena accessoria della condanna penale, ed a tal fine
e'  sufficiente  un  mero  rinvio  alle interpretazioni operate dalla
giurisprudenza   nella  vigenza  di  una  fattispecie  dagli  aspetti
procedurali  per  molti  aspetti  analoghi  a  quelli in esame, ossia
quella  prevista  dell'art. 85 del d.P.R. n. 3/1957, che prevedeva la
destituzione  di  diritto  dei  pubblici  dipendenti,  a  seguito  di
condanna  penale  (Consiglio  Stato,  sez. VI, 6 luglio 1988, n. 913,
Corte costituzionale, 14 ottobre 1988, n. 971).
    Del  resto,  la  stessa  lettera  dell'art.  26, comma 7-bis, del
d.lgs.  n. 286/1998  evidenzia  che  la  condanna  penale  e' solo un
presupposto dell'ulteriore attivita' amministrativa vincolata.
    L'art.  26,  comma  7-bis,  infatti,  dispone, come seguito della
condanna penale, una ben precisa successione di due provvedimenti: la
revoca   (che   e'   sostantivo   che   indica   comunemente   l'atto
amministrativo   di   secondo   grado,   piuttosto  che  gli  effetti
costitutivi  prodotti  da  una  sentenza) del permesso di soggiorno e
l'espulsione (in via amministrativa).
    Tale  lettura  e'  poi  avvalorata anche dalla collocazione della
disposizione:   se   il   legislatore   avesse   voluto   considerare
l'espulsione   quale  pena  accessoria,  l'avrebbe,  ragionevolmente,
collocata  nell'ambito  dell'art.  16,  che  disciplina le espulsioni
disposte dal giudice penale, nella sentenza di condanna.
    Nel caso in esame, tale interpretazione e' avvalorata anche dalla
sentenza  di  condanna  adottata  dal  giudice unico del tribunale di
Brindisi  -  Sezione staccata di Fasano, che non contiene la menzione
dell'espulsione come pena accessoria.
    In  via  del tutto incidentale, si rileva che anche l'improbabile
configurazione  dell'espulsione  di cui all'art. 26, comma 7-bis, del
d.lgs.  n. 286/1998,  come  pena  accessoria  ai reati previsti dalle
disposizioni  del  Titolo  III,  Capo III, Sezione II, della legge 22
aprile 1941, n .633, comunque non rende meno evidente l'rrazionalita'
illustrata nei punti precedenti.
    A  tale  fine e' sufficiente il paragone con l'art. 15 del d.lgs.
n. 286/1998,  secondo  cui, nel caso di condanna di uno straniero per
delitti  ben  piu'  gravi  di  quelli  richiamati dall'art. 26, comma
7-bis,  del d.lgs. n. 286/1998, cioe' per alcuno dei delitti previsti
dagli artt. 380 e 381 del codice di procedura penale, il giudice puo'
ordinare  l'espulsione  solo  se  lo  straniero  stesso  risulti,  in
concreto, socialmente pericoloso.
    Oltre  a  tale  manifesta e irragionevole sproporzione, si palesa
cosi'  l'ulteriore circostanza che tale ipotetica pena accessoria e',
in  astratto  ed  in  concreto,  del  tutto svincolata da esigenze di
tutela  della  sicurezza  pubblica,  e  quindi  ricollegabile solo ad
esigenze   sanzionatorie,   ed  allora  essa  si  manifesta  comunque
parimenti illegittima, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione,
poiche'  realizza,  senza giustificazione, a parita' di illecito, una
discriminazione   nell'entita'   sanzionatoria,   tra   cittadini   e
stranieri.
    2.4. - L'articolo 26 comma 7-bis del d.lgs. 286/1998, e' altresi'
illegittimo per contrasto con gli articoli 2 e 41 della Costituzione,
laddove,  per  apprestare  una  tutela  centrale  e sproporzionata al
diritto  d'autore  (oggi  a tutela, soprattutto, del patrimonio e del
mercato)  espone  ad  un  sacrificio  assoluto  la  condizione  dello
straniero,  esprimendo cosi' un giudizio in contrasto con la scala di
valori  espressa nella Carta costituzionale, ove la difesa dei valori
fondamentali  della  persona umana, a prescindere dalla nazionalita',
e' sicuramente anteposta a quella del patrimonio, del mercato e delle
attivita' economiche della persona stessa.
    2.4.  -  Il  paragone  con  il  procedimento di irrogazione della
previgente  destituzione di diritto dei pubblici dipendenti, inoltre,
permette  di  utilizzare,  ai  fini  della presente questione, alcune
considerazioni  svolte  dalla Corte costituzionale, nella sentenza 14
ottobre  1988,  n. 971,  che dichiaro' costituzionalmente illegittimo
l'articolo  85 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3/1957,
laddove prevedeva la destituzione di diritto dei pubblici dipendenti,
a seguito di condanna penale.
    In  quella  occasione,  la  Corte costituzionale ha richiamato il
principio,  evincibile  dal  sistema, dell'indispensabile esigenza di
graduare   qualunque   sanzione  al  caso  concreto,  precisando  che
l'ordinamento   appare  «orientato,  oggi,  verso  la  esclusione  di
sanzioni  rigide, avulse da un confacente rapporto di adeguatezza col
caso concreto».
    Ora,   anche   alla   luce  di  tale  fondamentale  principio  di
graduazione,  evidenziato  dalla  Corte costituzionale nella sentenza
citata,  l'art.  26  comma  7-bis  del  d.lgs.  n. 286/1998 si palesa
illegittimo,  per  violazione  degli  articoli  27  comma 3 e 3 della
Costituzione,  dato  che  esso  vincola  la  revoca  del  permesso di
soggiorno  ed  il  conseguente  provvedimento  di espulsione, al mero
presupposto  della condanna per uno dei reati in esso richiamati (che
si  presentano  molto  eterogenei  gia'  nelle previsioni astratte ed
ancor piu' eterogenei possono rivelarsi in concreto), cosi' impedendo
la  valutazione  della  reale entita' del fatto concreto e conducendo
all'aberrante  risultato  che  la condanna per detenzione, ai fini di
vendita,   anche   di  una  sola  audiocassetta  «abusiva»,  comporti
irrimediabilmente    l'immediata    espulsione   di   uno   straniero
regolarmente soggiornante nel nostro Paese.
    Nel   caso   in   esame,   il  giudice  penale  ha  espressamente
riconosciuto  la  modesta entita' del fatto e pronosticato che il reo
si  sarebbe  astenuto, per il futuro, dal commettere ulteriori reati,
quindi ha disposto la sospensione della pena.
    Cio' nonostante la stessa sentenza, di fatto, ha rappresentato un
presupposto  ineludibile  dell'espulsione in via amministrativa dello
straniero regolarmente soggiornante in Italia.
    3.  -  Anche  l'art. 13 comma 8 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286,
laddove,  cosi'  come  modificato  dal  comma  2 dell'art. 1, d.l. 14
settembre 2004, n. 241, prevede che «Avverso il decreto di espulsione
puo'  essere  presentato unicamente il ricorso al giudice di pace del
luogo  in  cui  ha  sede l'autorita' che ha disposto l'espulsione. Il
termine  e'  di  sessanta  giorni  dalla  data  del  provvedimento di
espulsione», si manifesta costituzionalmente illegittimo.
    Non  si  vuole,  in questa sede, riproporre semplicemente censure
analoghe  a quelle proposte dal Tribunale amministrativo regionale di
Catania,  con  ordinanza  del  29  novembre  2000,  che ha sollevato,
d'ufficio,  in  riferimento  agli  artt. 3  e  24 della Costituzione,
questione  di  legittimita' costituzionale degli artt. 6, comma 10, e
13,  comma  8,  del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nella
parte  in  cui  non devolvono ad un unico giudice e, segnatamente, al
giudice  amministrativo,  le controversie relative al soggiorno degli
stranieri in Italia.
    Tali  censure,  difatti,  sono  gia'  state ritenute infondate da
codesta  Corte  con  la  sentenza del 18 dicembre 2001, n. 414, nella
quale  e', tra l'altro, affermato che «rientra nella discrezionalita'
del legislatore, ripartire, a seconda della tipologia e del contenuto
dell'atto,  la  giurisdizione  tra  il  giudice  amministrativo ed il
giudice   ordinario,   conferendo   anche   un  eventuale  potere  di
annullamento  con  gli  effetti  previsti dalla legge» e che «d'altro
canto,    dovendosi   escludere   l'esistenza   di   pregiudizialita'
amministrativa nella materia considerata, il soggetto privato avrebbe
potuto  trovare  piena  tutela  contro il provvedimento di espulsione
avanti  al  giudice  ordinario,  che  avrebbe  potuto  esercitare  un
sindacato incidentale sul presupposto atto di rifiuto o di rinnovo di
permesso   di   soggiorno   (e   disapplicarlo),   con   effetti   di
illegittimita'  derivata  sull'atto  oggetto  della sua giurisdizione
piena, ovviamente se ritualmente adita».
    La  questione  di  legittimita'  che si pone oggi, difatti, tiene
conto  dell'orientamento  recentemente  espresso  nella  sentenza  di
codesta  Corte  n. 204/2004,  che ha precisato e specificato il ruolo
del    giudice    amministrativo    come   giudice   della   funzione
amministrativa,  dell'attivita'  amministrativa  procedimentalizzata,
escludendo  che «dalla Costituzione non si desumano i confini entro i
quali  il  legislatore ordinario, esercitando il potere discrezionale
suo  proprio  (piu'  volte  riconosciuto  gli  da questa Corte), deve
contenere  i  suoi  interventi  volti  a  ridistribuire  le  funzioni
giurisdizionali tra i due ordini di giudici».
    Si  denunzia, pertanto, l'illegittimita' dell'art. 13 comma 8 del
d.lgs.  25  luglio  1998  n. 286,  cosi'  come modificato dal comma 2
dell'art. 1, d.l. 14 settembre 2004, n. 241, poiche' in contrasto con
gli  articoli  100  comma  1  e  103  comma 1 della Costituzione, che
prevedono  una  riserva  di  giuridisdizione  a  favore  del  giudice
amministrativo,  per la tutela degli interessi legittimi, intesa oggi
come  tutela  giudiziaria  a  fronte  dell'esercizio  della  funzione
amministrativa.
    Difatti,  anche quando, come nel caso in esame, l'amministrazione
nell'ambito del procedimento amministrativo dettagliatamente regolato
dalla    legge,    sia   totalmente   vincolata   nell'adozione   del
provvedimento,  si  e'  pur  sempre  di  fronte  all'esercizio di una
funzione  amministrativa  e, a fronte del provvedimento, la posizione
del  privato  e'  pur sempre di interesse legittimo (Consiglio Stato,
sez. VI, 15 maggio 2003, n. 2661).
    Del  resto,  l'art.  5  comma 3 del d.l. 30 dicembre 1989 n. 416,
convertito  in  legge, con modificazioni, con legge 28 febbraio 1990,
n. 39,  gia'  prevedeva che «contro i provvedimenti di espulsione dal
territorio  dello  Stato e contro il diniego e la revoca del permesso
di soggiorno e' ammesso ricorso al tribunale amministrativo regionale
del  luogo  del domicilio eletto dallo straniero» ed, inoltre, l'art.
13  comma  11  del  d.lgs.  25 luglio 1998 n. 286 tuttora prevede che
«contro  il  decreto  di  espulsione  emanato ai sensi del comma 1 e'
ammesso ricorso al tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede
di Roma».
    3.1. - A cio' si aggiunga l'irragionevolezza dell'art. 13 comma 8
del  d.lgs.  25 luglio 1998 n. 286, cosi' come modificato dal comma 2
dell'art. 1,  14  settembre  2004,  n. 241,  laddove,  rimettendo  al
giudice  di pace la giurisdizione e competenza per l'impugnazione dei
provvedimenti  di  espulsione,  di fatto, rende inutile la pronunzia,
collegiale, del giudice amministrativo sui provvedimenti afferenti al
permesso  di  soggiorno,  ai sensi dell'art. 6 comma 10 del d.lgs. 25
luglio  1998  n. 286, atteso che l'interesse principale vantato dallo
straniero  e'  quello  di  rimanere nel territorio nazionale, ed esso
viene inciso in via principale dal provvedimento di espulsione.
    Del  resto  lo straniero, anche non impugnando tempestivamente il
provvedimento  di  annullamento  o  revoca  del permesso di soggiorno
dinnanzi  al giudice amministrativo, puo' adire il giudice di pace ed
ottenere,  solo  in tal caso, una tutela piena, potendo il giudice di
pace  stesso disapplicare il provvedimento amministrativo di revoca o
di  annullamento  del permesso di soggiorno, come rilevato da codesta
Corte nella sentenza del 18 dicembre 2001, n. 414.
    Del  resto, anche se l'illegittimita' del provvedimento di revoca
o  annullamento  del permesso di soggiorno sara' pronunziata solo dal
giudice   di   pace,   al   fine   della   disapplicazione,  comunque
l'amministrazione dovra' conformarsi a tale decisione.
    D'altro  canto,  invece,  salvo il caso di tempestiva sentenza di
annullamento  o  tempestiva  ordinanza di sospensione giurisdizionale
del provvedimento di revoca o annullamento del permesso di soggiorno,
nessun  effettivo  risultato  pratico  potra'  ottenere  lo straniero
ricorrendo  al  giudice  amministrativo,  potendo,  nelle  more della
decisione  del  giudice  amministrativo,  intervenire la decisione di
rigetto del ricorso innanzi al giudice di pace, sull'impugnazione del
provvedimento   di   espulsione,   rendendo  cosi'  vano  l'eventuale
successivo accoglimento del ricorso avverso i provvedimenti incidenti
sul  permesso  di soggiorno, dato che tale accoglimento non potrebbe,
di   fatto,   tutelare  l'interesse  del  ricorrente  a  rimanere  in
territorio italiano.
    Ancor  piu'  evidente  e' l'inutilita' pratica di una sentenza di
rigetto  da  parte  del giudice amministrativo, sul ricorso avverso i
provvedimenti  incidenti  sul  permesso  di  soggiorno, atteso che il
giudice di pace, in sede di giudizio sul provvedimento di espulsione,
potrebbe  pur  sempre  disapplicare  il  provvedimento  di  revoca  o
annullamento  del  permesso  di  soggiorno  e annullare il decreto di
espulsione.
    Quindi,   benche'   ci   si   trovi  di  fronte  ad  un'attivita'
amministrativa  procedimentalizzata,  e' il giudice di pace ad essere
dotato  di  maggiori  poteri  di  quello  amministrativo  sull'intero
procedimento,  complesso,  teso all'espulsione dello straniero, ed in
sostanza  e'  il giudice di pace ad essere dotato del reale potere di
tutela   dell'interesse   legittimo   del   ricorrente   a   rimanere
legittimamente nel territorio dello Stato.
    Cio',  a meno di voler considerare il provvedimento di espulsione
per   revoca   o   annullamento   del   permesso  di  soggiorno  come
provvedimento  meramente  esecutivo (cosa che non appare sostenibile,
visto che il provvedimento di espulsione, almeno con riferimento alle
modalita'  ed  ai  tempi,  ha  un  proprio  contenuto  discrezionale,
ulteriore  rispetto  alla  revoca  o  annullamento  del  permesso  di
soggiorno),  e  pertanto affetto da invalidita' derivata e soggetto a
caducazione automatica.
    Anche  in tal caso, tuttavia, si paleserebbe illegittima la norma
che   ne   affida  la  giurisdizione  al  giudice  di  pace,  poiche'
quest'ultimo  sarebbe  spesso  chiamato  a  decidere di un atto ormai
espunto dall'ordinamento.