ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 5, commi 1
e  2,  della  legge  12  giugno 2003,  n. 134 (Modifiche al codice di
procedura  penale  in materia di applicazione della pena su richiesta
delle  parti),  promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali,
dal   Tribunale  di  Firenze  con  ordinanza  del  17 settembre  2003
(iscritta  al  n. 485  del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 22,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2004),  con ordinanza in data 11 novembre 2003 (iscritta al
n. 486  del  registro  ordinanze  2004  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 22, 1ª serie speciale, dell'anno 2004),
con  ordinanza  del  9 ottobre  2003 (iscritta al n. 509 del registro
ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 23,   1ª   serie  speciale,  dell'anno 2004),  con  ordinanza  del
4 novembre  2003  (iscritta  al  n. 510 del registro ordinanze 2004 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, 1ª serie
speciale,   dell'anno 2004),   con   ordinanza  del  3 febbraio  2004
(iscritta  al  n. 605  del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 27,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2004),  con ordinanza in data 11 dicembre 2003 (iscritta al
n. 623  del  registro  ordinanze  2004  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 28, 1ª serie speciale, dell'anno 2004),
con  ordinanza  del  9 dicembre 2003 (iscritta al n. 624 del registro
ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 28, 1ª serie speciale, dell'anno 2004).
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 26 gennaio 2005 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  il  Tribunale  di  Firenze ha sollevato, con sette
ordinanze di analogo tenore (r.o. numeri 485, 486, 509, 510, 605, 623
e  624  del  2004),  questione  di  legittimita' costituzionale degli
artt. 1  e  5,  commi 1  e  2,  della  legge  12  giugno 2003, n. 134
(Modifiche  al  codice di procedura penale in materia di applicazione
della pena su richiesta delle parti);
        che,  in  particolare,  ad  avviso  del  rimettente sarebbero
violati   l'art. 3   della  Costituzione,  in  quanto  la  disciplina
censurata  «consente di formulare la richiesta [di applicazione della
pena]  oltre  il  termine  fissato dall'art. 446, comma 1, cod. proc.
pen.»,  e l'art. 111 Cost. perche', su richiesta dell'imputato, viene
imposta   una   sospensione   del   dibattimento   non   inferiore  a
quarantacinque  giorni,  con  decorrenza  dalla  prima  udienza utile
successiva alla data di pubblicazione della legge;
        che,  quanto alla violazione dell'art. 3 Cost., il rimettente
osserva  che  mentre  l'istituto  del patteggiamento persegue, in via
generale,  uno  scopo  fondamentalmente  deflativo,  la  disposizione
transitoria  censurata,  consentendo la presentazione della richiesta
anche  quando  il  dibattimento  e' in fase avanzata, frustrerebbe le
finalita' dell'istituto;
        che  la  sospensione  di quarantacinque giorni a fronte della
semplice  richiesta  dell'imputato  contrasterebbe  con  il principio
della  ragionevole durata del processo, inteso come garanzia non solo
per   l'imputato,  ma  per  tutte  le  parti  processuali  e  per  la
collettivita' in generale;
        che  inoltre  la  disposizione censurata, fissando il termine
per  la  proposizione  della richiesta dell'imputato a far data dalla
prima  udienza  utile  successiva  alla  pubblicazione  della  legge,
anziche'  dalla  sua  entrata  in vigore, contrasterebbe con l'art. 3
Cost. e con il principio della ragionevole durata del processo;
        che  l'applicazione  della  pena  nel  corso del dibattimento
sacrificherebbe  anche  l'esercizio del diritto di azione della parte
civile costituita;
        che  in  tutti  i  giudizi  e'  intervenuto il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  chiedendo  che le questioni siano dichiarate
inammissibili e comunque infondate, essendo analoghe a quella recante
il  n. 747  del registro ordinanze del 2003, per la quale era stato a
suo tempo depositato atto di intervento, contestualmente allegato.
    Considerato che tutte le ordinanze censurano, in riferimento agli
artt. 3  e 111 della Costituzione, la disciplina transitoria prevista
dall'art. 5,   commi 1  e  2,  della  legge  12  giugno 2003,  n. 134
(Modifiche  al  codice di procedura penale in materia di applicazione
della  pena su richiesta delle parti), nella parte in cui consente di
formulare  la  richiesta di patteggiamento ai sensi dell'art. 444 del
codice   di  procedura  penale,  come  modificato  dall'art. 1  della
medesima  legge,  anche  nel corso del dibattimento, oltre il termine
stabilito  dall'art. 446,  comma 1,  cod.  proc.  pen.,  e impone, su
richiesta  dell'imputato,  una  sospensione  del  dibattimento per un
periodo   non   inferiore   a   quarantacinque  giorni  per  valutare
l'opportunita' di chiedere l'applicazione della pena;
        che,  avendo  tutte  le  ordinanze  per  oggetto  la medesima
questione, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;
        che  questioni identiche sono gia' state dichiarate infondate
da  questa  Corte  con  la  sentenza  n. 219 del 2004, sulla base del
rilievo   di  ordine  generale  che  il  legislatore  gode  di  ampia
discrezionalita'  nel  regolare  nei  processi  in  corso gli effetti
temporali   di  nuovi  istituti  processuali  o  delle  modificazioni
introdotte  in istituti gia' esistenti, e che le relative scelte, ove
non  siano  manifestamente irragionevoli, si sottraggono a censure di
illegittimita' costituzionale;
        che, successivamente a tale sentenza, ulteriori questioni del
tutto   analoghe,  sollevate  dallo  stesso  rimettente,  sono  state
dichiarate manifestamente infondate con ordinanza n. 420 del 2004;
        che,  non  risultando  profili diversi o ulteriori rispetto a
quelli  gia'  valutati nelle pronunce richiamate, le questioni devono
essere dichiarate manifestamente infondate.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.