IL TRIBUNALE

    All'udienza  penale  del  giorno  8 aprile 2004 ha pronunciato la
seguente  ordinanza  nel procedimento penale n. 03/26 R.G.T. a carico
di  Guerrieri  Donatella  e  Stagno Francesco, in atti generalizzati,
imputati  del  reato  di  cui agli artt. 113 e 589 c.p., in relazione
alla morte, avvenuta in Isola del Giglio il 27 agosto 1999 a causa di
una immersione subacquea, di Andreose Milko Ugo.

                   Ritenuto in fatto ed in diritto

    1.   -  In  osservanza  dell'organizzazione  dell'Ufficio  questo
giudice    veniva    chiamato   alla   trattazione,   per   l'udienza
dibattimentale  del 4 dicembre 2003, del procedimento penale indicato
in epigrafe.
    In  sede di atti introduttivi rilevava - anche su indicazione del
pubblico ministero, del difensore della costituita parte civile e dei
difensori  degli  imputati  -  che era anche giudice del procedimento
civile,  pendente  presso  questo stesso Tribunale e nel quale vi era
stata  considerevole  impostazione  processuale,  n. 1658/00  R.A.C.,
avente  ad  oggetto  lo  stesso  fatto  della  morte  dello Andreose:
dichiarava,  quindi,  la  propria  astensione  ai sensi dell'art. 36,
comma   1,  lettera  h),  c.p.p.,  ravvisando  le  gravi  ragioni  di
convenienza  in  mancanza  di  specifica  causa  di  incompatibilita'
espressamente prevista dall'ordinamento.
    Con  decreto  del  15  dicembre  2003 il Presidente del Tribunale
rigettava  l'istanza  e  disponeva la restituzione degli atti, per la
prosecuzione  del  giudizio,  a  questo giudice, che fissava all'uopo
l'udienza del 25 marzo 2004.
    2.   -  A  tale  udienza  il  difensore  dell'imputata  Guerrieri
Donatella   ha   manifestato  la  volonta'  di  proporre  istanza  di
ricusazione,   prospettando   la   rilevanza   e   la  non  manifesta
infondatezza  della  questione  di  legittimita'  costituzionale,  in
relazione  agli  artt. 3,  24, comma 2, e 111, comma 2, dell'art. 37,
comma  1,  c.p.p.  nella  parte  in  cui non prevede che possa essere
ricusato  dalla  parte  il  giudice  che,  chiamato  a decidere sulla
responsabilita' penale di un imputato, abbia esercitato in un diverso
procedimento  non  penale,  funzioni  giurisdizionali che in concreto
abbiano contenuto pregiudicante.
    Alla  stessa udienza del 25 marzo 2004 ed all'odierna udienza del
giorno 8 aprile 2004, cui il procedimento e' stato rinviato, le altre
parti hanno aderito a tale impostazione.
    3.  - Nella causa civile - promossa dagli eredi di Andreose Milko
Ugo  nei  confronti  di  Guerrieri  Donatella  -  l'istruzione  e' al
termine, essendo stati escussi quasi tutti i testimoni: ne restano da
escutere soltanto due.
    Nella stessa causa vi era stata richiesta di chiamata in causa di
terzo  da  parte  di  Guerrieri Donatella convenuta - con conseguente
spostamento, ai sensi dell'art. 269 c.p.c., della prima udienza.
    Nel  corso  del  processo civile sono state valutate le richieste
istruttorie formulate dalle parti, con le memorie e repliche proposte
ai  sensi  dell'art. 184  c.p.c.,  e sono state ammesse prove, previa
valutazione  della  loro  ammissibilita' rilevanza e/o fondatezza con
riferimento all'oggetto della causa.
    Sono  stati  depositati,  previa  ordinanza  ammissiva, documenti
estratti dal fascicolo penale del pubblico ministero: in particolare,
le relazioni delle consulenze tecniche disposte dallo stesso pubblico
ministero,  copie  dei  verbali  di  dichiarazioni  rese  da  persone
informate  sui fatti (testimoni indicati nel processo penale) e copie
dei  verbali  di  dichiarazioni  rese dagli stessi imputati Guerrieri
Donatella e Stagno Francesco, senza assistenza del difensore.
    Tutti  tali elementi sono conosciuti (o, comunque, legittimamente
o  quanto  meno  «non  indebitamente» conoscibili) da questo giudice,
mentre  secondo  l'impianto  del  processo penale, quando richiede la
formazione  della prova al dibattimento, non devono essere conosciuti
dal  giudice  -  appunto - del dibattimento (nella specie, sempre chi
scrive) e dovrebbero poter essere conosciuti soltanto nel corso della
loro  «formazione»  nell'istruzione  dibattimentale:  anzi,  l'ultimo
degli  elementi  menzionati  non  potrebbe  mai essere conosciuto (ai
sensi dell'art. 350, comma 6, c.p.p.) dal giudice del dibattimento.
    Il  procedimento  civile, in definitiva e come giova ribadire, e'
giunto  quasi  al  termine mentre nel procedimento penale, conclusasi
l'udienza  preliminare,  non  e'  stato  ancora  dichiarato aperto il
dibattimento  e,  se  lo  fosse  e  questo  giudice  procedesse  alla
trattazione  del processo, ci troveremmo di fronte ad una situazione,
che  non puo' non ritenersi singolare, nella quale uno stesso giudice
dovrebbe pronunciarsi - due volte, in sede civile ed in sede penale -
sulla  responsabilita'  di uno stesso soggetto per il medesimo fatto:
senza peraltro che possa farsi luogo a questioni di pregiudizialita',
non  ricorrendone  alcun  presupposto,  questioni  che  comunque  non
inciderebbero  e  non  muterebbero  i  termini  del problema posta la
«conoscenza» gia' in essere del giudice.
    4.   -  Orbene,  l'impianto  (fondamentalmente  accusatorio)  del
processo  penale  ha  assunto  dignita'  costituzionale con l'attuale
formulazione  dell'art. 111:  vengono  in  particolare rilievo sia il
secondo   comma,   per   il   quale  «ogni  processo  si  svolge  nel
contraddittorio  tra  le  parti,  in condizioni di parita', davanti a
giudice  terzo  ed  imparziale», sia il quarto comma per il quale «il
processo  penale  e' regolato dal principio del contraddittorio nella
formazione  della  prova»,  che  postula  non  conoscenza aliunde del
giudice  ed immediatezza nella formazione della prova ed in tal senso
e' disciplinato dal legislatore ordinario.
    L'esigenza  della  «non  conoscenza iniziale», di cui si e' sopra
detto,   del  giudice  del  dibattimento  penale  ha  dunque  rilievo
costituzionale e nella specie la situazione insorta porterebbe ad una
violazione  di  tale  esigenza: questo giudice ha tentato di ovviare,
dichiarando la propria astensione, a tale possibile violazione, senza
che  peraltro  si  verificasse l'effetto sperato e voluto anche dalle
parti del processo.
    5.  -  All'uopo mette conto ricordare che la Corte costituzionale
ha gia' avuto modo di precisare (Corte cost., sent. n. 113 del 2000),
il   significato   della   espressione   «altre   gravi   ragioni  di
convenienza»,  riconoscendone il carattere di formula di chiusura cui
ricondurre  tutte  le ipotesi, non ricadenti nelle precedenti lettere
dell'art. 36,  comma 1,  c.p.p., nelle quali vi sia fondato motivo di
ritenere  compromessa  l'imparzialita'  del  giudice. Il problema, in
effetti, era quello di chiarire il termine «altre», cioe' in che cosa
consistesse la diversita' di tale ipotesi di astensione rispetto alle
precedenti.  Attraverso  un'interpretazione  logico-sistematica delle
varie  previsioni del comma 1 dell'articolo la Corte ha affermato che
tutte  le  cause  di  astensione elencate nella norma si traducono in
«ragioni  di  convenienza».  In  ossequio  al  principio  del  giusto
processo,   quindi,   occorreva  superare  l'impostazione  di  quanti
riconoscevano    nelle   «altre   gravi   ragioni   di   convenienza»
esclusivamente  motivi di carattere personale ed estendere la formula
anche  a casi (come e' nel caso di specie) in cui l'imparzialita' del
giudice  risulti  compromessa  dallo svolgimento di altre, precedenti
attivita' giudiziarie.
    6.  -  Ora,  alla luce del sistema normativo rimane preclusa alle
parti  -  che, giova ribadirlo, tutte hanno piu' o meno incisivamente
manifestato  la  volonta'  di  uniformarsi sin da ora ai principi del
giusto  processo, il cui mancato rispetto potrebbe comunque venire in
piu' pregiudizievole rilievo negli ulteriori gradi di giurisdizione -
la possibilita' di proporre ricusazione ai sensi dell'art. 37 c.p.p.,
dal  momento  che  alla  regola  della  corrispondenza  tra i casi di
astensione  e  di  ricusazione  fa  eccezione proprio l'ampia formula
finale  delle  «altre  gravi  ragioni  di  convenienza»,  cui  si  e'
richiamato  questo  giudice in difetto, giova ribadirlo, di specifica
previsione normativa: ricusazione dalla quale - giova sottolinearlo -
deriverebbe,     a    differenza    che    per    l'astensione,    la
giurisdizionalizzazione   del   procedimento   incidentale,   essendo
proponibile  avverso  l'ordinanza di eventuale rigetto il ricorso per
cassazione.
    I  rapporti  intercorrenti tra gli artt. 34, 36 e 37 del c.p.p. e
le  possibilita'  applicative  degli istituti dell'astensione e della
ricusazione,     specie    alla    luce    della    -    appunto    -
costituzionalizzazione  del principio del giusto processo, sono stati
peraltro gia' oggetto di altre (oltre quella di cui si e' gia' detto)
disamine  della Corte ed e' nel solco di (anche) tali disamine che si
deve  porre  la presente fattispecie: non sembrando, per altro verso,
che  essa  sia  gia'  stata  posta e sia gia' stata risolta nella sua
specificita'.
    7.  -  All'uopo  vengono in particolare rilievo anche le sentenze
n. 306,  307,  308  del 1997, che si rivelano improntate dagli stessi
principi.  Benche' fossero diverse le questioni sollevate, in tutti e
tre  i  casi  e'  stato riconosciuto l'elevato rischio di lesione dei
principi  costituzionali  del  giusto  processo  e di imparzialita' e
terzieta' del giudice: e sono state elaborate delle riflessioni sugli
strumenti  di  tutela  del  principio  di - appunto - imparzialita' e
terzieta'  del  giudice  apprestati  dal codice di procedura penale e
sulla  loro  idoneita' a garantire in forma razionale ed esaustiva il
principio del giusto processo.
    Il  punto  nodale  ditali  pronunce  attiene  proprio ai rapporti
intercorrenti  tra gli istituti di cui agli artt. 34, 36 e 37 c.p.p.,
al  loro  differente  ambito  di  operativita'  ed alle diverse - non
immuni   da   dubbi   sul   rispetto  di  principi  costituzionali  -
tipizzazioni operate dal legislatore ordinario.
    Il  fondamento  dell'istituto  dell'incompatibilita' e' quello di
assicurare   l'autonomia   della   funzione  giudicante  rispetto  ad
attivita'   compiute   in   fasi   e  gradi  anteriori  del  medesimo
procedimento.
    Le  cause di astensione e di ricusazione, invece, «prescindono da
qualunque  riferimento  alla  struttura del processo e dall 'esigenza
del  rispetto  della  logica  intrinseca  ai  suoi diversi momenti di
svolgimento» (Corte cost., sent. n. 306/1997).
    Ma  il  decisivo  elemento di differenziazione si rivela il fatto
che  le  ipotesi  di  incompatibilita' di cui all'art. 34 c.p.p. sono
tutte  previste  in  modo da operare in astratto e rispondono - a ben
vedere   -  alla  convinzione  del  legislatore  di  poterle  evitare
«preventivamente  attraverso  idonei  atti  di  organizzazione  dello
svolgimento del processo».
    Per  converso,  gli  artt. 36  e  37  c.p.p. mirano a scongiurare
situazioni  che,  verificatesi dentro o fuori il processo stesso, per
il  loro  «concreto» contenuto possono far ritenere la sussistenza di
un  «pregiudizio»  in capo al giudice: «le situazioni che danno luogo
alla  astensione-ricusazione  debbono  essere  sempre  oggetto di una
puntuale  valutazione  di  merito,  che  consenta, previa verifica in
concreto dell'eventuale effetto pregiudicante, di rendere operante la
tutela  del  principio  del  giusto  processo»  (Corte  cost.,  sent.
n. 283/2000).
    Del  resto,  sarebbe  «impossibile pretendere dal legislatore uno
sforzo  di  astrazione  e  di  tipicizzazione  idoneo a individuare a
priori  tutte  le  situazioni  in  cui  il giudice, avendo esercitato
funzioni  giudiziarie in un diverso procedimento, potrebbe poi venire
a  trovarsi  in  una  situazione  di  incompatibilita' nel successivo
procedimento penale» (Corte cost., sent. n. 308/1997). In relazione a
tali  principi  si  pongono,  da  un  lato,  la  -  appunto  -  legge
costituzionale  n. 2  del  1999,  dalla  quale  deriva  la attuazione
informa  esaustiva  della garanzia del giusto processo con la vigente
formulazione dell'art. 111, e dall'altro lato - e piu' specificamente
-  la  citata  sentenza n. 283/2000, dalla quale emerge quale fondata
causa   di   ricusazione   l'avere   il  giudice  espresso  in  altro
procedimento,  anche  non  penale,  una  valutazione  di merito sullo
stesso  fatto  nei confronti del medesimo soggetto, sottolineando che
il  generale  sistema  che  si  deve  delineare  e' un sistema che si
proponga «di apprestare la necessaria tutela del principio del giusto
processo   in   tutti  i  casi  in  cui  puo'  risultare  compromessa
l'imparzialita'   del   giudice»,   a  prescindere  da  una  espressa
previsione legislativa.
    8.  - Alla luce di tali osservazioni la questione di legittimita'
costituzionale de quo, dunque, si rivela non manifestamente infondata
(e  non  a  caso  era  stato  lamentato  dai  giudici,  rimettenti le
questioni  relative a talune delle summenzionate pronunce, che fra le
cause  di ricusazione previste dall'art. 37 c.p.p. non fosse prevista
anche  la causa di astensione prevista dall'art. 36, comma 1, lettera
h),   c.p.p.,   ovvero   l'esistenza   di  «altre  gravi  ragioni  di
convenienza»)  in  relazione  all'art. 3 (principio di uguaglianza in
relazioni   a   situazioni  omologhe,  nella  specie  riguardante  la
possibilita' di accedere al «giusto processo», che sarebbe preclusa a
differenza  di  situazioni diverse ed anche meno pregiudizievoli), in
relazione all'art. 24 (diritto di difesa: si e' gia' detto che con la
ricusazione  si instaura un procedimento giurisdizionale incidentale,
mentre  cosi'  non  e'  per  l'astensione,  posto che, difatti, nella
specie  non  resterebbe  altro  che  celebrare  il  processo)  ed  in
relazione  all'art. 111  -  e,  come  si  e'  sopra  considerato, non
soltanto  in  ordine  al  secondo comma, ma anche in ordine al quarto
comma - della Costituzione.
    La  Corte,  del  resto,  aveva appunto avvertito che «qualora una
situazione  carente dal punto di vista dell'imparzialita' non potesse
trovare  soluzione alla stregua degli articoli 36 e 37 del cod. proc.
pen.,   quali  attualmente  vigenti,  potrebbe  aprirsi  la  via  per
un'ulteriore,  ma  diversamente  impostata, questione di legittimita'
costituzionale» (sent. n. 306 del 1997).
    9.   -  La  questione  e'  rilevante  nel  processo  poiche'  con
l'attuale,  denunciato  assetto  normativo  non  resterebbe,  come si
detto,  a questo giudice che celebrare il processo, con le possibili,
gravi (ed anche sicuramente piu' gravi, rispetto a talune delle altre
ipotesi  previste  dagli artt. 34, 36 e 37 c.p.p.) lesioni di diritti
costituzionalmente  garantiti  delle  parti,  lesioni da loro - giova
ribadirlo - concordemente prospettate.