IL CONSIGLIO DI STATO

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso in appello
n. 8686/1996  proposto  da  Bianchini  Carla,  rappresentata e difesa
dagli avv. Anna Maria Cipolla, Cristiano Romano ed Eugenio Merlino ed
elettivamente  domiciliata  presso quest'ultimo in Roma, via Genovesi
n. 3;
    Contro:
        il Ministero di grazia e giustizia (ora: della giustizia), in
persona   del   Ministro   pro   tempore,   rappresentato   e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello Stato e domiciliato ex lege presso i
suoi uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
        il Ministero del tesoro (ora: dell'economia e delle finanze),
in persona del Ministro pro tempore, non costituito;
    Per  l'annullamento  della  sentenza del Tribunale amministrativo
regionale  della  Lombardia, sez. III, n. 816/1996, in data 17 giugno
1996;
    Visto l'atto di appello con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di costituzione in giudizio e la memoria difensiva
del Ministero della giustizia;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Alla pubblica udienza dell'8 luglio 2004, relatore il consigliere
Carlo  Deodato,  uditi  l'avv.  E.  Merlino  e l'avvocato dello Stato
Canzoneri;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

                           Fatto e diritto

    1.  -  Con  la  sentenza  appellata  veniva  respinto  il ricorso
proposto dalla dott.ssa Carla Bianchini, nella qualita' di magistrato
ordinario,  al  fine di ottenere l'annullamento del provvedimento con
cui  la Direzione provinciale del Tesoro di Milano aveva disposto nei
suoi   riguardi   il   recupero   della   somma   di  L. 8.247.174  -
precedentemente  erogata  in  suo  favore  a  titolo  di  «indennita'
giudiziaria»  anche  nei  periodi  in  cui  ella si era assentata dal
lavoro  per  maternita'  e  puerperio - e la conseguente restituzione
degli   importi   che   asserisce  indebitamente  trattenutile  dallo
stipendio (fino alla concorrenza della suddetta somma).
    1.1 -  Avverso  tale  decisione  proponeva  appello  la  dott.ssa
Bianchini,  criticando  le  argomentazioni  assunte  a sostegno della
gravata  statuizione reiettiva ed insistendo per l'accertamento della
spettanza  a  se'  della  reclamata  indennita', previa riforma della
sentenza appellata.
    1.2 -  Resisteva il Ministero della giustizia, che concludeva per
la reiezione dell'appello.
    1.3 -  Alla pubblica udienza dell'8 luglio 2004 il ricorso veniva
trattenuto in decisione.
    2.  -  Le  parti  controvertono  sulla  spettanza alla ricorrente
dell'indennita'  di  cui  all'art. 3,  legge  n. 27/1981,  anche  nei
periodi  di  astensione  obbligatoria  dal  lavoro  per  maternita' o
puerperio.
    2.1 -  L'odierna appellante, nella consapevolezza che la predetta
disposizione esclude espressamente la debenza del predetto emolumento
nei periodi di assenza dal servizio ai sensi degli artt. 4 e 7, legge
n. 1204/1971,   ne   prospetta,   con  il  primo  motivo,  un'esegesi
sistematica  che  la  privi  dell'anzidetta  portata  preclusiva e ne
denuncia,  comunque, l'illegittimita' costituzionale, per il rilevato
contrasto   con   il   parametro   di   cui  all'art. 3  della  Carta
fondamentale, con specifico riguardo al diverso trattamento giuridico
ed  economico  riservato,  quanto  alla questione qui controversa, al
personale delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie.
    3.  - Deve premettersi che la proposta lettura dell'art. 3, legge
n. 27/1981  in  un  senso  che consenta l'invocata affermazione della
spettanza  dell'indennita'  anche  per  i periodi in contestazione va
rifiutata   in  quanto  sprovvista  di  ogni  apprezzabile  riscontro
positivo,  posto  che,  a fronte dell'univoca portata letterale della
norma  (che  esclude  espressamente  la  debenza  dell'emolumento nei
periodi  di  assenza obbligatoria per maternita' e puerperio), non e'
dato  ricavare  nell'ordinamento  alcuna disposizione successiva che,
per  il  suo  carattere  radicalmente  incompatibile  con  la  prima,
consenta di affermare l'avvenuta abrogazione tacita di quest'ultima.
    4.  -  Cosi'  esclusa  la fondatezza del primo motivo di gravame,
occorre  verificare  la  rilevanza  e  la  non manifesta infondatezza
dell'eccezione di incostituzionalita' della disposizione controversa,
per   come   prospettata  ed  argomentata  (nei  termini  di  seguito
illustrati).
    Rileva, al riguardo, la ricorrente che, nonostante l'art. 1 della
legge  22  giugno 1981, n. 221 (con cui era stata estesa l'indennita'
giudiziaria   al   personale  dirigente  delle  cancellerie  e  delle
segreterie   giudiziarie)   avesse  espressamente  e  contestualmente
escluso  la  debenza  di  quell'emolumento  nei periodi di astensione
obbligatoria per maternita' e puerperio, la contrattazione collettiva
successiva  e la sua applicazione amministrativa avevano riconosciuto
la  spettanza  dell'indennita' nella situazione considerata ed assume
che  tale  ingiustificata  disparita'  di  trattamento,  a  fronte di
situazioni   identiche,   inficia   la   legittimita'  costituzionale
dell'art. 3,  legge  n. 27/1981,  per  il  denunciato  contrasto  con
l'art. 3 della Costituzione.
    5.  -  Potrebbe,  anzitutto,  obiettarsi,  al riguardo, (anche se
l'Avvocatura dello Stato non lo fa) che la diversa natura della fonte
regolatrice  dei  due  rapporti  di  lavoro  confrontati impedisce la
stessa  astratta configurabilita' del vizio nella specie denunciato a
carico dell'art. 3, legge n. 27/1981.
    5.1 -  Tale argomento non appare plausibile, dovendosi per contro
ritenere,  alla  stregua  delle  considerazioni appresso esposte, che
anche  la  normativa di natura contrattuale possa assurgere a tertium
comparationis nel sindacato di costituzionalita' ex art. 3.
    5.2 -   La  differenza  del  regime  della  regolamentazione  del
rapporto  di  lavoro  tra le due categorie considerate - magistrati e
personale  dirigente delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie
(contrattualizzata la prima, ma non la seconda) - non vale, ad avviso
del  Collegio,  ad  escludere  la  configurabilita' della prospettata
violazione dell'art. 3 della Costituzione e, quindi, della denunciata
disparita' di trattamento.
    La  circostanza  che  un  tipo  rapporto trovi la sua fonte nella
legge  e l'altro in un contratto collettivo (anche prescindendo dalla
natura  lato  sensu  normativa di quest'ultimo) non esime, invero, il
legislatore  che  regola il primo, dal rispetto del suddetto precetto
costituzionale  (quand'anche  il  trattamento  piu'  favorevole venga
introdotto  da  un  contratto collettivo successivo alla legge), ne',
soprattutto,  preclude la verifica della conformita' della legge alla
Carta   costituzionale   (secondo   il  procedimento  incidentale  di
scrutinio della costituzionalita' del regime legislativo deteriore).
    L'eterogeneita'  della  natura della fonte della disciplina delle
condizioni  del  rapporto di lavoro (e, in particolare, dei diritti e
degli  obblighi  dei  lavoratori)  non  impedisce,  in definitiva, il
sindacato   costituzionale   della  compatibilita'  delle  differenze
riscontrate  nelle  condizioni  stabilite dalla legge e dal contratto
collettivo con il principio della Carta fondamentale che impone (alla
prima)  di garantire il medesimo trattamento a situazioni sostanziali
identiche.
    5.3 -    Diversamente   opinando,   si   perverrebbe,   peraltro,
all'inaccettabile   conclusione   di   impedire   un   controllo   di
costituzionalita'  di  una  disposizione  di  legge  che  esclude  la
spettanza  di  un  diritto,  viceversa  riconosciuto,  a  parita'  di
situazioni, ad un'altra categoria di lavoratori da un'altra fonte del
diritto,   e,  quindi,  in  definitiva,  di  convalidare  una  palese
ingiustizia,   legittimando  una  diversa  disciplina  di  situazioni
sostanziali identiche.
    Senza  considerare  poi,  che la regolamentazione del rapporto di
personale  «contrattualizzato»  non  puo' che essere negoziale e che,
escludendo  la  prospettabilita',  come  tertium  comparationis,  del
contratto  collettivo,  si  finisce  per sottrarre il legislatore che
disciplina il rapporto di una categoria di lavoratori sostanzialmente
omologa  alla  prima  (nel  senso  che  opera  nello  stesso  settore
dell'ordinamento)    all'ambito    applicativo    dell'art. 3   della
Costituzione,  cosi'  avvalorando eventuali trattamenti deteriori del
personale  non  «contrattualizzato»  e  riducendo,  anzi  eliminando,
(inammisibilmente)    in    danno   di   quest'ultimo   le   garanzie
costituzionali  connesse  all'esigenza  di  parita' di trattamento di
situazioni uniformi.
    5.4 -    Quand'anche,   tuttavia,   si   intendesse   negare   la
configurabilita'  di  una  disparita'  di  trattamento  tra  legge  e
contratto,  si  dovrebbe,  in ogni caso, riconoscere che, per effetto
dell'attribuzione   (con   il   contratto  collettivo)  al  personale
femminile  delle  cancellerie  e  delle  segreterie  giudiziarie  del
diritto  all'indennita'  giudiziaria  anche nei periodi di astensione
obbligatoria per maternita' e puerperio, si e' determinato un diverso
assetto  del  trattamento  della predetta categoria di dipendenti, in
relazione alla cui sopravvenienza la disposizione censurata conserva,
per  le  donne  magistrato,  un  regime  giuridico ormai connotato da
un'ingiustificata  difforme configurazione, che ne implica una palese
incompatibilita' costituzionale.
    5.5 -  Resta,  in  ogni  caso, confermata, anche sulla base delle
considerazioni  da  ultimo  svolte, la configurabilita' della dedotta
inosservanza  del  precetto  costituzionale  che prescrive l'uniforme
regolamentazione  normativa  di  situazioni  uguali  e  che  vieta al
legislatore,   pena   l'incostituzionalita',   di  introdurre,  o  di
mantenere, discipline diverse di fattispecie omologhe.
    6. - Cosi' affermata l'astratta proponibilita' della questione di
costituzionalita'   dell'art. 3,   legge  n. 27/1981  per  violazione
dell'art. 3  della  Costituzione,  nei  termini  appena illustrati ed
esaminati,  si deve, nell'ordine logico della disamina della censura,
scrutinare la rilevanza della relativa eccezione.
    Risulta, in proposito, agevole rilevare che la pretesa creditoria
azionata dalla ricorrente rinviene un ostacolo positivo proprio nella
disposizione censurata, la' dove esclude la spettanza dell'indennita'
giudiziaria nei periodi in contestazione, e che, quindi, la questione
della  sua  compatibilita',  costituzionalita'  e,  quindi, della sua
persistente  efficacia  si  rivela  decisiva  (e,  quindi, a fortiori
rilevante) dell'intera controversia.
    7.   -  In  ordine  alla  non  manifesta  infondatezza,  si  deve
premettere  che  la  questione  della  costituzionalita' dell'art. 3,
legge  n. 27/1981  e'  stata gia' esaminata diverse volte dalla Corte
costituzionale   e   risolta   nel  senso  del  riconoscimento  della
compatibilita'   della   disposizione   con   i   diversi   parametri
costituzionali indicati, di volta in volta, dai giudici rimettenti.
    7.1 -  Occorre,  quindi,  verificare  se l'eccezione nella specie
formulata,  per  come prospettata, cioe', nei termini sopra riferiti,
sia mai stata esaminata dalla Corte.
    Per  quanto  consta,  il  Giudice  delle  leggi  ha  delibato  la
questione  della  costituzionalita'  dell'art. 3,  legge  n. 27/1981,
sotto  tre  distinti  profili:  con una prima sentenza (n. 238 dell'8
maggio 1990) ha escluso la sussistenza della denunciata disparita' di
trattamento  delle  donne  magistrato rispetto alla generalita' delle
dipendenti statali; con una seconda pronuncia (n. 407 del 24 dicembre
1996) e' stata esclusa la prospettata disparita' di trattamento delle
donne magistrato obbligatoriamente assenti per maternita' rispetto ai
magistrati  in  servizio  ed  e' stata riconosciuta la compatibilita'
dell'art. 3,  legge  n. 27/1981  con  il  precetto costituzionale che
impone  un adeguata protezione della lavoratrice madre (art. 37 della
Costituzione);  con un'altra decisione (n. 106 del 18 aprile 1997) e'
stata, infine, esclusa la sussistenza della disparita' di trattamento
tra   magistrati  donne  e  magistrati  uomini  e  della  prospettata
violazione delle norme costituzionali che prescrivono la tutela della
famiglia,  della  maternita'  e  dell'infanzia  (artt. 30  e 31 della
Costituzione).
    Come si vede, quindi, la Corte non ha mai esaminato la questione,
nei  termini  in  cui  e' stata posta dalle odierne ricorrenti, della
sussistenza  di una disparita' di trattamento tra le donne magistrato
e   le   dipendenti   del  Ministero  della  giustizia  addette  alle
cancellerie ed alle segreterie giudiziarie.
    Residua,  pertanto, spazio per la delibazione della non manifesta
infondatezza  dell'anzidetta eccezione, che, per come articolata, non
resta pregiudicata dai riferiti precedenti della Corte.
    7.2 -  Giova  premettersi, in fatto: che con l'art. 1 della legge
n. 221/1988   e'   stata  attribuita  al  personale  dirigente  delle
cancellerie  e  delle  segreterie  giudiziarie  l'indennita'  di  cui
all'art. 3,  legge  n. 27/1981;  che  con la medesima disposizione e'
stata  espressamente  esclusa  la  spettanza  di  tale emolumento nei
periodi  di  astensione  obbligatoria  dal  lavoro  per  maternita' e
puerperio;  che,  tuttavia,  con  l'art. 21,  d.P.R. 17 gennaio 1990,
n. 44 (di recepimento dell'accordo relativo al personale del comparto
Ministeri) e' stata prevista l'attribuzione alle lavoratrici madre in
astensione obbligatoria ai sensi dell'art. 4 della legge n. 1204/1971
delle  «...  quote  di salario accessorio fisse e ricorrenti relative
alla  professionalita'  ed alla produttivita»; che tale previsione e'
stata  interpetetata  ed  applicata dal Ministero della giustizia nel
senso   della   spettanza   alle   proprie  dipendenti  addette  alle
cancellerieed  alle  segreterie dell'indennita' giudiziaria anche nei
periodi  di  assenza  obbligatoria  per  maternita' e puerperio (cfr.
circolare  n. 22  in  data 22 settembre 1993 della Direzione generale
organizzazione  giudiziaria  e  affari  generali),  che  la  predetta
previsione  e'  stata  ribadita  nei  contratti  collettivi nazionali
successivi  del  personale  del  comparto  Ministeri  e che, a quanto
consta,  l'emolumento  controverso  risulta  regolarmente corrisposto
alla suddetta categoria di personale nei periodi considerati.
    Attualmente,  quindi,  per  effetto delle predette previsioni dei
contratti    collettivi    (per    come   interpretate   ed   attuate
dall'amministrazione  della  giustizia),  le lavoratrici addette alle
cancellerie  ed alle segreterie giudiziarie percepiscono l'indennita'
di  cui  all'art. 3, legge n. 27/1981 (loro estesa dall'art. 1, legge
n. 221/1988)   anche  nei  periodi  di  astensione  obbligatoria  per
maternita'  e  puerperio,  mentre  le  donne  magistrato non ricevono
alcunche', nella medesima situazione, a quel titolo.
    7.3 -  Osserva,  al  riguardo,  il  Collegio,  nei  limiti  della
valutazione   della  non  manifesta  infondatezza  della  prospettata
eccezione  di  incostituzionalita' dell'art. 3, legge n. 27/1981, che
la  posizione  delle diverse categorie di lavoratrici considerate non
presenta  differenze  tali da giustificare l'attribuzione ad una sola
del  diritto  all'indennita' di giudiziaria nei periodi di astensione
obbligatoria  dal  lavoro  per  maternita'  e  puerperio e che, anzi,
l'identita'  della  ratio  dell'attribuzione ad entrambe del medesimo
emolumento  (agevolmente  ravvisabile nell'esigenza di compensare con
un'ulteriore  voce  «retributiva» la gravosita' dell'impegno connesso
all'esercizio  dell'attivita'  giudiziaria,  cui  concorre  anche  il
personale  dirigente  delle cancellerie e delle segreterie) impone di
escludere  la  compatibilita'  di una diversa disciplina dei relativi
diritti  tra  classi  di  dipendenti  del tutto omologhe, quanto alla
spettanza    dell'indennita'    giudiziaria,    con    il   parametro
costituzionale  (art. 3)  che  esige  la  parita'  di  trattamento di
situazioni  uguali  (cfr.  Corte  costituzionale,  26 novembre  2002,
n. 476,   in   cui  si  ribadisce  il  principio,  costituzionalmente
garantito,   della   necessita'   dell'identita'   di  disciplina  di
fattispecie   connotate  dagli  stessi  caratteri  o,  comunque,  non
adeguatamente differenziate tra loro).
    8.  -  Le  suesposte  considerazioni  fondano,  in definitiva, il
giudizio di rilevanza e di non manifesta infondatezza della questione
della  illegittimita'  costituzionale  dell'art. 3,  comma  1,  legge
n. 27/1981,  nella  parte  in  cui  esclude  la  corresponsione della
speciale  indennita'  dallo  stesso  istituita  durante  i periodi di
astensione  obbligatoria  dal lavoro ai sensi dell'art. 4 della legge
30  dicembre  1971, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, in
se'  ed  in relazione all'art. 21 d.P.R. n. 44/1990 (da valersi quale
tertium   comparationis   unitamente   alla  uniforme  contrattazione
collettiva successiva).
    9.  -  Ne consegue che della risoluzione dell'anzidetta questione
va investita la Corte costituzionale, con conseguente sospensione del
presente procedimento.