IL GIUDICE DI PACE

    Ha  pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta
al  numero  del ruolo generale 343/2003 e promossa da Nigro Domenico,
elettivamente  domiciliato  in  Lecce alla via Martiri D'Otranto n. 4
presso lo studio degli avv. Antonio Tanza e Salvatore De Gaetanis che
lo  rappresentano  e difendono, in virtu' di procura ad litem stesa a
margine dell'atto di citazione, attore;
    Contro   Lloyd  Adriatico  S.p.A.,  in  persona  del  suo  legale
rappresentante,  corrente  in Trieste ed elettivamente domiciliata in
Lecce   presso   lo   studio   dell'avv.  Antonio  De  Mauro  che  la
rappresentata  e  difende  in  virtu'  di procura stesa in calce alla
copia notificata dell'atto di citazione, convenuta.
    Premesso  che  in  data 10 marzo 2003 veniva depositata ordinanza
del seguente testuale tenore:

                      Svolgimento del processo

    «Con  atto  di  citazione  del  15  gennaio  2003  notificato  il
successivo  19 gennaio 2003, Nigro Domenico adiva questo giudice onde
ottenere  la  restituzione  della somma di Euro 903,00, ovvero quella
maggiore  o  minore  di giustizia, da liquidarsi in via equitativa ex
art.  1226  c.c.  ed  a  titolo  di  responsabilita' contrattuale per
violazione  dell'obbligo di buona fede nella formazione ed esecuzione
del contratto e per violazione dei doveri di correttezza, trasparenza
ed equita' imposti ex lege nei rapporti contrattuali concernenti beni
e servizi.
    In  via  alternativa  chiedeva  la  condanna  della  convenuta al
pagamento della somma di Euro 903,00, o a quella maggiore o minore di
giustizia,  da  liquidarsi in via equitativa a titolo di risarcimento
del danno ex art. 2043 c.c.
    Ancora in via alternativa, chiedeva la condanna alla restituzione
delle  somme  sopra  indicate ex art. 2033 c.c. poiche' indebitamente
percepite.
    Il tutto con vittoria di spese e competenze di lite.
    Venivano   prodotte   le   quietanze   di   pagamento  del  premi
assicurativi   nonche'   la  sentenza  del  Tribunale  amministrativo
regionale  Lazio  n. 6139/2001,  del  Consiglio  di Stato n. 129/2002
oltre  alla  pronunzia dell'autorita' garante della concorrenza e del
mercato resa all'adunanza del 28 luglio 2000.
    L'attore,   a   sostegno  della  propria  domanda,  deduceva  che
l'Autorita'   garante   delle   comunicazioni   e  del  mercato,  con
provvedimento n. 8546 del 28 luglio 2000, aveva accertato l'esistenza
di  una  intesa  restrittiva  della  concorrenza  posta  in essere in
violazione  dell'art. 2, comma 2, legge n. 287/1990, da 39 imprese di
assicurazioni  operanti  in  Italia  nel  settore  R.C.A., tra cui la
convenuta   Compagnia   di   assicurazioni.   Tale   intesa,  secondo
l'Autorita'  garante,  aveva  comportato  l'aumento  del premio della
polizza  R.C.  Auto  di circa il 20% del costo dei premi assicurativi
incassati dalle imprese di assicurazione.
    Per   effetto  di  tale  accordo  e  della  partecipazione  della
Compagnia  di assicurazioni convenuta al predetto "cartello" l'attore
sosteneva  di aver sopportato un esborso, nel pagamento della polizza
obbligatoria  sulla R.C. Auto, pari al 20% dell'intera somma versata,
quantificabile in Euro 903,00.
    Si   costituiva  ritualmente  la  Lloyd  Adriatico  con  comparsa
depositata  in  data  3  marzo  2003  ed  in via preliminare deduceva
l'incompetenza  dell'adito  giudice a favore della Corte d'appello di
Lecce.
    Eccepiva,  poi  l'avvenuta  prescrizione applicandosi alla specie
l'art.  2952  c.c.  non  avendo  effetto  la vigenza del contratto di
assicurazione tra le parti al fine del decorso del termine.
    La convenuta compagnia rilevava, ancora, la nullita' dell'atto di
citazione  per  indeterminatezza  della  causa petendi per la carente
allegazione degli elementi relativi al rapporto contrattuale.
    Nel  merito eccepiva che la vicenda amministrativa, che pur aveva
riguardato,   tra  le  altre,  la  compagnia  convenuta,  non  poteva
interferire nel singoli rapporti contrattuali alla luce del novellato
art. 113 c.p.c.
    In  sostanza,  secondo  l'assunto  della  compagnia,  la sanzione
amministrativa  ed il riconoscimento dell'illegittimita' raggiunto in
tale  sede,  non poteva interferire sul giudizio civile assoggettato,
secondo  le ordinarie regole, all'onere probatorio. Da cio' scaturiva
la  mancanza  di qualsivoglia prova, in relazione al caso singolo, di
quanto genericamente accertato dall'organo amministrativo.
    Nella  presente  fattispecie  la compagnia contestava l'esattezza
del  calcolo  percentuale di aumento del premio che, secondo i propri
computi, risultava ampliato. A cio' andava aggiunta la considerazione
che  l'utente,  in  ogni  caso,  non  e' vincolato a contrarre con le
compagnie   facenti  parte  del  gruppo  sottoposto  a  sanzione  non
versandosi  in  ipotesi  monopolistica  ed  a  causa del ventaglio di
assicurazioni  sul  mercato raggiungibili anche telefonicamente o per
via   telematica.  Ribadiva,  sempre  in  conseguenza  della  novella
all'art.  113  c.p.c,  il rigoroso rispetto dell'onere della prova su
ogni dedotta circostanza.
    La  difesa  della  convenuta,  confutava le allegazioni di merito
dell'attore  dovute,  a  suo  dire,  ad  inconferenti, inopportuni ed
impropri  riferimenti  a  norme  specifiche di legge ed a principi di
ordine generale che non si attagliavano al caso di specie.
    Conduceva  in  via principale per la declaratoria d'incompetenza,
per l'accoglimento dell'eccezione di prescrizione, per il rigetto per
nullita'  e  gradatamente  per  infondatezza  con vittoria di spese e
competenze di lite.
    Alla  fissata  udienza di comparizione, i procuratori dell'attore
richiedevano   che   fosse   sollevata   eccezione   di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 1  del  decreto-legge n. 18 dell'8 febbraio
2003  ritenuto  in contrasto con gli artt. 3, 24, 77, 101, 102, 104 e
111 della Carta costituzionale.
    Il   procuratore   della   convenuta,  rilevava  la  mancanza  di
fondamento   dell'eccezione  di  incostituzionalita'  e  chiedeva  il
rigetto  della  domanda  con  la  decisione,  in  limine litis, delle
avanzate eccezioni preliminari di prescrizione e di incompetenza.
    In  ogni  caso  chiedeva  un  termine,  che veniva accordato, per
memorie  difensive,  depositate  in  data 7 marzo 2003 in ordine alla
proposta  eccezione  di incostituzionalita' e con le quali confutava,
punto per punto, le deduzioni avversarie.

                             Motivazione

    Il Giudice di pace di Lecce ritiene sussistenti i presupposti per
sollevare  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 1 del
decreto-legge  8  febbraio  2003,  n. 18,  intitolato:  "Disposizioni
urgenti in materia di giudizio necessario secondo equita'" pubblicato
nella  Gazzetta  Ufficiale n. 33 del 10 febbraio 2003, per violazione
degli  artt. 3,  24,  25,  41,  77, 101, 102 e 104 della Costituzione
nella parte in cui, a modificazione dell'art. 113, comma 2 del codice
di procedura civile, sottrae, alla valutazione secondo equita', tutti
i giudizi pendenti innanzi agli uffici del giudice di pace e relativi
ai contratti c.d. di massa di cui all'art. 1342 del codice civile.
    In  via  preliminare  e'  opportuno  premettere che, ad avviso di
questo giudice, anche il decreto-legge, atto normativo non definitivo
in  attesa  della  conversione,  e'  sottoponibile  al  sindacato  di
legittimita' della Corte costituzionale.
    E'  giurisprudenza  pacifica, infatti, quella di poter sottoporre
al  vaglio  di  legittimita'  costituzionale  anche  i  decreti-legge
impugnati  in  via incidentale (cfr. sentenze 19 giugno 1974 n. 184 e
20 luglio 1999, n. 327).
    Ne'  costituiscono  un  ostacolo alla pronuncia del Giudice delle
Leggi il carattere provvisorio e i ristretti tempi di decisione prima
della  deliberazione  delle  Camere,  atteso  che,  in ogni caso, una
decisione  d'accoglimento  o di rigetto, che intervenisse prima della
conversione o della decadenza del decreto-legge, non sarebbe priva di
rilevanti effetti giuridici.
    In  ogni  caso,  se  la  disposizione impugnata fosse riprodotta,
prima  della  pronuncia della Corte costituzionale sul decreto-legge,
nella  legge  di conversione con il medesimo testo, la Corte potrebbe
estendere   la   verifica   della   legittimita'   costituzionale   a
quest'ultima legge, che continua ad esprimere il contenuto precettivo
della norma denunciata.
    Nel   presente  giudizio  civile  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'impugnato  decreto-legge appare essere rilevante
in  quanto  dalla  decisione  della stessa dipende il contenuto della
pronuncia che questo giudicante dovra' prendere sulle richieste delle
parti e piu' in generale sull'istruzione della causa.
                    Norma impugnata e sua genesi
    Il   d.l.  n. 18/2003  e'  composto  da  due  soli  articoli.  In
particolare,   l'art. 1   testualmente   recita:  "Il  secondo  comma
dell'art.  113  del  codice  di  procedura  civile  e'  sostituto dal
seguente:  Il  giudice di pace decide secondo equita' le cause il cui
valore non eccede millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti
giuridici  relativi  a contratti conclusi secondo le modalita' di cui
all'art.  1342  del  codice  civile".  L'art. 2,  invece, si limita a
prevedere  l'entrata in vigore del provvedimento il giorno successivo
alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. La "motivazione" del
ricorso   alla   decretazione   d'urgenza   e'   data   nello  stesso
provvedimento,    ove   e'   testualmente   scritto:   "Ritenuta   la
straordinaria  necessita'  ed  urgenza  di  modificare l'art. 113 del
codice  di procedura civile escludendo il parametro equitativo per il
giudice  di  pace nelle controversie derivanti da contratti di massa,
allo  scopo di evitare che il soggettivo apprezzamento, sulla base di
tale parametro da parte dei singoli giudici di pace, possa comportare
pronunce difformi riferite a identiche tipologie contrattuali".
    Come  e'  immediatamente  rilevabile, tale provvedimento modifica
l'art. 113, comma 2 c.p.c. nel senso di sottrarre al giudizio secondo
equita'  del  giudice di pace, tutte le controversie relative ai c.d.
contratti  di  massa  (quelli cioe' che, a mente dell'art. 1342 c.c.,
sono  redatti  su  moduli  standard e si rivolgono alla totalita' dei
contraenti).  Il giudizio secondo equita', invece, permane per quelle
controversie che, ratione valoris, siano inferiori ad euro millecento
(la  precedente  formulazione  indicava  la  soglia  massima  di Lit.
2.000.000).
    Il  provvedimento trae la propria giustificazione "storica" nella
sentenza  della Corte di cassazione -- Sezione I civ. n. 17475 del 27
giugno  --  9  dicembre  2002 che, tra le altre cose, ha affermato il
principio   della  capacita'  e  legittimazione  del  consumatore  ad
avvalersi  direttamente dello strumento risarcitorio nei confronti di
quei  soggetti (Imprese) di cui sia stata accertata la violazione dei
divieti  posti  dalla speciale normativa a tutela della concorrenza e
del   mercato.   Sempre   la  S.C.  ha  poi  affermato  che  l'azione
risarcitoria  promossa  dal  consumatore/utente  nei  confronti della
impresa/professionista  riveste  i caratteri dell'ordinaria azione di
responsabilita' soggetta ai criteri ordinari di competenza.
    Pertanto,  l'esclusione  operata  dalla S. C. dell'applicabilita'
dell'art. 33,  comma 2 della legge n. 287/1990 ai giudizi risarcitori
promossi   dai  consumatori/utenti,  confermava  la  sempre  ritenuta
competenza  da  determinarsi  secondo gli ordinari criteri che, per i
rimborsi R.C. auto, ricade per valore nella giurisdizione del giudice
di pace.
    La novella introdotta dal d.l. n. 18/2003 sicuramente si attaglia
al  nascente  contenzioso teso al rimborso della somma percentuale di
aumento  del  premio  R.C.  auto  applicato  da numerose compagnie di
assicurazione  in  conseguenza di accordo di cartello, come accertato
dall'Autorita'   garante   per  la  concorrenza  ed  il  mercato  con
provvedimento  n. 8546  del 28 luglio 2000 e confermata dal Tribunale
amministrativo  regionale  Lazio  con  sentenza  n. 6139/2001  e  dal
Consiglio di Stato con pronuncia n. 129/2002.
    Piu'  in  generale  la  nuova formulazione dell'art. 113, comma 2
c.p.c.  interviene  su  tutti  i  contratti  c.d.  di massa (bancari,
telefonici,  di  somministrazione  di  luce  gas acqua, ecc.) perche'
tutti  rispondenti  ai  richiamati requisiti dell'art. 1342 cod. civ.
Peraltro,  per come appreso da riviste specializzate, la tendenza del
legislatore di urgenza e' quella di escludere, in sede di conversione
in  legge,  tutti i contratti di massa diversi da quelli R.C.A. donde
l'applicabilita' della nuova formulazione dell'art. 113 c.p.c. solo a
quest'ultima categoria di negozi giuridici.
    Se  cio'  si  attuasse  non  potrebbe non ravvisarsi un ulteriore
elemento di ingiustificata differenziazione.
    Come   effetti  pratici,  la  riscrittura  dell'art. 113  c.p.c.,
sottraendo  il  contezioso  afferente  i contratti di massa al vaglio
secondo  equita', introduce per questa tipologia contenziosa il grado
d'appello, in precedenza escluso. Chiaro che, una siffatta previsione
-  torna  a  dirsi limitata ai soli contratti di massa -, comporta il
dilatare  dei  tempi  della  giustizia,  il  lievitare  dei costi con
l'introduzione  di altro grado del giudizio, la negazione (o comunque
l'estrema  difficolta)  all'esercizio  del diritto di difesa anche in
riferimento all'art. 82, comma 1 c.p.c.
    Cio' premesso, al vaglio della Corte costituzionale vanno rimessi
i seguenti profili di costituzionalita' del decreto-legge in parola.
    1)  Violazione  del diritto di difesa ai sensi dell'art. 24 della
Costituzione  e  del  diritto  al  giudice  naturale ex art. 25 della
Costituzione.
    Questo  giudice  ritiene  che  il  decreto legge de quo, di fatto
precluda  --  ed  in  ogni  caso  renda sommamente difficoltosa -, la
tutela  giurisdizionale sulla base del diritto vigente al tempo della
domanda.  Il provvedimento infatti, per il principio del tempus regit
actum  si  applica  ai  giudizi  pendenti  alla data della entrata in
vigore  e  per  i  quali  non  sia  ancora intervenuto deposito della
sentenza.  E' dunque evidente che l'innovazione legislativa influisce
con forza pressoche' paralizzante sul giudizio in corso, quale quello
che  ci  occupa,  instaurati  in vigenza della "vecchia" formulazione
dell'art.  113, comma 2 c.p.c. ed al fine di ottenere una valutazione
secondo  equita'.  Deve  rilevarsi  che,  non  a  caso,  il "vecchio"
art. 113  comma 2 c.p.c. aveva individuato un comune denominatore per
il  giudizio  secondo  equita',  dato  dal valore della controversia.
Orbene,  sottrarre  i  contratti  di  massa al vaglio secondo equita'
(criterio  che  invece permane per le controversie di medesimo valore
economico  ma  rivenienti  da  contratti  diversi  da  quelli  di cui
all'art. 1342  cod.  civ.) significa, nei fatti, precludere l'accesso
alla  giustizia  sostanziale  per  quelle controversie che, demandate
all'esame  del  giudice di pace, solo astrattamente possono ritenersi
di  scarso  valore.  Nessun pregio puo' attribuirsi alla tesi secondo
cui  decidere  secondo diritto (e non secondo equita) le controversie
relative   i   contratti  di  massa,  non  appare  ne'  illogico  ne'
arbitrario.
    E' appena il caso di ricordare che, un freno a possibili colorite
pronunce  secondo  equita', e' previsto dal gravame in Cassazione per
la  censura  di  eventuali  violazioni  di  legge  e/o  errori e vizi
attinenti ala decisione. Desta sospetti di costituzionalita' la ratio
della  norma  che  pertanto  viene rimessa al Giudice delle Leggi per
l'esame,  non  comprendendosi  perche' i contratti c.d. di massa, pur
rientranti  nei  limiti  di  valore  della  decisione equitativa, non
possono  essere  decisi con lo stesso criterio valutativo degli altri
contratti  dello  stesso  valore.  Il  semplice  ragionamento porta a
ritenere  che  unica differenza sia costituita dal dissimile elemento
soggettivo  delle  controversie  di massa rispetto agli altri giudizi
non  potendo  essere  credibile ne' accettabile che l'uniformita' dei
giudizi,  verrebbe  ad attuarsi solo con l'appellabilita' e non anche
con il giudizio finale della Cassazione ai cui principi, peraltro, il
giudice di merito e' tenuto ad uniformare la propria decisione.
    Considerato in tale ottica, il d.l. n. 18/2003, sembrerebbe voler
emarginare  -  rendendola  antieconomica, farraginosa e dispendiosa -
non  la  tutela  giurisdizionale di tutti i diritti "c.d. minori" che
pur sarebbe ammissibile sotto il profilo della parita' di trattamento
anche  se  sicuramente  meno  sotto  il punto di vista della civilta'
giuridica,  ma  i  diritti  rivenienti  dai contratti di massa (ed in
particolare,  a  causa del rivisitazione del d.l. in fieri in sede di
conversione,  solo  quelli  relativi  agli  esborsi R.C.A.) mirando a
scoraggiare   solo   ed   esclusivamente   questo   tipo   di  azione
avvantaggiando,   una   parte   contraente.   Questa   si  sentirebbe
autorizzata  a  porre  in  essere violazioni, che pur se acclarate da
decisioni  e  censure da parte degli organi di garanzia, rimarrebbero
petizioni  di  principio,  privi  di effetti concreti risarcitori e/o
ripristinatori  e comunque privi di facile accesso giurisdizionale da
parte di chi subisce effettivamente il danno.
    Le  conseguenze  del d.l. in parola, con l'introduzione del grado
di  appello  in tribunale, comporterebbe la limitazione all'esercizio
del  diritto  di  difesa,  l'obbligo  di assistenza di un avvocato in
appello  anche  se  la  parte  si  e' difesa personalmente dinanzi al
giudice  di pace ex art. 82, comma 1 c.p.c., il lievitare dei costi e
dei    tempi    del   contenzioso,   effetti   di   dissuasione   per
anti-economicita'  della  tutela  giudiziaria  dei diritti lesi dalla
adesione ai contratti di massa.
    Inoltre,  l'immediata  applicazione  del  d.l.  appare violare in
principio  del  giudice naturale ex art. 25 poiche', a contenzioso in
corso  e  con  il  mutamento  delle  regole  processuali,  verrebbero
stravolti i criteri prestabiliti per tipo di controversia, per valore
ecc.  -  in  base ai quali il cittadino deve conoscere in anticipo il
giudice che giudichera'.
    2)  Violazione  del  principio  di  uguaglianza  ex  art. 3 della
Costituzione.
    Da  quanto  innanzi sembra discendere la violazione del principio
di  uguaglianza, posto che il d.l. in esame riserva un ingiustificato
trattamento  di  favore  nei  confronti  dei c.d. "contraenti forti",
cioe'  a dire di coloro che redigono ed "impongono" alla clientela la
sottoscrizione  di contratti standard ex art. 1342 cod. civ., poiche'
il  vaglio  della esecuzione dei detti contratti viene sottratto alla
valutazione  ed al "rito" secondo equita', a differenza dei contratti
predisposti   da   altri   "professionisti",   ma  non  riconducibili
all'art. 1342 cod. civ., cui continua ad applicarsi il giudizio ed il
"rito"  secondo equita'. Da diversa prospettiva il consumatore - alla
cui  tutela  quale  "contraente  debole"  il  legislatore ha dedicato
copiosa  produzione normativa - viene paradossalmente penalizzato nel
far valere i propri diritti discendenti dalla stipula di un contratto
di massa.
    3)  Violazione  del  principio  di ragionevolezza ex art. 3 della
Costituzione.
    La  Corte  costituzionale  ha  da  tempo  riconosciuto la propria
competenza  a sindacare la "ragionevolezza" di disposizioni normative
che  ledono  il  principio di uguaglianza "... anche quando la legge,
senza  un  ragionevole  motivo,  faccia  un  trattamento  diverso  ai
cittadini  che  si  trovano  in situazione eguale" (Cost. n. 15/1960,
Cost.  n. 104/1968;  Cost. n. 144/1970, Cost. n. 200/1972), posto che
un trattamento differenziato puo' trovane legittima applicazione solo
ove  vi  sia  l'indefettibile presenza di "ragionevoli motivi" (Cost.
n. 61/1964),  di "presupposti logici obiettivi" (Cost. n. 7/1963), di
"limite della ragionevolezza" (Cost. n. 2/1966).
    La  "ragionevolezza" del d.l. n. 18/2003 - potrebbe allocarsi nel
preambolo  provvedimentale  "Ritenuta  la straordinaria necessita' ed
urgenza  di  modificare  l'art.  113  del  codice di procedura civile
escludendo  il  parametro  equitativo  per  il  giudice di pace nelle
controversie  derivanti  da contratti di massa, allo scopo di evitare
che  il  soggettivo  apprezzamento,  sulla  base di tale parametro da
parte dei singoli giudici di pace, possa comportare pronunce difformi
riferite a identiche tipologie contrattuali".
    In definitiva, a quanto e' dato comprendere dalla motivazione, la
straondinarieta' e l'urgenza della decretazione sarebbe dettata dallo
scopo di evitare (per il futuro, quindi) difformita' di pronunce rese
dai giudici di pace in via equitativa. L'irragionevolezza della norma
e'  immediatamente rilevabile sol che si consideri che, a distanza di
molti  anni  dalla  istituzione  degli Uffici del giudice di pace, il
Legislatore  ravvisi  la  presenza di motivi cosi' straordinariamente
urgenti da escludere dalla valutazione secondo equita' i contratti di
massa.
    In  secondo  luogo,  il  rimedio  normativo  non coglie nel segno
laddove  si  propone  l'ambizioso obiettivo di conseguire, attraverso
l'inibizione del giudizio secondo equita' in favore di quello secondo
diritto,   una   uniformita'  di  giudizi  in  ordine  alle  medesime
fattispecie  di  contratti  massa.  Non appare logico ritenere che le
pronunce   secondo   diritto  applicate  ai  contratti  di  massa,  a
differenza   di   quelle  secondo  equita',  possono  raggiungere  il
risultato dell'uniformita'.
    Orbene,  quanto non e' dato prima facie comprendere, e' il motivo
per il quale, l'"apprezzamento" del giudice di Pace debba - o possa -
essere  di  spessore  giuridico  diverso  a  seconda  che si giudichi
secondo diritto o secondo equita'.
    Il Legislatore d'urgenza, nella stesura del d.l. n. 18/2003, pare
dimenticare  che  il  principio del libero convincimento del giudice,
del  prudente e soggettivo apprezzamento delle risultanze processuali
(prove,   argomenti   di   prova,  comportamento  delle  parti  ecc.)
costituisce  uno  dei  cardini  del  processo  civile. Pronunciamento
secondo  equita'  non  significa  ne'  puo'  significare, valutazione
completamente  disarticolata  dalla  realta'  processuale e normativa
(come  parrebbe  essere  argomentando a contrario secondo le testuali
parole utilizzate nel preambolo del d.l.
    Il libero convincimento, il prudente apprezzamento, - sia in sede
di  valutazione  secondo  diritto  che  secondo  equita'  - e' invece
l'espressione massima della liberta' del giudice - soggetto solo alla
legge  -  di  individuare le fonti del proprio convincimento (cfr. in
proposito  Cass.  n. 97/2700,  Cass.  n. 98/10896,  Cass. n. 96/2008,
Cass.   n. 95/6956,   Cass.   n. 94/10121,  Cass.  n. 94/6868,  Cass.
n. 87/10896,  Cass.  n. 86/2590 e molte altre ancora). L'incongruita'
dell'espediente  giuridico  individuato  nel  d.l.,  balza in massima
evidenza  ove  solo  si  consideri  che il convincimento espresso dal
giudice di merito nella valutazione ad es. delle prove secondo il suo
soggettivo  e  prudente  apprezzamento,  e'  insindacabile in sede di
Cassazione  (tra  le  molte,  vedasi piu' recentemente Cass. 95/1843,
97/12960).
    4)  Violazione  delle  funzioni  costituzionalmente  riservate al
potere giudiziario ex art. 101, 102, 104 della Costituzione.
    La  Corte  costituzionale ha ripetutamente affermato il principio
secondo  cui il legislatore vulnera le funzioni girisdizionali quando
la  legge  sia  intenzionalmente  diretta  ad  incidere  su  concrete
fattispecie  sub  judice  (cfr.  Corte  costituzionale  nn. 397/1994,
6/1994,  429/1993, 424/1993, 283/1993, 39/1993, 440/1992, 429/1991 ed
altre).  Si  tratta  allora  di stabilire se la statuizione contenuta
nell'art. 1,  comma  1 d.l. n. 18/2003 insegni un precetto normativo,
come  tale  caratterizzato  da generalita' ed astrattezza, ovvero sia
diretto  ad  incidere  su concrete fattispecie sub judice e come piu'
volte ribadito, a vantaggio di una delle due parti contraenti.
    5) Violazione del principi di straordinaria necessita' ed urgenza
per  l'emanazione di decreti che abbiano valore di legge ordinaria ex
art. 77 Cost. e violazione dell'art. 41 Cost.
    Per  quanto  fin qui dedotto, si sottopone all'esame della Corte,
se  nel  caso  di  specie  possa ravvisarsi la sussistenza dei motivi
previsti  dalla  Carta  relativi  alla  straordinaria  necessita'  ed
urgenza.
    Come  e'  noto,  le  compagnie  di assicurazione, hanno l'obbligo
normativo  di  contrarre  in  materia  di R.C. auto, attenendosi alle
regole  del  libero  mercato  cosi'  come,  dall'altro  versante,  il
contraente/consumatore/utente -, e' obbligato a stipulare una polizza
R.C.  auto.  Il  rapporto contrattuale deve nascere e svilupparsi nel
rispetto  delle  regole  del  mercato,  quelle medesime regole la cui
violazione  da  parte  delle imprese assicuratrici e' stata accertata
con  la  costituzione di un accordo di cartello mirante ad uniformare
verso  l'alto  i  prezzi delle polizze. Sotto questo profilo, il d.l.
censurato  apparrebbe  in contrasto con l'art. 41 della Costituzione,
in base al quale la libera iniziativa economica privata (quale quella
delle   compagnie  di  assicurazione)  "...  Non  puo'  svolgersi  in
contrasto  con  l'utilita'  sociale  o in modo da arrecare danno alla
sicurezza,  alla  liberta',  alla  dignita' umana". Il d.l., di fatto
sembrerebbe  introdurre,  a  fronte  di  una sanzionata violazione da
parte  delle  Compagnie  delle  "regole  del  mercato", un'imprevista
compressione del diritto soggettivo al rispetto delle regole.