ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 500, comma 4,
del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 26 gennaio
2004  dal  Tribunale  di  Milano  nel procedimento penale a carico di
D.P.V.,  iscritta  al n. 515 del registro ordinanze 2004 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 23, 1ª serie speciale,
dell'anno 2004.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 26 gennaio 2005 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che  con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di Milano
ha  sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111, quinto comma, della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 500,
comma 4,  del  codice  di  procedura  penale,  nella parte in cui non
prevede che possano essere acquisite al fascicolo per il dibattimento
le   dichiarazioni  rese  dal  testimone  nel  corso  delle  indagini
preliminari,  contenute  nel fascicolo del pubblico ministero, quando
il  testimone medesimo, esaminato in dibattimento, abbia reso per sua
scelta dichiarazioni palesemente false o reticenti;
        che il giudice a quo premette che, nel corso del dibattimento
di  un processo penale nei confronti di persona imputata dei reati di
minaccia  aggravata  e  di  minaccia  per costringere a commettere un
reato, la persona offesa - sentita due volte, dapprima come testimone
e   poi   come  «testimone  assistito»  -  aveva  reso  dichiarazioni
palesemente  false  e  reticenti,  non  solo  negando  di aver subito
minacce, ma addirittura di conoscere l'autore delle stesse;
        che  il  pubblico ministero aveva quindi richiesto la lettura
dei  verbali  delle  plurime dichiarazioni rese dal medesimo soggetto
nel  corso  delle  indagini  preliminari,  nelle quali era stata data
ampia descrizione delle minacce ricevute e delle relative modalita';
        che  la lettura di tali dichiarazioni - pure di tutto rilievo
ai fini della ricostruzione dei fatti oggetto di giudizio - risultava
pero' impedita dall'art. 500, comma 4, cod. proc. pen.: quest'ultimo,
infatti,  consente l'acquisizione al fascicolo del dibattimento delle
dichiarazioni  precedentemente  rese  dal  testimone,  solo quando vi
siano  concreti  elementi (nella specie mancanti) per ritenere che il
testimone  stesso sia stato subornato, ovvero sottoposto a violenza o
minaccia  affinche'  non  deponga o deponga il falso; e non anche nel
caso in cui egli abbia reso in dibattimento dichiarazioni palesemente
false o reticenti per sua scelta;
        che,   ad   avviso   del   rimettente,   la  norma  impugnata
contrasterebbe,  in  parte  qua, con gli artt. 3 e 111, quinto comma,
Cost;
        che  alla  luce del nuovo testo dell'art. 111 Cost., difatti,
il principio del contraddittorio nella formazione della prova sarebbe
assurto  nel  novero dei principi fondanti il processo penale, ma non
in una accezione «massimalistica e totalizzante», come attesterebbero
le  eccezioni  al  principio  stesso enunciate dal quinto comma dello
stesso art. 111 Cost., tra le quali assume particolare rilievo quella
relativa  all'ipotesi  in cui il contraddittorio non possa aver luogo
per effetto di provata condotta illecita;
        che,  a fronte di tale previsione, l'ordinamento non potrebbe
in  nessun caso consentire alla persona che rende la testimonianza di
interdire   la   formazione  della  prova  in  contraddittorio  o  di
determinarne   l'inquinamento:  il  rischio  della  sanzione  penale,
«spesso  assai blanda», per la falsa testimonianza non costituirebbe,
difatti,  un  adeguato  deterrente,  potendosi comunque conseguire lo
scopo illecito;
        che,  d'altro  canto,  la tutela del contraddittorio in senso
soggettivo   -  inteso  come  diritto  individuale  dell'imputato  al
confronto  con  l'accusatore, a garanzia del quale e' prevista, nello
stesso  art. 111  Cost.,  l'impossibilita'  di fondare il giudizio di
colpevolezza  sulle «dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si
e'  sempre  volontariamente  sottratto  all'interrogatorio  da  parte
dell'imputato  o  del  suo  difensore»  -  si porrebbe in rapporto di
complementarita'  rispetto  alla  nozione di contraddittorio in senso
oggettivo,   costituendone   una   specificazione:   nel  senso  che,
allorquando viene rispettato il diritto soggettivo al contraddittorio
-   perche'   il   dichiarante   non  si  sottrae  all'interrogatorio
dell'imputato  - l'effetto negativo di inutilizzabilita', conseguente
all'interdizione del contraddittorio stesso, non dovrebbe prodursi;
        che,   nel   caso   specifico  della  testimonianza  falsa  o
reticente,  mentre  non  potrebbe  affermarsi che il testimone si sia
sottratto  all'interrogatorio  dell'imputato  o  del  suo  difensore,
sarebbe altresi' indubbio che la scelta del teste di non adempiere al
dovere  di  deporre  -  rispondendo  secondo  verita'  - concreti una
condotta illecita;
        che,  proprio  perche'  illecita,  tale  scelta  non potrebbe
provocare   l'inutilizzabilita'   delle   dichiarazioni  a  contenuto
accusatorio   dello   stesso   soggetto,  acquisite  senza  l'apporto
dialettico  dell'imputato,  giacche'  la deroga alla formazione della
prova  in  contraddittorio  prevista  dal  quinto comma dell'art. 111
Cost.  riguarderebbe,  logicamente,  non solo e non tanto le condotte
illecite  poste  in  essere  da terzi sul dichiarante - rispetto alle
quali  l'espressa  previsione  della norma costituzionale non sarebbe
stata  neppure  necessaria  -  ma  anche  e  soprattutto  le condotte
illecite realizzate dal dichiarante stesso;
        che  sarebbe  pertanto  irragionevole - e dunque contrastante
con l'art. 3 Cost. - un sistema che predispone le «tutele dovute» per
il  caso  in cui l'assunzione dialettica della prova sia interdetta o
inquinata  dal  fatto  illecito  del  terzo ed omette, per contro, di
adottarle  nel  caso  in  cui  l'interdizione  o l'inquinamento siano
frutto  di  libera  scelta  del  testimone: non essendovi, tra le due
ipotesi, alcuna apprezzabile differenza sotto il profilo considerato;
        che,   diversamente   opinando,   verrebbero  paradossalmente
legittimati  sul  piano  processuale gli effetti di un atto illecito,
provocando  «la distruzione dell'essenza stessa della categoria della
testimonianza»,  dato  che  la  prova diverrebbe disponibile anche da
parte del soggetto gravato dal dovere di verita';
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata infondata.
    Considerato  che  questa Corte, esaminando analoghe questioni, ha
gia' avuto occasione di escludere che l'art. 500, comma 4, cod. proc.
pen.  si  ponga  in  contrasto con i parametri costituzionali evocati
dall'odierno  giudice  rimettente,  nella  parte  in  cui consente di
utilizzare  in  modo  pieno le dichiarazioni precedentemente rese dal
testimone  soltanto  nei  casi  di subornazione, ovvero di violenza o
minaccia  esercitate  sul testimone stesso, e non anche quando la sua
deposizione appaia integrativa del reato di falsa testimonianza (cfr.
ordinanze n. 453 e n. 518 del 2002);
        che,  al  riguardo,  questa  Corte ha infatti chiarito come -
contrariamente  a  quanto  sostenuto  dal giudice a quo - l'art. 111,
quinto  comma,  Cost.,  nel prefigurare una deroga al principio della
formazione  della  prova  in  contraddittorio «per effetto di provata
condotta  illecita»,  abbia  inteso  riferirsi  alle  sole  «condotte
illecite»  poste  in  essere «sul» dichiarante (quali la violenza, la
minaccia  o  la  subornazione), e non anche a quelle realizzate «dal»
dichiarante stesso in occasione dell'esame in contraddittorio (quale,
principalmente,  la  falsa testimonianza): e cio' alla luce sia della
ratio   del   precetto   costituzionale,   che   del  suo  necessario
coordinamento  con la previsione del secondo periodo del quarto comma
del medesimo art. 111, che immediatamente lo precede;
        che  questa Corte ha rilevato, altresi', come l'eterogeneita'
delle situazioni poste a confronto - intimidazione o subornazione che
coarta  od  orienta  ab  externo  l'atteggiamento  dibattimentale del
testimone,   da   un   lato;  libera  scelta  del  teste  di  rendere
dichiarazioni non veritiere o di tacere in dibattimento, dall'altro -
renda  palese  l'insussistenza  della  dedotta violazione dell'art. 3
Cost;
        che il giudice a quo non prospetta, nella sostanza, argomenti
ulteriori e diversi rispetto a quelli gia' esaminati nelle precedenti
decisioni, peraltro affatto ignorate dall'ordinanza di rimessione;
        che    la   questione   deve   essere   dichiarata   pertanto
manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  comma 2,  delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.