IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza nel procedimento in Camera
di consiglio promosso da Quargnali Fiammetta (rappresentata dall'avv.
Bruno Garlatti) nei confronti di Mulatti Lorenza (avv. Maria Poniz) e
I.N.P.D.A.P.
          Svolgimento del processo e motivi della decisione
    Quargnali  Fiammetta  (divorziata da Carlo Varagnolo dopo 31 anni
di  matrimonio)  si  e'  rivolta  a  questo  Tribunale richiedendo la
ripartizione  della  pensione  di reversibilita', spettante a seguito
della  morte  del  Varagnolo  (passato  a  nuove  nozze  con  Lorenza
Mulatti).
    E'  stata eccepita l'inammissibilita' del ricorso per carenza del
presupposto  previsto dall'art. 9 della legge 1° dicembre 1970 n. 898
(come innovato dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987 n. 74): affinche'
infatti  una  divorziata  abbia  diritto  a percepire una quota della
pensione, e' necessario, a norma del citato articolo della legge, che
«sia titolare di assegno ai sensi dell'art. 5» della stessa legge.
    Nel  caso  sottoposto  all'esame  di  questo  tribunale, e' stata
pronunciata  «sentenza  non definitiva» (art. 4, comma 9 della legge)
dovendo  il processo «continuare per la determinazione dell'assegno»,
commisurato,  in  via  provvisoria, a favore della Quargnali, in Euro
1.300,00 mensili.
    La  «sentenza non definitiva» di divorzio e' stata introdotta con
la  legge  n. 74  del 1987 con l'obiettivo anche di scoraggiare forme
mascherate  ricattatorie  poste  in  essere dalla parte avvantaggiata
dalla sua posizione di diritto.
    Per    interpretazione   giurisprudenziale   «la   determinazione
dell'assegno» cui si e' fatto riferimento attiene non solo al quantum
ma anche all'an debeatur (cfr. Cass. civ. sent. n. 4873 del 26 aprile
1993). Tale interpretazione determina - nei casi come quello in esame
in   cui  il  coniuge  e'  titolare  di  un  assegno  provvisorio  di
mantenimento  -  una situazione di privazione di un apporto economico
(tendenzialmente  essenziale  per  la  sopravvivenza),  per  un tempo
indeterminato;  in  attesa cioe' della definizione del procedimento -
interrotto  a  seguito dell'intervenuto decesso e che, pertanto, deve
essere riassunto nei confronti degli eredi.
    Il  quadro normativo delineato, se da una parte appare oltre modo
generoso  nei  confronti  di  una  parte  (per  lo piu' frettolosa di
passare a nuove nozze), puo' presentare aspetti crudeli nei confronti
dell'altra parte.
    L'Alta  Corte ha gia' avuto occasione di esaminare l'art. 9 della
legge n. 898/1970 sotto altri profili (cfr. sentenza n. 777 del 1988,
sentenza  n. 87 del 1995 e ordinanza n. 491 del 2000) ma non ha avuto
ancora   modo   di   esprimere  la  sua  valutazione  sul  punto  ora
prospettato,   anche  se  -  gia'  nella  sentenza  n. 777  del  1988
(richiamando  le  sentenze  n. 7  del 1980 e n. 286 del 1989 - non ha
mancato  di sottolineare che «carattere essenziale del trattamento di
reversibilita'  e'  quello  di realizzare una garanzia di continuita'
del sostentamento al superstite».
    La  Cassazione  civile,  a sua volta (sent. n. 11838 del 5 agosto
2003),   ha   ritenuto  che  la  prosecuzione  del  processo  per  la
determinazione dell'assegno non sia in contrasto con la Costituzione,
«non  dando  luogo  ad  una  arbitraria  discriminazione  rispetto ai
soggetti  che  vedono  definiti  in unico contesto tutti i rapporti»;
tale  motivazione,  tuttavia,  non  tiene  conto dei delicati aspetti
della vicenda sopra indicati.
    Invero non appare congruo limitare il diritto di una divorziata a
percepire  una  quota della pensione di reversibilita', a seguito del
decesso  del  suo  ex  marito  al  solo  caso in cui «sia titolare di
assegno ai sensi dell'art. 5»; assegno cioe' disposto con la sentenza
definitiva   di   divorzio.   Occorre,   invero,  tener  conto  anche
dell'analoga  situazione  in cui - attribuito ad un coniuge, a titolo
provvisorio,  un  assegno  di  mantenimento  -  sia stata pronunciata
«sentenza  non  definitiva»  di divorzio (art. 4), ed il procedimento
debba  continuare.  In  tale ipotesi, invero, deve essere scongiurata
l'aberrante situazione sopra descritta, che potrebbe comportare - per
un  tempo anche lunghissimo, in attesa della sentenza definitiva - la
privazione   dell'assegno  di  mantenimento,  con  conseguenze  anche
devastanti.
    Appare,  dunque  fondata  (oltre che, all'evidenza, rilevante) la
questione  di  legittimita'  costituzionale  delle  norme  in  esame,
potendo  comportare,  come  nel caso in esame, conseguenze disumane e
quindi  irrazionali (art. 3 della Costituzione), contrarie ai diritti
fondamentali dell'uomo (art. 2) e della famiglia (art. 29).