IL TRIBUNALE Letti gli atti del proc. pen. nn. 82/04 e 2350/04 a c/ di Migliorisi Salvatore e Cappuzzello Carmelo imputati per il delitto p. e p. dagli artt. 110 e 323 c.p. perche', in concorso tra loro e nella qualita' rispettivamente di ispettore e di agente della Polizia municipale di Ragusa, disponendo il fermo amministrativo del ciclomotore Scarabeo Aprilia tg. 8GGL5 condotto dalla minore C. E. contravvenzionata ai sensi degli artt. 171 e l92 C.d.S. e affidandolo in custodia alla ditta Salonia anziche' alla stessa in violazione dell'art. 396, comma 3 regol. C.d.S., intenzionalmente procuravano al padre della minore e proprietario del veicolo C.L. un ingiusto danno relativamente alle spese della custodia; in Ragusa, il 9 ottobre 2003. Considerato che all'udienza prelminare odierna il p.m. ha concluso per il rinvio a giudizio, mentre la difesa ha concluso l'insussistenza del fatto, in sub.ne per il difetto del dolo; 1. - Premesso che secondo la denuncia del 2 gennaio 2004 dal Criscione (fogli 9-10) gli imputati avrebbero omesso di consegnargli in custodia il ciclomotore nonostante fosse presente sul luogo della contestazione per art. 171 C.d.S.: presenza confermata da Majolino Renato (v. s.i.t. 27 febbraio 2004: foglio 17), Munafo' Giuseppe (v. s.i.t. 25 giugno 2004: foglio 37) e dagli stessi imputati (v. memoria difensiva 1° aprile 2004: foglio 24); gli imputati, nel respingere l'addebito, hanno giustificato la custodia in capo al terzo per la probabile violazione da parte della minore - dell'art. 214 comma 8 C.d.S. (v. memoria 1° aprile 2004 citata, nonche' i rispettivi interrogatori: fogli 29-32); Premesso ancora che all'udienza odierna il p.m. ha modificato l'imputazione indicando il precetto extrapenale violato nell'art. 396 comma 3 regol. Cd.S. (che concerne la fase del sequestro del ciclomotore e individua di regola il custode nel conducente) e non invece nell'art. 214 comma 2 C.d.S. (che disciplina la fase della restituzione del ciclomotore sequestrato al minorenne); 2. - Considerato che secondo l'attuale giurisprudenza soprattutto di legittimita' l'elemento soggettivo - nella forma del dolo intenzionale - della fattispecie dell'art. 323 c.p. ricorre se la condotta abusiva sia diretta in via immediata e esclusiva a procurare a se' o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero ad arrecare ad altri un ingiusto danno, e purche' non risulti il contestuale perseguimento - accanto al fine illecito privato - di un concorrente e legittimo interesse pubblicistico: in tal caso la condotta e' penalmente irrilevante (Cass. 5 agosto 2003 n. 33068, Cangini, in Cass. pen. 2004, 127; Cass. 18 novembre 2002 n. 42839, Casuscelli in Cass. pen. 2003, 740; Cass. 11 marzo 2003 n. 11413, Allegra Cass. 11 novembre 2002 n. 38498, Lenoci in Riv. pen. 2003, 1003; Cass. 2 febbraio 2001 n. 21947, Bertolini; Cass. 7 luglio 2000 n. 10448, Bellino Cass. 1 giugno 2000 n. 8745, Spitella, in Cass., pen 2001, 1283; per la giurisprudenza di merito, v. GUP Trib. Perugia 18 aprile 2003, Fantucci in Rass. giur. umbra, 2003, n. 1, p. 186; GUP Trib. Perugia 29 marzo 2003, Primi, ib, p. 157; C. App. Perugia 12 gennaio 2000, Spitella, ib., 2000, n. 1, p. 166). Questa esegesi sulla coincidenza fra intenzionalita' e esclusivita' della finalita' tipica costituisce diritto vivente non tanto per il numero - limitato - delle pronunce (in termini espliciti: Cass. 33068/03 cit., Cass. 42839/02 cit., Cass. 38498/02 cit.), quanto per il suo svolgimento logico-temporale cosi' riassumibile: a) con riguardo alla fattispecie riformata dalla legge n. 86/1990, la Suprema Corte, con sentenza 16 febbraio 1996 n. 5507, Scopinaro in Riv. pen. 1996, 1100, annulla (con rinvio) C. App. Cagliari 29, secondo cui «... l'abuso commesso dal pubblico ufficiale non sara' mai punibile con la sanzione penale tutte le volte che, mediante l'esercizio illegittimo del potere si persegua il pubblico interesse, ancorche' a questo venga associato dall'agente, quale finalita' della sua condotta, il soddisfacimento di un interesse privato...». Il giudice di legittimita', rimarcata la struttura dell'elemento soggettivo (dolo specifico) del delitto, statuisce invece che il fine dell'ingiusto vantaggio e' compatibile con il conseguimento di un interesse pubblico, che gli si sovrapponga o gli si affianchi; b) con riguardo alla fattispecie riformata dalla legge n. 234/1997, dapprima la Suprema Corte argomenta dall'avverbio «intenzionalmente» l'incompatibilita' - oltre al dolo eventuale - del dolo diretto (Sez. VI 12 ottobre 1997 n. 9357, Angelo; Sez. VI 29 gennaio 1998 n. 1197, Urso; Sez. VI 23 febbraio 1998 n. 2328, Branciforte; Sez. VI 4 giugno 1998 n. 6563, Scaccianoce; Sez. V 16 novembre 1998 n. 11847, Panariello; Sez. V 11 giugno 1999 n.7581, Graci; Sez. VI 19 novembre 1999 n. 13331, Selvini; Sez. VI n. 8745/2000 cit.; Sez. VI 20 settembre 2002 n. 34264, Cadenzo); conferma pero' che la configurazione del reato non richiede il perseguimento in via esclusiva del fine privato (ingiusto danno, ingiusto vantaggio patrimoniale) (Sez. VI 2 aprile 1998 n. 7487, Sanguedolce); c) nel prosieguo, dall'assunto - ineccepibile - che l'evento del delitto deve essere conseguenza immediata e diretta del comportamento dell'agente e quindi da lui voluto quale obiettivo del suo operato (Cass. 11413/03 cit.), viene argomentata l'unicita' dello stesso e quindi l'irrilevanza dell'abuso per effetto dell'intento di realizzare un interesse pubblico (v. pronunce citate in apertura). Pertanto quest'ultimo approdo non solo non e' estemporaneo, ma si inquadra in una linea ermeneutica di non breve durata temporale e soprattutto di prudenti e progressivi passaggi, per cui - quale che sia l'opzione giuridico-filosofica per la definizione del sintagma «diritto vivente» - e' difficile negare che la conclusione sub c), in quanto enucleata in nomofilachia, costituisce regula iuris costante (sul rapporto fra «diritto vivente» e pronunce della Corte Suprema si richiamano - senza pretesa di completezza - Corte cost. sentt. 22 ottobre 1996 n. 355, 29 dicembre 1982 n. 244, 21 luglio 1983 n. 230, 20 marzo 1985 n. 73, fermo che il controllo di costituzionalita' non puo' concretarsi nella revisione delle interpretazioni della Corte di cassazione: sent. 456/1989, ord. 44/1994, ord. 410/1994, sent. 188/1995). L'eventuale obiezione che questo orientamento non emerge dallo scrutinio della giurisprudenza di merito edita, non sarebbe decisiva per la scarsa diffusione delle relative sentenze, mentre e' verosimile ammettere - sia pur in mancanza di dati statistici - l'incidenza di questa interpretazione nell'ambito delle archiviazioni (stante il combinato degli artt. 408 c.p.p. e 125 disp. att. c.p.p.). Considerato che questa interpretazione di diritto vivente non persuade per i seguenti motivi: a) sul piano sistematico: viene enfatizzato il dato letterale (l'avverbio «intenzionalmente»), la cui equivocita' e' risolta di netto nel senso evidenziato, senza tener conto delle molteplici fattispecie in cui l'unicita' dello scopo e' espressa con formula ben altrimenti limpida: «...al solo scopo di...» di cui agli artt. 314, comma 2, 334, comma 1, 424, comma 1, 427, comma 1, 429, comma 1, 431, comma 1, 578, comma 2, 626, comma 1, n. 1); «...col solo scopo di...» di cui agli artt. 502, comma 1, 508, comma 1; b) sul piano storico: dalla lettura dei lavori preparatori della legge di riforma n. 234/1997 emerge che il legislatore, coerentemente al proposito di circoscrivere il sindacato del giudice penale riguardo le condotte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, ha inserito l'avverbio «intenzionalmente» per restringere l'area della punibilita' escludendo il dolo eventuale, ma senza la consapevolezza dei futuri risultati applicativi e quindi lasciando l'interprete di fronte a un problema di non semplice soluzione. Si riportano qui di seguito i passaggi salienti sul punto, in ordine cronologico dei lavori parlamentari della XIII legislatura: Senato - Atti 508, 740, 741, 826, 910, 934, 981, 1007) II Commissione - Seduta dell'11 settembre 1996. Il sottosegretario Ayala «Formula ... alcuni rilievi in merito al testo proposto dal Comitato ristretto a cominciare dall'osservazione che l'espressione «intenzionalmente» non e' mai utilizzata tecnicamente nella legislazione penale poiche' appare - come in questo caso - assolutamente pleonastica». Senato - II Commissione - Seduta del 2 ottobre 1996. Il relatore sen. Calvi afferma, «per quanto riguarda ... l'espressione «intenzionalmente», inserita nella nuova norma elaborata ... che essa si giustifica con l'intenzione di evitare ogni interpretazione riguardante il dolo eventuale». Camera - Atti 110, 924, 1613, 1812, 1849, 5, 508, 740, 741, 826, 910, 934, 981, 1007 - II Commissione - Seduta del 28 gennaio 1997. Il relatore Siniscalchi presentando il suo testo unificato precisa che «Quanto all'elemento psicologico l'avverbio «intenzionalmente», pur necessario, lasci (a) qualche margine di ambiguita' in relazione al tipo di dolo richiesto». Camera - II Commissione - Seduta del 28 gennaio 1997. L'on. Marotta, subito dopo il precedente intervento, afferma che la previsione del testo non contempla il dolo specifico per il quale e' necessario che il soggetto persegua una finalita' estranea tanto alla condotta quanto all'evento» e afferma inoltre che l'espressione intenzionalmente «puo' essere solo quella di escludere la rilevanza del cosiddetto dolo eventuale». In replica, subito dopo, il relatore Siniscalchi «concorda con il deputato Marotta, ma e' convinto che sul punto potranno manifestarsi dubbi interpretativi». Camera - II Commissione - Seduta del 5 marzo 1997 - l'on. Carotti, illustrando l'emendamento 1.11, si dichiara «Quanto all'elemento soggettivo ..., contrario a mantenere l'avverbio «intenzionalmente» cui troppo frettolosamente e' stata attribuita la funzione di evitare la punibilita' a titolo di dolo eventuale. L'ipotesi di dolo eventuale nel reato di abuso di ufficio, oltre ad essere poco verosimile, sarebbe comunque una manifestazione di dolo e come tale verrebbe punita, si mantenga o meno l'avverbio «intenzionalmente». Subito dopo l'on. Marotta rileva che «... ne' il ieto del Senato, ne' l'emendamento Carotti 1.11 individuano l'elemento psicologico del reato nel dolo specifico che, ricorda, presuppone il perseguimento di una finalita' estranea tanto alla condotta quanto all' evento. Pertanto, l'avverbio «intenzionalmente» e' tutt'altro che superfluo, poiche' al contrario mira ad escludere la punibilita' a titolo di dolo eventuale o indiretto, che e' un concetto dottrinale contrapposto a quello di dolo intenzionale o diretto». Camera - II Commissione - Seduta 12 marzo 1997. L'on. Giuliano osserva che l'avverbio «intenzionalmente» per quanto criticabile dal punto di vista formale, assolve ad una funzione ben precisa che e' quella di escludere la punibilita' a titolo di dolo eventuale. Camera - II Commissione - Seduta del 12 marzo. Viene respinto l'emendamento Carotti (1.11, sulla soppressione dell'avverbio intenzionalmente). Camera - Aula - Resoconto sommario 180, del 15 aprile 1997 - L'on. Simeone «Esprime perplessita' sull'opportunita' di prevedere, per la configurabilita' del reato in esame, il requisito del dolo generico. Ritiene preferibile la previsione di un dolo specifico e di una condotta finalisticamente rivolta al conseguimento di un vantaggio o alla produzione di un danno, e cio' in funzione garantistica nei confronti del pubblico ufficiale». Camera - Aula - Resoconto sommario 221, del 1° luglio 1997 - La Camera approva il testo nell'attuale formulazione. - Senato - Atti 508, 740, 741, 826, 910, 934, 981, 1007 B - II Commissione - seduta del 10 luglio 1997. Il Senato approva il testo senza modifiche. Per quanto precede si deve affermare che l'attuale orientamento giurisprudenziale sull'incompatibilita' - in punto di dolo intenzionale - tra il fine privato richiesto dalla fattispecie e il fine pubblico perseguito dall'agente, non ha il conforto del legislatore storico, al quale e' mancata addirittura la consapevolezza dell' inammissibilita' del dolo diretto; c) sul piano teorico logico-giuridico: non e' possibile negare, in punto di dolo intenzionale, la concorrenza e quindi la compatibilita' fra due o piu' fini, implicita negli arresti di legittimita' citati, i quali ne deducono la recessivita' di quello privato per effetto di quello pubblicistico; d) sul piano della ratio: che la postulazione di un qualsiasi interesse pubblicistico possa neutralizzare la valenza penale della condotta incentrata sull'evento privatistico dell'ingiusto danno o dell'ingiusto vantaggio patrimoniale, che viene cosi' degradato a conseguenza accessoria, e' esegesi che frustra la scelta legislativa di presidiare penalmente l'art. 97 comma 1 Cost. Si trascura - secondo la limpida sintesi di una dottrina - che fulcro della Carta e' il primato della persona umana, al cui sviluppo e' finalizzata l'azione della Repubblica e per essa dell'amministrazione, la quale «... (come soggetto, come funzione, come complesso di mezzi e di beni o come persone) alla luce dell'art. 97 e dei principi fondamentali della Costituzione, deve essere organizzata in modo che possa raggiungere l'obiettivo del pieno sviluppo della persona umana e per essa gli obiettivi-mezzo della piena attuazione dell'eguaglianza, della liberta', della solidarieta' e della salvaguardia e sviluppo dell'interesse generale ... Non quindi efficienza, efficacia economicita' (espressione del buon andamento) astrattamente considerate e/o riferite all'amministrazione come realta' in se'; bensi' come valori strettamente collegati alla dimensione personale implicante necessariamente - in virtu' del vincolo di solidarieta' - quella sociale. In sintesi, l'ordito costituzionale, nell'immaginare un nuovo rapporto cittadino - p.A., supera definitivamente la dialettica contrapposizione autorita-liberta', proponendo l'endiadi efficienza-garanzia, della quale l'art. 97 Cost. costituisce il riflesso costituzionale...». In secondo luogo, si trascura che quando lo scopo lecito non puo' essere conseguito senza cagionare l'evento ingiusto, la sua emergenza quale movente serve a dimostrare anche l'intenzione di procurare l'evento stesso (illecito) ... (Cass. 17 novembre 1999 n. 14183, Pinto). Merita infine attenta riflessione il fatto che nella concreta esperienza giudiziaria il soggetto attivo dell'art. 323 c.p. ben di rado agisce per un fine esclusivamente privato e comunque estraneo alla funzione amministrativa espletata, ma al contrario la sua condotta e' di regola contrassegnata da una finalita' pubblicistica di non problematica deduzione essendo l'abuso d'ufficio un delitto appunto funzionale. 4. - Per tutto quanto precede l'orientamento ermeneutico oggi prevalso appone alla fattispecie dell'art. 323 c. p. limiti cosi' gravi che rischiano di vanificarla e quindi incide sul bene giuridico che si vuole tutelare. Esso contrasta con: a) l'art. 97, comma 1 Cost.: non e' conforme ai principi di imparzialita' e di buona amministrazione che il soggetto pubblico possa impunemente perseguire l'evento vietato (ingiusto danno, ingiusto vantaggio patrimoniale) in vista e unitamente all'interesse pubblico di cui e' titolare: interesse, quest'ultimo, che cosi sembra assurgere a «esimente tacita» e - per quanto osservato - effettualmente frequente della responsabilita' penale; E' vero che «... le esigenze costituzionali di tutela non si esauriscono ... nella (eventuale) tutela penale, ben potendo invece essere soddisfatte con diverse forme di precetti e di sanzioni ... che anzi l'incriminazione costituisce una extrema ratio ... cui il legislatore ricorre quando, nel suo discrezionale apprezzamento, lo ritenga necessario per l'assenza o l'insufficienza o la inadeguatezza di altri mezzi di tutela ...» (Corte cost. sent. n. 447/1998), ma il punto e' qui l'incongruenza interpretativa di escludere la rilevanza penale dell'abuso (violazione di legge o di regolamento + evento ingiusto) per effetto dell'interesse pubblico esponenziale e cioe' di quell'interesse a garanzia del quale l'attivita' amministrativa deve essere regolata dai principi suddetti. E' palese l'aporia di attribuire all'interesse pubblico un duplice e contraddittorio ruolo, ma soprattutto e' difficilmente contestabile il ritorno alla contrapposizione ontologica fra l'interesse dell'amministrazione e l'interesse del cittadino, che - come rilevato (1/2.3 .d) - e' smentita dalla Costituzione; ne' esiste disposizione o norma del diritto amministrativo che legittimi il soggetto pubblico alla violazione delle regole per il soddisfacimento dell'interesse istituzionale; b) l'art. 3, comma 1 Cost.: v'e' disparita' di trattamento riguardo la parte offesa da ingiusto danno, la cui posizione e' identica e quindi meritevole di tutela sia che l'agente abbia perseguito soltanto il fine privato sia che abbia mirato anche ad un fine pubblico, tra l'altro in un momento storico di profonda revisione del rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione, che ha dovuto registrare la progressiva costante riduzione dei propri privilegi (sulla plurioffensivita' della fattispecie v., ex multis Cass. 21 ottobre 2003 n. 39751 Mancini; Cass. 25 giugno 2003 n. 27422, Orlandi; Cass. 8 maggio 2003 n. 20496, Grimaldi; Cass. 22 aprile 2003 n. 19019, Bracci). Valgono anche qui le superiori osservazioni sulla centralita' e sullo sviluppo della persona umana; considerato che sulla questione de qua e' ininfluente la sentenza costituzionale 447/1998, di inammissibilita' delle eccezioni inerenti all'astratta fattispecie (o enunciato legislativo o «disposizione» nel senso di una nota autorevole dottrina) dell'art. 323 innovata dalla legge 234/1997: inammissibilita' sancita sia per le scelte discrezionali del Potere legislativo, sia per l'impossibilita' di pronuncia additiva nel senso dell' ampliamento dell'incriminazione. Qui si discute della norma elaborata (o creata, che dir si voglia) dalla giurisprudenza, della sua implausibilita' sul piano storico-sistematico, della sua non conformita' ai precetti costituzionali dedotti; considerata la rilevanza del dubbio di costituzionalita' nell'ambito del presente procedimento. Gli imputati hanno disatteso il precetto dell'art. 396, comma 3 regol. C.d.S. che, in deroga al precedente 394, prescrive di affidare al conducente la custodia del ciclomotore nel luogo da lui indicato salva l'impossibilita' della designazione: in tal caso il veicolo e' custodito dall'organo accertatore o da un terzo autorizzato: la disgiuntiva «ovvero» non puo' che essere collegata all'alternativa dell'organo e non invece - come asserito dalla difesa - al diritto alla custodia del conducente. E che questa sia l'unica deroga alla deroga, e in particolare che motivi di sicurezza non consentano di affidare il ciclomotore ad un terzo, e' conclusione che si ricava dalla seconda parte della disposizione riguardo la facolta' del conducente di raggiungere - nonostante la contestata infrazione - il luogo di ricovero del motoveicolo salvi appunto motivi di tutela pubblica. Orbene, per la valutazione dell'assunto difensivo degli imputati sull'asserito proposito della minore di violare il fermo amministrativo, e quindi di avere nominato custode il terzo all'implicito scopo di garantire il fermo, non puo' prescindersi dalla indagine sull'elemento soggettivo del delitto, alla luce - e cio' rafforza la rilevanza del dubbio di costituzionalita' di cui sopra - della regola di giudizio dell'art. 425, comma 3 c.p.p. sui proscioglimento per insufficienza contraddittorieta' inidoneita' delle risultanze accusatorie: ferme le note difficolta' di accertamento del dolo; provvedendo d'ufficio.