IL TRIBUNALE

    Letta  la  sentenza  n. 1841/04,  con  la  quale  il Tribunale di
Venezia  ha  revocato  lo stato di interdizione in cui versava A. L.,
nata a Fiesso d'Artico in data 1° gennaio 1958, attualmente residente
in  Sottomarina di Chioggia, cosi' in particolare sul presupposto che
nel  corso  dell'esame  la  stessa  «ha reso dichiarazioni di per se'
evidenzianti   il   suo   rilevantissimo  miglioramento  relazionale,
comprovato   dall'inserimento   della   stessa  nell'attivita'  della
indicata   struttura   alberghiera   di   Sottomarina   (cfr.   anche
dichiarazioni del marito P. N., nominato tutore dal g.t. di Dolo il 2
ottobre   2003)»,  ed  ha  contestualmente  rigettato  la  richiesta,
avanzata dal p.m. ricorrente, di inabilitare la prevenuta, disponendo
invece  la  trasmissione  degli  atti  al  g.t.  per  l'apertura  del
procedimento  ex  art. 404  c.c.,  e  un  tanto  previa  nomina di un
amministratore   provvisorio   di  sostegno,  pronuncia  la  seguente
ordinanza:
    Il   giudice   rimettente   argomenta  la  rimessione  in  parola
sostenendo    che    «non   sia   opportuno   sostituire   l'istituto
dell'interdizione  con  un altro strumento di protezione rigido quale
l'inabilitazione,  dovendosi valutare il caso di specie alla luce dei
principi  della  legge  n. 6/2004  che (all'art. 414 c.c., richiamato
dall'art. 415  c.c.)  evidenziano  la  preferenza normativa accordata
allo  strumento  duttile  e  flessibile,  personalizzabile sulla base
delle   esperienze   del   beneficiario,   della  amministrazione  di
sostegno».
    In  sintesi,  nel pensiero del giudice rimettente e' implicita la
conclusione  che ai fini della tutela della A. e in particolare sulla
base  delle  riferite premesse, sia in punto di fatto sia esegetiche,
non  sia  opportuna  una  misura  inabilitativa,  all'opposto essendo
sufficiente  il  sostegno  di  un  amministratore di pubblica nomina,
secondo  le  modalita'  e  con  gli  effetti  del  nuovo  istituto di
protezione  delle  persone  prive  in  tutto o in parte di autonomia,
siccome  introdotto, a modifica del c.c., dalla legge 9 gennaio 2004,
n. 6.
    Il  giudice  rimettente,  peraltro,  sembra  fare  discendere  la
propria  decisione  di  non  inabilitare la A. da un mero giudizio di
opportunita'  collegato a una supposta preferenza legislativa desunta
in sede interpretativa, non gia' da una valutazione in concreto della
qualita'  e gravita' della malattia psichica della prevenuta, e della
misura  della  sua  incidenza sulla capacita' di cura degli interessi
personali.
    Dal  dispositivo del provvedimento di rimessione, con il quale si
assegna  all'amministratore  provvisorio  il  potere  assistere medio
tempore  la  A.  in  tutti gli atti di straordinaria amministrazione,
emerge   altresi'  la  tesi  implicita  che  gli  effetti  di  tutela
patrimoniale   garantiti  dall'amministrazione  di  sostegno  possono
coincidere,     ove     necessario,     con     quelli     assicurati
dall'inabilitazione.
    E'  del  resto  proprio questa la conclusione esegetica che viene
accolta  presso  questo foro e in sede di formazione decentrata (cfr.
relazione  incontro  di  studio  10  maggio  2004 presso Tribunale di
Venezia, pag. 11).
    In   effetti,   la   norma   che   regola   l'inabilitazione   (e
l'interdizione)  e  quella  che regola l'amministrazione di sostegno,
sembrano  in  certa  misura  sovrapporsi,  fino  al  punto  da  poter
coincidere,  e un tanto sia dal lato della fattispecie condizionante,
sia dal lato della statuizione condizionata:
        a)  Dal  lato della fattispecie: l'esegesi dell'art. 404 c.c.
consente  de  plano di affermare che l'amministrazione di sostegno e'
applicabile  (non  solo,  ma)  anche nel caso di incapacita' totale e
permanente  del  beneficiario  di  provvedere ai propri interessi per
infermita'  o  menomazione  psichica, secondo una formulazione che di
fatto  coincide  con quella della incapacita' di provvedere ai propri
interessi   indotta   da   abituale  infermita'  di  mente  richiesta
dall'art. 414 c.c. per l'interdizione.
    In particolare, posto che l'incapacita' psichica del beneficiario
dell'amministrazione  di  sostegno  puo' anche essere totale, proprio
come  per l'interdetto, la maggiore o minore gravita' dell'infermita'
psichica   non   discrimina  necessariamente  tra  questi  primi  due
istituti.
    Inoltre,   una   incapacita'   psichica  parziale  o  sicuramente
transeunte,  e per questo meno grave, puo' dare ingresso, non venendo
in  rilievo  all'interno  di  questa categoria una ulteriore scala di
gravita',  sia all'amministrazione di sostegno sia (ex art. 415 c.c.)
all'inabilitazione,  sulla  base, come nel caso di specie, di un mero
giudizio di opportunita' svincolato dal riferimento a dati obiettivi.
        b)  Dal lato degli effetti: la nuova disciplina delle «misure
di  protezione»  fa  salvo il potere del beneficiario di compiere: 1)
gli  atti (giuridici e non?) necessari a soddisfare le esigenze della
propria  vita  quotidiana, 2) gli atti (giuridici) che non richiedono
l'assistenza     necessaria    o    la    rappresentanza    esclusiva
dell'amministratore   di   sostegno,   ma  secondo  l'interpretazione
corrente degli artt. 405, n. 3 e 4, e 409 c.c., interpretazione della
quale  il  provvedimento  di  rimessione  costituisce  sintomo  punto
isolato,  la  «protezione»  puo'  essere cosi' estesa da imporre, ove
necessario,  la  presenza  dell'amministratore di sostegno, vuoi come
rappresentante  vuoi  in  funzione  di  integrazione  della  volonta'
dell'assistito, in pressoche' tutti gli atti sub 2).
    Nel   caso   di  specie,  in  particolare,  il  provvedimento  di
rimessione  si limita ad attribuire all'amministratore provvisorio il
potere  di  integrare  con  la  propria  volonta'  tutti  gli atti di
straordinaria    amministrazione    eventualmente    compiuti   dalla
beneficiaria,  atti  che  in  difetto  di tale integrazione sarebbero
pertanto invalidi.
    Proprio  questo dimostra che gli effetti di due distinti istituti
di  protezione  - in questo caso: A. di S. e inabilitazione - possono
di fatto coincidere, posto che anche il giudice tutelare, in presenza
di  una  infermita' psichica non grave in capo al beneficiario, puo',
come  il  giudice  dell'inabilitazione,  limitarsi  a individuare una
maxi-tipologia    di    atti,    ossia    quelli   di   straordinaria
amministrazione,    per   i   quali   e'   sufficiente   l'assistenza
dell'amministratore  di  sostegno,  lasciando  per  il  resto intatta
l'autonomia giuridica del soggetto bisognoso di tutela.
    In  definitiva,  le disposizioni sopra richiamate danno luogo, in
assenza di criteri discriminanti espressi e chiaramente desumibili, a
tre  fattispecie  normative  che,  nella  misura  e nei termini sopra
precisati, irragionevolmente coincidono.
    E'  ben  vero,  peraltro,  che in forza dell'art. 414, cosi' come
modificato  dalla  legge n. 6/2004, la misura dell'interdizione (e si
deve   presumere  anche  quella  della  inabilitazione)  deve  essere
applicata  solo  quando  cio' e' necessario ad assicurare all'infermo
adeguata protezione, ma si tratta di un criterio discriminante muto.
    Cosi'  muto  che  il  giudice  rimettente  lo  ha  tradotto in un
giudizio  di  opportunita' non ancorato a una valutazione in concreto
della residuale capacita' del soggetto bisognoso di tutela.
    In  effetti,  la  necessita'  di una misura di protezione si deve
valutare  apprezzando  la congruita' del mezzo (l'ampiezza tipologica
degli  atti che richiedono l'assistenza o la rappresentanza) rispetto
alla   situazione  (la  gravita'  dell'incapacita'  del  soggetto  di
provvedere ai propri interessi, ossia di compiere in modo consapevole
e ponderato quegli atti) cui deve sopperire.
    Nondimeno,  se  il presupposto della amministrazione di sostegno,
ove  consista  nella  totale  e  permanente  incapacita' psichica del
beneficiario,  e  i  relativi  effetti,  ove  al  beneficiario  venga
precluso  il  compimento  da se solo di qualunque atto di ordinaria e
straordinaria   amministrazione,   di  fatto  coincidono  con  quelli
dell'interdizione,  si  deve allora concludere che l'interdizione non
e' mai necessaria.
    Mutatis    mutandis    (incapacita'    psichica    meno    grave,
amministrazione   di   sostegno   meno   invasiva  nei  suoi  effetti
preclusivi),   si   deve  pervenire  alla  medesima  conclusione  per
l'istituto dell'inabilitazione.
    In  sostanza,  ed  e'  proprio  questa  una  tesi  che  e'  stata
autorevolmente  sostenuta  in  dottrina,  la  novella,  piu'  che una
parziale  duplicazione di fattispecie, conterrebbe di fatto una sorta
di     abrogazione     non     dichiarata     dell'interdizione     e
dell'inabilitazione,   a   cui   sarebbe   assegnato   una   funzione
assolutamente  marginale  e  residuale,  dovendo  essere il giudice a
riempire di contenuti il muto criterio della «necessita».
    Quella  stessa  dottrina  ha in particolare suggerito la tesi che
l'interdizione  (e l'inabilitazione?) sarebbe necessaria, in presenza
ovviamente   degli  ulteriori  presupposti,  solo  nel  caso  in  cui
l'incapace risultasse titolare di un ingente patrimonio.
    Rileva  in  proposito  questo  giudice  che  la  dietrologia  (il
legislatore  non  ha avuto il coraggio di andar fino in fondo, non si
e'  sentito  di abrogare formalmente i vecchi istituti di tutela) non
puo'   costituire   il  filo  conduttore  dell'opera  interpretativa,
necessariamente  in  chiave  sistematica,  del  nuovo piu' articolato
sistema  di  protezione  degli incapaci (e di tutela della buona fede
dei terzi che vengono in relazione giuridica con gli stessi); e che a
tal  fine,  non  gli  e'  consentito  fare  finta  che  gli  istituti
dell'interdizione  e  dell'inabilitazione  siano  stati  praticamente
espulsi dal nostro ordinamento.
    Lo vieta infatti il principio istituzionale di legalita', che nel
nostro  ordinamento  costituzionalizzato regge come una architrave la
funzione giurisdizionale.
    Peraltro,   se  la  soggezione  del  giudice  alla  legge  impone
all'organo  giudicante  di  tener  conto,  in  concorso  dei relativi
presupposti, di tutti gli istituti di protezione degli incapaci privi
di autonomia introdotti, mantenuti o modificati dal legislatore, cio'
richiede  che  la scelta dello strumento di «tutela» da applicare non
sia  di  fatto  lasciato, in assenza di chiari confini tra le diverse
fattispecie,  al  libero  arbitrio  dell'organo  giurisdizionale,  in
particolare  in  una materia potenzialmente lesiva, e in sommo grado,
della sfera di liberta' e di autodeterminazione dei singoli.
    Ne   possono   infatti   risultare   compromessi  supremi  valori
costituzionali  quali  quelli  fissati  negli  art. 2,  3  e  4 della
Costituzione nonche' violati gli ulteriori parametri di principio con
i  quali  di  seguito  la Carta garantisce il pieno dispiegarsi della
personalita'  nella  sfera  dei  rapporti  economici  e  dei traffici
giuridici: art. 41, primo comma, e 42, secondo comma.
    E  cosi'  tanto  piu'  in quanto il nuovo istituto di protezione,
dagli  effetti  potenzialmente  simili a quelli dell'inabilitazione o
della  stessa  interdizione,  in entrambi i casi anche in concorso di
una  limitata  incapacita' psichica, sono stati affidati a un giudice
unico  (g.t.)  e  a  un  provvedimento  che  non  si consolida mai in
giudicato,  essendo  sempre  modificabile  (anche  in  peius sotto il
profilo  degli  effetti  preclusivi)  e  meramente reclamabile, cosi'
privando  il «beneficiario», con un risultato paradossalmente inverso
a  quello di maggior tutela prefissosi dal legislatore della novella,
delle maggiori garanzie, sia pure non di rango costituzionale, insite
nella   collegialita'  e  nell'appellabilita'  che  caratterizzano  i
procedimenti di interdizione e inabilitazione.
    La  mancata indicazione di chiari criteri selettivi ha dato luogo
pertanto   a   una  duplicazione  irragionevole  di  fattispecie  che
risultano  parzialmente fungibili, e rendono piu' precaria e incerta,
di  fronte  al  potere  dell'organo  giurisdizionale  che e' tenuto a
somministrare la misura, la condizione del soggetto incapace privo di
autonomia.
    E'  evidente peraltro che la denunciata irragionevolezza verrebbe
meno  in  radice,  ove  fosse  possibile  interpretare  l'istituto in
parola,  ed  in particolare gli artt. 404, 405, n. 3 e 4, e 409 c.c.,
nel  senso  della  sua applicabilita' alle sole ipotesi di infermita'
psichica  meno  gravi  di quelle che giustificano l'interdizione e la
stessa       inabilitazione,      derivandone,      conseguentemente,
l'adottabilita',  da  parte  del  g.t.,  di  misure  limitative della
autonomia  giuridica del soggetto incapace non gia' ad ampio spettro,
come   devono   considerarsi   anche   quelle   che   si   riflettono
indistintamente  come  nel  caso  di  specie  su  tutti  gli  atti di
straordinaria   amministrazione,   all'opposto   davvero   mirate   a
specifiche categorie di atti se non ad atti singoli.
    L'indirizzo  interpretativo  corrente, di cui il provvedimento di
trasmissione  degli atti in parola e' sintomatico, non consente pero'
questa  soluzione  esegetica,  e  rende rilevante nel caso di specie,
gia'  in  astratto, la sollevata questione di costituzionalita' delle
disposizioni in parola.
    Detta  rilevanza  puo',  peraltro,  essere  apprezzata  anche  in
concreto:   posto  che  dalla  documentazione  medica  allegata  alla
richiesta  di  riesame dell'originario provvedimento di interdizione,
documentazione nella quale, tra l'altro, si legge che la Angi «appare
oggi  senz'altro  in  grado  di  curare  i propri interessi attinenti
all'ordinaria  amministrazione»,  emerge  comunque  un quadro clinico
sufficientemente grave da indurre il g.i. rimettente, come si e' gia'
rilevato,  a  precluderle il valido compimento da se' sola pressoche'
di ogni atto di straordinaria amministrazione.
    Su  questa  base, chi scrive deve dunque decidere se ricorrono in
punto  di  fatto  i  presupposti  richiesti  per  l'A.  di  S.  o, in
alternativa,  se  una  interpretazione  costituzionalmente  orientata
dell'istituto  in  parola,  e  cosi' nei termini sopra precisati, gli
imponga  di  utilizzare  in  via  immediata  e preventiva i poteri di
sollecitazione  del  giudizio  (in  questo caso di un nuovo giudizio)
inabilitativo attribuitigli dall'ultimo comma dell'art. 413 c.c.
    Vi  sono  peraltro, a parere di questo giudice, ulteriori profili
di  irragionevolezza,  potenzialmente  perniciosi per la liberta' del
soggetto  «incapace»,  e  dunque  per  i  valori  e i parametri sopra
richiamati, nella disciplina introdotta dalla novella.
    In particolare:
        a)  in  base  al  novellato  art. 418,  c.c.,  se  il giudice
dell'interdizione   e  dell'inabilitazione  ritiene,  nel  corso  del
relativo  procedimento,  che non esistono i presupposti per applicare
la  relativa  misura  di  protezione, ma gli appare opportuno che sia
applicata  l'amministrazione  di  sostegno, dispone, come nel caso di
specie,  la  trasmissione del procedimento al giudice tutelare e puo'
nominare  medio  tempore un'amministrazione di sostegno indicando gli
atti che e' autorizzato a compiere;
        b)  in  base  all'ultimo comma del novellato art. 413 cc., il
giudice  tutelare  provvede,  anche  d'ufficio, alla dichiarazione di
cessazione  della  materia  dell'amministrazione  di  sostegno quando
questa  a  suo  parere si sia rivelata inidonea a realizzare la piena
tutela  del  beneficiario, e in tale ipotesi, se ritiene che si debba
promuovere  giudizio  di interdizione o di inabilitazione, ne informa
il pubblico ministero, affinche' vi provveda.
    In  sostanza,  il  nuovo  sistema di protezione e' affidato a due
distinti         organi         giudiziari         (il        giudice
dell'interdizione/inabilitazione  e  il  giudice  tutelare)  che sono
chiamati  a  gestire  lo stesso caso umano, ciascuno sulla base della
propria  idea  riguardo  ai  criteri  selettivi (quando e' necessaria
l'interdizione   o  l'inabilitazione?;  quando  l'amministrazione  di
sostegno  non  e'  adeguata?) che contraddistinguono le fattispecie e
relative misure rispettivamente e autonomamente amministrate.
    Le  disposizioni  in  esame  non  indicano  pero'  quale  dei due
soggetti, in caso di divergenza, debba prevalere.
    Il  giudice  dell'interdizione/inabilitazione  non  puo'  infatti
obbligare  il  giudice  tutelare  a  nominare  un  amministratore  di
sostegno  (ove  il g.t. reputi che tale misura sia inadeguata); a sua
volta   il   giudice   tutelare   non   puo'   imporre   al   giudice
dell'interdizione  e  dell'inabilitazione  l'adozione  di tali misure
(che il Presidente o il g.i. o il Collegio reputino non necessarie).
    Per  ovviare  al  corto  circuito giudiziario che tale situazione
puo'   produrre,   innescato   dalla  mancanza  di  una  disposizione
processuale  di  coordinamento  ad  hoc ed esasperata dall'assenza di
chiari criteri selettivi, si e' non a caso suggerito di introdurre la
prassi,   che  non  trova  peraltro  appiglio  in  nessuna  specifica
disposizione processuale, che uno dei due giudici in parola (nel caso
di  specie  ad  es.  il  g.i.)  acquisisca  preventivamente il parere
dell'altro  organo  (nel  caso  di  specie  il  g.t.)  in ordine alla
sussistenza,  secondo  quest'ultimo,  dei  presupposti  richiesti per
l'adozione delta misura che gli compete di somministrare (nel caso di
specie l'A. di S.).
    Come  dire:  una  concertazione  preventiva  che  da' luogo ad un
inammissibile anticipazione di giudizio.
    Tale  suggerimento e' tuttavia il sintomo di un reale problema di
coordinamento,  atteso  che  in  questo  vuoto  omissivo (il g.t. non
nomina      l'amministratore      di     sostegno,     il     giudice
dell'interdizione/inabilitazione  non interdice ne' inabilita, etc.),
puo' finire come in tritacarne lo stesso «beneficiario!», sballottato
da  un  organo  giudicante  all'altro  in  attesa  di  una  decisione
(relativamente definitiva) sul suo caso.
    Ne'  d'altra parte si vede per quale ragionevole motivo, salvo un
improponibile  stare decisis, il g.t. a cui siano stati trasmessi gli
atti, come nel caso di specie ai sensi dell'ultmo comma dell'art. 418
c.c.,   e   che   fin   da  subito  reputi  non  adeguata  la  misura
dell'amministrazione  di  sostegno,  e  cosi'  sulla  base del quadro
diagnostico  dagli  stessi  emergente  ictu oculi, debba adottare per
intanto  una  misura  particolarmente incisiva, praticamente identica
negli   effetti   a   quelli   derivanti  dall'interdizione  o  dalla
inabilitazione,  una misura che proprio per questo egli reputi di non
poter  legittimamente  adottare,  salvo  poi  avviare  in  un momento
immediatamente  successivo  il  procedimento  sollecitatorio previsto
dall'ultimo comma dell'art. 413 c.c.
    L'autorevole  dottrina,  che pure suggerisce, tale bizzarro modus
procedendi,  non  tiene  innanzi  tutto  conto  del  fatto  che detta
procedura  e'  pensata  in  funzione  di  un  giudizio sopravvenuto e
sperimentato  (si sia rilevata inidonea a realizzare la piena tutela)
sulla congruita' della misura gia' adottata, in allora ricorrendovi i
presupposti.
    Di piu'.
    Non tiene conto del fatto che una amministrazione di sostegno che
produca  sul  piano  degli  effetti  giuridici  la  stessa situazione
dell'interdizione  o  dell'inabilitazione precludendo al beneficiario
il  valido  compimento da se' solo di qualunque atto di ordinaria e/o
di straordinaria amministrazione, rende quelle misure per definizione
non necessarie.
    Infine,  la  trasmissione  degli  atti  al  p.m.  e il successivo
riesame  del  caso  umano  da  parte  del giudice dell'interdizione e
dell'inabilitazione,  e  cosi' ai sensi della disposizione per ultima
citata,  non  necessariamente  da'  luogo  al risultato auspicato dal
g.t.:  che  si  vede  infine  costretto  a tenere ferma una misura di
protezione a suo parere illegittima.
    In definitiva, anche le disposizioni ex art. 413, ultimo comma, e
418,  ultimo  comma c.c. appaiono irragionevoli, nella misura in cui,
una  volta  operata  la scelta organizzativa di non concentrare in un
unico  organo  la  gestione  del  medesimo  caso umano, non prevedono
tuttavia,  in  caso  di divergenza tra i due giudici, le modalita' di
risoluzione di eventuali divergenze: sia sull'interpretazione da dare
degli  istituti  in  parola, dei relativi presupposti e dell'ampiezza
dei  relativi  effetti,  sia sulla gravita' della deficienza psichica
del soggetto incapace.
    La  questione  appare  rilevante  nel  caso  di specie, in quanto
l'interpretazione che il giudice rimettente da' dell'istituto dell'A.
di   S.,   tale   da   ricomprendere   anche   deficienze   psichiche
sufficientemente   gravi  da  richiedere  provvedimenti  con  effetti
limitativi  della autonomia giuridica dell'incapace estesi all'intera
categoria  degli atti di straordinaria amministrazione, pur apparendo
a questo giudice tutelare in contrasto con i parametri costituzionali
sopra  evidenziati,  non  integra  ancora  una fattispecie di diritto
vivente  ma  neppure  difetta di plausibilita' esegetica, vuoi per la
fonte  dottrinale  e  giurisprudenziale  da  cui  promana vuoi per la
consistenza  dell'argomento  letterale  sui  cui  poggia,  e  non gli
lascerebbe  pertanto  altra strada che l'adozione di una misura a cui
il  codice civile, o meglio la sua interpretazione costituzionalmente
orientata, tuttavia non sembra abilitarlo.
    Ne  deriva  pertanto un pericolo concreto e attuale di violazione
dello  stesso principio costituzionale di soggezione del giudice alla
legge (art. 101, secondo comma, della Carta).
    Il principio di legalita' in senso lato va infatti coordinato con
quello di legalita' costituzionale, ma al giudice di Civil Law non e'
consentito   disapplicare  direttamente  l'interpretazione  normativa
corrente  che egli reputi di dubbia legittimita' costituzionale, puo'
solo  sollevare  la  relativa  questione  in  quanto  a  suo dire non
manifestamente infondata nonche' rilevante.
    Come di fatto la solleva.