IL GIUDICE Letti gli atti del procedimento penale in epigrafe, a carico dell'on.le Vittorio Sgarbi, nato a Ferrara l'8 maggio 1952, difeso fiduciariamente dall'avv. Salvatore Pino del foro di Milano e dall'avv. Giampaolo Cicconi del foro di Camerino, ed elettivamente domiciliato in Macerata, via Fratelli Pianesi 5, presso lo studio dell'avv. Cicconi; Imputato del delitto di diffamazione aggravata in danno del magistrato dott. Piercamillo Davigo, all'epoca dei fatti in servizio presso la Procura della Repubblica presso il tribunale di Milano; Sentite le parti sulle determinazioni da assumere in esito alla deliberazione della Camera dei deputati del 17 marzo 2004, la quale ha affermato che tutti i fatti in questa sede contestati al deputato Sgarbi Vittorio concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell'art. 68 comma primo della Costituzione; O s s e r v a 1. - Fatto. Il processo ha ad oggetto le frasi pronunciate e le condotte tenute dal deputato Vittorio Sgarbi nel corso della puntata del 26 giugno 1998 del programma televisivo Sgarbi quotidiani, diffuso dall'emittente Canale 5. In tale occasione. l'on. Sgarbi, conduttore del programma televisivo, parafrasando l'imputazione: in qualita' di conduttore esponeva durante la sigla iniziale della trasmissione un disegno raffigurante due maiali vestiti da magistrati con tocco, toga, un coltello e un grembiule sporco di sangue, e commentando ironicamente, rivolto al Martinez, «E' tua la copertina? Ti volevi riferire ai magistrati di Venezia? Di qualunque altra citta' d'Italia? ... non c'e' nessun collegamento tra la copertina di Martinez e la musica che fa siam tre piccoli porcellin e quello che diro' io... i porci miei sono porci miei, i porci tuoi sono porci tuoi..»; dichiarava poi, in relazione alla recensione di un libro pubblicato dal dott. Davigo «io vi suggerisco, se avete intenzione di scrivere libri, di fare prima i magistrati: se voi volete avere una recensione sul Corriere in terza pagina, voi dovete non fare il libro e basta, ma fare il magistrato, magari del pool di Milano, perche' se lo fai a Forli' o a Ravenna o anche a Venezia, non ti danno neanche la quindicesima; allora dovete fare i Magistrati a Milano per pubblicare un libro di cui spero godrete dei diritti d'autore e allora soltanto avrete una recensione in terza pagina», e mostrando la terza pagina del quotidiano «Corriere della Sera», suggeriva agli ascoltatori: «Come la chiamereste voi questa pagina? Io la chiamerei leccata di c... (bip). Trattasi del c... (bip) del dott. Davigo» ed aggiungeva frasi sarcastiche sulla circostanza che la recensione occupasse lo spazio di sette colonne; quindi, durante il dialogo conduttore-ospite con l'avv. Taormina, presente in studio, accreditava la tesi che il dott. Davigo avesse «mandato» il Maresciallo della Guardia di Finanza Scaletta Salvatore (distaccato presso la Procura della Repubblica di Milano ed alle dirette dipendenze del Sostituto Procuratore Davigo) ad interrogare il finanziere Pier Francesco Pacini Battaglia al precipuo scopo di «fargli dire» che Taormina era legato a clan camorristici e dunque al fine di «incastrarlo» e provocare un'indagine per reati di mafia a carico di quest'ultimo. Con atto depositato il 15 settembre 1998 Piercamillo Davigo sporgeva denuncia querela nei confronti di Vittorio Sgarbi e di chiunque altro avesse concorso nella commissione del reato, ritenendosi diffamato da quanto sopra riportato. Nell'udienza preliminare del 16 dicembre 2003, svoltasi nella contumacia degli imputati, il querelante si costituiva parte civile; la difesa dello Sgarbi quindi chiedeva al giudice di pronunciare sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. per la insindacabilita' delle opinioni espresse dal proprio assistito, ritenute scriminate ai sensi dell'art. 68 della Costituzione. Le altre parti si opponevano alla richiesta e chiedevano che in applicazione dell'art. 3 comma 4 della legge 140/2003 il giudice trasmettesse gli atti alla Camera dei deputati, Camera di appartenenza dell'imputato, perche' deliberasse sulla questione. Con ordinanza del 23 dicembre 2003 questo giudice investiva della questione la Camera dei deputati, con la seguente motivazione: «a parere di questo giudice le condotte descritte in imputazione, che il querelante assume offensive della propria reputazione, non sono ricomprese tra quelle oggetto del disposto dell'art. 68 Cost. siccome non espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari, ne' a queste funzionalmente connesse; esse sono state tenute infatti nel corso di una trasmissione televisiva su di una rete a diffusione nazionale («Sgarbi Quotidiani» del 26 giugno 1998, trasmessa dall'emittente Canale 5, e dunque al di fuori dell'esercizio delle tipiche funzioni parlamentari, in difetto di quel nesso funzionale con queste ultime che la giurisprudenza costituzionale ha ravvisato nella manifestazione extra moenia delle opinioni espresse (in precedenza o contestualmente) nell'esercizio piu' proprio della funzione parlamentare (tra le molte, C. Cost. n. 51/02). In particolare non si ravvisa tale nesso nelle condotte relative alla «copertina» della trasmissione, raffigurante due maiali vestiti con toga, tocco, un coltello ed un grembiule sporco di sangue, commentata dallo Sgarbi, e nello sviluppo successivo della trasmissione, che verteva su di un volume scritto dal dott. Davigo che aveva ottenuto una recensione assai positiva, sul valore letterario di tale volume, anche in paragone ad un diverso volume scritto dallo stesso Sgarbi, che tuttavia non avrebbe ricevuto recensioni analogamente lusinghiere, e proseguiva sulla attivita' giudiziaria che, svolta dallo stesso dottor Davigo in contemporanea alla sua attivita' di scrittore e di conferenziere, poi sarebbe a volte risultata lacunosa o sbagliata, e tra l'altro «fatta» nel modo che di seguito descrive, che l'imputazione riassuntivamente riporta». Il 22 marzo 2004 perveniva la nota con la quale il Presidente della Camera dei deputati comunicava che con delibera adottata dall'assemblea nella seduta del 17 marzo 2004 l'assemblea aveva dichiarato la insindacabilita' delle opinioni espresse dall'on. Sgarbi, respingendo la proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere, che aveva chiesto di deliberare che i fatti del procedimento non costituivano opinioni espresse nell'esercizio di tali funzioni. Alla successiva udienza del 5 ottobre 2004 il pubblico ministero e la parte civile chiedevano al giudice di sollevare conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, ritenendo che la Camera dei deputati avesse esorbitato dai propri poteri nell'adottare la delibera di insindacabilita'; la difesa dell'imputato reiterava la richiesta di pronuncia ex art. 129 c.p.p., producendo a sostegno documenti in parte gia' depositati nell'udienza del 16 dicembre 2003. 2. - Diritto. Sono noti i principi delineati dalla sentenza 29 dicembre 1988 n. 1150 della Corte costituzionale: le prerogative parlamentari non possono non implicare un corrispettivo potere valutativo dell'organo a tutela del quale sono disposte, e pertanto spetta alla camera di appartenenza il potere di valutare se la condotta addebitata ad un proprio membro debba qualificarsi come esercizio delle funzioni parlamentari, con l'effetto - in caso affermativo - di inibire una difforme pronuncia giudiziale di responsabilita'. D'altra parte il potere valutativo delle camere puo' dirsi legittimamente esercitato solo entro i limiti della fattispecie contemplata dall'art. 68 comma 1 Cost.: in un sistema costituzionale - e comunitario - che riconosce i diritti inviolabili dell'uomo (fra cui il diritto all'onore ed alla reputazione) quali valori fondamentali dell'ordinamento giuridico, il potere valutativo delle camere, lungi dall'essere arbitrario o vincolato a sole regole interne di self-restraint, e' soggetto al controllo di legittimita' affidato all'organo giurisdizionale di garanzia costituzionale, mediante lo strumento del conflitto di attribuzione, a norma degli artt. 134 Cost. e 37 legge 87/1953. Cosi' si esprime in proposito la Consulta: «Qualora il giudice di una causa civile di risarcimento dei danni, promossa da una persona lesa da dichiarazioni diffamatorie fatte da un deputato o da un senatore in sede extraparlamentare, reputi che la delibera della camera di appartenenza, affermante l'irresponsabilita' del proprio membro convenuto in giudizio, sia il risultato di un esercizio illegittimo [...] del potere di valutazione, puo' provocare il controllo della Corte costituzionale sollevando avanti a questa conflitto di attribuzione. Il conflitto non si configura nei termini di una vindicatio potestatis (il potere di valutazione del Parlamento non e' in astratto contestabile), bensi' come contestazione dell'altrui potere in concreto, per vizi del procedimento oppure per omessa o erronea valutazione dei presupposti di volta in volta richiesti per il valido esercizio di esso». Tali principi hanno quindi trovato conferma nelle successive sentenze della Corte costituzionale 16 dicembre 1993 n. 443 («in sede di conflitto di attribuzione [...] e' possibile solo verificare se ai fini dell'esercizio in concreto del potere che ha condotto alla dichiarazione di insindacabilita' [...] da parte della camera di appartenenza, sia stato seguito un procedimento corretto oppure se mancassero i presupposti di detta dichiarazione - tra i quali essenziale quello del collegamento delle opinioni espresse con la funzione parlamentare - o se tali presupposti siano stati arbitrariamente valutati») e 24 aprile 1996 n. 129. E' dunque evidente che, secondo l'ormai consolidato orientamento della stessa Corte costituzionale, il giudizio ad essa devoluto in sede di conflitto di attribuzione non si limita alla verifica della validita' e congruita' della motivazione con la quale la Camera di appartenenza del parlamentare abbia dichiarato insindacabile l'opinione espressa: «il giudizio in sede di conflitto tra poteri non si atteggia a giudizio sindacatorio ... su di una determinazione discrezionale dell'assemblea politica. In questo senso va precisato e in parte corretto quanto affermato nella pregressa giurisprudenza circa i caratteri del controllo di questa Corte sulle deliberazioni di insindacabilita' adottate dalle Camere ... la Corte, chiamata a svolgere, in posizione di terzieta', una funzione di garanzia, da un lato dell'autonomia della Camera di appartenenza del parlamentare, dall'altro della sfera di attribuzione dell'autorita' giurisdizionale, non puo' verificare la correttezza, sul piano costituzionale, di una pronuncia di insindacabilita' senza verificare se, nella specie, l'insindacabilita' sussista, cioe' se l'opinione di cui si discute sia stata espressa nell'esercizio delle funzioni parlamentari, alla luce della nozione di tale esercizio che si desume dalla Costituzione». (Corte cost. 17 gennaio 2000 n. 10). Non puo', in conclusione, dubitarsi che l'autorita' giurisdizionale sia legittimata a far valere mediante conflitto di attribuzione la menomazione della propria sfera di attribuzioni che ritenga discendere dalla deliberazione di insindacabilita' della Camera, in ipotesi adottata in mancanza di qualsivoglia nesso funzionale tra le opinioni espresse e la funzione parlamentare. Nel caso di specie questo giudice ritiene che la deliberazione della Camera dei deputati leda la sfera di attribuzione dell'ordine giudiziario, perche' adottata in difetto dei presupposti per l'applicazione della garanzia di cui all'art. 68 comma 1 della Carta costituzionale. L'art. 3 comma 1 della legge 140/2003, riconosciuto costituzionalmente legittimo dalla Consulta, stabilisce che sono coperti dalla previsione di insindacabilita' «in ogni caso» i disegni e proposte di legge, gli emendamenti, ordini del giorno, mozioni e risoluzioni, interpellanze ed interrogazioni, gli interventi nelle assemblee e negli altri organi delle camere, qualsiasi espressione di voto comunque formulata, ed ogni altro atto parlamentare; si tratta di quelle attivita' «tipiche», per le quali le garanzie della liberta' di estrinsecazione del mandato popolare sono massime. Inoltre, aggiunge la norma, e' pure insindacabile «ogni altra attivita' di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori dal Parlamento». L'ampia formulazione lessicale dell'art. 3 comma 1 citato ha condotto, nella fase di prima applicazione, a numerose eccezioni di incostituzionalita', che la Corte ha deciso, rigettandole, con la sentenza n. 120 del 16 aprile 2004. Nella motivazione la Consulta ha ritenuto che la norma possa - e debba - essere letta in chiave di mera attuativita' del disposto costituzionale dell'art. 68, dal quale le attivita' atipiche elencate non fuoriescono in ragione del richiamo, operato dall'art. 3, alla necessita' della loro connessione «con l'esercizio della funzione propria dei membri del Parlamento». La Corte costituzionale prosegue evidenziando come sulla base del dato testuale citato debba ritenersi che «il legislatore non innovi affatto alla predetta disposizione costituzionale, ... ma si limiti a rendere esplicito il (suo) contenuto ...specificando gli atti di funzione tipici, nonche' quelli che, pur non tipici, debbano comunque essere connessi alla funzione parlamentare, a prescindere da ogni criterio di localizzazione»; e chiosa sottolineando che sotto questo profilo il contenuto della norma e' «in concordanza con le indicazioni ricavabili al riguardo dalla giurisprudenza costituzionale in materia». Ancora, la Corte sottolinea come nell'evoluzione giurisprudenziale che pure vi e' stata in materia non sia mai stato intaccato un principio che segna il limite estremo delle prerogative della insindacabilita': questa e' posta ad esclusiva tutela della funzione, e non della persona del parlamentare, e non puo' dunque mai trasformarsi in un privilegio personale, come avverrebbe se si avesse una immunita' dalla giurisdizione conseguente alla mera «qualita» di parlamentare. E' richiamando i contenuti espressi sul punto della ravvisabilita' o meno del nesso funzionale tra condotta e funzione, e' stato chiarito che le attivita' non tipizzate sono garantite dall'art 68 «nei casi in cui si esplicano attraverso strumenti, atti e procedure anche "innominati" ma comunque rientranti nel campo di applicazione del diritto Parlamentare, che il membro del Parlamento e' in grado di porre in essere e di utilizzare proprio solo e in quanto riveste tale carica»1. Rileva dunque il collegamento necessario con le funzioni del Parlamento, cioe' l'ambito funzionale entro cui l'atto si iscrive, a prescindere dal suo contenuto comunicativo, che puo' essere il piu' vario, ma che in ogni caso deve rappresentare esercizio in concreto delle funzioni proprie dei membri delle Camere. In questo senso le attivita' di «ispezione, divulgazione, critica e denuncia politica» non rappresentano di per loro un indebito allargamento della insindacabilita', se risultano in connessione con l'esercizio di funzioni parlamentari, e dunque, come la Corte ha avuto modo di precisare, se rientrano nell'ambito della divulgazione e riproduzione, al di fuori dei lavori e delle attivita' parlamentari, di opinioni in quelle sedi manifestate e qualificate2. Al contrario, l'attivita' di propaganda e critica politica svolta in assenza di un nesso funzionale con l'attivita' parlamentare propria e' soggetta ai medesimi limiti di espressione di ogni altro cittadino che voglia partecipare alla vita politica nazionale. L'art. 68 comma 1 Cost. e' infatti espressione del principio di autonomia parlamentare, a garanzia del quale viene in parte sacrificato il fondamentale principio costituzionale di legalita' e giurisdizione, in vista della realizzazione del superiore interesse dello Stato al libero svolgimento dell'attivita' legislativa e delle funzioni proprie del Parlamento: l'arbitraria estensione delle prerogative previste dall'art. 68 comma 1 Cost. a comportamenti non strettamente funzionali all'esercizio delle attribuzioni parlamentari importerebbe dunque l'ingiustificata menomazione della sfera delle attribuzioni costituzionali dell'autorita' giudiziaria (e del diritto di ognuno a far valere in giudizio la lesione del proprio diritto all'onore ed alla reputazione). Peraltro, come evidenziato dal relatore della Giunta per le autorizzazioni a procedere, soltanto una rigorosa applicazione di tali principi consentirebbe di non incorrere nelle sanzioni della Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha ricordato anche recentemente (sentenza del 30 gennaio 2003, Cordova vs Italia, in un caso relativo a dichiarazioni rese proprio dall'on. Sgarbi ), che condizione per la compatibilita' del meccanismo di tutela dell'art. 68 Cost. con l'ordinamento comunitario e con i diritti individuali alla tutela dell'onore dei privati cittadini e' la proporzione tra l'ambito delle condotte ritenute insindacabili ed il fine per il quale l'insindacabilita' e' prevista; e tale fine e', appunto, esclusivamente quello di garantire l'esercizio della funzione parlamentare senza condizionamenti. Tale il quadro al quale attenersi per valutare se le condotte oggetto del presente procedimento siano o meno tra quelle garantite dall'art. 68. Nel nostro caso, infatti, premesso che non v'e' dubbio che le condotte delle quali si contesta la legittimita' sono state tenute «fuori dal Parlamento», e fuori dalle attivita' parlamentari tipiche - specificamente nel corso di una puntata di un programma televisivo che l'on. Sgarbi ha condotto per anni, in base ad un contratto di natura privatistica con la rete televisiva - l'aspetto da verificare e' proprio quello della riconducibilita' delle condotte denunciate alle attivita' «atipiche» alle quali la norma citata fa riferimento; e questo necessariamente sotto il profilo della connessione di tali condotte con la funzione, ovvero attivita' parlamentare posta in essere dall'on. Sgarbi in quel torno di tempo. Ritiene questo giudice che la delibera di insindacabilita' adottata dalla Camera dei deputati non abbia fatto buon uso dei criteri valutativi sopra ricordati. In primo luogo, non risulta che l'on. Sgarbi abbia mai azionato alcuna iniziativa parlamentare, tipica o atipica, relativamente alla questione c.d. del Maresciallo Scaletta; non pare che le interrogazioni autonomamente presentate il 24 ed il 25 giugno da due diversi deputati su alcuni aspetti della vicenda, prodotte in udienza dalla difesa dell'on. Sgarbi, possano valere a scriminare la condotta di un altro parlamentare. Ma anche al di la' di tale aspetto, oggetto del procedimento, e dunque della delibera, sono non solo le affermazioni relative alla supposta distorsione dell'attivita' investigativa diretta dal dott. Davigo a fini personali, in danno dell'avv. Taormina, ma tutte le condotte e le frasi riportate nell'imputazione, a partire dalla presentazione della puntata nella quale si sarebbe parlato del dott. Davigo con l'immagine dei «due maiali vestiti con toga e tocco, con un grembiule sporco di sangue ed un coltello in mano», con l'accompagnamento di una colonna sonora che cantava «siam tre piccoli porcellin...» ed il riferimento formalmente ad escludendum ai pubblici ministeri di Milano, e con le frasi sulla recensione del volume del Davigo, modi ed argomenti che appaiono difficilmente ricollegabili alla funzione pubblica parlamentare, e appaiono al contrario strettamente ed univocamente propri del privato cittadino Sgarbi, nelle note vesti di conduttore ed intrattenitore televisivo e, a sua volta, di autore di libri. Per tali ragioni si ritiene che le opinioni espresse dall'on. Sgarbi nel corso della trasmissione Sgarbi quotidiani del giorno 26 giugno 1998 non costituiscano espressione dell'attivita' parlamentare ai fini dell'applicazione dell'art. 68 della Costituzione; il tutto, naturalmente, senza entrare nel merito della diffamatorieta' o meno delle condotte descritte, o dell'esercizio del diritto di critica politica, questione di merito non pertinente alla presente fase processuale. Sulla base di analoghe considerazioni la Giunta per le autorizzazioni a procedere ha proposto di deliberare nel senso della estraneita' delle condotte e delle opinioni espresse alla funzione parlamentare, ritenendo che «non e' sufficiente a fondare un giudizio di insindacabilita' la mera coloritura politica delle affermazioni contestate, ne' la sola comunanza d'argomento con tematiche trattate in Parlamento... Le parole del deputato Sgarbi ... non risultano connesse con alcun atto parlamentare e dunque con la sua funzione di deputato, giacche' non sono riproduttive dei contenuti di alcuna formale esplicazione dell'esercizio del suo mandato». Di segno contrario, invece, il parere espresso dall'Assemblea nella delibera del 17 marzo 2004, che questo giudice chiede venga annullata; si impone pertanto il ricorso e l'invio degli atti alla Corte costituzionale per conflitto di attribuzione tra Poteri dello Stato ai sensi dell'art. 37 della legge costituzionale n. 87 del 1953, con conseguente necessaria sospensione del presente procedimento, fino alla risoluzione del conflitto. 1 Vedi sentenze nn. 56/00, 509/02 e 219/03. 2 Sentenze nn. 10, 11 e 320 del 2000.