ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 9, commi 1, secondo periodo, 3, 5, 6 e 7, del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell'articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144), promosso con ordinanza del 12 novembre 2003 dal giudice unico del lavoro del Tribunale di Treviso nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Albano Cavallin ed altri e l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), iscritta al n. 3 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, 1ª serie speciale, dell'anno 2004. Visti gli atti di costituzione di Albano Cavallin ed altri e dell'INAIL nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 5 aprile 2005 il giudice relatore Annibale Marini; Uditi gli avvocati G. Sante Assennato per Albano Cavallin ed altri, Luigi La Peccerella e Rita Raspanti per l'INAIL e l'Avvocato dello Stato Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1. - Il giudice unico del lavoro del Tribunale di Treviso, con ordinanza del 12 novembre 2003, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 38 e 97 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, commi 1, secondo periodo, 3, 5, 6 e 7, del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell'articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144). Le norme impugnate, innovando la previgente disciplina, dispongono che la rettifica per errore delle prestazioni erogate dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) puo' intervenire solamente entro i dieci anni dalla comunicazione dell'originario provvedimento di attribuzione della rendita (comma 1); che l'errore non rettificabile comporta il mantenimento delle prestazioni godute (comma 3); che tale normativa trova applicazione anche in riferimento ai provvedimenti di rettifica adottati nel vigore della precedente disciplina, ancorche' coperti da prescrizione o giudicato (commi 5, 6 e 7). Nel giudizio a quo sono oggetto di ricorso, da parte di tre assicurati, altrettanti provvedimenti di rettifica (tali essendo qualificati dal giudicante) di rendite per ipoacusia professionale adottati, nel vigore della disciplina previgente, oltre dieci anni dopo la comunicazione dell'originario provvedimento di concessione della rendita. La pacifica efficacia retroattiva dell'art. 9 del decreto legislativo n. 38 del 2000 comporterebbe l'accoglimento delle domande, con il conseguente ripristino, in capo ai ricorrenti, delle rendite godute al momento della rettifica. Tanto premesso in punto di rilevanza, ritiene tuttavia il giudicante che la nuova disciplina, comportando il riconoscimento definitivo della prestazione previdenziale a prescindere dalla sussistenza dei requisiti, previsti per legge, che ne sorreggono l'erogazione, si ponga in contrasto «con i principi di base che caratterizzano l'intero assetto previdenziale ed in particolar modo con quelli inerenti alla liberazione dal bisogno». Ad avviso del rimettente, infatti, qualsiasi prestazione previdenziale erogata in assenza dei requisiti di legge si porrebbe per cio' solo in contrasto con l'art. 38 della Costituzione, non realizzando le finalita' di tutela previste dalla Costituzione. Il consolidamento di una prestazione economica non dovuta comporterebbe d'altro canto un ingiustificato aggravio delle spese di gestione di un ente appartenente alla pubblica amministrazione, con violazione, sotto tale aspetto, del principio di buon andamento dei pubblici uffici, sancito dall'art. 97 della Costituzione. La retroattivita' della normativa, suscettibile di incidere addirittura su situazioni gia' prescritte o coperte da giudicato, contrasterebbe infine con il principio di certezza del diritto garantito dall'art. 3 della Costituzione, venendo sanzionata la violazione del termine decennale introdotto dalla norma anche con riguardo a fattispecie concluse nel vigore di una diversa disciplina che non prevedeva alcun limite temporale al potere di accertamento dell'errore da parte dell'INAIL. 2. - Si sono costituiti in giudizio Albano Cavallin, Loris Favaron e Graziella Toppan, ricorrenti nel giudizio a quo, concludendo per la declaratoria di inammissibilita' della questione. Ad avviso delle parti suddette, la questione di legittimita' costituzionale sarebbe priva di rilevanza nella fattispecie, non venendo in questione l'esistenza di un giudicato, ma trattandosi soltanto di applicare un istituto, quale la decadenza, di portata generale, riguardo al quale non sono prospettabili dubbi di costituzionalita'. L'applicazione - quale si verificherebbe nella fattispecie - di una disciplina sopravvenuta ai processi in corso rappresenterebbe del resto una tecnica abitualmente utilizzata dal legislatore, anche a fini di certezza del diritto, cosi' da escludere qualsiasi censura di legittimita' costituzionale. 3. - Si e' altresi' costituito l'INAIL, convenuto nel giudizio a quo, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata. In proposito, la difesa dell'Istituto sottolinea come l'art. 9 del decreto legislativo n. 38 del 2000 sia qualificabile come disciplina eccezionale, in conseguenza della quale l'ordinamento limita gli effetti negativi dell'accertata insussistenza dei presupposti patologici per il riconoscimento del diritto alla rendita goduta, garantendo al beneficiario la continuita' dell'erogazione delle somme sino a quel momento percepite in buona fede. L'art. 9 sopra richiamato avrebbe nel contempo natura di norma transitoria, per regolare il passaggio dal regime dell'art. 55 della legge 9 marzo 1989, n. 88 (Ristrutturazione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), alla nuova disciplina; in questa prospettiva, non sarebbero vulnerati i principi in tema di prescrizione o giudicato, in quanto la norma censurata prevede un rigoroso termine di decadenza per la richiesta di riesame dei casi prescritti o definiti con sentenza passata in giudicato, nonche' la riattribuzione della prestazione «cristallizzata» solo dalla data della domanda e senza restituzione di somme arretrate. Non sussisterebbe - secondo l'Istituto - la denunciata violazione dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione, anche in ragione della specifica struttura e funzione dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e della sua specialita' rispetto alla tutela pensionistica. E d'altro canto, quanto all'asserita violazione dell'art. 3 della Costituzione, la stessa giurisprudenza costituzionale afferma che il divieto di retroattivita' della legge non ha dignita' costituzionale, cosicche' al legislatore ordinario, fuori dalla materia penale, non e' inibito emanare norme con efficacia retroattiva, purche' queste ultime non contrastino con il principio di ragionevolezza ed altri valori ed interessi costituzionalmente protetti. 4. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata. Ad avviso dell'Avvocatura l'ordinanza di rimessione presenterebbe, anzitutto, profili di inammissibilita' per violazione del principio di autosufficienza, non essendo adeguatamente motivata l'adesione del giudice alle risultanze della CTU, secondo cui sarebbe da escludere che nella fattispecie ricorra - come sostenuto invece dall'Istituto - la diversa ipotesi di miglioramento delle patologie invalidanti, disciplinata da altra norma. Nel merito, premesso che l'abrogato art. 55 della legge n. 88 del 1989 non puo' assumersi a tertium comparationis, l'Avvocatura osserva che la norma impugnata e' frutto del consapevole bilanciamento, operato dal legislatore, tra gli aggravi di spesa e gli effetti positivi derivanti dal contenimento del contenzioso previdenziale e dalla certezza dei rapporti. Il potere di stabilire la misura e le variazioni dei trattamenti previdenziali e di comparare l'onere della spesa previdenziale con le esigenze dello stato sociale, del resto, rientrerebbe certamente - secondo l'Avvocatura - nell'ambito della discrezionalita' politica del legislatore, in quanto tale insindacabile, salva l'ipotesi, che nella specie sarebbe da escludere, della arbitrarieta' o palese irragionevolezza. Non sussisterebbe, dunque, violazione ne' dell'art. 97 ne' dell'art. 38 della Costituzione, considerato anche che il legislatore, escludendo dalla nuova disciplina i casi di rendite conseguite con dolo e colpa grave, ha inteso limitare il beneficio ai soli casi in cui il procedimento di accertamento della malattia invalidante risulti privo di vizi. 5.-- In prossimita' dell'udienza pubblica le parti private Cavallin, Favaron e Toppan hanno depositato una memoria illustrativa insistendo per la declaratoria di manifesta inammissibilita' della questione, in quanto il giudice a quo non avrebbe sperimentato la possibilita' di un'interpretazione adeguatrice della disposizione impugnata ne' motivato circa l'impossibilita' della stessa. La questione stessa sarebbe inoltre priva di rilevanza quanto all'ipotesi di casi definiti con sentenza passata in giudicato, non sussistendo nella fattispecie alcun accertamento con forza di giudicato. In ogni caso ben potrebbe la legge, in riferimento a situazioni durevoli, incidere sulla disciplina del periodo successivo al giudicato, secondo i consueti principi in tema di successioni di leggi nel tempo. Considerato in diritto 1. - Il giudice unico del lavoro del Tribunale di Treviso dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 9, commi 1, secondo periodo, 3, 5, 6 e 7, del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell'articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144). I commi 1 e 3 - prevedendo che l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) possa esercitare la facolta' di rettifica per errore delle prestazioni erogate entro dieci anni dalla comunicazione del provvedimento di attribuzione della rendita e che, decorso inutilmente tale termine, si consolidi il diritto del beneficiario al mantenimento delle prestazioni in godimento, pur in difetto dei presupposti di legge - violerebbero gli artt. 38 e 97 della Costituzione, ponendosi in contrasto sia con i principi su cui si fonda il sistema previdenziale, sia, per i maggiori oneri che ne conseguono a carico dell'INAIL, con il principio di buon andamento dei pubblici uffici. I commi 5, 6 e 7, che attribuiscono efficacia retroattiva alla suddetta disciplina, anche con riguardo a rapporti ormai esauriti in quanto prescritti o coperti da giudicato, sarebbero dal canto loro in contrasto con il principio di certezza del diritto enucleabile dall'art. 3 della Costituzione, disponendo l'applicazione del suddetto termine decadenziale anche in riferimento a provvedimenti di rettifica adottati nel vigore di una diversa disciplina che non prevedeva alcun termine di decadenza. 2. - Le eccezioni di inammissibilita' sollevate dalle parti costituite ed intervenute sono prive di fondamento. Affermando che «le conclusioni delle CTU non lasciano dubbi sul fatto che in tutti e tre i casi le originarie determinazioni dei gradi di invalidita' fossero sovrastimate per errore», il giudice a quo ha infatti adeguatamente motivato il proprio convincimento circa l'insussistenza dei presupposti per la procedura di revisione per miglioramento, attivata dall'INAIL, e la conseguente qualificazione dei provvedimenti impugnati dagli assicurati come rettifiche per errore. La descrizione della fattispecie e' d'altro canto sufficiente a dare conto della rilevanza della questione mentre e' infine del tutto plausibile - e del resto conforme alla giurisprudenza di legittimita' - l'interpretazione della norma sulla cui base la questione stessa e' prospettata. 3. - Nel merito la questione, quanto ai commi 1 e 3, non e' fondata. 3.1. - La norma impugnata introduce un termine decadenziale - peraltro di peculiare ampiezza - per l'esercizio, da parte dell'INAIL, dei poteri amministrativi di accertamento e rettifica dell'errore commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione delle prestazioni, salvi i casi di dolo o colpa grave dell'assicurato. La previsione di un tale termine - diversamente da quanto il rimettente assume - non si pone in contrasto con la funzione propria del sistema previdenziale, quale delineata dall'art. 38 della Costituzione, ma rappresenta una non irragionevole misura di tutela dell'assicurato in buona fede, quale controinteressato, rispetto all'esercizio di quei poteri. Da un lato, infatti, e' lecito presumere che, dopo il decorso di un congruo periodo di tempo dall'accertamento dell'invalidita', l'assicurato possa non essere piu' in grado di far valere adeguatamente i propri interessi nella procedura amministrativa di rettifica (ad esempio a causa della difficolta' di reperimento della documentazione medica dell'epoca), cosicche', sotto tale profilo, il termine decadenziale si configura quale strumento - del resto ben noto all'ordinamento - di garanzia del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione. Dall'altro lato non vi e' dubbio che l'esigenza di certezza nei rapporti giuridici puo' tradursi, nella specifica materia, in una legittima aspettativa, da parte dell'assicurato in buona fede, di stabilita' della prestazione previdenziale attribuita a seguito di un regolare procedimento accertativo e non rettificata entro un termine ragionevole, cosicche' per tale aspetto la norma realizza un contemperamento di interessi entrambi meritevoli di tutela. che, poi, l'inutile decorso del termine decadenziale determini - come espressamente dispone il comma 3 - il mantenimento di una prestazione economica astrattamente non dovuta costituisce conseguenza indiretta del meccanismo proprio della decadenza, di per se' non incompatibile con il citato art. 38 della Costituzione. 3.2. - E' poi da escludersi, sotto altro profilo, che la disciplina in esame violi il principio di buon andamento della pubblica amministrazione. Premesso, infatti, che la comparazione tra i maggiori oneri presumibilmente derivanti dalla introduzione del termine decadenziale ed i risparmi conseguenti alla probabile riduzione del contenzioso e' senz'altro riservata alla discrezionale valutazione del legislatore e, quindi, censurabile solamente nei limiti di una manifesta irragionevolezza che nella specie non e' sicuramente dato di ravvisare, giova comunque osservare che il pur ampio termine di cui si tratta assolve una obiettiva funzione acceleratoria riguardo all'esercizio dei poteri attribuiti all'INAIL e, pertanto, rappresenta uno strumento volto, sia pure indirettamente, ad accrescere l'efficienza dell'Istituto e dunque a favorire il buon andamento della sua azione, senza incidere, ovviamente, nel caso di errore non tempestivamente rettificato, sulle eventuali responsabilita' individuali. 4. - La questione di legittimita' costituzionale dei commi 5, 6 e 7 dello stesso art. 9, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, e' invece fondata. Tali norme - come si e' detto - consentono di impugnare i provvedimenti di rettifica adottati nel vigore dell'art. 55, comma 5, della legge 9 marzo 1989, n. 88 (Ristrutturazione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), che ne consentiva l'adozione senza limiti di tempo, al fine di far valere retroattivamente la violazione del termine decadenziale introdotto dalla nuova disciplina. E' senza dubbio vero - come ricorda la difesa dell'INAIL - che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il divieto di retroattivita' della legge non e' stato elevato a precetto costituzionale, salva, per la materia penale, la previsione dell'art. 25 della Costituzione. Questa stessa Corte ha tuttavia costantemente precisato che la retroattivita' deve comunque trovare giustificazione sul piano della ragionevolezza e non puo' trasmodare in regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori (si vedano, tra le tante, la sentenza n. 446 del 2002 e la sentenza n. 416 del 1999). Nel caso di specie, l'irragionevolezza della disposizione - sia per quanto si riferisce ai «casi prescritti o definiti con sentenza passata in giudicato», sia per quanto riguarda i casi non prescritti o non definiti da giudicato - e' di tutta evidenza, in quanto e' l'istituto stesso della decadenza che per sua natura non tollera applicazioni retroattive, non potendo logicamente configurarsi una ipotesi di estinzione del diritto (o, come nella specie, del potere) per mancato esercizio da parte del titolare, in assenza di una previa determinazione del termine entro il quale il diritto (o il potere) debba essere esercitato.