ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  deliberazione  della  Camera  dei  deputati
17 marzo  1998 relativa alla insindacabilita', ai sensi dell'art. 68,
primo  comma,  della  Costituzione,  delle opinioni espresse dall'on.
Nicola  Vendola  nei  confronti del dott. Paolo Foresti, promosso con
ricorso   della  Corte  d'appello  di  Roma,  sezione  prima  civile,
notificato il 18 febbraio 2003, depositato in cancelleria il 10 marzo
2003 ed iscritto al n. 6 del registro conflitti 2003.
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito nell'udienza pubblica del 5 aprile 2005 il giudice relatore
Romano Vaccarella;
    Udito l'avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Nel  corso  di  un processo civile per risarcimento danni,
promosso  da Paolo Foresti nei confronti del deputato Nicola Vendola,
detto  Nichi,  -  conseguente  alla  pubblicazione sul quotidiano «Il
Manifesto»  del  27 marzo  1997  di  un  articolo, a firma del citato
deputato,  contenente  apprezzamenti  diffamatori  nei  confronti del
Foresti,  all'epoca  ambasciatore  a  Tirana  - la Corte d'appello di
Roma,  sezione  prima  civile, ha sollevato con ordinanza 16 novembre
2001  (depositata  nella  cancelleria  della  Corte  il successivo 22
dicembre)  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato nei
confronti  della  Camera  dei  deputati  in  relazione  alla delibera
adottata  in  data  17 marzo  1998  (doc. IV-quater, n. 20): delibera
secondo  la  quale  le  dichiarazioni  per  le  quali  e' in corso il
procedimento   civile   concernono  opinioni  espresse  dal  deputato
nell'esercizio  delle  sue  funzioni di parlamentare, con conseguente
insindacabilita'   a   norma  dell'articolo 68,  primo  comma,  della
Costituzione.
    1.1. - La Corte d'appello ricorrente rammenta, in punto di fatto,
che  Paolo Foresti, con citazione notificata il 29 luglio 1997, aveva
convenuto   davanti   al  Tribunale  di  Roma  il  deputato  Vendola,
unitamente  al direttore responsabile del quotidiano «Il Manifesto» e
alla   societa'  cooperativa  editrice  Il  Manifesto,  per  sentirli
condannare  al risarcimento dei danni, ed inoltre al pagamento di una
somma  ulteriore  a  titolo  di  riparazione  ex  art. 12 della legge
8 febbraio  1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), conseguenti alla
pubblicazione  sul  quotidiano «Il Manifesto» del 27 marzo 1997 di un
articolo a firma del citato parlamentare nel quale si parlava - sotto
il  titolo  «Profughi  e  mafiosi» - di «un lestofante del calibro di
Paolo Foresti, nostro ambasciatore a Tirana e principale cerniera tra
l'Italietta dei predoni e un'Albania da colonia o da protettorato».
    Pervenuta  la  delibera  di  insindacabilita'  della  Camera  dei
deputati del 17 marzo 1998, il tribunale, con sentenza non definitiva
del  4 novembre 1999, reputando corretta tale esplicazione del potere
della  Camera, aveva dichiarato inammissibile la domanda avanzata nei
confronti del parlamentare.
    Avverso  questa  sentenza  aveva  proposto  appello  il  Foresti,
chiedendo   preliminarmente   che   fosse   sollevato   conflitto  di
attribuzione, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
in quanto non ricorrevano i presupposti di diritto per l'applicazione
a favore del deputato Vendola dell'immunita' di cui all'art. 68 Cost.
    1.2. - Tanto premesso, il giudice ricorrente sostiene che, con la
citata deliberazione, la Camera dei deputati avrebbe illegittimamente
esercitato  il proprio potere, immotivatamente affermando l'esistenza
di   un   collegamento   funzionale   tra   le  espressioni  ritenute
diffamatorie dal Foresti e l'attivita' parlamentare del Vendola.
    In  particolare,  secondo  la  Corte  d'appello,  le  espressioni
contenute  nell'articolo  a  firma del deputato Vendola non sarebbero
collegate all'esercizio della funzione parlamentare, ma conterrebbero
soltanto  pesanti  apprezzamenti personali espressi come un qualunque
privato  cittadino:  l'articolo  in  questione  non  concernerebbe il
dibattito parlamentare che in quei giorni si svolgeva sulla questione
albanese, ma si sostanzierebbe in un attacco diretto alla persona del
Foresti,  e  non  gia'  alla sua carica istituzionale di ambasciatore
italiano a Tirana.
    Le  dichiarazioni  del  deputato  Vendola,  quindi, non sarebbero
state  rese  nell'esercizio dell'attivita' parlamentare e la delibera
adottata  dalla Camera dei deputati sarebbe lesiva delle attribuzioni
della   giurisdizione   ordinaria,  in  quanto  il  potere  conferito
dall'art. 68  Cost.  sarebbe  stato  esercitato  in  modo distorto ed
arbitrario.
    La  Corte  d'appello  di  Roma,  pertanto,  solleva  conflitto di
attribuzione  ai  sensi  dell'art. 37  della  legge  n. 87 del 1953 e
chiede  a  questa  Corte  di accertare che non spetta alla Camera dei
deputati  dichiarare  la insindacabilita' delle opinioni espresse dal
deputato   Nicola  Vendola,  e,  conseguentemente,  di  annullare  la
deliberazione del 17 marzo 1998.
    2.  -  Il conflitto cosi' proposto e' stato giudicato ammissibile
con  ordinanza n. 31 del 2003, regolarmente notificata il 18 febbraio
2003  alla  Camera  dei  deputati,  a  cura del ricorrente, che ne ha
quindi  curato  il  deposito presso la cancelleria di questa Corte il
successivo 10 marzo 2003.
    3.  -  A  seguito  della notifica, si e' costituita la Camera dei
deputati  chiedendo  che il conflitto venga dichiarato irricevibile o
comunque respinto nel merito.
    3.1.  -  In  primo  luogo,  la  Camera rammenta che, ai sensi del
combinato   disposto   degli  articoli 26,  quarto  comma,  e  6  del
regolamento   della   Corte   costituzionale   16 marzo  1956  (Norme
integrative   per  i  giudizi  davanti  alla  Corte  costituzionale),
ciascuna  parte deve depositare in cancelleria gli atti e i documenti
«in  tante copie in carta libera quanti sono i componenti della Corte
e  le parti» e che «il cancelliere non puo' ricevere atti e documenti
(...)  che  non siano corredati del necessario numero di copie»; tale
norma  dimostrerebbe  «l'infungibilita'  del ricorso e dell'ordinanza
quale  strumento  utile  a  promuovere  conflitto di attribuzione tra
poteri  dello  Stato  (...)  (in  quanto) l'utilizzazione della forma
dell'ordinanza  comporta  la  violazione  del principio della parita'
delle armi tra le parti del giudizio».
    3.2.   -   Nel  merito,  osserva  la  difesa  della  Camera  che,
nell'imminenza   e  subito  dopo  la  manifestazione  delle  opinioni
espresse dal deputato Vendola, vi fu un acceso dibattito parlamentare
sulla  situazione albanese e sul ruolo dell'ambasciatore Foresti, con
particolare   riguardo   allo   scandalo   delle   c.d.  «finanziarie
piramidali»  ed  alle  «accuse  di  oscuri  rapporti tra criminalita'
organizzata  italiana  e  albanese,  coperti  dal  Governo  all'epoca
insediato a Tirana».
    In tale quadro, che ha visto l'intervento in sede parlamentare di
numerosi  deputati,  appartenenti a diversi schieramenti politici, si
collocherebbero,  con  tratto  non  innovativo,  le dichiarazioni del
Vendola contenute nell'articolo di stampa in questione.
    3.2.1. - In particolare, la difesa della Camera ricorda:
        a)  le  dichiarazioni  rese,  nella  seduta del 4 marzo 1997,
dall'on.  Brunetti  (sul  «coacervo  di forze politico-mafiose che ha
trovato  sostegno nel Governo» e sulla «inspiegabile compiacenza» nei
confronti degli eventi albanesi);
        b)  le  dichiarazioni  rese,  nella  seduta del 5 marzo 1997,
dall'on.  Leccese e dall'on. Calzavara (di forte critica all'appoggio
italiano   al   governo  Berisha)  e  dall'on.  Danieli  (di  critica
all'ambasciatore Foresti per il sostegno al governo Berisha);
        c)  le  dichiarazioni  rese, nella seduta del 22 maggio 1997,
dall'on.   Mantovani   (che   sollecitava  il  Governo  a  «procedere
all'avvicendamento  dell'ambasciatore  Foresti»  per,  in  tal  modo,
parzialmente  «riparare  il  danno  enorme  che  il  nostro  paese  e
soprattutto  il processo democratico di pacificazione dell'Albania ha
sicuramente subito») e dall'on. Gramazio;
        d)  le  dichiarazioni  rese,  nella seduta del 5 giugno 1997,
dall'on.  Mantovani,  dall'on.  Lembo  e dall'on. Cavaliere, di forte
critica  all'ambasciatore  Foresti  che «stava svolgendo una funzione
non negli interessi del paese»;
        e)  le  dichiarazioni  rese, nella seduta del 12 giugno 1997,
dall'on. Gnaga circa «interessi (...) coperti dalla nostra ambasciata
di Tirana»;
        f)  le  dichiarazioni  rese, nella seduta del 17 giugno 1997,
dall'on.   Brunetti  circa  la  «lobby  mafioso-massonica-affaristica
pericolosa che opera in Albania»;
    Di qui l'osservazione che «sull'operato dell'ambasciatore Foresti
si  sono  prospettati,  in  sede parlamentare, gravissimi dubbi» e la
conclusione  che  «le  affermazioni  contestate all'on. Vendola nulla
hanno  aggiunto  a  quanto era gia' stato detto, forse con toni ancor
piu' duri nella sostanza, nel recinto parlamentare».
    3.2.2.  -  La  deducente  indica,  inoltre,  quali atti ispettivi
compiuti  dal  deputato  Vendola  -  in  alcuni casi insieme ad altri
deputati  del  proprio  gruppo  parlamentare,  sia  anteriormente che
successivamente  alla  pubblicazione  dell'articolo  in  questione  -
idonei  a  rivelare  il  collegamento  con le opinioni espresse extra
moenia:  1)  una  interrogazione parlamentare del 10 ottobre 1996 con
cui  il  parlamentare  rilevava  «la  responsabilita' dell'ambasciata
d'Italia  a  Tirana»  in relazione all'immigrazione clandestina quale
«fenomeno  incoraggiato  dalla  lentezza  estenuante  dei visti e dei
permessi  di  espatrio»; 2) una mozione del 7 aprile 1997, presentata
anche  dal  Vendola, con cui si lamentavano i «brogli elettorali» che
si  sarebbero  avuti  in Albania e si rimproverava al Governo di aver
«favorito  interventi  economici  e  imprenditoriali piu' simili a un
vero  e  proprio arrembaggio che non ad aiuti»; 3) una interrogazione
del  1 aprile 1997, presentata anche dal Vendola, con cui si chiedeva
al  Governo di «accelerare la sostituzione dell'ambasciatore italiano
a Tirana con un nuovo diplomatico, non compromesso con la politica di
aperto  sostegno  a  Berisha ed al suo regime»; 4) una interrogazione
del  3  giugno 1997  e  una  interpellanza  del  successivo 4 giugno,
presentate  anche  dal Vendola, con le quali, rinnovando la richiesta
di  rimozione  di  Foresti,  si  deplorava  il  fatto che «la mancata
sostituzione  di  Paolo  Foresti  dalla  sede diplomatica italiana in
Albania continua ad essere motivo pregiudicante l'immagine e la linea
politica dell'Italia in quel Paese».
    3.3.  - Ad avviso della Camera, la corrispondenza sostanziale tra
gli  addebiti  cosi' formulati dal deputato Vendola a carico di Paolo
Foresti  in sede parlamentare e quelli poi circostanziati sulla carta
stampata  non  risulterebbe  interrotta  dalla  «modesta  e marginale
diversita'  delle  singole  parole  impiegate»;  ne',  altrimenti, ad
avviso   della   deducente,   parrebbe   influire   negativamente  la
posteriorita',  rispetto  alla pubblicazione dell'articolo de quo, di
alcuni  degli atti tipici indicati, dovendo comunque essere collocate
tutte  le  manifestazioni di pensiero evocate in un medesimo contesto
(c.d.  contestualita'  sostanziale),  caratterizzato  dall'assenza di
cesure  in ordine al dibattito parlamentare sui temi della situazione
albanese e del ruolo rivestito dall'ambasciatore Foresti.
    La  Camera  ritiene inoltre ininfluente, ai fini dell'attivazione
della  garanzia  dell'art. 68, primo comma, Cost., la circostanza che
alcuni degli atti parlamentari ispettivi richiamati siano ascrivibili
alla paternita' di altri deputati, tenuto conto che, «se il contenuto
sostanziale  delle  dichiarazioni  e'  il  medesimo, l'ammissione del
sindacato su quelle «esterne» determinerebbe comunque un'interferenza
con  quelle  «interne»  e  quindi  la violazione degli artt. 67 e 68,
primo  comma,  Cost.,  quale  che  fosse l'identita' del parlamentare
dichiarante».
    3.4.  -  Cio'  premesso,  la  deducente  auspica  che  i principi
formulati  nelle sentenze numero 10 e numero 11 del 2000 conducano la
Corte   a   precisare   il   proprio   indirizzo   interpretativo   -
condivisibilmente  fondato  sull'esclusione  del  «nesso  funzionale»
quando  le  dichiarazioni extra moenia siano riferibili genericamente
alla  «attivita'  politica  intesa  in  senso  lato»  - estendendo la
copertura  dell'art. 68,  primo  comma, Cost. alle «opinioni connesse
alla  politica parlamentare», posto che «il fatto ch'esse siano state
manifestate  extra  anziche'  intra moenia e' meramente accidentale»:
dal  principio  per  cui le opinioni dei rappresentanti della Nazione
sono  tutelate  anche  se manifestate fuori del recinto parlamentare,
discenderebbe  che  «il  discrimine  tra cio' che deve e cio' che non
puo'  essere  tutelato non puo' che stare nella oggettiva connessione
delle opinioni con il complessivo contesto parlamentare».
    4.   -  Nell'imminenza  della  pubblica  udienza,  la  Camera  ha
depositato  una memoria nella quale - ricordati gli atti parlamentari
tipici (sintetizzati sub 3.2.1. e 3.2.2.) ai quali si riallacciano le
affermazioni  del  deputato  Vendola  che hanno originato il presente
giudizio  - si ribadisce, in primo luogo, l'esigenza di non escludere
l'applicabilita'  dell'art. 68  primo  comma,  Cost.,  quando  vi sia
sostanziale  coincidenza  delle dichiarazioni extra moenia con quelle
rese in sede parlamentare da altro membro delle Camere.
    L'immunita',  infatti,  e' istituto che tutela le Camere, e non i
loro   membri,  e  contrasta  con  tale  sua  oggettiva  funzione  il
consentire   che  l'autorita'  giudiziaria  sindachi  nel  merito  la
dichiarazione  resa  in sede parlamentare sol perche' esternata fuori
dal  Parlamento  da  un  membro  delle  Camere diverso dal suo autore
originario.
    Aggiunge  la  difesa  della Camera che questa Corte - se si e' di
recente  espressa, in senso contrario, sulla questione appena esposta
(sentenza  n. 347  del  2004)  - non ha mai preso esplicita posizione
sulla  questione,  decisiva  nel caso di specie, dell'appartenenza al
medesimo   gruppo   parlamentare   sia  dell'autore  originale  delle
dichiarazioni  sia  di  chi  le  ha  sostanzialmente riprodotte extra
moenia:  questione  che,  quand'anche non si aderisse alla tesi della
sufficienza  della sola sostanziale corrispondenza oggettiva con atti
tipici  posti  in  essere  da  qualsiasi  atto parlamentare, presenta
l'esigenza  di  farsi  carico  del  ruolo che al gruppo parlamentare,
comunque  lo si voglia definire, il diritto positivo attribuisce come
«uno  dei  modi,  se non il principale, di organizzazione delle forze
politiche in seno al Parlamento (...), come il riflesso istituzionale
del pluralismo politico» (sentenza n. 298 del 2004; n. 49 del 1998).
    A  riprova del fatto che «gli atti tipici di funzione degli altri
parlamentari   appartenenti  al  gruppo  non  possono  restare  senza
influenza  alcuna  sulla  ricostruzione  del  nesso funzionale tra le
dichiarazioni  extra  moenia  e quelle intra moenia», la difesa della
Camera  cita le norme del regolamento della Camera le quali - imposto
ad ogni deputato l'obbligo di aderire ad un gruppo (art. 14, comma 3)
- prevedono che sulla discussione delle linee generali di un progetto
di legge intervenga un deputato per gruppo (art. 83, comma 1); che un
deputato  per  gruppo possa formulare dichiarazioni di voto (art. 85,
comma 7),  contemplando  come  residuale  l'ipotesi  del dissenso del
singolo  membro dal gruppo; che l'interrogazione a risposta immediata
possa essere presentata da un deputato per ciascun gruppo, tramite il
Presidente  del  gruppo; la rilevanza delle interrogazioni presentate
da  un  gruppo  su altre interrogazioni vertenti su altre materie; la
fungibilita'  tra presentatore dell'interrogazione e altro membro del
gruppo  ai  fini della replica (art. 135-bis, commi 2, 3, 4; 135-ter,
commi 2  e  4).  Tali  norme  presuppongono che il coordinamento e la
condivisione  dell'azione  istituzionale,  che e' la ragione d'essere
del  gruppo  parlamentare,  non  possono essere privi di rilevanza ai
fini della sussistenza del nesso funzionale tra le dichiarazioni rese
extra  moenia  da  un  parlamentare e quelle espresse intra moenia da
altri esponenti del medesimo gruppo.

                       Considerato in diritto

    1. - La Corte d'appello di Roma - investita dell'appello promosso
da  Paolo  Foresti avverso la sentenza non definitiva con la quale il
Tribunale  di  Roma  aveva  dichiarato  inammissibile  la  domanda di
risarcimento  dei  danni  proposta  nei confronti del deputato Nicola
(Nichi)  Vendola, in adesione alla delibera adottata dalla Camera dei
deputati  in  data  17 marzo  1998  (doc. IV-quater, n. 20) che aveva
qualificato   come   esercizio   delle   funzioni   parlamentari   le
affermazioni  contenute  in  un articolo apparso il 27 marzo 1997 sul
quotidiano  «Il  Manifesto»  - ha sollevato conflitto di attribuzione
nei  confronti  della  Camera  dei  deputati in relazione alla citata
delibera,   chiedendone   l'annullamento  in  quanto  invasiva  delle
attribuzioni dell'autorita' giudiziaria.
    Ad  avviso della Corte d'appello, infatti, la Camera dei deputati
avrebbe  fatto  non  corretta applicazione dell'art. 68, primo comma,
Cost.,   qualificando  come  esercizio  della  funzione  parlamentare
l'affermazione  -  contenuta  nell'articolo  intitolato  «Profughi  e
mafiosi»  - secondo la quale «sotto l'ombrello dell'impostura e della
mala  informazione  possiamo  persino  proteggere  (con l'incredibile
avallo  del  sempre  piu'  incredibile  sottosegretario  Fassino)  un
lestofante del calibro di Paolo Foresti, nostro ambasciatore a Tirana
e  principale  cerniera  tra  l'Italietta dei predoni e un'Albania da
colonia o da protettorato».
    In particolare, a giudizio della Corte d'appello, immotivatamente
sarebbe stato ritenuto sussistente il collegamento funzionale di tali
affermazioni con l'attivita' parlamentare del Vendola: ed infatti, da
un  lato,  nella  frase  in questione sarebbero ravvisabili «soltanto
pesanti  apprezzamenti  personali  espressi come un qualunque privato
cittadino»  e, dall'altro lato, non vi sarebbe alcun collegamento tra
il  dibattito parlamentare sulla questione albanese e la qualifica di
«lestofante»  riferita  al  Foresti  non  «come  ad  esponente  della
istituzione,  ma  ad  un  singolo  individuo accusato di rapporti non
chiari  con  le  mafie locali e non quindi di una conduzione politica
come espressione della politica estera del governo stesso».
    Di  qui  la proposizione del conflitto di attribuzioni avverso la
delibera  di  insindacabilita'  del  17 marzo 1998, che sarebbe stata
adottata  in  assenza  dei  presupposti richiesti dall'art. 68, primo
comma,    Cost.,   con   conseguente   lesione   delle   attribuzioni
dell'autorita' giudiziaria.
    2.   -  Preliminarmente,  deve  essere  respinta  l'eccezione  di
irricevibilita'  del conflitto proposta, nell'atto di costituzione in
giudizio, dalla Camera dei deputati.
    Come la stessa difesa della Camera non manca di ricordare, questa
Corte  ha  piu'  volte  affermato  che  l'utilizzazione  della  forma
dell'ordinanza,  in  luogo  di  quella  del ricorso, per sollevare il
conflitto  di  attribuzioni  non  ne determina l'irricevibilita' (ne'
l'inammissibilita)  quando  l'atto «abbia i requisiti di sostanza del
ricorso»  (da ultimo, sentenza n. 298 del 2004); ne' v'e' ragione per
rivedere   una   giurisprudenza   che   fa   applicazione  in  quello
costituzionale di un principio generale del processo.
    E'  appena  il  caso  di  rilevare, peraltro, che l'utilizzazione
della  forma  dell'ordinanza  non implica, di per se', l'inosservanza
delle  prescrizioni  di  cui all'art. 6 delle norme integrative per i
giudizi  davanti  alla  Corte  costituzionale,  e che - anche a voler
prescindere  dal  rilievo che tale inosservanza non e', nella specie,
nemmeno   dedotta   ma  solo  arguita  come  conseguenza  naturale  e
necessitata  dell'adozione  dell'ordinanza  in  luogo  del  ricorso -
l'asserita  violazione del cit. art. 6 non risulta aver in alcun modo
pregiudicato, o reso meno agevole, l'attivita' difensiva della Camera
resistente. Cio' e' dimostrato dal carattere meramente astratto della
denunciata violazione del principio di eguaglianza e del principio di
parita'  fra  le  parti  del  giudizio: principio che non consente di
addossare  oneri  squilibrati  alle parti di un medesimo giudizio, ma
che  certamente  e'  male  invocato  quando si sostiene che la difesa
della  Camera,  se  ricorrente,  si  sobbarca  all'onere  di produrre
numerose copie del ricorso laddove l'autorita' giudiziaria, quando e'
ricorrente,  si  sottrae  a  tale  «difficolta'  materiale».  La  par
condicio   non  ha  nulla  a  che  vedere  con  una  fattispecie  che
richiederebbe,   nell'auspicio   della   difesa   della  Camera,  una
applicazione  (non  tanto  rigorosa,  quanto)  rigidamente  letterale
dell'art. 6   cit.   da  parte  della  cancelleria  della  Corte  nel
sanzionare   una   irregolarita'   formale,   pur  se  non  idonea  a
pregiudicare in qualsiasi modo la controparte.
    2.1.  -  Nel  merito,  il  ricorso  dell'autorita' giudiziaria e'
fondato.
    2.2.   -  Nella  relazione  all'assemblea  della  Giunta  per  le
autorizzazioni  a  procedere  in giudizio si afferma essere «evidente
che  il  deputato  Vendola  ha  agito  nella  sua  veste parlamentare
esercitando  un  legittimo  diritto di critica e che la stessa parola
«lestofante»,   riferita  al  dottor  Foresti,  si  iscrive  non  con
riferimento  alla  sua  individualita', ma a lui come esponente della
istituzione,  e  cioe'  dell'ambasciata  italiana»,  deducendone  che
«l'epiteto,  ingiurioso  in  se'  e per se' considerato, e' diretto a
innervare    un    durissimo   attacco   alla   conduzione   politica
dell'ambasciata come espressione della politica estera del Governo».
    La   Corte   d'appello  ha  ritenuto  immotivata  tale  delibera,
essendosi  la  Camera  limitata ad esprimere una valutazione circa il
carattere   lato  sensu  politico  delle  affermazioni  del  deputato
Vendola:  carattere politico che, come ricorda (e consente) la difesa
della Camera, non e' idoneo da solo a giustificare l'immunita' di cui
all'art. 68,  primo comma, Cost. secondo l'ormai risalente e costante
giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n. 28 del 2005).
    2.3.  -  La  difesa  della Camera ha sollecitato una pronuncia di
rigetto  del conflitto osservando che: a) una serie di atti ispettivi
del  deputato  Vendola dimostrerebbe l'esistenza del nesso funzionale
tra  la  funzione  parlamentare cosi' esercitata e le affermazioni in
questione;  b)  ad  analogo  risultato condurrebbero - nell'auspicata
revisione dell'indirizzo recentemente espresso dalla Corte, revisione
suggerita   da   un'adeguata  considerazione  di  tutte  le  esigenze
contemplate  dalla  lettera  e dalla ratio dell'art. 68, primo comma,
Cost.  -  numerosi  atti  parlamentari  tipici  posti  in essere, con
sostanziale  contestualita'  e  corrispondenza di contenuti, da altri
deputati;  c)  a  fortiori,  una  adeguata  considerazione  del ruolo
assegnato,   dal   vigente   regolamento   della  Camera,  ai  gruppi
parlamentari  impone  di ritenere che l'immunita' di cui all'art. 68,
primo  comma,  Cost., non possa negarsi al parlamentare che riproduca
extra  moenia  dichiarazioni  rese da altro deputato, appartenente al
medesimo gruppo, nell'esercizio intra moenia delle sue funzioni.
    2.3.1.  -  Pregiudiziale  ad  ogni  altra  e'  la questione della
sussistenza  di  un nesso funzionale tra gli atti tipici del deputato
Vendola,  indicati  dalla  difesa  della  Camera,  e le dichiarazioni
contenute nell'articolo apparso su «Il Manifesto» del 27 marzo 1997.
    Premesso  che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte
(da  ultimo,  sentenza n. 28 del 2005), tale nesso sussiste quando e'
ravvisabile  «una  sostanziale corrispondenza di significato» tra gli
uni e le altre, e' agevole rilevare che di sostanziale corrispondenza
non  puo'  certamente  parlarsi  con riguardo agli atti ispettivi del
deputato  Vendola: ne' in quello (l'unico) anteriore al 27 marzo 1997
(nell'interrogazione del 10 ottobre 1996 si imputa all'ambasciata che
la   lentezza   nel  rilascio  dei  visti  incoraggia  l'immigrazione
clandestina),  ne'  in  quelli posteriori indicati dalla difesa della
Camera  (aventi  ad  oggetto  ora l'appoggio del Governo italiano ora
anche  quello  dell'ambasciata  italiana  al governo Berisha) e' dato
riscontrare  altro che una generica comunanza tematica (la situazione
albanese  e  la  politica estera italiana), mentre il loro oggetto e'
sostanzialmente  diverso da quello di cui all'articolo apparso su «Il
Manifesto»,  nel  quale  si  imputa  al  Paolo  Foresti, dandogli del
«lestofante»,  di  essere  la «cerniera tra l'Italietta dei predoni e
un'Albania da colonia o da protettorato».
    2.4. - La difesa della Camera, nel mentre sollecita una revisione
in termini generali dell'indirizzo espresso dalla sentenza n. 347 del
2004  (cfr.  anche  la  sentenza  n. 164  del  2005)  fondandosi  sul
sindacato  cui  sarebbero indirettamente sottoposti atti tipici della
funzione  parlamentare  sol  perche'  esternati extra moenia da altro
parlamentare,  osserva che questa Corte non ha mai avuto occasione di
pronunciarsi  sul  caso  (costituente  una  species  dell'altro)  del
parlamentare che esterni l'oggetto di atto tipico di altro membro del
suo gruppo.
    Questa  Corte  ha gia' avuto modo, qualificando atto parlamentare
la  missiva indirizzata al proprio capo-gruppo da un parlamentare, di
ravvisare  nei  gruppi  parlamentari  «il  riflesso istituzionale del
pluralismo  politico»  (sentenza n. 298 del 2004): tanto premesso, la
difesa  della  Camera  sostiene che, coerentemente, la Corte dovrebbe
dedurne  che,  come  nell'ambito  dell'attivita'  istituzionale intra
moenia   l'appartenenza   al  medesimo  gruppo  consente  perfino  la
fungibilita'  tra i membri del gruppo stesso in quanto contribuiscono
tutti  all'azione  politico-istituzionale comune, cosi' il membro del
gruppo  che  esterni extra moenia quanto altro membro ha espresso nel
recinto  parlamentare  lo  farebbe  -  sulla base di un rapporto piu'
intenso di quello con un qualsiasi altro parlamentare - relativamente
ad  atti tipici nei quali si esprime un'azione politico-istituzionale
che e' del gruppo, e che, quindi, e' anche sua propria.
    2.5.  -  Le  due  ipotesi - nelle quali si articola il caso della
riproduzione extra moenia di dichiarazioni altrui - hanno tuttavia in
comune  un elemento che, in quanto logicamente preliminare, impedisce
in  questa sede - oltre che il sollecitato riesame della prima e piu'
generale  questione  (riproduzione  di  atti  di  un  qualsiasi altro
parlamentare)   --l'esame   della   specifica  questione  riguardante
l'appartenenza   (dell'autore  originario  e  dell'esternatore  extra
moenia)   al  medesimo  gruppo  parlamentare:  entrambe  le  ipotesi,
infatti,  richiedono  che  vi  sia,  quanto meno ed in ogni caso, una
sostanziale  corrispondenza  tra le dichiarazioni rese extra moenia e
quelle  rese  -  da  un  altro qualsiasi parlamentare ovvero da altro
parlamentare del medesimo gruppo -- intra moenia.
    2.5.1.  -  Di corrispondenza sostanziale non puo' parlarsi (cosi'
come  per  gli atti tipici del deputato Vendola) neanche con riguardo
ad  atti tipici posti in essere da altri parlamentari, appartenenti o
non  al medesimo gruppo politico del Vendola: cosi' quando oggetto di
censura  e' la politica albanese del Governo italiano (seduta 4 marzo
1997,  on.  Brunetti; seduta 5 marzo 1997, on. Leccese e Calzavara) o
genericamente  la  «lobby  mafioso-massonica-affaristica che opera in
Albania»  (seduta  17  giugno 1997,  on.  Brunetti)  o il Foresti per
l'appoggio dato al governo Berisha (seduta 5 marzo 1997, on. Danieli;
seduta 22 maggio 1997, on. Mantovani e Gramazio) o il Foresti perche'
svolgeva  una  «funzione  non  negli  interessi  del paese» (seduta 5
giugno 1997)  ovvero ancora, infine, l'ambasciata italiana (seduta 12
giugno 1997).
    In  tutti  questi  atti  - e, come si e' detto, la circostanza e'
dirimente,  nel  caso  di  specie,  essendo  superfluo  occuparsi del
logicamente   successivo   problema  della  eventuale  rilevanza  del
rapporto  con altri parlamentari, di altro o del medesimo gruppo - e'
ravvisabile soltanto una generica comunanza tematica costituita dalla
linea    politica    seguita    (ora   dal   Governo   italiano   ora
dall'ambasciatore) nella «gestione» della situazione albanese, ma non
anche  una  sostanziale corrispondenza con l'oggetto dell'articolo di
stampa,  incentrato  sul ruolo attribuito al Foresti - «lestofante» -
di  essere  la  «principale  cerniera  tra  l'Italietta dei predoni e
un'Albania da colonia o da protettorato».