ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 25, comma 1,
del  decreto  legislativo  17 gennaio  2003,  n. 5  (Definizione  dei
procedimenti  in  materia  di diritto societario e di intermediazione
finanziaria,  nonche' in materia bancaria e creditizia, in attuazione
dell'articolo 12  della  legge  3 ottobre 2001, n. 366), promosso con
ordinanza   del   17  giugno 2004  dal  tribunale  di  Agrigento  nel
procedimento  civile  vertente  tra Curatela del Fallimento So.Ge.Im.
s.p.a.  e  la  Sicilcantieri  s.r.l., iscritta al n. 845 del registro
ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 44, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 6 aprile 2005 il giudice
relatore Annibale Marini.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il  Tribunale  di  Agrigento, nel corso di un procedimento
camerale  in  materia societaria, con ordinanza del 17 giugno 2004 ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3  e  76 della Costituzione,
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 25, comma 1, del
decreto   legislativo   17 gennaio   2003,   n. 5   (Definizione  dei
procedimenti  in  materia  di diritto societario e di intermediazione
finanziaria,  nonche' in materia bancaria e creditizia, in attuazione
dell'articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), «nella parte in
cui  individua il giudice territorialmente competente solo in base al
luogo  in  cui  la  societa'  ha  la sede legale, anziche' secondo le
regole generali».
    Premette  il  Tribunale  rimettente di essere investito, ai sensi
degli  artt. 2485 e 2487 del codice civile, della richiesta, avanzata
dal  socio totalitario di una societa' a responsabilita' limitata, di
adozione  dei  provvedimenti  idonei  ad  ovviare  alla inerzia degli
amministratori, a seguito della chiusura della procedura fallimentare
per essere la societa' tornata in bonis.
    Disposta  la  comparizione delle parti, la societa' resistente ha
eccepito  l'incompetenza  per  territorio del giudice adito, ai sensi
del  citato  art. 25, comma 1, del decreto legislativo n. 5 del 2003,
avendo essa la propria sede legale in Roma.
    L'eccezione,  tempestivamente  sollevata, sarebbe - ad avviso del
rimettente   -  fondata,  non  consentendo  la  norma  evocata  altra
interpretazione  se  non  quella  secondo  la quale la competenza per
territorio  spetta  in  via  esclusiva,  nei procedimenti camerali in
materia societaria, al tribunale del luogo ove la societa' ha la sede
legale, che risulta nella specie essere effettivamente Roma.
    Ritiene  tuttavia  il  giudice a quo che la norma suddetta violi,
sotto  tale  aspetto,  il  criterio  direttivo  di  cui  all'art. 12,
comma 1, della legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Delega al Governo per la
riforma  del  diritto societario), costituito dal divieto di modifica
della competenza per territorio.
    In  base  al  combinato  disposto  degli  artt. 19  del codice di
procedura  civile e 46, secondo comma, del codice civile, infatti, il
foro  generale  delle  persone  giuridiche,  comprese le societa', e'
rappresentato,  indifferentemente,  dal  luogo ove esse hanno la sede
legale  ovvero  da  quello  ove  hanno  la sede effettiva. La novella
legislativa,  escludendo  la  competenza del giudice del luogo ove la
societa'   ha  la  sede  effettiva,  avrebbe  dunque  modificato,  in
violazione  della  delega,  la  competenza  per territorio, quanto ai
procedimenti   camerali   nelle   materie   riguardate   dal  decreto
legislativo.
    Sotto  diverso profilo, la norma impugnata violerebbe altresi' il
principio  di  eguaglianza  di  cui  all'art. 3  della  Costituzione,
determinando   un'irragionevole   diversita'   di   trattamento   tra
fattispecie processuali omogenee.
    Osserva  al  riguardo  il  rimettente  che, in base agli artt. 2,
comma 1,  e  1,  comma 4,  dello  stesso decreto legislativo n. 5 del
2003,  resta  ferma,  per i procedimenti ordinari di cognizione nella
medesima materia societaria, la competenza per territorio individuata
in base alle regole generali.
    Ne  discenderebbe, dunque, la coesistenza di regole di competenza
per  territorio  diverse  tra  procedimenti  di cognizione ordinari e
procedimenti  camerali,  pur  riguardando controversie attinenti alla
medesima  materia  societaria, sottoposte all'uno o all'altro rito in
base alla discrezionale valutazione del legislatore.
    Aggiunge  il  giudice  a  quo  che la disciplina introdotta dalla
norma  impugnata  si porrebbe oltretutto in contrasto con la tendenza
di  fondo  dell'ordinamento  in  materia  di  controversie  con  enti
societari.  Per  le  societa'  non  personificate  vige,  infatti, il
principio  secondo  cui  la competenza spetta al giudice del luogo in
cui  esse  svolgono  attivita' in modo continuativo (art. 19, secondo
comma,   del  codice  di  procedura  civile);  nelle  leggi  speciali
sull'insolvenza  delle  imprese  collettive  sarebbe «predominante il
riferimento  alla  sede  principale  per  radicare  la competenza per
territorio»;  in  sede  comunitaria rappresenterebbe, infine, diritto
vivente  il prevalente rilievo attribuito, ai medesimi fini, al luogo
in  cui  e'  situato  il  centro  degli  interessi  principali  della
societa',  che solo si presume coincidente, salva la prova contraria,
con la sede statutaria.
    2.  -  E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  secondo  il  quale  la  questione  «sembra risolvibile in via
interpretativa».
    La  parte  pubblica,  premesso  che  la Relazione illustrativa al
decreto  legislativo  dimostra  che  il  legislatore delegato era ben
consapevole  del  divieto  di modificazione dei criteri di competenza
territoriale,   osserva  che  il  tenore  della  norma  impugnata  e'
sostanzialmente   uguale  a  quello  della  disposizione  codicistica
relativa  al  foro  generale  delle  persone  giuridiche  ed  assume,
pertanto,  che  la norma stessa possa e debba essere interpretata nel
senso  di  ritenere  competente  anche  il  giudice  del luogo ove la
societa' ha la sede effettiva.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Tribunale  di  Agrigento  dubita,  in riferimento agli
artt. 3  e  76  della Costituzione, della legittimita' costituzionale
dell'art. 25,  comma 1, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5
(Definizione  dei  procedimenti in materia di diritto societario e di
intermediazione   finanziaria,   nonche'   in   materia   bancaria  e
creditizia,  in  attuazione  dell'articolo 12  della  legge 3 ottobre
2001,   n. 366),  secondo  cui  la  competenza  per  territorio,  nei
procedimenti  camerali  relativi alle materie riguardate dal predetto
decreto  legislativo,  spetta al giudice del luogo ove la societa' ha
la sede legale.
    Ad  avviso  del  rimettente  la  norma  -  escludendo il criterio
generale di competenza che ha riguardo al luogo ove la societa' ha la
sede  effettiva - violerebbe il principio direttivo rappresentato dal
divieto  di  introdurre  modifiche  alla competenza per materia o per
territorio   ed   introdurrebbe   una  ingiustificata  disparita'  di
trattamento  rispetto  ai  procedimenti  ordinari di cognizione nella
medesima   materia   societaria,   per   i  quali  rimarrebbe  invece
applicabile il suddetto criterio generale.
    2. - La questione non e' fondata.
    2.1.  -  Va  premesso  che l'interpretazione da cui il rimettente
muove - secondo la quale la norma impugnata esclude la competenza per
territorio  di giudici diversi da quello del luogo ove la societa' ha
la  propria  sede  legale - e' sicuramente l'unica compatibile con il
dato  letterale, tenuto conto dell'espresso riferimento, da parte del
legislatore  delegato,  alla  «sede  legale»  della  societa'  e  non
genericamente  alla  sua  «sede»,  secondo la terminologia utilizzata
dall'art. 19 del codice di procedura civile.
    Deve  pertanto  escludersi  che  la  questione possa risolversi -
cosi'  come  prospetta  la  parte  pubblica  - in via interpretativa,
mediante  cioe' una lettura della disposizione che sostanzialmente ne
neghi la portata innovativa.
    2.2. - Con riferimento al prospettato vizio di eccesso di delega,
giova  osservare  che  il principio direttivo contenuto nell'art. 12,
comma 1, della legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Delega al Governo per la
riforma  del diritto societario), costituito dal divieto di modifiche
della  competenza  per  territorio  e  per  materia, trova la propria
spiegazione  e  la  propria  ratio  -  come risulta con chiarezza dai
lavori  preparatori  della  legge  -  nel  dibattito  sviluppatosi, a
livello  politico, riguardo ad una possibile, radicale modifica delle
regole  di  competenza,  nel  senso  di  attribuire i procedimenti in
materia societaria alla competenza esclusiva di sezioni specializzate
istituite  presso  i  tribunali delle citta' sede di corte di appello
ovvero,  secondo  altra  proposta,  presso  i  tribunali delle citta'
capoluogo di provincia.
    Fu, infatti, con specifico riguardo all'esito di tale dibattito -
essendo infine prevalsa la tesi contraria alla prospettata modifica -
che il legislatore delegante introdusse, tra i principi della delega,
il   divieto   di   cui  si  tratta,  al  quale  quindi  non  sarebbe
ermeneuticamente corretto attribuire il significato di una previsione
di  assoluta  e  generalizzata  intangibilita'  di tutte le regole di
competenza  precedentemente  vigenti; cio' tanto piu' se si considera
che,  con  specifico  riguardo  ai procedimenti camerali, il comma 2,
lettera f),  dello  stesso  art. 12  detta  quale  criterio direttivo
prevalente quello della «rapidita» di tali procedimenti, nel rispetto
dei principi del giusto processo.
    2.3.   -  Alle  osservazioni  che  precedono  occorre,  altresi',
aggiungere,  sempre  al  fine di escludere con certezza la violazione
dell'art. 76  della  Costituzione,  l'assorbente rilievo che la norma
impugnata  non  individua  un  diverso  criterio  di  competenza  per
territorio,  ma  interviene sul criterio gia' utilizzato dall'art. 19
del  codice  di  procedura  civile,  sostanzialmente  precisandone il
significato,  nel senso che - ai fini del procedimento camerale - per
sede  della  societa'  deve  intendersi  soltanto la sede legale, con
esclusione della cosiddetta sede effettiva.
    La  ratio  di tale intervento si ricollega, con ogni evidenza, al
richiamato   criterio  direttivo  della  rapidita'  del  procedimento
camerale,  essendo  ben noto come l'onere - gravante sull'attore - di
dimostrare  l'esistenza della sede effettiva della societa' nel luogo
ove siede il giudice adito determini il piu' delle volte un incongruo
appesantimento dell'istruttoria, con ovvio pregiudizio delle esigenze
di celerita' che sono viceversa alla base stessa del rito camerale.
    2.4.  - La sottolineata specificita' del rito camerale determina,
sotto altro aspetto, l'infondatezza della censura riferita all'art. 3
della  Costituzione,  non  sussistendo  tra  il processo ordinario di
cognizione  ed  il  procedimento camerale la omogeneita' necessaria a
rendere  comparabili le rispettive discipline ai fini dello scrutinio
riferito al principio di eguaglianza.