IL TRIBUNALE Nella causa n. 2150/2004 R.G., a scioglimento della riserva, visto il decreto di fissazione di udienza del giudice relatore, sentite le parti, visti ed esaminati gli atti, rileva quanto segue: I n f a t t o Con citazione notificata il 5 febbraio 2004 i signori Alcide Paolo Bossini e Sandra Ghidini Bossini convenivano in giudizio i signori Battista Bossini, Egidio Bossini, Laura Maria Turrini, Giuliana Mori e la societa' F.B.S. di Bossini Battista e C. S.n.c. chiedendo in via principale che il tribunale dichiarasse la nullita' o l'inesistenza dei bilanci relativi agli anni 1999, 2000, 2001 e 2002, con ogni conseguente statuizione e revocasse conseguentemente ex art. 2259 c.c. dalla carica di amministratori della societa' F.B.S. S.n.c. i signori Battista Bossini e Egidio Bossini per gravi irregolarita' ed inadempienze nella gestione della medesima, con conseguente esclusione degli stessi dalla societa'. La causa veniva instaurata secondo le norme del c.d. nuovo processo societario come previsto dal decreto d.lgs. n. 5/2003 (titolo II, capo I), in vigore dal primo gennaio 2004. Con comparsa di risposta depositata il 9 aprile 2004 si costituivano tutti i convenuti chiedendo in via pregiudiziale che il tribunale accertasse e dichiarasse la decadenza degli attori anche in ragione dell'acquiescenza da costoro prestata alle risultanze contabili di bilancio e comunque per la maturata prescrizione e nel merito, previ tutti gli accertamenti e declaratorie del caso anche in ordine alla regolarita' del processo di formazione dei bilanci ed in ragione del sopravvenuto recesso degli attori dalla societa', che il tribunale rigettasse ogni avversaria domanda siccome inammissibile ed infondata in fatto ed in diritto. In data 9 luglio 2004 gli attori notificavano ai convenuti istanza di fissazione di udienza che veniva quindi depositata in cancelleria. Formato il fascicolo, il Presidente con decreto 5 agosto 2004 designava il giudice relatore. Questi con decreto 13 agosto 2004 fissava l'udienza collegiale ai sensi dell'art. 12 del decreto legislativo citato indicando alle parti, in particolare, la questione relativa alla costituzionalita' dello stesso decreto legislativo n. 5/2004 secondo le cui norme era stato instaurato il processo. All'udienza avanti al collegio sulla dedotta questione di costituzionalita' il legale degli attori si rimetteva mentre quello dei convenuti aderiva alla prospettata incostituzionalita'; il tribunale si riservava. I n d i r i t t o A) Trattandosi di causa fra i soci di societa' in nome collettivo avente ad oggetto l'impugnativa dei bilanci e la revoca e l'esclusione dalla societa' degli amministratori, essa rientra all'evidenza fra quelle previste dalla lettera a) dell'art. l del d.lgs. n. 5/2003, per cui assume rilievo nel caso specifico l'applicazione delle norme processuali stabilite dal citato decreto al titolo II, capo I, relativamente agli articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17, disciplinanti appunto il giudizio di cognizione di primo grado davanti al tribunale in composizione collegiale nelle materie di cui all'art. 1 del decreto citato. B) Orbene, al fine di valutare la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' dell'articolato sopra citato, trattandosi di normativa delegata, va esaminato l'art. 12 della legge di delega al Governo per la riforma del diritto societario (legge 3 ottobre 2001 n. 366) che in materia processuale per quanto riguarda in particolare il processo di cognizione di primo grado (che questo questo tribunale e' chiamato ad applicare al caso di specie), delegava il Governo, testualmente, ad «emanare norme... dirette ad assicurare una piu' rapida ed efficace definizione dei procedimenti» prevedendo che per il perseguimento di dette finalita' il Governo era delegato a dettare regole processuali che in particolare potevano prevedere la «concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini processuali», nient'altro. Ne' aggiunge altro la relazione ministeriale al disegno di legge delega che si limita ad indicare l'obiettivo della «concentrazione». In particolare, non veniva piu' prevista l'istituzione di sezioni specializzate (che sarebbero state chiamate ad applicare il rito speciale) per le cause societarie come originariamente indicato nel c.d. «schema Mirone». Ora, l'art. 76 della Costituzione vuole che l'esercizio della funzione legislativa non possa essere delegato al Governo se non con determinazione dei principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti. La migliore dottrina e la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale hanno da sempre interpretato la norma nel senso che essa intende vietare non solo il trasferimento di pieni poteri dalle Camere al Governo ma qualunque legge delegante che non operi una previa determinazione della portata e del tipo della disciplina delegata, cosi' che l'attivita' del Governo risulti sostanzialmente vincolata a realizzare con un circoscritto margine di scelte operative una serie di risultati gia' precostituiti da parte delle Camere, assolvendo in sostanza le norme delegate una funzione attuativa delle norme deleganti. Ne deriva, quindi, che il legislatore ordinario deve stabilire principi e criteri cosi' specificati da far prevedere l'esito finale della delega, per quanto il suo oggetto possa essere esteso e complesso, pena l'incostituzionalita' della legge delega per genericita' ed indeterminatezza. Come insegna infatti anche la giurisprudenza della Corte costituzionale occorre individuare la ratio della delega (cfr. sentenza n. 163/2000) ed i principi e criteri direttivi vanno letti «tenendo conto del complessivo contesto di norme in cui si collocano e individuando le ragioni e le finalita' poste a fondamento della legge di delegazione» (cfr. sentenze n. 425/2000 e n. 96/2001). Nel caso di specie ritiene questo tribunale che la sintetica norma contenuta nella legge delega, per evitare il sospetto di incostituzionalita' per indeterminatezza e genericita', non possa non essere letta e interpretata facendo riferimento alla disciplina del vigente processo di cognizione davanti al tribunale, come contenuta nel libro II, titolo I del codice di procedura civile, il rito cioe' che sino al 31 dicembre 2003 e' stato applicato anche alle controversie societarie e che il legislatore delegante aveva davanti al momento della concessione della delega. Questa ricostruzione sistematica della volonta' del legislatore delegante non solo appare rispettosa del ???? costituzionale ma permette anche una agevole e semplice lettura della norma stessa. La disciplina del processo di cognizione davanti al tribunale contenuta nel codice di procedura civile prevede infatti che il processo si svolga attraverso la successione di piu' udienze fisse ed obbligatorie, in particolare quella di prima comparizione (art. 180 c.p.c.), quindi la prima udienza di trattazione (art. 183 c.p.c.), cui segue una prima udienza per la discussione e l'ammissione delle prove (art. 184 c.p.c.) ed eventualmente una seconda udienza, su richiesta delle parti, sempre per la discussione e l'ammissione delle prove (art. 184, primo comma, seconda parte c.p.c.) e quindi, all'esito, un'ulteriore udienza di precisazione delle conclusioni (art. 189 c.p.c.). Il legislatore delegante indicando il principio di «concentrazione del procedimento» faceva evidentemente riferimento proprio a questa scansione prevista nel processo ordinario. Ugualmente il processo ordinario vigente prevede che tra il giorno della notificazione della citazione e quello dell'udienza di comparizione debbano intercorrere termini liberi non minori di sessanta giorni, fissa il termine meramente ordinatorio di quindici giorni per la successione fra le varie udienze (art. 81 delle norme di attuazione c.p.c.), stabilisce ai sensi dell'art. 183 c.p.c., quinto comma, un termine massimo di trenta giorni per il deposito di memorie e di altri trenta per le repliche, non prestabilisce nessun termine per il deposito delle memorie istruttorie ex art. 184 c.p.c., primo comma, seconda parte e prevede il termine di sessanta giorni per il deposito delle comparse conclusionali e di venti per eventuali repliche. Anche in questo caso, evidentemente, il legislatore delegante quando indicava il principio della «riduzione dei termini processuali» faceva riferimento a quanto previsto nel processo ordinario vigente. Solo questa lettura dei principi fissati dal legislatore delegante, altrimenti invero generici, appare, ad avviso del tribunale, corretta da un punto di vista costituzionale. D) Ebbene, e' allora evidente che l'articolato contenuto negli articoli da 2 a 17 del d. lgs. 17 gennaio 2004, n. 5 con cui si e' inteso dare attuazione alla delega, contrasta con i principi fissati dal legislatore delegante per «eccesso di delega». Il nuovo rito societario previsto per il processo di cognizione davanti al tribunale costituisce infatti, come indicato dalla stessa relazione della commissione ministeriale e rilevato da subito dalla dottrina, un vero e proprio nuovo modello processuale, che si distacca volutamente sia dal modello processuale del 1942, sia da quello del processo del lavoro del 1973 ed infine anche da quello abbozzato nella riforma del 1990. Ispirandosi forse a modelli ottocenteschi (il procedimento formale previsto dal codice di procedura civile del 1865?) ed ancor piu' risalenti nel tempo, il nuovo rito di cognizione di primo grado davanti al tribunale in materia societaria prevede tutta la prima fase del processo senza l'intervento del giudice; nell'atto di citazione ai sensi dell'art. 2 non e' piu' indicata l'udienza avanti al giudice ed il termine che l'attore fissa al convenuto per la comunicazione della comparsa di risposta e' stabilito solo nel minimo, cosi' nella comparsa di risposta ai sensi dell'art. 4 il convenuto puo' a sua volta fissare all'attore per eventuale replica un termine stabilito ancora una volta solo nel minimo, e con lo stesso meccanismo l'art. 6 prevede la possibilita' di una replica da parte dell'attore e l'art. 7 la possibilita' di una controreplica da parte del convenuto e poi ancora ulteriori repliche e controrepliche. Solo con l'istanza di fissazione di udienza di cui all'art. 8 interviene finalmente il giudice, in un momento pero' in cui sia il thema decidendum che il thema probandum si sono gia' definitivamente formati, totalmente al di fuori, quindi, del controllo del giudice. D'altra parte la stessa istanza di fissazione di udienza, con gli effetti preclusivi rilevantissimi stabiliti dall'art. 10, e' uno strumento lasciato nella totale disponibilita' delle parti o anche di una sola di esse, che puo' utilizzarlo a suo piacimento, nel momento ritenuto piu' opportuno. Ancora poi va segnalato l'art. 13 in tema di contumacia o costituzione tardiva del convenuto, che introduce l'innovativo principio (di cui nella delega non vi e' traccia), per cui nel caso in cui il convenuto non notifichi la comparsa di risposta nel termine stabilito o anche solo si costituisca tardivamente «i fatti affermati dall'attore ... si intendono non contestati e il tribunale decide sulla domanda in base alla concludenza di questa». E) Ora, come rilevato dalla dottrina ed anche da organi di rilevanza costituzionale, siamo di fronte alla creazione di una «disciplina interamente nuova per il processo societario di cognizione ordinaria, non prevista dalla legge delega» in quanto si doveva solo concentrare il procedimento e cosi' ridurre i termini». Viceversa, «l'operazione effettuata dal decreto legislativo non e' stata quella di prevedere un rito concentrato rispetto all'attuale rito ordinario disciplinato dagli artt. 163 a 310 c.p.c., bensi' quella di introdurre nell'ordinamento un'anticipazione del rito ordinario prefigurato dal testo redatto dalla commissione ministeriale per la riforma del processo civile ...». Ed ancora, «con lo schema di decreto legislativo si e' disciplinato per intero, un nuovo rito a cognizione piena operante secondo linee culturali che implicano l'assunzione di un modello processuale in toto difforme da quello vigente, mentre il codice attuale prevede un potere di collaborazione del giudice nella definizione del thema probandum e del thema decidendum, il legislatore delegato ha sottratto qualunque intervento del giudice e rimesso alle parti la gestione dell'intera fase preparatoria ..., si tratta di una soluzione dell'eterno problema dell'equilibrio tra privato e pubblico nel processo di cui si discute da tempo ... di cui pero' non vi e' traccia nella legge delega che non ha inteso incidere sul modello processuale ...». Tutto cio' poi contrasta sino ai limiti dell'irragionevolezza con il fatto che il legislatore delegante ha rinunciato all'istituzione di sezioni specializzate nella materia societaria, per cui secondo il sistema delineato dalla riforma processuale in oggetto avremo giudici non specializzati che in compenso applicheranno riti speciali a seconda delle varie materie sottoposte alla loro cognizione, con quali ricadute sulla funzionalita' e sul buon andamento degli uffici giudiziari e' facile immaginare ... F) In sintesi, quindi, dovendo fra le varie interpretazioni possibili della legge preferire, secondo l'insegnamento della stessa Corte costizionale, quella che offre una lettura in linea con i precetti costituzionali, appare pertanto doveroso, secondo questo tribunale, ritenere che la legge delega indicando i principi gia' sopra richiamati intendesse riferirsi al processo di cognizione davanti al tribunale vigente, come previsto nel libro II, titolo I, del codice di procedura civile, autorizzando quindi il Governo a prevedere semplicemente una concentrazione delle udienze e la riduzione dei termini processuali ivi previsti. Ritenere viceversa che possa essere rispettosa del dettato costituzionale contenuto nell'art. 76 una legge delega che si limiti ad indicare un obiettivo rimettendo al decreto delegato l'individuazione della via idonea a raggiungerlo, come pure si e' sostenuto, pare piuttosto un'intepretazione assai pericolosa, potenzialmente eversiva dell'ordinamento costituzionale (atteso che posto un obiettivo verrebbe lasciata al Governo l'individuazione della via piu' idonea per raggiungerlo!), in contrasto con il consolidato orientamento in materia da sempre espresso dalla migliore dottrina e dal giudice delle leggi e contraria alla stessa prassi decennale seguita dal Parlamento e dai Governi della Repubblica (si pensi, per restare alla materia processuale, alla specificita' della legge delega n. 81/1987 per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale con i suoi 105 principi!). G) Per tutti i motivi sopra indicati, pertanto, ritiene questo tribunale che non sia manifestamente infondata la questione di costituzionalita' della parte del citato decreto legislativo relativa al procedimento di primo grado davanti al tribunale di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17 (attesa la connessione fra tutti gli articoli interessati), con riferimento non solo all'art. 76 ma anche agli articoli 3, 98 e 111 primo e secondo comma della Costituzione). Ed invero: con riferimento all'art. 3 della Costituzione sia perche' appare irragionevole introdurre per alcune materie un ulteriore rito speciale ispirato ad un modello processuale completamente diverso da quelli vigenti e che si aggiunge ad essi, senza contestualmente prevedere l'istituzione di giudici specializzati, con evidenti ricadute negative sulla funzionalita' del sistema, sia perche' il nuovo rito rimettendo totalmente alle parti la predisposizione del thema decidendum e del thema probandum impedisce l'intervento direzionale e correttivo del giudice che costituisce lo strumento per realizzare anche nel processo civile l'eguaglianza sostanziale di tutti i cittadini davanti alla legge; con riferimento all'art. 76 della Costituzione perche' appare palese nel decreto legislativo di attuazione della delega agli articoli da 2 a 17 la violazione per «eccesso di delega» dei principi e dei criteri direttivi contenuti nella norma delegante, interpretata secondo l'unica lettura costituzionalmente corretta, cioe' facendo riferimento al modello del processo di cognizione davanti al tribunale previsto nel codice di procedura civile vigente; con riferimento all'art. 98 della Costituzione perche' posto che non viene prevista alcuna sezione specializzata, appare in contrasto con il principio del buon andamento (applicabile anche agli uffici giudiziari), prevedere che lo stesso giudice sia chiamato ad applicare piu' riti, fondati su modelli completamente diversi l'uno dall'altro, a seconda delle materie; con riferimento all'art. 111 primo e secondo comma della Costituzione perche' detta norma obbliga il legislatore a predisporre un «giusto processo» davanti a giudice terzo ed imparziale, garantendo la ragionevole durata del giudizio, mentre il processo delineato nel decreto legislativo agli articoli da 2 a 17 prevede che tutta la prima fase si svolga senza che il giudice possa intervenire da subito onde garantire il «giusto processo» evitando inutili lungaggini e il compimento di atti nulli o viziati, lascia alle parti piena liberta' di far scattare le preclusioni connesse all'istanza di fissazione di udienza (riportando in auge una sorta di «furbizia processuale» che tanti decenni di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale sembravano aver ormai espunto dal nostro sistema processuale), non prevede alcun termine massimo per garantire sin dall'inizio la ragionevole durata del processo, posto che quanto si legge nella relazione della commissione ministeriale secondo cui «fino a quando una delle parti non chiede la fissazione dell'udienza non puo' esserci ritardo imputabile all'amministrazione...» appare in palese contrasto con il piu' recente orientamento in materia della Corte europea dei diritti dell'Uomo.