ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 673 del codice
di  procedura  penale,  promosso  con ordinanza del 16 settembre 2003
dalla  Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di C. A.,
iscritta  al  n. 1055  del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 50,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2003.
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 20 aprile 2005 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che  con l'ordinanza in epigrafe la Corte di cassazione
ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione
di  legittimita' costituzionale dell'art. 673 del codice di procedura
penale, nella parte in cui non prevede che il giudice dell'esecuzione
-  il  quale  abbia  revocato,  a  seguito di abrogazione della norma
incriminatrice,   sentenze   di   condanna   ritenute  ostative  alla
concessione  della  sospensione  condizionale della pena inflitta con
una successiva sentenza di condanna - possa valutare l'applicabilita'
di detto beneficio;
        che l'ordinanza premette che, con sentenza del 10 marzo 1997,
la  Corte  d'appello  di  Palermo  aveva condannato il ricorrente nel
giudizio  a quo ad un anno e sei mesi di reclusione e lire duemilioni
cinquecentomila  di  multa per il delitto di ricettazione, negando al
medesimo  la  sospensione  condizionale della pena per la preclusione
derivante  da precedenti condanne, pronunciate nei suoi confronti per
il reato di emissione di assegni senza provvista;
        che  tali  ultime  condanne  erano  state, peraltro, dapprima
«unificate  per  continuazione»  in  sede esecutiva, ex art. 671 cod.
proc.  pen.,  dal  pretore  di Termini Imerese; e quindi revocate per
abolitio  criminis,  ai  sensi  dell'art. 673  cod. proc. pen., dalla
stessa   Corte   d'appello   di   Palermo,  in  funzione  di  giudice
dell'esecuzione, con ordinanza del 30 aprile 2002;
        che,  nell'occasione,  la  Corte  d'appello  aveva per contro
respinto  l'istanza  del  condannato  tesa ad ottenere l'applicazione
della  disciplina della continuazione tra le violazioni in materia di
assegni,  ormai  depenalizzate,  ed  il reato di ricettazione oggetto
della sentenza di condanna del 1997; nonche' la connessa richiesta di
estensione  o  applicazione  della sospensione condizionale all'unica
pena residua, inflitta con tale sentenza;
        che  l'interessato  aveva  proposto  ricorso  per cassazione,
avverso   la   decisione,  censurando  entrambe  le  statuizioni  ora
indicate;
        che   la   Corte  rimettente  esclude  preliminarmente  -  in
conformita' a quanto ritenuto dal giudice di merito - la possibilita'
di  riconoscere  la  continuazione  tra  fatti  costituenti  reato ed
illeciti   depenalizzati,   essendo  l'istituto  della  continuazione
disciplinato  separatamente con riguardo agli illeciti penali ed alle
violazioni amministrative, senza la previsione di alcuna possibilita'
di «fusione» tra violazioni dell'una e dell'altra specie;
        che,  nel  silenzio  dell'art. 673 cod. proc. pen. sul punto,
andrebbe  d'altro  canto esclusa anche l'applicabilita' in executivis
della  sospensione  condizionale  della  pena, nel caso di revoca per
abolitio  criminis  di sentenze di condanna gia' considerate ostative
al beneficio;
        che, infatti - contrariamente a quanto affermato da una parte
della   giurisprudenza  di  legittimita'  -  detta  applicazione  non
potrebbe  ritenersi  inclusa tra i «provvedimenti conseguenti» di cui
al  comma 1  dello  stesso art. 673, non derivando automaticamente il
beneficio in parola dalla mera revoca della sentenza di condanna;
        che  non  sarebbe  neppure possibile estendere all'ipotesi in
questione la disposizione dell'art. 671, comma 3, cod. proc. pen., in
forza  della  quale  il  giudice  dell'esecuzione  puo'  concedere la
sospensione  condizionale  della  pena nel caso di applicazione della
disciplina  del  concorso  formale  o  del  reato  continuato in sede
esecutiva; e cio' perche' trattasi di norma eccezionale - derogatoria
sia  del  principio di intangibilita' del giudicato, che della regola
generale  per  cui  la  valutazione  circa  la  concedibilita'  della
sospensione  condizionale  della  pena  e' riservata al giudice della
cognizione  -  e come tale non suscettibile di applicazione analogica
alla stregua dell'art. 14 delle preleggi;
        che    -    esclusa   dunque   la   praticabilita'   di   una
«interpretazione  adeguatrice»  -  la  Corte  rimettente dubita della
compatibilita' dell'art. 673 cod. proc. pen. con l'art. 3 Cost;
        che - assunta come tertium comparationis la previsione di cui
al  citato art. 671, comma 3, cod. proc. pen. - apparirebbe, infatti,
«irragionevolmente  discriminatorio»  che  il giudice dell'esecuzione
non  possa  concedere  la  sospensione  condizionale della pena anche
nell'ipotesi  di  revoca,  per  abolitio  criminis, delle sentenze di
condanna che abbiano costituito l'unico ostacolo alla concessione del
beneficio in sede di cognizione;
        che  la  situazione soggettiva determinata dalla revoca della
sentenza  di  condanna  ex  art. 673 cod. proc. pen. risulterebbe, in
effetti,  persino  piu'  favorevole  e  meritevole  di considerazione
rispetto  a  quella  conseguente all'applicazione in executivis della
disciplina  del  concorso formale o del reato continuato, in rapporto
alla   quale  il  potere  di  concessione  del  beneficio  e'  invece
riconosciuto;
        che   nel  primo  caso,  invero,  viene  sancita  addirittura
l'irrilevanza  penale  dei  fatti  per  cui  erano  state inflitte le
condanne  ritenute  ostative,  mentre  nel  secondo  caso  i  fatti -
ancorche'  unificati  in un unico reato - conservano integralmente la
loro  valenza  criminale;  e, d'altra parte, l'art. 2, secondo comma,
cod.  pen. stabilisce, sia pure in proiezione futura, che nel caso di
condanna  per  un  fatto  non  piu'  considerato  reato  da una legge
posteriore ne cessano l'esecuzione e gli «effetti penali».
    Considerato   che   la   Corte   di   cassazione   dubita   della
compatibilita'  con  l'art. 3  Cost.  dell'art. 673  cod. proc. pen.,
nella parte in cui non consente al giudice dell'esecuzione - nel caso
di  revoca  per abolitio criminis di sentenze di condanna che avevano
impedito  la  sospensione  condizionale  della  pena  inflitta per un
diverso reato - di concedere tale beneficio;
        che  la  Corte  rimettente  pone  a  premessa  del quesito la
mancata adesione all'indirizzo della giurisprudenza di legittimita' -
affermatosi negli ultimi anni e che appare allo stato prevalente - in
forza  del  quale  la  norma impugnata gia' riconoscerebbe al giudice
dell'esecuzione  il  potere  di  cui  si  discute:  e cio' perche' la
concessione   della  sospensione  condizionale  della  pena  dovrebbe
ritenersi  compresa nel novero dei «provvedimenti conseguenti» che il
giudice dell'esecuzione e' chiamato ad adottare nel caso di revoca di
pronunce  di  condanna  per  abolitio  criminis,  onde  rimuovere gli
effetti  pregiudizievoli  del  giudicato  non  divenuti nel frattempo
irreversibili;
        che,  per costante affermazione di questa Corte, peraltro, il
giudice - quanto meno in assenza di un orientamento giurisprudenziale
consolidato  -  ha  il  dovere  di  seguire  l'interpretazione da lui
ritenuta  piu'  adeguata  ai principi costituzionali, configurandosi,
altrimenti,   la   questione  di  costituzionalita'  quale  improprio
strumento  volto  ad  ottenere  l'avallo  della Corte a favore di una
determinata interpretazione della norma (cfr., ex plurimis, ordinanze
n. 89 del 2002; n. 367 del 2001; n. 7 del 1998);
        che,  nella  specie,  si  e'  in  effetti  al cospetto di una
situazione  di  contrasto interpretativo interno alla giurisprudenza,
riguardo  alla  portata  da  annettere  alla  formula  «provvedimenti
conseguenti»,  che figura nell'art. 673, comma 1, del codice di rito:
contrasto  che  il  giudice  a  quo,  pur  mostrando di perseguire il
medesimo  risultato che scaturisce dall'«interpretazione adeguatrice»
adottata dalla giurisprudenza prevalente, ritiene di dover risolvere,
non  attraverso  il  consolidamento  di  quella  opzione  emeneutica,
reputata  conforme  a  Costituzione  -  se  del caso, devolvendo alle
Sezioni unite la composizione del contrasto stesso - ma sollevando un
dubbio di legittimita' costituzionale sulla base dell'interpretazione
contraria;
        che,  in simile situazione, la questione di costituzionalita'
finisce  dunque  per tradursi in «un improprio tentativo per ottenere
dalla  Corte  costituzionale l'avallo a favore di un'interpretazione,
contro   un'altra  interpretazione,  senza  che  da  cio'  conseguano
differenze  in  ordine  alla  difesa  dei  principi  e  delle  regole
costituzionali,  cio'  in  cui,  esclusivamente,  consiste il compito
della giurisdizione costituzionale» (cfr. sentenza n. 356 del 1996);
        che  tale  considerazione  assorbe ogni ulteriore rilievo, in
particolare  riguardo  alla  effettiva  possibilita'  di  assumere la
disciplina  di  cui  all'art. 671,  comma 3,  cod.  proc.  pen.  come
parametro  normativo  di  raffronto  nella  materia in esame, ai fini
della   verifica   del   rispetto   del   principio  di  uguaglianza,
conformemente    alla    prospettazione   del   giudice   rimettente:
possibilita'  gia' negata da questa Corte - in presenza, peraltro, di
un quadro interpretativo giurisprudenziale diverso dall'attuale - con
riferimento  a  questione  sostanzialmente  analoga  (cfr.  ordinanza
n. 360 del 2002);
        che    la   questione   deve   essere   pertanto   dichiarata
manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  comma 2,  delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.