ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 109, comma 1,
del  codice  di procedura penale, promosso dal Tribunale di Velletri,
sezione  distaccata  di  Albano  Laziale,  nel  procedimento penale a
carico  di  n. M.,  con  ordinanza  del  30 ottobre 2003, iscritta al
n. 562  del  registro  ordinanze  2004  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 25, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 20 aprile 2005 il giudice
relatore Francesco Amirante.
    Ritenuto  che  nel corso di un procedimento penale a carico di un
cittadino  rumeno  il  Tribunale  di  Velletri, sezione distaccata di
Albano  Laziale,  ha  sollevato,  in  riferimento all'art. 111, terzo
comma,    della   Costituzione,   due   questioni   di   legittimita'
costituzionale   dell'art. 109,  comma 1,  del  codice  di  procedura
penale;
        che  il  giudice a quo - dopo aver affermato che il difensore
dell'imputato  «ha  eccepito  la  nullita' del decreto di citazione a
giudizio  osservando  che ne' il decreto, ne' l'avviso di conclusione
delle  indagini preliminari sono stati tradotti in lingua rumena o in
altra  lingua»  compresa dall'imputato medesimo, fondando l'eccezione
sull'art. 111,  terzo  comma,  Cost.,  e  sull'art. 6,  terzo  comma,
lettera a),   della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo   e  delle  liberta'  fondamentali  (ratificata  con  legge
4 agosto  1955,  n. 848)  -  osserva  che la legge non include tra le
cause  di  nullita' la mancata traduzione degli atti del procedimento
penale  in  una lingua compresa dall'imputato, cosi' come non prevede
alcun  obbligo  di  accertamento  preventivo  circa la comprensione o
meno, da parte del medesimo, della lingua italiana;
        che  in  base a tali rilievi il Tribunale ritiene rilevanti e
non  manifestamente  infondate  due  questioni relative all'art. 109,
comma 1,  cod.  proc. pen.: la prima riguardante la norma nella parte
in  cui «non prevede che siano nulli gli atti del procedimento penale
compiuti   in   lingua  italiana  ove  l'imputato  straniero  non  la
comprenda»;  la seconda attinente alla «parte in cui non prevede che,
a  tale  scopo,  fin dal primo atto del procedimento lo straniero sia
interpellato circa la conoscenza o meno della lingua italiana»;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, sostenendo la manifesta infondatezza della questione.
    Considerato  che  il Tribunale di Velletri, sezione distaccata di
Albano  Laziale, ha sollevato, in riferimento all'articolo 111, terzo
comma,    della   Costituzione,   due   questioni   di   legittimita'
costituzionale  concernenti  l'art. 109, comma 1, cod. proc. pen.: la
prima,  in quanto non prevede la nullita' degli atti del procedimento
penale  compiuti  in lingua italiana, ove l'imputato straniero non la
comprenda;  la  seconda,  perche' non prevede che, fin dal primo atto
del  procedimento,  lo  straniero  sia  interpellato  allo  scopo  di
accertare l'eventuale mancata conoscenza della lingua italiana;
        che  il  giudice  remittente  espone  come,  nel  corso di un
procedimento  penale  a  carico  di un cittadino rumeno, il difensore
dell'imputato  abbia  dedotto  la nullita' del decreto di citazione a
giudizio  rilevando la mancata traduzione in rumeno o in altra lingua
conosciuta   dall'imputato   del  decreto  stesso  e  dell'avviso  di
conclusione delle indagini preliminari;
        che  il  giudice  remittente espone altresi' che il difensore
dell'imputato  ha  evocato  l'art. 6,  terzo comma, lettera a), della
legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione
per   la   salvaguardia   dei  diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali  firmata  a  Roma  il  4 novembre  1950 e del Protocollo
addizionale  firmato  a Parigi il 20 marzo 1952), nonche' l'art. 111,
terzo comma, della Costituzione;
        che  entrambe  le questioni sono manifestamente inammissibili
per carenza di motivazione;
        che riguardo alla seconda (mancata previsione dell'interpello
dell'imputato),  la  descrizione  della  fattispecie  e'  incompleta,
poiche'  l'ordinanza  non  riferisce se vi siano stati altri atti del
processo  e  se l'imputato abbia eventualmente fruito dell'assistenza
di  un interprete (art. 143 cod. proc. pen.), ne' le ragioni ostative
per il giudice a quo all'interpello dell'imputato o all'accertamento,
con altri mezzi, se questi conoscesse o meno la lingua italiana;
        che,  per quanto concerne la prima questione, la rilevanza e'
eventuale  e  subordinata  all'accertamento  della mancata conoscenza
della lingua italiana da parte dell'imputato;
        che, pertanto, le questioni vengono proposte in modo astratto
e senza pertinenti riferimenti al giudizio a quo;
        che   manca   altresi'  una  motivazione  congrua  sulla  non
manifesta  infondatezza  di  entrambe, dal momento che l'ordinanza si
limita  a  indicare  il  parametro  che  assume violato, senza alcuna
ulteriore esplicitazione delle ragioni di doglianza.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.