Ricorso   per   il   Presidente   del   Consiglio  dei  ministri,
rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato;

    Nei  confronti della Regione Umbria in persona del suo presidente
della  giunta,  avverso  la  legge  regionale 28 febbraio 2005 n. 18,
intitolata  «Tutela della salute psico-fisica della persona sul luogo
di  lavoro  e  contrasto  dei  fenomeni  di  mobbing»  pubblicata nel
Boll.Uff. n. 12 del 16 marzo 2005.
    La  determinazione  di proposizione del presente ricorso e' stata
approvata dal Consiglio dei ministri nella riunione del 6 maggio 2005
(si depositera' estratto del relativo verbale).
    L'art. 1  della  legge  in  esame tenta di definire il cosiddetto
«mobbing»  con la seguente espressione «molestie morali, persecuzioni
e  violenze  psicologiche  sui  luoghi  di  lavoro». L'espressione e'
talmente  vaga  ed inadeguata da rendere l'anzidetta legge, nella sua
interezza,  una  normativa  che  rimette  ad organi amministrativi il
compito  ed  il  potere  di  integrare  sostanzialmente  il  disposto
legislativo,   anzi   di   sostituirsi   al   legislatore   nazionale
riconosciuto  competente  dalla  sentenza  n. 359 del 2003 di codesta
Corte.  V'e'  di  piu':  l'art. 5 estende l'ambito per cosi' dire del
cosiddetto  «mobbing»  ai  familiari  del  lavoratore  ed affida alla
giunta regionale una competenza a stabilire, mediante deliberazione a
contenuto sostanzialmente di regolamento, «criteri e modalita» per la
concessione  di  incentivi alla realizzazione - non e' detto ad opera
di  quale  organismo - di «supporti e terapie». Inoltre, gli artt. 2,
4,  6,  7 e 8 della legge in esame prevedono strutture amministrative
(osservatorio   regionale   sul  mobbing,  apparato  «proprio»  della
regione,  sportelli  anti-mobbing  presso  i comuni avvalimento degli
«enti  strumentali»), e tratteggia in modo molto elastico le funzioni
ed  i  compiti  di  ciascuna  di  queste  strutture.  Malgrado  tanta
indeterminatezza  (ed  in contrasto con essa), l'art. 8 comma 1 della
legge  in esame consente, anzi prevede come obbligatorie («sulla base
delle segnalazioni ricevute ... effettua»), ispezioni all'interno dei
luoghi  di  lavoro,  e  quindi  l'accesso coattivo in tali luoghi, la
ricerca   e  la  ispezione  di  documenti,  l'audizione  di  persone,
l'ispezione  dei singoli ambienti, etc; il tutto ad opera di addetti,
di  imprecisato  livello (o qualifica) e stato giuridico, al Servizio
di prevenzione e sicurezza (anche il lessico e' significativo).
    La  legge in esame non individua (e quindi non delimita) l'ambito
dello intervento della regione e la tipologia dei «luoghi di lavoro»,
e  cosi'  rende  possibili  ingerenze  (non soltanto della regione ma
anche  di  altre  organizzazioni)  nei  rapporti  di  lavoro pubblico
statale,  ad  esempio  presso un tribunale od un Ufficio territoriale
del  Governo  (per  non dire del personale militarizzato), con palese
invasione  della  competenze  di  cui  all'art. 117,  secondo  comma,
lettera G Cost.
    Nel  complesso,  la  legge  che si sottopone a scrutinio, oltre a
disattendere  il  citato  insegnamento  di  codesta  Corte, omette di
considerare  la  pluralita'  degli interessi generali (anche privati)
compresenti  e  la  necessita'  di  reperire  un difficile e delicato
equilibrio  tra essi, crea uno strumento pervasivo e di non garantita
neutralita'  per  interventi  nei  rapporti  contrattuali di lavoro e
nelle attivita' imprenditoriali e delle pubbliche amministrazioni, ed
inoltre  introduce una disciplina «territorialmente differenziata» in
assenza di principi fondamentali unificati.
    La  legge  in  esame  contrasta  dunque anzitutto con l'art. 117,
secondo  comma,  lettere G ed L (ordinamento civile), con l'art. 118,
primo  comma,  Cost.,  e  con la sentenza n. 359 del 2003 citata. Del
parametro di cui alla predetta lettera G si e' gia' detto. Vistoso il
contrasto  con  la riserva allo Stato della produzione legislativa in
materia  di ordinamento civile: la legge in esame incide sui rapporti
civilistici  interpersonali,  non  soltanto di lavoro e di impresa, e
per  di  piu' incide su essi in modo imprevedibile, in assenza di una
definizione  delle  tipologie  dei «fenomeni» considerati; «fenomeni»
che  in  pratica  inevitabilmente  si  tramutano  in  fattispecie  di
illecito contrattuale.
    La  legge in esame contrasta inoltre con l'art. 117, terzo comma,
Cost.  (tutela  della  salute,  tutela  e  sicurezza del lavoro), non
essendo  ricollegata  a  «principi fondamentali» posti dal Parlamento
nazionale, al quale e' riservato il compito di definire il cosiddetto
mobbing,  di  reperire un appropriato equilibrio tra i piu' interessi
compresenti,   ed  anche  di  disegnare  il  quadro  degli  strumenti
organizzatori e delle relative funzioni.
    Come   noto,   altra  controversia  similare  e'  stata  proposta
nell'autunno 2004 nei confronti della Regione Abruzzo.