ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 13 del regio decreto-legge 28 agosto 1930, n. 1345 (Norme per la costruzione e l'esercizio dell'acquedotto del Monferrato), convertito nella legge 6 gennaio 1931, n. 80, promosso con ordinanza del 4 febbraio 2004 dal Tribunale amministrativo regionale del Piemonte sul ricorso proposto dal Consorzio dei comuni per l'Acquedotto del Monferrato contro l'Acquedotto Monferrato S.p.A., iscritta al n. 512 del registro ordinanze del 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, 1ª serie speciale, dell'anno 2004. Visti gli atti di costituzione del Consorzio dei comuni per l'Acquedotto del Monferrato e dell'Acquedotto Monferrato S.p.A.; Udito nell'udienza pubblica del 3 maggio 2005 il giudice relatore Romano Vaccarella; Uditi gli avvocati Alberto Romano e Paolo Monti per il Consorzio dei comuni per l'Acquedotto del Monferrato e Mario Alberto Quaglia per l'Acquedotto Monferrato S.p.A. Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un giudizio, promosso davanti al Tribunale amministrativo regionale del Piemonte dal Consorzio dei comuni per l'Acquedotto del Monferrato nei confronti della Societa' Acquedotto Monferrato S.p.A. per l'accertamento di crediti risarcitori vantati dal Consorzio in conseguenza del mancato rilascio degli impianti alla scadenza della concessione per l'esercizio dell'acquedotto del Monferrato, l'adito Tribunale, con ordinanza del 4 febbraio 2004, ha sollevato, in riferimento agli articoli 24, primo comma, 25, primo comma, e 102, primo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13 del regio decreto-legge 28 agosto 1930, n. 1345 (Norme per la costruzione e l'esercizio dell'acquedotto del Monferrato), convertito nella legge 6 gennaio 1931, n. 80, in quanto detta norma prevede un arbitrato obbligatorio per la risoluzione delle controversie relative alla costruzione o all'esercizio dell'acquedotto del Monferrato e all'applicazione dello stesso decreto-legge. 1.1. - In punto di fatto, il giudice rimettente riferisce che, essendo stata accertata con sentenza passata in giudicato la scadenza (nel 1994) della concessione per l'esercizio dell'acquedotto del Monferrato, la societa' concessionaria aveva manifestato l'intenzione di adire il collegio arbitrale, previsto dall'art. 13 del r.d.l. n. 1345 del 1930, perche' fossero decise le questioni (e, tra queste, le pretese risarcitorie avanzate dal Consorzio) pendenti tra le parti; sicche' il Consorzio aveva proposto ricorso giurisdizionale per l'accertamento delle sue pretese creditorie, facendo valere preliminarmente l'incostituzionalita' della citata norma, a tenore della quale «ogni controversia relativa alla costruzione od esercizio dell'acquedotto e alla applicazione del presente decreto, comprese quelle dipendenti dal riscatto ed escluse quelle di cui all'articolo precedente, sara' decisa da un Collegio di tre arbitri, dei quali uno scelto dal Consorzio, altro scelto dalla Societa' ed il terzo nominato dal Ministro per l'interno di concerto con quello per le finanze; gli arbitri giudicheranno secondo le regole di diritto e la sentenza non sara' soggetta ne' ad appello, ne' a ricorso in cassazione». 1.2. - Quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che l'applicazione della norma denunciata precluderebbe qualsiasi pronuncia in rito e in merito dello stesso Tribunale riguardo alla controversia portata al suo esame, sicche' il giudizio non puo' essere definito, prescindendo dalla risoluzione della sollevata questione di costituzionalita'. Osserva, altresi', che l'obiezione della convenuta Societa' Acquedotto Monferrato S.p.A., secondo cui la disposizione dell'art. 13 del r.d.l. n. 1345 del 1930 sarebbe stata superata da una successiva manifestazione di volonta' delle parti, e' destituita di fondamento, dal momento che la convenzione, stipulata fra il Consorzio dei comuni e la societa' concessionaria il 14 ottobre 1935, ha, in punto di arbitrato, semplicemente riprodotto, precisandone i termini, il precetto contenuto nella norma denunciata, cui ha dato concreta esecuzione. Osserva, ancora, che non puo' ritenersi esistente un principio di abrogazione implicita di norme anteriori alla Costituzione in contrasto con questa, giacche', come e' stato chiarito dalla giurisprudenza costituzionale fin dalla sentenza n. 1 del 1956, il «nuovo» istituto della «illegittimita' costituzionale» si riferisce non solo alle leggi posteriori alla Costituzione, ma anche a quelle anteriori, «sia perche', dal lato testuale, tanto l'art. 134 della Costituzione quanto l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, parlano di questioni di legittimita' costituzionale delle leggi, senza fare alcuna distinzione, sia perche', dal lato logico, e' innegabile che il rapporto tra leggi ordinarie e leggi costituzionali e il grado che ad esse rispettivamente spetta nella gerarchia delle fonti non mutano affatto, siano le leggi ordinarie anteriori, siano posteriori a quelle costituzionali». Ne consegue che e' riservato alla Corte costituzionale il giudizio di legittimita' costituzionale anche delle leggi anteriori all'entrata in vigore della Costituzione. 1.3. - Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente osserva che la norma denunciata appare in contrasto con l'art. 24, primo comma, Cost., che garantisce a tutti la possibilita' di ricorrere al «sistema giudiziario» a tutela delle proprie ragioni; con l'art. 25, primo comma, Cost., che pone la garanzia dell'individuazione del «giudice naturale» in base a criteri prederminati; con l'art. 102, primo comma, Cost., che stabilisce il principio della unitarieta' della giurisdizione. Richiama, al riguardo, il costante insegnamento della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato costituzionalmente illegittime specifiche norme di legge contenenti la previsione di forme di arbitrato obbligatorio per la risoluzione di controversie. 2. - Si e' ritualmente costituito in giudizio il Consorzio dei comuni per l'Acquedotto del Monferrato per sostenere la fondatezza della questione di legittimita' costituzionale. Afferma il deducente che sembra del tutto scontato il contrasto dell'art. 13 del r.d.l. n. 1345 del 1930 con gli artt. 24, primo comma, 25, primo comma, e 102, primo comma, Cost., alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale ha chiarito che l'arbitrato e' legittimo solo se fondato sulla concorde volonta' delle parti, sicche' sono incostituzionali le norme che, non consentendo alle parti di derogarvi con atto unilaterale, prevedono arbitrati obbligatori. 3. - Si e' ritualmente costituita in giudizio, altresi', la Societa' Acquedotto Monferrato S.p.A., che ha concluso per la declaratoria di inammissibilita' o di infondatezza della questione di legittimita' costituzionale. Osserva la deducente che fra le parti e' intercorsa una convenzione, stipulata in data 14 ottobre 1935, con la quale e' stata pattiziamente regolata - al punto V - la competenza arbitrale per le controversie, che potessero insorgere fra le parti medesime, precisando quali controversie sarebbero state sottratte alla decisione degli arbitrie quali altre, invece, sarebbero state loro deferite. Siffatta regolazione convenzionale vale a conferire natura negoziale e pattizia all'arbitrato in questione, sicche', non versandosi, nel caso in esame, nell'ipotesi dell'arbitrato obbligatorio, la questione - a suo avviso - e' irrilevante e infondata. Al riguardo, la deducente evidenzia che le parti, nella convenzione, non si sono limitate a un mero richiamo, puramente ripetitivo, della norma denunciata, ma, intendendo la previsione di legge come una norma dispositiva, hanno operato una libera opzione negoziale, scegliendo di rimettere al collegio arbitrale determinate controversie. A sostegno della sua tesi, la deducente richiama la giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale, con riferimento al capitolato generale per le opere pubbliche e all'arbitrato obbligatorio in esso previsto, dichiarato incostituzionale dal giudice delle leggi con la sentenza n. 152 del 1996, ha costantemente ritenuto sussistente la competenza arbitrale relativamente ai rapporti, per i quali detto capitolato fosse stato richiamato dalle parti in termini non meramente riproduttivi, ma volontaristici (cio' in particolare per gli enti locali, non tenuti normativamente alla applicazione del medesimo capitolato). 4. - In prossimita' dell'udienza, entrambe le parti costituite hanno presentato memorie a sostegno delle rispettive conclusioni. 4.1. - Il Consorzio dei comuni per l'Acquedotto del Monferrato - richiamata la giurisprudenza di questa Corte in tema di arbitrato obbligatorio - sostiene che l'incostituzionalita' della norma denunciata discenderebbe altresi' da due suoi profili, implicitamente dedotti dall'ordinanza di rimessione, relativi, rispettivamente, alla sottrazione alle parti del potere di designare il terzo arbitro ed alla esclusione di ogni gravame nei confronti della pronuncia del collegio arbitrale. 4.2. - La Societa' Acquedotto Monferrato S.p.A. - ribadite le ragioni per le quali la questione di legittimita' costituzionale sarebbe irrilevante - ne deduce, in subordine, l'infondatezza, in quanto la norma impugnata sarebbe suscettibile di interpretazione, costituzionalmente corretta, nel senso della facoltativita' dell'arbitrato da essa previsto. Considerato in diritto 1. - Il Tribunale amministrativo regionale del Piemonte dubita della legittimita' costituzionale, in riferimento agli articoli 24, comma primo, 25 comma primo e 102, comma primo, della Costituzione, dell'art. 13 del regio decreto-legge 28 agosto 1930, n. 1345 (Norme per la costruzione e l'esercizio dell'acquedotto del Monferrato), convertito nella legge 6 gennaio 1931, n. 80, in quanto prevede un arbitrato obbligatorio per la risoluzione delle controversie relative alla costruzione o all'esercizio dell'acquedotto del Monferrato e all'applicazione dello stesso decreto-legge. 2. - Preliminarmente, deve essere respinta l'eccezione di irrilevanza della questione proposta dalla Societa' Acquedotto Monferrato S.p.A. sulla base del rilievo che, nel caso di specie, l'arbitrato non troverebbe il suo fondamento nella legge, bensi' nella convenzione, stipulata nel 1935, con la quale le parti avrebbero liberamente disposto - sottraendovi talune controversie - in ordine all'arbitrato, quale modo di risolvere le altre controversie che sarebbero potute insorgere tra di esse. E' appena il caso di rilevare, in proposito, che la questione del fondamento - legislativo ovvero negoziale - dell'arbitrato puo' essere esaminata da questa Corte esclusivamente sotto il profilo dell'adeguatezza della motivazione dell'ordinanza di rimessione in punto di rilevanza della questione di legittimita' costituzionale (sentenze n. 47 del 2003, n. 195 del 1999): e certamente non puo' dirsi implausibile ovvero contraddetta dagli atti la conclusione, cui perviene il giudice a quo, secondo la quale la clausola contenuta nella convenzione e' meramente ricognitiva del vincolo imposto alle parti dalla legge. 3. - Passando al merito, la questione e' fondata. 3.1. - Non e' contestabile che la norma denunciata disciplina una ipotesi di arbitrato rituale: cio' che e' reso evidente sia dall'uso di qualificazioni tipiche di tale istituto (in particolare, il ricorso al termine «giudicare» per designare il modo di formazione della «sentenza» resa dagli «arbitri», «secondo le regole del diritto») sia dal chiaro riferimento alla disciplina che l'allora vigente codice di procedura civile (del 1865) dedicava all'arbitrato rituale prevedendo la possibilita' di proporre appello (art. 28) e, poi, ricorso per cassazione (art. 31) avverso la «sentenza» arbitrale. Altrettanto indubbio e' che la formulazione della norma e' tale da escludere, come osserva il rimettente, ogni possibilita', per entrambe le parti, di adire i giudici statuali per la risoluzione di qualsiasi controversia tra di esse potesse insorgere: e cioe' prevede un arbitrato rituale obbligatorio, il cui lodo - emesso da un collegio di tre arbitri, uno dei quali «nominato dal Ministro per l'interno di concerto con quello per le finanze» - non e' impugnabile per violazione delle norme di diritto che gli arbitri sono tenuti ad applicare. 3.2. - Questa Corte fin dalla sentenza n. 127 del 1977 (in realta' anche in precedenza; ma, nei casi allora sottopostile, aveva escluso che si fosse in presenza di un vero arbitrato obbligatorio: sentenze n. 62 del 1968 e n. 50 del 1966 ), ha osservato che, poiche' la Costituzione garantisce ad ogni soggetto il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, «il fondamento di qualsiasi arbitrato e' da rinvenirsi nella libera scelta delle parti: perche' solo la scelta dei soggetti (intesa come uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all'art. 24, comma primo, Cost.) puo' derogare al precetto contenuto nell'art. 102, comma primo, Cost. [...], sicche' la «fonte» dell'arbitrato non puo' piu' ricercarsi e porsi in una legge ordinaria o, piu' generalmente, in una volonta' autoritativa». Tale principio e' stato costantemente ribadito da questa Corte con le sentenze n. 325 del 1998, n. 381 del 1997, n. 54 del 1996, numeri 232, 206 e 49 del 1994, n. 488 del 1991, e precisato nel senso che, anche qualora sia richiesto «l'accordo delle parti per derogare alla competenza arbitrale, si rimette pur sempre alla volonta' della sola parte che non voglia tale accordo derogatorio, l'effetto di rendere l'arbitrato concretamente obbligatorio per l'altro soggetto che non l'aveva voluto», essendo «sufficiente la mancata intesa sulla deroga della competenza arbitrale per vanificare l'apparente facoltativita' bilaterale dell'opzione» (sentenza n. 152 del 1996). 3.3. - L'illegittimita' costituzionale della norma censurata, pertanto, risiede nella circostanza che essa preclude alle parti la possibilita' di adire il giudice statuale, essendo totalmente irrilevanti, viceversa, i profili relativi sia al regime del lodo sia alla composizione del collegio: purche' a ciascuna delle parti sia assicurata la liberta' di sottrarsi all'arbitrato previsto dalla legge o da una fonte eteronoma, ben puo' essere prevista la non impugnabilita' del lodo per errores in iudicando ovvero una certa composizione (purche' rispettosa del principio di eguaglianza delle parti: cfr. sentenza n. 33 del 1995) del collegio arbitrale, in quanto la garanzia costituzionale attiene alla liberta' di scelta dello strumento dell'arbitrato e non gia', assicurata che sia tale consapevole e libera scelta, a peculiari modalita' di svolgimento dell'arbitrato stesso.