IL TRIBUNALE

    Nel  procedimento  penale  n. 98/2005  R.G.  a  carico  di  Paval
Constantin, n. il 6 ottobre 1952 a Piatra Neamt (Romania) e Paval Ani
Mioara  n. a  Roman (Romania) il 6 giugno 1968, imputati del reato di
cui all'art. 13 comma 13, d.lgs. n. 286/1998, accertato in Gorizia il
21 gennaio 2005.
    Vista  la preliminare richiesta delle parti di applicazione della
pena  ex  art.  444  c.p.p,  in  concreto  concordata  assumendo come
pena-base  un  anno di reclusione, ovvero il minimo edittale previsto
dalla  norma  di  cui all'art. 13, comma 13, d.lgs. n. 286/1998 (come
modificato  dalla  legge 12 novembre 2004, n. 271); ha pronunciato la
seguente ordinanza.
    I)  Dubita questo giudice della legittimita' costituzionale della
norma  di  cui  all'art. 13,  comma  13,  d.lgs.  n. 286/l998  - come
sostituito  dalla legge 12 novembre 2004, n. 271 - nella parte in cui
prevede  il  limite  minimo  edittale di un anno di reclusione per lo
straniero  espulso  che  rientri  nel territorio dello Stato senza la
speciale  autorizzazione  del  Ministro  dell'interno, per violazione
degli articoli 3 e 27, comma 3 della Costituzione.
    Nella  specie concreta la questione appare rilevante, atteso che,
il  vaglio  dell'istanza di patteggiamento impone di effettuare anche
una  valutazione di congruita' della sanzione, concordata dalle parti
ai sensi dell'art. 444 c.p.p..
    Sotto   tale   profilo   si   richiama,   peraltro,  la  sentenza
costituzionale  n. 313  del 26 giugno 1990 laddove - in fase di prima
applicazione  del  rito  speciale  in questione - sottolineava che la
valutazione   di   congruita'  costituisce  diretta  espressione  del
«...parametro  costituzionale  di  cui  all'art  27, terzo comma, che
impone   al   giudice  di  valutare  l'osservanza  del  principio  di
proporzione fra quantitas della pena e gravita' dell'offesa, e quindi
il  concreto  valore  rieducativo  della  pena  in relazione alla sua
pregnante finalita».
    Nel  caso  in  esame, le parti hanno correttamente determinato la
pena, concordando sia la concedibilita' delle attenuanti generiche ex
art  62-bis  c.p., sia la massima riduzione consentita per il rito ex
art. 444  c.p.p.,  ma hanno effettuato il computo muovendo, comunque,
da una pena base rigidamente fissata sul limite edittale minimo di un
anno di reclusione.
    II)  I  dubbi di costituzionalita' in ordine alla novellata norma
di  cui  all'art 13, comma 13 d.lgs. n. 286/1998, prendono corpo - in
primo  luogo  -  in  considerazione  dei  principi  giurisprudenziali
costituzionali   elaborati   in   materia   di  discrezionalita'  del
legislatore  nella  determinazione  della  quantita' e qualita' della
sanzione penale.
    Gia'   nel   1989,  con  la  sentenza  n. 409,  la  Corte  -  pur
riaffermando  il  consolidato  principio  secondo cui appartiene alla
discrezionalita'  del legislatore la determinazione della quantita' e
qualita' della sanzione penale - ha, tuttavia, sottolineato che detta
discrezionalita'  non  puo' essere intesa come scevra da qualsivoglia
limite  ma deve esplicarsi, alla luce del principio di uguaglianza di
cui all'art. 3, primo comma, nel senso che «la pena sia proporzionata
al  disvalore  del  fatto  illecito  commesso, in modo che il sistema
sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed
a quella di tutela delle posizioni individuali».
    Ed  ha  aggiunto  che  «...  le  valutazioni  all'uopo necessarie
rientrano nell'ambito del potere discrezionale del legislatore il cui
esercizio  puo'  essere censurato sotto il profilo della legittimita'
costituzionale,  soltanto nei casi in cui non sia stato rispettato il
limite della ragionevolezza....».
    Successivamente,   detti  principi  sono  stati  riconfermati  ed
ulteriormente  approfonditi anche in relazione ad ulteriori parametri
costituzionali  (cfr.  sentenza  nn. 343  e  422 del 1993 e n. 25 del
1994).
    In   particolare,   nella  sentenza  n. 343  del  1993  e'  stato
sottolineato  che  «...  la  palese sproporzione del sacrificio della
liberta'  personale ...produce una vanificazione del fine rieducativo
della  pena  prescritto dall'art. 27, terzo comma della Costituzione,
che  di  quella  liberta'  costituisce  una garanzia istituzionale in
relazione allo stato di detenzione...»; con cio' sviluppando peraltro
quanto  gia'  enunciato  -  innovativamente  - nella sentenza 313 del
1990,  laddove si riconosceva che la finalita' rieducativa della pena
non  e'  limitata  alla  sola  fase esecutiva ma costituisce «... una
delle  qualita'  essenziali e generali che caratterizzano la pena nel
suo   contenuto   ontologico   e   l'accompagnano  da  quando  nasce,
nell'astratta  previsione  normativa,  fino  a  quando in concreto si
estingue ...».
    III)  Tutto  cio'  premesso,  va  osservato  che  -  nella specie
concreta  -  la  discrezionalita'  del legislatore non pare esplicata
secondo i parametri sopra richiamati.
    Invero,       la       mera      disamina      della      vicenda
legislativo-giurisprudenziale  che  -  ha portato nel novembre 2004 -
all'inasprimento  della sanzione penale in questione, sembra denotare
che  l'intervento  del legislatore sia stato ispirato da parametri ed
esigenze  di  natura  meramente  processuale,  nonostante la modifica
abbia  colpito  norme  sostanziali,  direttamente  incidenti sul bene
primario della liberta' personale.
    Invero,  ne'  nella relazione al d.l. n. 241/2004, ne' negli atti
concernenti  il  successivo  snodarsi  dell'iter  parlamentare che ha
accompagnato  l'approvazione  della legge di conversione n. 271/2004,
si  rintraccia  alcuna  giustificazione  contingente e sostanziale in
ordine  all'inasprimento  delle  sanzioni,  mentre  si rinviene - piu
volte  -  l'espressa  indicazione  della  necessita'  di  superare le
censure mosse dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 222 e 223
del  2004  «.....Sul  cammino  della  Bossi-Fini  si  e' abbattuta la
mannaia  della  Corte  costituzionale.....Ritengo  che con il d.l. in
esame il Governo ed il Parlamento siano intervenuti correttamente per
rispondere  ai  rilievi  della  Corte...» (A.C.5369 discussione dd. 2
novembre  2004  sul  testo  approvato  in  Senato il 20 ottobre 2004,
repliche del relatore alla legge).
    Dunque,  l'aggravamento  delle sanzioni non pare riconducibile ad
una  scelta  di  politica  criminale  esercitata discrezionalmente in
relazione  all'insorgere, in un peculiare momento storico-sociale, di
situazioni particolari legate al fenomeno dei migranti.
    E   cio'  pare  tanto  piu'  fondato  laddove  si  consideri  che
l'intervento  del  legislatore  -  piu' in generale ha determinato la
modifica di sanzioni (molto meno gravi) che erano state introdotte in
epoca recente, con la legge n. 189/2002.
    Sotto  altro profilo, va poi rilevato che le sentenze della Corte
costituzionale  n. 222  e  223  del 2004 hanno avuto ad oggetto norme
diverse  - rispettivamente, l'art. l3, comma 5-bis e l'art. 14, comma
5-quinquies, del d.lgs n. 286/1998 - da quella della cui legittimita'
si dubita nella presente ordinanza.
    In particolare, la sentenza n. 223 ha dichiarato l'art. 14, comma
5-quinquies n. 286/1998 (nel testo integrato dalla legge n. 189/2002)
illegittimo  nella  parte in cui stabiliva l'arresto obbligatorio per
la contravvenzione prevista al comma 5-ter dello stesso articolo.
    A  seguito di cio', il legislatore del novembre 2004 ha mirato il
proprio  intervento in direzione del presupposto su cui si fondava la
decisione  223. Piu' precisamente, la fattispecie di cui all'art. 14,
comma  5-ter  d.lgs.  n. 286/1998 - gia' contravvenzionale - e' stata
trasformata  in  delitto  (prima  parte),  e' stata sanzionata con la
reclusione  da uno a quattro anni, ed e' stata nuovamente individuata
come  fattispecie  per  la  quale  e' previsto l'arresto obbligatorio
(gia'  ritenuto  illegittimo  in relazione alla precedente previsione
contravvenzionale   atteso   che  detta  limitazione  della  liberta'
personale  non era comunque suscettibile di trasformarsi in qualsiasi
misura   coercitiva...   e   percio'   ..privo  di  qualsiasi  sbocco
processuale: cfr. sent. n. 223/2004).
    Nella  sostanza,  tale  intervento legislativo ha riportato detta
fattispecie   nell'alveo   del   sistema  generale,  con  conseguente
possibilita'  - in astratto - di applicazione delle misure coercitive
secondo i limiti previsti dall'art. 280, secondo comma, c.p.p.
    Del  tutto simile a quello appena descritto e' stato l'intervento
legislativo  operato  sulla  norma  della  cui  ragionevolezza qui si
dubita,   sebbene   la   modifica   dell'art. 13,  comma  13,  d.lgs.
n. 286/1998   abbia   assunto  carattere,  evidentemente,  preventivo
rispetto ad eventuali censure di incostituzionalita'.
    In  particolare,  l'art. 1, comma 2-ter, lettere a), c), legge 12
novembre 2004, n. 271, ha:
        trasformato  la  fattispecie  da  contravvenzione in delitto,
imponendo  la  sanzione  della  reclusione  da uno a quattro anni, in
luogo  dell'arresto  da  sei  mesi  ad un anno (sanzione quest'ultima
introdotta dalla legge n. 189/2002, rispetto all'originario testo del
d.lgs. n. 286/1998, che prevedeva l'arresto da due a sei mesi);
        previsto  l'arresto  obbligatorio  anche  fuori  dai  casi di
flagranza, in luogo dell'arresto facoltativo in flagranza.
    Con  la  conseguenza  che,  anche  detta fattispecie, per effetto
dell'innalzamento  del  limite  edittale  massimo,  e' stata condotta
nell'ambito  di  operativita'  del sistema generale di applicabilita'
delle misure coercitive, ai sensi dell'art. 280, secondo comma c.p.p.
    IV)  Alla  luce  di  quanto  sopra  esposto, si ravvisano plurimi
profili  per  dubitare  della  ragionevolezza dell'art. 13, comma 13,
d.lgs.  n. 286/1998,  come  sostituito  dalla legge 12 novembre 2004,
n. 271,  nella parte in cui e' stato introdotto il minimo edittale di
un anno di reclusione.
    Innanzitutto,  sotto un profilo piu' propriamente sostanziale, va
richiamato quanto gia' sopra osservato in ordine all'insussistenza di
ragioni  contingenti,  legate  al  momento  storico-sociale, idonee a
supportare  un  aggravamento sanzionatorio di portata cosi' rilevante
da  giungere, di fatto, a raddoppiare l'entita' del precedente minimo
edittale.
    Piu' in generale, detta sanzione non pare fondata su un ponderato
bilanciamento  tra  la  tutela  dei  sottesi  interessi dell'ordine e
sicurezza  pubblica  da un lato e quello della liberta' personale del
soggetto  agente  e,  pertanto,  non  pare  conforme  ai  criteri  di
proporzione ex art. 3 e finalita' rieducativa ex art. 27, terzo comma
della Costituzione.
    Tale  sproporzione pare evidenziarsi peraltro anche dal confronto
con  ipotesi di reato del tutto similari, posto che la fattispecie in
esame  sanziona  -  nella  sostanza  - una disobbedienza ad un ordine
dell'autorita'.
    In  particolare,  si fa riferimento alla contravvenzione prevista
dall'art. 650  c.p.  (inosservanza  dei provvedimenti dell'autorita),
punita con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a Euro 206,
nonche'  a  quella  di  cui  all'art.  2  legge 27 dicembre 1956/l423
(inosservanza  di  provvedimenti  del  questore  da  parte di persone
pericolose) punita con l'arresto da uno a sei mesi.
    D'altronde,  con  riferimento  alla sanzione in esame, neppure e'
ravvisabile  la  ratio  piu'  volte rimarcata in sede di adozione del
d.l.  n. 241/2004  e  di  approvazione  della  legge  di  conversione
n. 27l/2004, ovvero la necessita' di «rimodulare il testo della norma
censurata».
    Invero,  le  declaratorie  di illegittimita' costituzionale hanno
investito   altre   norme  (gli  artt. 13,  comma  5-bis  e 14  comma
5-qunquies  del  d.lgs.  n. 286/1998)  e,  segnatamente, in relazione
all'art. 14,   comma  5-quinquies  le  censure  costituzionali  hanno
colpito  la  previsione  dell'arresto obbligatorio, previsione allora
non prevista per la fattispecie che qui si esamina.
    Da  ultimo,  va  sottolineato  che  la  previsione  di  un minimo
edittale   cosi'   elevato,  sembra  irragionevole  anche  alla  luce
dell'unica  ratio  che  pare  effettivamente sottesa all'inasprimento
sanzionatorio   complessivo,  ovvere  in  relazione  all'esigenza  di
rendere  la  fattispecie in esame compatibile con il sistema generale
di  applicazione delle misure coercitive (posto che e' stato altresi'
previsto l'arresto obbligatorio, anche fuori dai casi di flagranza).
    Al  riguardo,  va  osservato  che il sistema applicativo di dette
misure  e'  disegnato  in  relazione  a massimi edittali inderogabili
(cfr.  274,  lett.  c)  e  280,  secondo  comma,  c.p.p.), mentre non
assumono alcun rilievo i minimi edittali.
    Dunque,  anche  sotto  tale profilo, pare del tutto irragionevole
una sanzione minima cosi' rigida e severa.
    Per  tutti  i motivi esposti, pare dunque pertinente il vaglio di
legittimita'  della  norma  con  riferimento agli artt. 3 e 27, terzo
comma della Costituzione.