ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 438, comma 5,
del   codice   di  procedura  penale,  promosso,  nell'ambito  di  un
procedimento   penale,   dal  Giudice  dell'udienza  preliminare  del
Tribunale  di  Modena  con  ordinanza del 22 maggio 2003, iscritta al
n. 586  del  registro  ordinanze  2003  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 34, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  9 marzo 2005 il Giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto che il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di
Modena  ha  sollevato,  in  riferimento  all'art. 111, secondo comma,
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 438,  comma 5,  del codice di procedura penale, nella parte
in  cui  non  prevede  il  diritto del pubblico ministero di chiedere
l'ammissione  di prova contraria nell'ipotesi in cui l'imputato abbia
depositato    il   fascicolo   delle   investigazioni   difensive   e
contestualmente formulato richiesta di giudizio abbreviato;
        che  il  rimettente  riferisce  che  nel  corso  dell'udienza
preliminare  nei  confronti di persona imputata di tentata estorsione
il  difensore  aveva depositato il fascicolo delle indagini difensive
contenente il verbale dell'assunzione delle dichiarazioni rese da una
teste  ex art. 391-ter cod. proc. pen. e, munito di procura speciale,
aveva contestualmente chiesto il rito abbreviato;
        che  il  pubblico  ministero,  privato  della possibilita' di
controesaminare  il  teste,  aveva  chiesto di sollevare questione di
legittimita' costituzionale;
        che  il giudice a quo osserva che le investigazioni difensive
possono  essere  svolte, senza limiti temporali, in qualsiasi stato e
grado  del  procedimento  ex art. 327-bis, comma 2, cod. proc. pen. e
che  -  a  norma  degli  artt. 442,  comma 1-bis,  419, comma 3, 421,
comma 3,  e  391-octies  cod.  proc.  pen.  -  e'  indubitabile che i
risultati  di tali indagini sono utilizzabili nel giudizio abbreviato
e  che  i  relativi  verbali  possono essere prodotti anche nel corso
dell'udienza preliminare, senza che sussista alcun obbligo preventivo
di  avviso  alla controparte o di deposito: conformemente peraltro al
«principio della c.d. continuita' investigativa» gia' affermato dalla
Corte costituzionale nelle sentenze n. 16 del 1994 e n. 258 del 1991;
        che  di  conseguenza,  venendo a coincidere il termine ultimo
per la formulazione della richiesta di giudizio abbreviato con quello
per  la  formulazione  delle  conclusioni,  il  materiale  probatorio
utilizzabile  dal  giudice per la decisione ex art. 442, comma 1-bis,
cod.  proc.  pen.  ben  potrebbe  comprendere anche i risultati delle
investigazioni    difensive   depositati   nel   corso   dell'udienza
preliminare;
        che  nella situazione processuale verificatasi nel giudizio a
quo  -  diversamente  da  quanto  previsto  in  caso  di richiesta di
giudizio  abbreviato  subordinata  ad  una integrazione probatoria ex
art. 438,  comma 5,  cod. proc. pen. - da un lato il giudice non puo'
sindacare  la  richiesta  ed  e'  tenuto  ad  ammettere  il  giudizio
abbreviato,  dall'altro  il  pubblico ministero non solo non ha alcun
potere  di  interloquire  sulla  prova (sul punto viene richiamata la
sentenza  della  Corte  costituzionale  n. 115 del 2001), ma «si vede
altresi'  interdetta  ogni  facolta'  di contraddire sulla formazione
unilaterale  della  prova  introdotta  in  udienza  ed utilizzata nel
rito»;
        che  in  tale  situazione  sarebbe  compromessa la «simmetria
imposta  dal  principio del contraddittorio come metodo dialettico di
accertamento  dei  fatti»  e  sarebbe  «quindi  violato  il principio
enunciato dall'art. 111, comma secondo, Cost. secondo cui il processo
`deve  svolgersi  nel  contraddittorio  tra le parti, in posizione di
parita''»;
        che  ad  avviso  del  rimettente  l'assenza  del diritto alla
controprova  sul  materiale  investigativo  unilateralmente acquisito
dalla  parte  che  chiede  l'accesso  al  giudizio  abbreviato non e'
rimediabile   mediante   l'eventuale  sollecitazione  al  giudice  ad
esercitare  il  potere  officioso di integrazione probatoria previsto
dall'art. 441,  comma 5,  cod.  proc.  pen.,  posto  che tale potere,
finalizzato  a colmare oggettive lacune del materiale probatorio, non
potrebbe  essere  usato  per scopi sostanzialmente diversi, quali «il
riequilibrio  dell'asimmetria generata dall'introduzione di materiale
probatorio unilateralmente raccolto dal difensore»;
        che  inoltre  il  principio  del  contraddittorio non sarebbe
adeguatamente   garantito   «da  un  potere  affidato  ad  un  terzo,
attivabile in via residuale ed eventuale»;
        che,  peraltro,  ammettere in via generalizzata la necessita'
di  rinnovare  in  udienza  il  «materiale probatorio unilateralmente
formato  dalla  difesa» finirebbe «per accreditare il sospetto di una
costante  minor  affidabilita' della prova difensiva, al di la' della
volonta' del legislatore»;
        che  ad  avviso  del  giudice  a quo nell'ipotesi in esame ad
essere  in  discussione sarebbe soprattutto la formazione unilaterale
della  prova,  la  sua  introduzione  in  giudizio  e  il contestuale
`consenso'  ad  essere  giudicato  sulla  base di tale prova prestato
dalla  stessa  parte  che ne ha curato l'assunzione, senza che vi sia
stata alcuna «verifica critica della parte pubblica»;
        che  di conseguenza la necessita' di ricondurre a «simmetria»
il   «contraddittorio   sulla   prova»   imporrebbe   quantomeno   di
«riconoscere   al   pubblico   ministero   la  facolta'  di  chiedere
l'ammissione  della  prova  contraria  [...]  secondo una cadenza del
resto  gia' prevista dal legislatore nella disciplina del modello del
rito abbreviato condizionato»;
        che  e'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata;
        che  ad  avviso  dell'Avvocatura  nel  giudizio abbreviato e'
pacificamente  escluso  qualsiasi potere di iniziativa probatoria del
pubblico  ministero,  ammesso  soltanto a chiedere la prova contraria
nel  caso in cui l'imputato abbia subordinato la sua richiesta ad una
integrazione probatoria;
        che  tale  sistema  e' giustificato dalla peculiare e diversa
situazione  dell'imputato  rispetto  al  pubblico  ministero  e dalla
tendenziale   completezza   delle   indagini  che  deve  accompagnare
l'esercizio dell'azione penale (sentenza n. 115 del 2001);
        che  «al  potere  contratto  del pubblico ministero» potrebbe
comunque  «sopperire  il  giudice  che  sia  nel  caso  di abbreviato
condizionato [...] che nel caso in cui ritiene di non potere decidere
allo stato degli atti [...], puo' integrare la prova»;
        che,  infine,  nei procedimenti speciali a prova contratta la
pienezza    del   contraddittorio   soffre   necessariamente   alcune
limitazioni  che  trovano  giustificazione  nella  celerita'  e nelle
finalita' deflative del rito.
    Considerato che il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale
di  Modena  dubita, in riferimento all'art. 111, secondo comma, della
Costituzione,   della   legittimita'   costituzionale  dell'art. 438,
comma 5,  del  codice  di  procedura  penale,  nella parte in cui non
prevede il diritto del pubblico ministero di chiedere l'ammissione di
prova  contraria nell'ipotesi in cui l'imputato depositi il fascicolo
delle  investigazioni  difensive  e  contestualmente chieda di essere
ammesso al giudizio abbreviato;
        che  ad  avviso  del  rimettente  non sarebbe possibile porre
rimedio  alla  violazione  del  diritto  del  pubblico  ministero  al
contraddittorio nella formazione della prova mediante l'esercizio del
potere   di   integrazione   probatoria   riconosciuto   al   giudice
dall'art. 441, comma 5, cod. proc. pen., in quanto tale potere, volto
a  colmare  lacune  `istruttorie', verrebbe utilizzato per il diverso
obiettivo  di  riequilibrare  i  poteri  delle parti nella formazione
della prova;
        che  comunque  il  principio  del contraddittorio non sarebbe
adeguatamente garantito ove la sua realizzazione fosse solo residuale
ed eventuale in quanto affidata all'iniziativa del giudice;
        che  il  rimettente,  nell'esprimere  le  ragioni  per cui il
potere  di  assumere,  eventualmente  anche  d'ufficio,  gli elementi
necessari   alla  decisione,  attribuito  al  giudice  dall'art. 441,
comma 5,  cod. proc. pen., non sarebbe idoneo a rendere la disciplina
censurata  conforme  a  Costituzione, trascura di considerare che nel
nuovo  giudizio  abbreviato  il  potere di integrazione probatoria e'
configurato  quale  strumento di tutela dei valori costituzionali che
devono presiedere l'esercizio della funzione giurisdizionale, sicche'
proprio a tale potere il giudice dovrebbe fare ricorso per assicurare
il rispetto di quei valori;
        che   inoltre   il   giudice   a   quo,  pur  richiamando  la
giurisprudenza di questa Corte in tema di `continuita' investigativa'
con  riferimento  alla  possibilita' per la parte privata di produrre
gli  atti  delle  indagini  difensive  anche  nel  corso dell'udienza
preliminare  (sentenze  n. 238  del 1991 e n. 16 del 1994), omette di
motivare  sul  perche'  non  abbia  ritenuto  di  dare  attuazione al
principio  secondo  il  quale  a  ciascuna  delle  parti  va comunque
assicurato  il  diritto  di esercitare il contraddittorio sulle prove
addotte  `a  sorpresa'  dalla  controparte,  in modo da «contemperare
l'esigenza   di  celerita'  con  la  garanzia  dell'effettivita'  del
contraddittorio», anche attraverso differimenti delle udienze congrui
rispetto  «alle  singole,  concrete  fattispecie» (oltre a quelle ora
citate, v. sentenza n. 203 del 1992);
        che    prima   di   sollevare   questione   di   legittimita'
costituzionale  il  rimettente  avrebbe  quindi  dovuto  esplorare la
concreta  praticabilita'  delle soluzioni offerte dall'ordinamento al
fine  di  porre  rimedio  alla  denunciata  anomala sperequazione tra
accusa e difesa;
        che   la  questione  va  pertanto  dichiarata  manifestamente
inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.