IL TRIBUNALE

    Nella   causa   n. 674/2005   avente   ad   oggetto:  reclamo  ex
art. 669-terdecies   c.p.c.   da   parte   di   Giorgio   D'Ambrosio,
elettivamente domiciliato in Pescara, alla via Ravenna, 72, presso lo
studio  dell'avv.  Giuseppe Amicarelli, che lo rappresenta e difende,
unitamente  e disgiuntamente con l'avv. Sergio Della Rocca, in virtu'
di  mandato  in  calce  all'atto  di  reclamo, avverso l'ordinanza di
rigetto  del  10  febbraio  2005  del  ricorso ex art. 700 c.p.c., ha
emesso la seguente ordinanza.
I) Premessa.
    Giorgio  D'Ambrosio,  sindaco  in  carica  del comune di Pianella
(Provincia  di  Pescara), proponeva avanti a questo Tribunale ricorso
ex art. 700 c.p.c. assumendo:
        la legge regionale n. 51 del 30 dicembre 2004, pubblicata nel
B.U.R.A.  n. 3  del  14  gennaio  2005,  prevede all'art. 2, comma 1,
lettera  n),  che  «Non  sono  eleggibili a presidente della giunta e
consigliere  regionale  (...)  i sindaci dei comuni della regione con
popolazione   superiore   a  cinquemila  abitanti  ed  al  successivo
art. 4-bis  la  possibilita' di rimuovere le cause di ineleggibilita'
entro   venti  giorni  dall'entrata  in  vigore  della  legge  stessa
(15 gennaio 2005);
        era  sua  intenzione  esercitare  il  diritto  di  elettorato
passivo   candidandosi,   nella  circoscrizione  della  Provincia  di
Pescara,  alle  elezioni  per  il rinnovo del Consiglio della Regione
Abruzzo, fissate per la prossima primavera (3-4 aprile 2005), essendo
decorso il quinquennio dalle precedenti.
    Denunciava  quindi,  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2,
comma  1, lettera n), l.r. n. 51 del 30 dicembre 2004, per violazione
degli artt. 3, 51 e 122 Cost. e chiedeva:
        a)  in  via principale, accertare il diritto del rag. Giorgio
D'Ambrosio  a  concorrere  alle  elezioni  alla carica di Consigliere
della  Regione  Abruzzo  e  dichiarare  la  sua eleggibilita', previa
immediata  disapplicazione  delle  norme, di cui all'art. 2, comma 1,
lettera  n),  e  -  si  opus  sit - all'art. 4-bis, della legge della
Regione Abruzzo n. 51 del 30 dicembre 2004;
        b)  in  subordine,  accertare  il  diritto  del  rag. Giorgio
D'Ambrosio  a  concorrere  alle  elezioni  alla carica di Consigliere
della  Regione  Abruzzo  e  dichiarare  la  sua eleggibilita', previa
remissione  alla Corte costituzionale delle norme, di cui all'art. 2,
comma  1,  lettera  n), e - si opus sit - all'art. 4-bis, della legge
della Regione Abruzzo n. 51 del 30 dicembre 2004, affinche' la stessa
Corte  ne dichiari l'illegittimita' per contrasto con gli artt. 3, 51
e 122 Cost.;
        c)  disporre  per  il  prosieguo  nel  merito, con riserva di
danni;
        d) con vittoria di spese.
    In  data  9  febbraio  2005  il  giudice,  sentite  le  parti (il
ricorrente,  la  resistente  Regione  Abruzzo,  costituitasi  con  la
propria  Avvocatura  regionale  ed  il pubblico ministero), riservava
ordinanza.
    Il  successivo  10  febbraio  2005, a scioglimento della riserva,
dichiarava  «manifestamente  infondata  l'eccezione di illegittimita'
costituzionale  sollevata  in  relazione  all'art. 2, 1°, lettera n),
l.r.  30 dicembre 2004, n. 51» e rigettava il ricorso, compensando le
spese.
    Il  D'Ambrosio  ha  proposto reclamo al Collegio assumendo che il
provvedimento   impugnato,   pur  facendo  correttamente  riferimento
all'art. 122 Cost. ed alla legge n. 165/2004, da' di queste norme una
lettura  insufficiente  e non adeguata allo spirito informatore della
materia.
    All'udienza camerale del 25 febbraio 2005 il Collegio, sentite le
parti, riservava ordinanza.
II) Il ricorso ex art. 700 c.p.c.
    Al  fine  di  esaminare  il  reclamo  e' necessario ripercorre le
argomentazioni contenute nel ricorso ex art. 700 c.p.c. e la risposta
del giudice di prime cure.
    Dal ricorso si evince quanto segue.
        «La   menzionata  l.r.  Abruzzo  n. 51/2004  avrebbe  voluto,
programmaticamente,  dare  attuazione all'art. 122 Cost. ed inserirsi
nella cornice della legge n. 65/2004, ma ne ha stravolto i principi.
    In  effetti,  l'art. 2  della  citata  legge  statale n. 165/2004
indica  alle  regioni i criteri, entro i quali disciplinare i casi di
ineleggibilita'   di   consiglieri  e  presidenti  delle  stesse;  in
particolare, il comma 1, lettera a) del detto art. 2 detta i seguenti
principi  fondamentali: a) sussistenza delle cause di ineleggibilita'
qualora  le  attivita'  o  le funzioni svolte dal candidato, anche in
relazione  a  peculiari  situazioni  delle regioni, possano turbare o
condizionare  in  modo  diretto  la  libera  decisione  di voto degli
elettori  ovvero  possano  violare la parita' di accesso alle cariche
elettive rispetto agli altri candidati.
    Il  legislatore  regionale avrebbe dovuto attenersi rigorosamente
all'ambito  indicato  dal  Parlamento  e  non  aveva  in  materia una
potesta'  legislativa  illimitata e arbitraria, poiche' la previsione
delle  cause  di  ineleggibilita' doveva limitarsi ai casi, nei quali
fosse  stata  evidente e tangibile la capacita' del candidato, per la
peculiarita'   della  sua  situazione,  di  incidere  sulla  liberta'
dell'elettorato attivo.
    Questi  eccezionali  casi,  inoltre, dovevano essere giustificati
dalla  particolarita'  della  situazione  della  regione legiferante,
rispetto al resto del territorio nazionale.
    E'  assolutamente  evidente  che il legislatore abruzzese, con la
legge  n. 51/2004, non si sia attenuto ai principi suddetti, ma abbia
arbitrariamente trasformato cause di incompatibilita', previste dalla
disciplina   nazionale  (art. 4,  legge  n. 154/1981),  in  cause  di
ineleggibilita',  col  fine  di  rendere  difficoltoso l'accesso alle
cariche  pubbliche  elettive,  proprio  ad  alcuni rappresentanti del
colpo elettorale.
    Sono  infatti  noti gli effetti delle cause di incompatibilita' e
di  quelle di ineleggibilita', essendo questi ultimi assai piu' gravi
dei primi.
    La  legge  regionale n. 51 del 30 dicembre 2004, art. 2, comma 1,
lettera  n),  e',  dunque,  incostituzionale,  per  violazione  degli
artt. 3,   51  e  122  Cost.  e  qui  si  denuncia  formalmente  tale
illeggittimita'.
    Quello di elettorato passivo, riconosciuto dall'art. 51 Cost., e'
un diritto soggettivo primario di immediata fonte costituzionale, che
sopporta limitazioni in via assolutamente eccezionale.
    Non  si ricava ne' dal testo della legge impugnata ne' dai lavori
dell'Assemblea  regionale  quali ragioni abbiano indotto il Consiglio
ad  introdurre  una  norma, tanto limitativa quanto quella dettata in
odio  ai  sindaci  dei  comuni  con  popolazione  superiore  ai 5.000
abitanti.
    La norma denunciata viola, inoltre, e patentemente l'art. 3 della
Costituzione, sia sotto il profilo della lesione dell'eguaglianza sia
sotto quello della ragionevolezza.
    L'attenzione all'eguaglianza e' stata particolarmente evidenziata
dal  legislatore nazionale, sia nel testo del richiamato art. 2 della
legge n. 165/2004, laddove ha sottolineato l'esigenza di giustificare
le  cause  di ineleggibilita' con la presenza di peculiari situazioni
delle   regioni,   sia   nella  relazione  sulla  legge  della  Prima
commissione  permanente del Senato (Affari costituzionali): "In altre
parole,  con questo disegno di legge sono implicitamente affrontati i
modi   piu'   corretti   per   comporre  in  un  disegno  organico  e
complementare   non   solo   il  tema  dell'autonomia  regionale,  ma
contemporaneamente anche la tutela del diritto alle pari opportunita'
ed all'uguaglianza tra tutti, dato che sono direttamente investiti la
qualificazione  della  persona  come  cittadino  ed i suoi diritti di
liberta'  e  di influenza nella sfera sociale e politica". (Relazione
della Prima Commissione, curata dal senatore Falcier - doc. 4).
    La  potesta'  legislativa regionale, dunque, doveva e deve essere
esercitata  "entro  i  limiti  di  una  tutela  paritaria su tutto il
territorio  nazionale.  Infatti tale autonomia si combina con il piu'
rigoroso  scrupolo  che  il  suo riconoscimento non si risolva in una
corrispettiva  lesione  dei  diritti  di  cittadinanza" (ancora dalla
relazione del sen. Falcier).
    La  violazione  del  principio di eguaglianza e di quello da esso
scaturente,   di  ragionevolezza,  e'  soprattutto  evidente  ove  si
consideri  che  la  legge  denunciata  lascia  immutato il diritto di
elettorato  passivo  in  favore  di chi sia investito di funzioni che
incidono sull'intero territorio della Regione, quali il Presidente in
carica  della  Giunta  regionale,  gli  assessori  della  stessa ed i
consiglieri ed i consiglieri regionali uscenti, mentre la nega a chi,
come il ricorrente, sia sindaco di un comune medio-piccolo.
    Conformemente  alle previsioni statali, la Regione Friuli-Venezia
Giulia,  con  sua  legge  n. 21 del 29 luglio 2004, ha previsto quale
causa  di  incompatibilita'  per  il Consigliere regionale eletto, la
carica  di  Presidente  e  assessore  provinciale,  nonche' sindaco e
assessore  dei  comuni compresi nel territorio della Regione (art. 4,
comma 1, lett. a).
    A  ben  vedere  anche  il  progetto  di  legge,  licenziato il 14
dicembre  2004  dalla  Commissione del Consiglio regionale abruzzese,
recava la previsione di incompatibilita' tra la carica di consigliere
regionale  e  quella  di  sindaco.  Senonche',  tale  testo  e' stato
modificato  in modo determinante dal Consiglio regionale nella seduta
del    21 dicembre    2004,   attraverso   emendamenti   manoscritti,
inopinatamente introdotti nel corso della stessa seduta!
    In  applicazione  dei  suesposti  principi,  il Commissario dello
Stato per la Regione siciliana, con ricorso n. 84 del 20 agosto 2004,
ha   impugnato   dinanzi   alla  Corte  costituzionale  (ricorso  del
Commissario  -  doc.  5;  estratto del calendario delle udienze della
Corte  costituzionale  -  doc.  6) la legge regionale siciliana del 5
agosto  2004,  la  quale prevedeva l'ineleggibilita' di Assessori con
popolazione  superiore  ai  40.000  abitanti,  nonche'  di sindaci di
comuni con piu' di 5.000 abitanti e dei presidenti ed assessori delle
province della regione.
    Il rappresentante del Governo ha correttamente rilevato che "tali
cause  di  limitazione  dell'elettorato passivo non trovano riscontro
nell'ordinamento  giuridico nazionale, che prevede l'incompatibilita'
tra  la  carica  di  consigliere  regionale  e  quelle  di  sindaco e
presidente  delle  province  e  assessori  e  consiglieri  comunali e
provinciali"  e che non puo' essere giustificata l'adozione di misure
cosi'   drastiche,   che  comprimono  il  diritto  costituzionalmente
garantito  a candidarsi alla carica di consigliere regionale, per "la
quasi totalita' delle istituzioni locali".
    Tali  motivazioni  sono  perfettamente  utilizzabili anche per la
normativa   approvata  dal  Consiglio  regionale  abruzzese,  il  cui
contrasto  con  l'art. 2  della  legge  n. 165/2004,  nonche' con gli
articoli 3 e 51 della Costituzione appare evidente.
    Non   e'   di  secondaria  importanza  la  palese  disparita'  di
trattamento  tra  gli  amministratori  locali  abruzzesi e quelli che
svolgono  analoghe  funzioni nel territorio nazionale, per i quali le
rispettive regioni di appartenenza abbiano previsto espressamente (ad
esempio,  Friuli-Venezia  Giulia) la condizione di incompatibilita' o
nelle  quali  viga ancora la normativa nazionale (legge n. 154/1981),
che pure prevede l'incompatibilita'.
    La  legge  regionale  abruzzese  contiene,  altresi', limitazioni
temporali  del tutto illegittime e disancorate da scadenze elettorali
determinate,  quale  quella  di  cui  all'art  4-bis,  che prevede la
rimozione   delle   cause   di  ineleggibilita'  entro  venti  giorni
dall'entrata in vigore della legge stessa, quando invece la normativa
nazionale  fissa  il termine per la rimozione dell'ineleggibilita' al
momento   della   presentazione   delle  candidature  (art. 2,  legge
n. 154/1981,  conservato proprio per le regioni dall'art. 274, d.lgs.
n. 267/2000).
    Infine,  va  denunciata la violazione dell'art. 122 Cost., avendo
il  legislatore  regionale  chiaramente  superato i limiti segnatigli
dalla  norma  nazionale  di  riferimento,  cioe' dalla ripetuta legge
n. 165 del 2004.
    5)  Come e' evidente da quanto si e' venuti scrivendo fin qui, il
ricorrente  lamenta l'immediata lesione del suo diritto soggettivo di
elettorato  passivo;  l'aggressione  gli e' venuta direttamente dalla
Regione Abruzzo col mezzo della legge regionale.
    La detta lesione deve, percio', essere immediatamente tutelata ed
il  mezzo  puo',  e  percio'  deve,  essere quello della declaratoria
dell'eleggibilita'  del  ricorrente; questi, in altre parole, sta qui
proponendo   un'azione   dichiarativa   del  suo  stesso  diritto  di
elettorato  passivo,  il  quale  -  stanti  la  previsione  temporale
dell'art. 4-bis  della l.r. n. 51/2004 e, comunque, l'imminenza delle
elezioni  regionali  -  non  puo'  che  trovare  tutela attraverso il
ricorso in via d'urgenza.
    Che  la  declaratoria del diritto possa costituire l'unica tutela
del  medesimo e' stato esplicitamente riconosciuto in giurisprudenza;
per una fattispecie in materia analoga a quella in esame, si rinvia a
Pretura   di  Roma,  ordinanza  19  maggio  1987,  in  Giurisprudenza
costituzionale, 1988, II, pag. 2522, con nota Borrello:
        "La  tutela  del  diritto  costituzionalmente  garantito alla
partecipazione  alle  elezioni  politiche per il rinnovo della camera
dei  deputati,  insuscettibile  di risarcimento per equivalente, puo'
utilmente  essere  tutelato  provvisoriamente  ed in via d'urgenza ex
art. 700   c.p.c.,   attraverso  un  provvedimento  che  dichiari  il
tempestivo  deposito  della  lista,  quando  questo  non  sia  potuto
avvenire per causa di forza maggiore".
    Pertanto,  il  sindaco  D'Ambrosio  propone  nel merito un'azione
dichiarativa  e  chiede  che  ne  siano anticipati gli effetti in via
d'urgenza,  essendo il solo mezzo di tutela effettiva e reale del suo
diritto.
    D'altronde,  nessuno  potra'  mai negare che l'elettorato passivo
costituisca  nel nostro ordinamento democratico un diritto soggettivo
assoluto,  come tale sicuramente suscettibile di tutela anche ex art.
700 c.p.c.
    6)  L'azione  esercitata  dal  ricorrente,  dunque,  e'  volta ad
ottenere  la  rimozione degli effetti della legge regionale n. 51 del
30 dicembre 2004.
    Tali  effetti  possono,  e  ad avviso dell'istante devono, essere
immediatamente  caducati,  attraverso  la disapplicazione della norma
regionale  ovvero la declaratoria della sua inefficacia nei confronti
del   ricorrente,   da   stabilirsi   immediatamente  con  lo  stesso
provvedimento ex art. 700.
    E'  lo  stesso  rango assolutamente primario del diritto leso che
deve  indurre  ad  una  simile pronuncia: la posizione soggettiva del
ricorrente e' riconosciuta immediatamente da una norma costituzionale
ed e' stata violata da una di rango ad essa inferiore; non vengono in
comparazione fattispecie tutelate da norme di legge ordinaria, ma una
norma ordinaria ed una costituzionale.
    Rimossi   gli   effetti   dell'illegittima  legge  regionale,  si
riespanderebbe  immediatamente  il  diritto  di  rango costituzionale
dell'esponente.
    La  giurisprudenza  piu' recente ha riconosciuto la necessita' di
assicurare  tutela  anche  a posizioni di rango inferiore a quella in
esame,     immediatamente    disapplicando    la    legge    ritenuta
incostituzionale:
        "E'  ammissibile  la  domanda  cautelare volta ad ottenere un
provvedimento  d'urgenza  a  tutela  di  un diritto soggettivo che si
assuma violato da una norma di legge ordinaria della quale si affermi
l'illegittimita'  costituzionale e, in specie, anche il contrasto con
una  norma contenuta in un regolamento comunitario (Tribunale Torino,
ordinanza  28  agosto  2000  - Varetto e altro contro Reg. Piemonte e
altro - Giur. it. 2001, 1866 nota Porcari).
    Nel  caso di specie, in particolare, ove il giudice adito ritenga
incostituzionale   la   previsione   della   legge   regionale,   che
ingiustamente ed immotivatamente comprime il diritto dei sindaci, dei
comuni   con   piu'  di  cinquemila  abitanti,  di  partecipare  alla
competizione  elettorale, egli puo' emettere l'invocato provvedimento
d'urgenza  e procedere, percio', alla disapplicazione immediata delle
norme  impugnate: artt. 2, comma 1, lettera n), e 4-bis della l.r. 30
dicembre  2004,  n. 51, rimettendo al giudice del merito anche per il
rinvio degli atti alla Corte costituzionale.
    La  disapplicazione  della  norma regionale in questione comporta
l'applicazione  della  norma  nazionale  generale (art. 4 della legge
n. 54/1981),  la  quale  prevede  per  i  sindaci  la  condizione  di
incompatibilita'    con   la   carica   di   consigliere   regionale.
Subordinatamente,  ove  l'on. Giudicante non ritenga di esercitare il
potere  teste'  sollecitato,  egli  vorra'  certamente riconoscere la
fondatezza (ed a maggior ragione la non manifesta infondatezza) della
questione  di  costituzionalita'  sollevata  ed  illustrata  ai punti
precedenti.
    La  rilevanza  della  stessa e' in re ipsa, poiche' si domanda la
tutela  urgente di un diritto costituzionale, percio' lo stesso della
tutela  urgente  vorra', conseguentemente, sospendere il procedimento
art. 700  e  sollevare egli stesso, quale giudice a quo, la questione
dinanzi  la  Corte  costituzionale,  riservando  all'esito il proprio
provvedimento cautelare.
    7) Sussiste il fumus boni juris per tutto quanto sin qui esposto:
la  violazione  del  diritto soggettivo di elettorato passivo a mezzo
della legge regionale pare indubitabile.
    D'altronde,  il  ricorso promosso dal Commissario di Stato per la
Regione  Sicilia  per  l'identica  questione  in  materia  elettorale
(citato  doc.  5)  ha  gia' superato il filtro previsto dall'art. 26,
secondo  comma, legge n. 87/1953 (declaratoria in camera di consiglio
per  i  casi  di  manifesta infondatezza) ed e' stata fissata udienza
pubblica al 22 marzo 2005 (cfr. citato doc. 6).
    Per  quanto attiene alla sussistenza del periculum in mora, vanno
anzitutto  richiamate  le puntuali motivazioni della citata ordinanza
della  Pretura di Roma, sull'impossibilita' di tutela per equivalente
dei   diritti  di  elettorato,  nonche'  evidenziato  il  pregiudizio
irreparabile  che subisce il ricorrente dall'applicazione della norma
regionale.
    Inoltre, va rilevato e la stessa l.r. 51/2004 contiene un termine
di giorni 20, decorrente dalla pubblicazione avvenuta sul B.U.R.A. 14
gennaio  2005,  entro il quale il potenziale candidato alla carica di
consigliere  regionale  sarebbe costretto a dismettere la sua attuale
funzione  di  Sindaco, in ossequio all'incostituzionale previsione di
ineleggibilita'.
    D'altronde,   l'imminente   scadenza   del  mandato  dell'attuale
Consiglio  regionale  e  la  necessita',  prevista  dalla  legge,  di
procedere   al   suo   rinnovo   entro  la  primavera,  impongono  un
provvedimento  urgente,  atteso che il diritto del ricorrente sarebbe
vanificato dai tempi del giudizio ordinario di cognizione.
    Il  Consiglio  regionale  abruzzese  e'  l'organo  che  forma  la
volonta'  della  Regione  Abruzzo,  le  sue leggi sono promulgate dal
Presidente della Giunta, che e' il legale rappresentante della stessa
regione;  pertanto  la  Regione  Abruzzo  e'  il  soggetto,  cui deve
addebitarsi  la  lesione del diritto soggettivo di elettorato passivo
del ricorrente, recata dalla legge regionale n. 51/2004».
III) L'ordinanza cautelare.
    Il  giudice designato richiamati gli artt. 122 Cost. e la legge 2
luglio 2004, n. 165, ha cosi' motivato la propria decisione:
        «la  causa  di ineleggibilita' qui contestata (essere sindaco
di  un comune di dimensioni non piccole e, quindi, essere titolare di
non  modeste  potenzialita'  aggregative)  appare  sintonica rispetto
all'obiettivo  della legge quadro statale; obiettivo che, presidiando
la  trasparenza  e  la  fluidita'  della competizione democratica, ha
forza  derogatoria  rispetto  alla  prerogativa  individuale di rango
costituzionale che formalizza l'uguaglianza nell'elettorato passivo;
        peraltro,  la  conferma  di un esercizio non irragionevole od
abusivo  della  discrezionalita'  legislativa  regionale  si rinviene
nella prevista disattivazione della causa di ineleggibilita', qualora
essa  sia cessata per qualunque motivo almeno novanta giorni prima di
quello  fissato per la presentazione delle candidature (art. 2, comma
2,  l.r.  n. 51)  e non sia piu' in grado, quindi, di produrre i suoi
effetti opachi;
        peraltro,  attesa  la  possibilita'  (per  ragioni  in  parte
analoghe) di concorrere alla competizione elettorale previa rimozione
della  causa  di  ineleggibilita'  entro venti giorni dall'entrata in
vigore  della  legge (art. 4-bis, l.r. n. 51) - considerata l'entrata
in  vigore  della  legge  il  15 gennaio 2005 (giorno successivo alla
pubblicazione sul B.U.R.A.) - il D'Ambrosio avrebbe goduto di margine
ampio per organizzare la candidatura alle elezioni regionali;
        ne'  viene  in  rilievo il fatto che altri ordinamenti (legge
Friuli  29  luglio  2004,  n. 21)  hanno  inteso  stabilire  la  mera
incompatibilita'  tra  la  carica  di sindaco e carica di consigliere
regionale (piuttosto che l'ineleggibilita' del primo), trattandosi di
disparita'  normative  ormai  ineludibili nell'impianto federalistico
disegnato dal nuovo titolo V della carta fondamentale, difformita' da
accettare  come tali laddove non travalichino - come qui non e' parso
- i principi fondamentali di derivazione statale».
IV) Il reclamo.
    Il reclamante assume che il provvedimento impugnato e' carente di
motivazione  in  ordine  alle  modalita',  per  mezzo  delle quali il
ricorrente   possa   turbare   o  condizionare  in  modo  diretto  la
competizione  elettorale  di livello regionale, questi rivestendo una
carica,  la cui investitura poggia su una limitata frazione del corpo
elettorale  regionale.  Si afferma che il giudice di prime cure, dopo
aver  sottolineato  le  dimensioni  non  piccole del comune di cui il
ricorrente   e'   sindaco,  si  e'  limitato  a  sostenere  che  tale
circostanza  sia  di per se' tale da farlo ricadere nella fattispecie
individuata  dalla legge statale e percio' sintonica con la medesima,
senza  farsi  carico di verificare e motivare se e come il sindaco di
un  comune  di  limitate  dimensioni  (7.788 abitanti) possa incidere
sulla  competizione  elettorale  regionale,  tanto da condizionarla o
addirittura turbarla in modo diretto.
    Si  ribadisce  nel  reclamo  che  la  norma  regionale si pone in
contrasto con gli artt. 3 (lesione del principio di eguaglianza) e 51
Cost. (eguale esercizio del diritto di elettorato passivo) in quanto:
        consente  che  all'elezione dei consiglieri regionali possono
legittimamente  partecipare soggetti, che esercitano le loro funzioni
elettive  su tutto il territorio regionale ed avrebbero, percio', ben
piu' ampia e penetrante capacita' di incidere sull'elettorato attivo,
quali  i  consiglieri uscenti, il presidente del consiglio regionale,
gli assessori regionali, ed il presidente della giunta regionale;
        pone  i  sindaci  della  regione  Abruzzo in una posizione di
disparita'  di  trattamento  rispetto  agli  omologhi  nel  resto del
territorio nazionale.
    Di  tali profili di contrasto rispetto alle regole costituzionali
il  primo  giudice non si sarebbe fatto carico, essendosi limitato ad
affermare  che  le esigenze della trasparenza e della fluidita' della
competizione  elettorale  avrebbero  forza  derogatoria  rispetto  al
diritto  individuale  di  rango  costituzionale,  di  cui all'art. 51
Cost.,  senza  pero'  giustificare  «perche'  tale  limitazione possa
legittimamente  colpire  solo  i  sindaci  e  poche  altre categorie,
lasciando  intatti  i  diritti  di elettorato passivo di quegli altri
soggetti,  che  si sono sopra indicati e che - accettando per ipotesi
le  ragioni  del  legislatore  regionale  - avrebbero per loro natura
maggior capacita' distorsiva della competizione elettorale.
    Viene  infine impugnato il capo del provvedimento che ha ritenuto
di  trovare  una  sorta  di  uscita di sicurezza nella previsione del
legislatore  regionale  delle  preventive  dimissioni  del candidato.
Sotto  questo profilo si afferma che il nostro ordinamento, ha sempre
consentito  l'eliminazione  della  causa di ineleggibilita' per mezzo
delle dimissioni preventive. Pertanto una simile previsione non serve
in alcun modo a superare le censure di disparita' di trattamento e di
irragionevolezza,  mosse alla norma regionale, ne' puo' costituire un
particolare  elemento  di  apprezzamento  della  medesima  sul  piano
«dell'esercizio  non  irragionevole od abusivo della discrezionalita'
legislativa regionale».
    In  sostanza  il  legislatore  regionale  non avrebbe concesso, a
coloro che ha ritenuto ineleggibili, alcun trattamento particolare e,
in qualche modo, restitutorio del loro diritto leso. Al contrario, la
previsione del limite di 20 giorni, di cui all'art. 4-bis della legge
della   Regione  Abruzzo  n. 51/2004,  sarebbe  arbitraria  ed  anche
peggiorativa rispetto a quella generale della legge n. 154 del 1981.
V) Il quadro normativo di riferimento.
    L'art. 122  Cost.,  come  sostituito  dall'art. 2, legge cost. 22
novembre 1999, n. 1 (recante riforma del Titolo V della Costituzione)
prevede  al  primo  comma  che  «Il  sistema  di elezione e i casi di
ineleggibilita'  e  di  incompatibilita' del presidente e degli altri
componenti  della  giunta regionale nonche' dei consiglieri regionali
sono  disciplinati  con  legge  della Regione nei limiti dei principi
fondamentali  stabiliti  con  legge  della Repubblica, che stabilisce
anche la durata degli organi elettivi.
    La previsione e' stata attuata dalla legge 2 luglio 2004, n. 165,
recante  Disposizioni di attuazione dell'art. 122, primo comma, della
Costituzione,  che  all'art. 2,  detta  le  seguenti  disposizioni di
principio,   in   attuazione   dell'art. 122,   primo   comma,  della
Costituzione, in materia di ineleggibilita':
        "1.  -  Fatte  salve  le  disposizioni legislative statali in
materia  di  incandidabilita' per coloro che hanno riportato sentenze
di  condanna  o  nei  cui  confronti  sono  state applicate misure di
prevenzione,   le   regioni   disciplinano   con   legge  i  casi  di
ineleggibilita',  specificamente  individuati,  di  cui all'art. 122,
primo  comma,  della  Costituzione,  nei limiti dei seguenti principi
fondamentali:
          a)  sussistenza  delle  cause di ineleggibilita' qualora le
attivita'  o  le  funzioni svolte dal candidato, anche in relazione a
peculiari situazioni delle regioni, possano turbare o condizionare in
modo  diretto  la  libera  decisione  di  voto  degli elettori ovvero
possano  violare la parita' di accesso alle cariche elettive rispetto
agli altri candidati;
          b)  inefficacia  delle cause di ineleggibilita' qualora gli
interessati  cessino dalle attivita' o dalle funzioni che determinano
l'ineleggibilita',  non  oltre il giorno fissato per la presentazione
delle  candidature  o  altro  termine anteriore altrimenti stabilito,
ferma  restando  la  tutela  del diritto al mantenimento del posto di
lavoro, pubblico o privato, del candidato;
          c)  applicazione  della  disciplina  delle incompatibilita'
alle  cause  di  ineleggibilita'  sopravvenute  alle elezioni qualora
ricorrano  le  condizioni previste dall'art. 3, comma 1, lettere a) e
b);
          d)  attribuzione  ai  consigli regionali della competenza a
decidere  sulle  cause di ineleggibilita' dei propri componenti e del
presidente  della  giunta  eletto  a  suffragio universale e diretto,
fatta  salva  la competenza dell'autorita' giudiziaria a decidere sui
relativi  ricorsi.  L'esercizio delle rispettive funzioni e' comunque
garantito fino alla pronuncia definitiva sugli stessi ricorsi;
          e)     eventuale    differenziazione    della    disciplina
dell'ineleggibilita'   nei  confronti  del  presidente  della  giunta
regionale e dei consiglieri regionali;
          f)  previsione  della  non  immediata  rieleggibilita' allo
scadere  del  secondo mandato consecutivo del presidente della giunta
regionale  eletto  a suffragio universale e diretto, sulla base della
normativa regionale adottata in materia".
    La Regione Abruzzo ha attuato la legge 2 luglio 2004, n. 165, con
la  l.r.  30 dicembre 2004, n. 51, recante Disposizioni in materia di
ineleggibilita',   incompatibilita'   e  decadenza  dalla  carica  di
consigliere  regionale,  pubblicata nel B.U. Abruzzo 14 gennaio 2005,
n. 3,   ed   entrata   in   vigore  il  giorno  successivo  alla  sua
pubblicazione (art. 6).
    La legge prevede, all'art. 2:
        "1.  -  Non  sono eleggibilita' a presidente della giunta e a
consigliere regionale:
          a) i Ministri ed i Sottosegretari di Stato;
          b)  i  giudici  ordinari  della  Corte  costituzionale ed i
membri del Consiglio superiore della magistratura;
          c)  il  capo  e  i  vice  capi  della  polizia, nonche' gli
ispettori generali di pubblica sicurezza che prestano servizio presso
il Ministero dell'interno;
          d) i prefetti della Repubblica ed i dipendenti civili dello
Stato  aventi  la  qualifica  di  direttore  generale, o equiparata o
superiore, ed i capi di gabinetto dei ministri;
          e)  i  magistrati  ordinari,  i magistrati amministrativi e
contabili,  i  giudici di pace, che esercitano le loro funzioni nella
regione;
          f)  agli  ufficiali  delle  forze armate, che esercitano le
funzioni nel territorio della regione;
          g)  i  vice  prefetti ed i funzionari di pubblica sicurezza
che esercitano le loro funzioni nella regione;
          h)  i  segretari  generali  e  i  direttori  generali delle
amministrazioni   provinciali  comprese  nella  regione,  i segretari
generali,  i  direttori  generali  ed i segretari dei comuni compresi
nella regione;
          i) i dirigenti e i dipendenti della regione;
          j)  gli  amministratori  e  i  dirigenti  con  funzioni  di
rappresentanza  di  ente o di azienda dipendente nonche' i presidenti
ed  i  consiglieri di amministrazione degli Enti d'ambito di cui alla
l.r.  n. 36/1994  e  alla l.r. n. 2/1997 e delle relative societa' di
gestione;
          k) il direttore generale, il direttore amministrativo ed il
direttore sanitario delle unita' sanitarie locali;
          l) il Difensore civico della Regione Abruzzo;
          m)   i  membri  del  collegio  regionale  per  le  garanzie
statutarie;
          n)  i  sindaci  dei  comuni  della  regione con popolazione
superiore a cinquemila abitanti, nonche' i presidenti e gli assessori
delle province.
    2.  -  Le  cause di ineleggibilita', di cui al comma 1, non hanno
effetto  se  le funzioni esercitate, la carica o l'ufficio ricoperto,
sono  cessati  per  dimissioni, trasferimento, revoca dell'incarico o
del  comando,  collocamento  in aspettativa, non oltre novanta giorni
antecedenti il giorno fissato per la presentazione delle candidature;
le cause di ineleggibilita' previste alle lettere a), b), l) e m) non
hanno  effetto  se,  nel termine predetto, le funzioni esercitate, la
carica o l'ufficio sono cessati per dimissioni.
    3.  -  La  regione,  gli  enti e le aziende dipendenti adottano i
provvedimenti  di  cui  al comma 2, entro sei giorni dalla richiesta.
Ove   non   provvedano,  la  domanda  di  dimissioni  o  aspettativa,
accompagnata  dalla  effettiva  cessazione delle funzioni, ha effetto
dal  sesto  giorno  successivo  alla  presentazione. L'aspettativa e'
concessa  per tutta la durata del mandato e senza assegni. Il periodo
di  aspettativa  e' considerato come servizio effettivamente prestato
nonche'  come  legittimo impedimento per il compimento del periodo di
prova.
    4.  - In caso di scioglimento anticipato del Consiglio regionale,
le cause di ineleggibilita' di cui al comma 1 non hanno effetto se le
funzioni  esercitate,  la  carica o l'ufficio ricoperto sono cessati,
nelle   forme   prescritte,   entro   sette   giorni  dalla  data  di
pubblicazione  del  decreto  di  scioglimento e sempre che questa sia
anteriore al termine di cui al comma 2.
    5. - La domanda di dimissioni o aspettativa non ha effetto se non
e'  accompagnata  dalla  cessazione  delle  funzioni  con l'effettiva
astensione da ogni atto inerente l'ufficio rivestito"».
    All'art. 4-bis  prevede  che  «In  sede  di prima applicazione le
cause  di  cui  al  comma  2 dell'art. 2 debbono essere rimosse entro
venti giorni dall'entrata in vigore della presente legge».
VI) La giurisprudenza della Corte costituzionale.
    Con  sentenza 11 giugno 1993, n. 344, la Corte costituzionale nel
dichiarare  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 7 del d.P.R. 30
marzo  1957, n. 361, primo comma, lettera a) recante Approvazione del
testo unico delle leggi recanti norme per la elezione alla Camera dei
deputati,   sollevata,   in  riferimento  agli  artt. 3  e  51  della
Costituzione  (la  norma  prevedeva l'ineleggibilita' dei consiglieri
regionali  alla  Camera  dei deputati prescrivendo consequenzialmente
per  gli  stessi  consiglieri la cessazione dalle funzioni almeno 180
giorni  prima  della  scadenza  della  Camera  dei  deputati, nonche'
l'obbligo  della formale presentazione delle dimissioni, e prevedendo
l'accettazione  della  candidatura  come  motivo  di  decadenza dalla
carica  di  consigliere  regionale)  ha  affermato  principi generali
rilevanti nel caso in esame.
    Affermava il Giudice delle leggi quanto segue.
    « 3. - ... (omissis) questa Corte, con la sent. n. 5 del 1978, si
e'  pronunziata  nel  senso  della non fondatezza su una questione in
parte  identica  e  nell'occasione  ha  risposto a molti dei problemi
sollevati ora dal giudice a quo».
    La  Corte  ha  allora  affermato  che  l'intento,  perseguito dal
legislatore  con  la  disposizione  denunziata,  non  e'  gia' quello
proprio  della  incompatibilita',  ma e' piuttosto quello di impedire
che  i  titolari  di  determinati uffici pubblici possano valersi dei
poteri  connessi  alla  loro  carica per influire indebitamente sulla
competizione  elettorale, nel senso di alterare la par condicio fra i
vari   concorrenti  attraverso  la  possibilita'  di  esercitare  una
captatio  benevolentiae  o un metus publicae potestatis nei confronti
degli elettori.
    Questo  intento,  contrariamente  a quanto supposto dal giudice a
quo  risulta confermato dai lavori preparatori della legge 5 febbraio
1948,  n. 26 (legge elettorale), approvata dall'Assemblea costituente
in  sede  legislativa,  il  cui art. 6 e' divenuto, poi, l'art. 7 del
testo  unico  delle  leggi  per  l'elezione  della  Camera  deputati,
contenuto nel ricordato d.P.R. n. 361 del 1957. Nella discussione per
l'elaborazione  della  disposizione  impugnata la posizione di coloro
che  avrebbero voluto limitarsi a prevedere l'incompatibilita' tra la
funzione  di  parlamentare  e  quella  di consigliere regionale, gia'
affermata   dall'art. 122,  secondo  comma,  della  Costituzione,  fu
inequivocabilmente   battuta   dalla   opposta  idea  di  coloro  che
ritenevano,  sul presupposto che lo scopo della ineleggibilita' fosse
distinto   e   diverso  da  quello  della  incompatibilita',  che  il
legislatore  ordinario,  andando  oltre  la  previsione  direttamente
stabilita  dalla  Costituzione, ben potesse, nell'esercizio della sua
discrezionalita' politica, disporre l'ineleggibilita' dei consiglieri
regionali  a  ciascuna  delle  Camere. E, ai fini della ricostruzione
della "volonta'" del legislatore, poco importa se alcuni parlamentari
motivarono  allora  il  voto  a favore dell'ineleggibilita' adducendo
argomenti  che  in  realta'  avrebbero  dovuto valere nel senso della
scelta   della  incompatibilita',  come,  in  particolare,  il  voler
perseguire  lo  scopo  di escludere che si potesse contemporaneamente
partecipare alle assemblee elettive nazionali e a quelle regionali.
    In  armonia con tale intento, la ricordata sent. n. 5 del 1978 ha
respinto  i  dubbi  di  legittimita'  costituzionale  sull'art. 7 del
d.P.R.  n. 361  del  1957, sollevati in riferimento all'art. 51 della
Costituzione,  avvertendo,  tuttavia,  che  la "detta ineleggibilita'
potrebbe,  semmai,  non apparire altrettanto giustificata secondo gli
orientamenti   giurisprudenziali  di  questa  Corte  laddove  produca
effetti  per tutto il territorio nazionale anziche' nell'ambito della
regione  nella  quale  il  consigliere  regionale eserciti il proprio
mandato:  ma  siffatta questione non costituisce oggetto del giudizio
sottoposto a questa Corte" (punto 3, in diritto).
    In  quell'occasione  sono  stati  dichiarati  non fondati anche i
dubbi  di  legittimita'  costituzionale sollevati nei confronti della
stessa  disposizione in riferimento all'art. 3 della Costituzione. In
particolare,  la  Corte  ha ritenuto non sussistente tanto l'asserita
disparita'  di  trattamento  fra  l'ipotesi del consigliere regionale
ineleggibile  come  parlamentare  e l'ipotesi inversa di quest'ultimo
dichiarato  incompatibile  con  la  carica  di consigliere regionale,
quanto  l'addotta discriminazione a sfavore dei consiglieri regionali
stessi  derivante  dall'aver  l'art. 7  sottoposto questi ultimi allo
stesso  trattamento  (ineleggibilita)  previsto  per cariche diverse,
come  quelle  di  presidente  di  giunta provinciale e di sindaco dei
comuni  con  piu'  di  20.000 abitanti. Piu' precisamente, mentre nel
primo  caso  la  Corte  ha basato la sua pronunzia d'infondatezza sul
rilievo  che  si  pretendeva comparare situazioni tra loro eterogenee
(consigliere   regionale/deputato  o  senatore),  nel  secondo  caso,
invece,   non   ha  ritenuto  arbitrario  che  il  legislatore  abbia
equiparato   le   diverse   cariche  prima  ricordate  piuttosto  che
sottoporre   allo  stesso  trattamento  previsto  per  i  consiglieri
regionali  uffici  ancor  piu'  distanti,  come quello di consigliere
provinciale o di consigliere comunale.
    In  definitiva,  nel  giudizio  del  1978  la  Corte  si  e' gia'
pronunziata  su  tre  distinti  profili,  che sono ora riproposti dal
giudice   a   quo  innanzitutto,  su  quello  relativo  alla  pretesa
contraddizione  dell'art. 7  che  prescrive l'ineleggibilita', con la
ratio   legis   supposta   come   appropriata  a  una  previsione  di
incompatibilita';  in  secondo  luogo,  sull'aspetto  attinente  alla
pretesa  irragionevole  equiparazione  delle  tre  distinte categorie
indicate  alle  lettere  a),  b) e c), cioe' quella fra i consiglieri
regionali  e  i  presidenti  delle giunte provinciali o i sindaci dei
comuni  maggiori;  in  terzo  luogo,  sulla  asserita  disparita'  di
trattamento  esistente  fra la previsione d'ineleggibilita' stabilita
per  i  consiglieri  regionali che intendano candidarsi al Parlamento
nazionale   e  la  previsione  di  incompatibilita'  disposta  per  i
parlamentari che siano eletti nei consigli regionali. Inoltre, non si
puo'   negare   che   l'ultimo   dei   profili   indicati  pregiudica
sostanzialmente  l'ulteriore  nuova  prospettazione del giudice a quo
concernente la pretesa disparita' di trattamento intercorrente tra la
previsione  contestata  e  la  disciplina  posta  per  l'elezione del
parlamento  europeo,  in relazione alla quale l'art. 6 della legge 24
gennaio  1979,  n. 18,  ha stabilito semplicemente l'incompatibilita'
del  parlamentare  europeo  con  il  presidente di giunta regionale e
l'assessore  regionale,  lasciando  del  tutto  fuori  la  figura del
consigliere regionale.
        4.   -   Restano,   tuttavia,  profili  di  costituzionalita'
sollevati  dall'ordinanza  di  rimessione, che non sono stati toccati
dalla  precedente  decisione.  A  parte  il fatto che i confini della
questione  sottoposta  al  presente giudizio sono piu' ampi di quelli
esaminati  nel  l978  -  considerato  che  ora  l'ineleggibilita' dei
consiglieri  regionali  e'  contestata  in  relazione  a tutte le sue
possibilita'  applicative -, in questo caso il giudice a quo denunzia
anche l'irrazionalita' in se' della disposizione impugnata, derivante
dal    dubbio    che    l'ineleggibilita'    sia    una   conseguenza
irragionevolmente  sproporzionata rispetto alla natura dei poteri che
ciascun  consigliere regionale puo' esercitare al fine della captatio
benevolentiae degli elettori.
    In  effetti,  ad  un  attento  esame  dei lavori preparatori, non
risulta  in  alcun  modo  chiarito  quali  potrebbero essere i poteri
attribuiti  al  consigliere  regionale  il  cui esercizio, ove questi
fosse  candidato  alle  elezioni per la Camera o per il Senato, possa
essere   presuntivamente   considerato   come  possibile  fattore  di
turbativa  della  par  condicio che in campagna elettorale dev'essere
assicurata  a  tutti i candidati. Ne' alcuna piu' precisa indicazione
e'  rinvenibile  nella  giurisprudenza o anche in dottrina. Tuttavia,
dovendo  escludersi che l'esercizio di poteri collegiali possa essere
determinante a fini della previsione di cause di ineleggibilita', non
resta  altro che supporre che la previsione contenuta nell'art. 7 del
d.P.R.  n. 361 del 1957 debba essere essenzialmente riferita, come ha
indicato   l'Avvocatura   dello   Stato,   al  potere  di  iniziativa
legislativa spettante a ciascun membro del consiglio regionale.
    Cosi'  interpretato,  l'art. 7  del d.P.R. n. 361 del 1957, primo
comma,  lettera  a) risulta palesemente irragionevole e assolutamente
incoerente  con  il  sistema  delle  ineleggibilita' legislativamente
previsto.  Nell'ambito  di questo sistema, infatti, la titolarita' di
un  potere  d'iniziativa  legislativa  non  e'  mai  posta come causa
d'ineleggibilita',  per  il  semplice  fatto che, ove si considerasse
l'esercizio  di  quel potere come possibile motivo di turbativa della
par   condicio   fra  i  concorrenti  ad  una  elezione  politica  o,
addirittura,  come  mezzo  idoneo  rispetto  al  fine  illecito della
captatio  benevolentiae o del metus publicae potestatis nei confronti
degli  elettori,  dovrebbero  essere  considerati  ineleggibili, allo
stesso  titolo,  anche  i  consiglieri  regionali o i parlamentari in
carica  che  intendessero ripresentarsi nelle successive elezioni per
il  rinnovo dell'organo di appartenenza. Ed e' questa una conseguenza
che   non  puo'  essere  ragionevolmente  sostenuta  e  che  dimostra
l'inidoneita'  del  sopraindicato potere a dar luogo a svolgimenti in
grado  di produrre apprezzabili distorsioni o turbative rispetto alla
parita'  di  "chances"  dei  candidati in una competizione elettorale
autenticamente  democratica  e, in definitiva, rispetto alla libera e
genuina  espressione  del  voto  popolare,  garantita  come principio
primario e inviolabile dagli artt. 1, 2 e 51 della Costituzione.
    A  obiezioni  analoghe  sarebbe  sottoponibile la norma impugnata
nell'ipotesi  che  il  motivo  della  previsione dell'ineleggibilita'
fosse  individuato  nei poteri di controllo politico esercitabili dal
singolo  consigliere  regionale  nei  confronti  della  giunta  e  di
ciascuno  dei  componenti  di questa. In generale, comunque, non puo'
esser  trascurato  il rilievo che poteri come quelli finora esaminati
non  sono  assunti, di norma, come ragioni determinanti di ipotesi di
ineleggibilita',  dal  momento  che  sono  privi di quei caratteri di
decisivita'  e  di  gestione  attiva  della  cosa  pubblica, che sono
requisiti  essenziali  al  fine  di  configurare  ragionevolmente  il
pericolo  che una determinata carica pubblica possa essere utilizzata
per acquisire illecitamente consensi elettorali.
    Tantomeno,  poi, sarebbe giustificabile la disposizione impugnata
ove  si  ritenesse  che  l'ineleggibilita'  dei consiglieri regionali
derivi  dal  semplice  fatto  di  rivestire quella carica o, in altre
parole,  dal  prestigio  proveniente  da  quell'investitura  anche in
termini   di   maggiore   conoscibilita'   del   candidato  da  parte
dell'elettorato.  Pur  in  tal  caso,  oltre  a  sfuggire a qualsiasi
possibilita'  di  comprensione una previsione del genere circoscritta
ai   soli   consiglieri   regionali,   si   rivelerebbe   palesemente
irragionevole  una  disciplina  della  ineleggibilita'  che mirasse a
delimitare l'influenza nella competizione elettorale della notorieta'
derivante  dal  ricoprire  determinate  cariche pubbliche, tanto piu'
nell'ambito  di  societa',  come  quella  nella  quale  viviamo, dove
l'emergere di figure note al pubblico dipende da fattori molteplici e
si  verifica  in  svariati  settori  della  vita sociale, fra i quali
quello considerato non e' certo il piu' rilevante.
    In  definitiva, la tenuita', se non l'inconsitenza, delle ragioni
poste    a    base    della    previsione   legislativa   concernente
l'ineleggibilita'  dei consiglieri regionali alla Camera dei deputati
dimostra    l'evidente    mancanza    di    quella   rigorosa   prova
dell'indispensabilita'  del  limite  esaminato  rispetto all'esigenza
primaria di assicurare una libera competizione elettorale, che questa
Corte,  a  partire dalla sent. n. 46 del 1969, costantemente richiede
in riferimento al principio fondamentale contenuto nell'art. 51 della
Costituzione.  Per  questo,  infatti,  l'eleggibilita'  e'  la norma,
l'ineleggibiita' e' l'eccezione (v., da ultimo, sent. n. 388 del 1991
e  sent.  n. 310  del  1991;  sent. n. 539 del 1990; sent. n. 510 del
1989;  sent.  n. 1020 del 1988 e sent. n. 235 del 1988). Di modo che,
ove  la  giustificazione  dell'eccezione si rivelasse ragionevolmente
priva  di  un  legame  necessario  con  l'esigenza  di assicurare una
corretta  e  libera  concorrenza elettorale, non puo' non seguirne la
dichiarazione  d'illegittimita' costituzionale della disposizione che
la prevede.
    Siffatta  conclusione  si  impone tanto piu' ove si consideri che
l'art. 7  del  d.P.R.  n. 361  del  1957,  primo  comma,  lettera a),
suppone,  come  si  e'  prima  ricordato,  che  l'ineleggibilita' ivi
prevista  non  e'  limitata  al  caso in cui il consigliere regionale
intenda  presentare  la propria candidatura in un collegio elettorale
ricompreso  nel  territorio  dove  esercita  il  proprio  mandato, ma
produce  effetti  pur  nell'ipotesi di candidatura in altra parte del
territorio  nazionale. Ebbene, questa possibilita', una volta che sia
vista   quale  connotato  intrinseco  della  disposizione  impugnata,
rappresenta,  come e indicato nella sent. n. 5 del 1978, un ulteriore
sintomo  della  palese  irragionevolezza della stessa, in conseguenza
della  eccessiva e, comunque, sproporzionata ampiezza del campo degli
effetti ad essa collegabile.
    5.   -   Per   effetto   di   questa  pronunzia  d'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 7  del d.P.R. n. 361 del 1957, primo comma,
lettera  a),  il  quale  prevede  l'ineleggibilita'  alla  Camera dei
"deputati  regionali  o  consiglieri  regionali" tale ineleggibilita'
viene   meno  anche  in  relazione  alla  elezione  al  Senato  della
Repubblica.  Infatti,  poiche' l'art. 2 della legge 27 febbraio 1958,
n. 64, suppone che per l'elezione del Senato si applicano, in tema di
ineleggibilita',  le  leggi stabilite per la Camera, la dichiarazione
d'illegittimita' costituzionale emanata con la presente pronunzia nei
confronti dell'art. 7, primo comma, lettera a), del testo unico delle
leggi  per  l'elezione  della  Camera si estende automaticamente alle
elezioni per il Senato.
    Allo  stesso  modo,  viene  ovviamente  meno  la  possibilita' di
applicare  all'ipotesi  contestata  i  commi  secondo, terzo e quarto
dell'art. 7  del d.P.R. n. 361 del 1957, i quali sono stati impugnati
dal  giudice  a  quo  non  come disposizioni a se' stanti, ma solo in
quanto riferiti ai consiglieri regionali.
    A  seguito  della  pronunzia  ora  adottata  viene,  dunque, meno
l'ineleggibilita' dei consiglieri regionali a parlamentari nazionali.
    Resta  ferma,  tuttavia,  la  norma,  immediatamente applicabile,
contenuta   nell'art. 122,  secondo  comma,  della  Costituzione.  Ne
deriva,  pertanto,  che  al  momento  tra  la  carica  di consigliere
regionale  e  quella  di membro di una delle Camere del Parlamento e'
stabilita  l'incompatibilita'.  Cio'  non  toglie,  tuttavia,  che il
legislatore   possa   prevedere   l'ineleggibilita'   a  parlamentare
nazionale  del  presidente  della  giunta regionale e degli assessori
regionali,   poiche'   le   considerazioni  svolte  in  relazione  ai
consiglieri  regionali non possono certo estendersi a categorie, come
quelle   ora   ricordate,   che  sono  individualmente  investite  di
importanti poteri politici e di rilevanti funzioni di amministrazione
attiva.
    Ma,   in   verita',   l'auspicio  di  questa  Corte  e'  che  una
legislazione,  come  quella  vigente, ricca di incongruenze logiche e
divenuta  ormai  anacronistica di fronte ai profondi mutamenti che lo
sviluppo  tecnologico  e  sociale  ha  prodotto  nella  comunicazione
politica,  sia presto riformata dal legislatore al fine di realizzare
nel  modo  piu'  pieno e significativo il valore costituzionale della
liberta'  e  della  genuinita'  della  competizione  elettorale e del
diritto  inviolabile  di ciascun cittadino di concorrere all'elezione
dei  propri rappresentanti politici e di partecipare in condizioni di
eguaglianza all'accesso a cariche pubbliche elettive».
VII) L'esame delle domande.
    Il ricorrente chiede:
        a)  in  via principale, accertare il diritto del D'Ambrosio a
concorrere  alle  elezioni  alla  carica di Consigliere della Regione
Abruzzo   e   dichiarare   la  sua  eleggibilita',  previa  immediata
disapplicazione  delle norme, di cui all'art. 2, comma 1, lettera n),
e  -  si opus sit - all'art. 4-bis, della legge della Regione Abruzzo
n. 51 del 30 dicembre 2004;
        b)  in  subordine,  accertare  il  diritto  del  D'Ambrosio a
concorrere  alle  elezioni  alla  carica di Consigliere della Regione
Abruzzo  e  dichiarare  la  sua eleggibilita', previa remissione alla
Corte costituzionale delle norme, di cui all'art. 2, comma 1, lettera
n),  e  -  si  opus  sit  - all'art. 4-bis, della legge della Regione
Abruzzo  n. 51  del  30 dicembre  2004,  affinche' la stessa Corte ne
dichiari  l'illeggittimita'  per  contrasto con gli artt. 3, 51 e 122
Cost.
    In   entrambe  le  opzioni,  viene  chiesta  l'emanazione  di  un
provvedimento   d'urgenza   anticipatorio   di   sentenza   meramente
dichiarativa.  Tale provvedimento deve ritenersi ammissibile qualora,
come   nella  situazione  prospettata  dal  ricorrente,  l'incertezza
giuridica  anteriore  alla pronuncia finisce per aggravare i danni ed
incidere   su   beni   e  diritti  di  contenuto  non  esclusivamente
patrimoniale  o  costituzionalmente  protetti, ovvero a rendere detti
danni  difficilmente  riparabili  (Pretura  Roma, 25 gennaio 1993, in
Giur.  Merito,  1993,  pag.  614). Cio' in quanto le misure cautelari
atipiche   possono   essere  adattate  dal  giudice  alla  situazione
concreta,  a  ragione della strumentalita' delle stesse rispetto alla
decisione  di  merito  e  all'esigenza  di  salvaguardare  il diritto
dedotto   e  di  evitare  il  prodursi  di  effetti  irreversibili  o
difficilmente  rimovibili  in  base  all'esito del giudizio di merito
(Tribunale Ragusa, ord. del 27 febbraio 1999, n. 3/1999 R.G. ricorsi,
in http://www.diritto.it).
    Parimenti  e' ammissibile, quanto alla richiesta subordinata, che
il  dice  adito  in via cautelare, sospenda la trattazione della fase
sommaria  rimettendo  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
all'esame  del  giudice  delle leggi (per decisioni emesse seguito di
questioni  di legittimita' costituzionale sollevate in sede cautelare
si  rinvia  a Corte cost. sent. 6-13 maggio 1998, n. 166; 29 aprile -
10 maggio 1999, n. 167).
    Tanto  precisato, va tenuto presente che il giudice ordinario non
ha  il  potere  di  disapplicare  una  norma in vigore, atteso che il
potere  di disapplicazione e' concesso per i soli atti amministrativi
e  a determinate condizioni dall'art. 5 legge 20 marzo 1865, n. 2248,
allegato E.
    L'ipotesi   invocata   da  parte  ricorrente  ed  affrontata  dal
Tribunale Torino, con ordinanza 28 agosto 2000, riguardava un caso di
provvedimento  d'urgenza  a  tutela  di  un diritto soggettivo che si
assumeva  violato da una norma di legge ordinaria di cui si affermava
l'illegittimita'   costituzionale  ed  il  contrasto  con  una  norma
contenuta  in un regolamento comunitario. Trattasi di ipotesi diversa
da  quella  in  esame,  in  cui  a  fronte di una pluralita' di fonti
normative   che   regolano  la  stessa  fattispecie,  al  giudice  e'
consentito  applicare  quella  di  rango  superiore,  con conseguente
regressione (o non applicazione) della norma inferiore.
    Nel caso di specie non si presenta una situazione analoga, atteso
che la legge 2 luglio 2004, n. 165, e' norma di principio in bianco e
la l.r. 30 dicembre 2004, n. 51, e' norma di dettaglio.
    Non  e'  quindi ipotizzabile una diretta applicazione della norma
nazionale in luogo di quella regionale, ma si tratta di verificare se
sussistano  le  condizioni  previste dagli artt. 23 e segg., legge 11
marzo 1953, n. 87, per sollevare l'invocata questione di legittimita'
costituzionale.
    Cio'  precisato, si rileva che il ricorrente propone la questione
in una duplice prospettiva.
    Sotto  un  primo profilo si afferma che sarebbe violato l'art. 51
Cost.  per  ingiustificata  compressione  del  diritto  di elettorato
passivo,  atteso  che  ne'  la norma, ne' il giudice di prime cure si
sono preoccupate di chiarire come il sindaco di un comune di limitate
dimensioni   (7.788   abitanti)  possa  incidere  sulla  competizione
elettorale  regionale,  tanto da condizionarla e addirittura turbarla
in  modo diretto. Nella stessa prospettiva di violazione dell'art. 51
Cost.,  ma  in  toni  piu'  sfumati,  si contesta il meccanismo della
rimozione  delle  cause  di  ineleggibilita', sia in generale che con
riferimento   alla   previsione  del  limite  di  20  giorni  di  cui
all'art. 4-bis della l.r. Abruzzo n. 51/2004, che «sarebbe arbitraria
ed  anche  peggiorativa rispetto a quella generale della legge n. 154
del 1981».
    Una  seconda  censura  riguarda  la  violazione  del principio di
eguaglianza, perche' la norma regionale:
        pone  i  sindaci  della  regione  Abruzzo in una posizione di
disparita'  di  trattamento  rispetto  agli  omologhi  nel  resto del
territorio nazionale;
        consente  che  all'elezione dei consiglieri regionali possono
legittimamente  partecipare soggetti, che esercitano le loro funzioni
elettive  su tutto il territorio regionale ed avrebbero, percio', ben
piu' ampia e penetrante capacita' di incidere sull'elettorato attivo,
quali  i  consiglieri uscenti, il presidente del consiglio regionale,
gli assessori regionali, ed il presidente della giunta regionale.
    Viene  quindi  chiesto di sottoporre alla Corte costituzionale il
duplice   controllo  di  eguaglianza  -  o,  secondo  le  piu'  usate
terminologie,   di  «coerenza»  o  anche  di  «razionalita»  -  e  di
«ragionevolezza».
    Trattasi di due profili distinti, atteso che il primo comporta un
controllo  volto a stabilire se tra le varie manifestazioni normative
nella  stessa  materia  e  quella  denunziata  esista  una congruita'
dispositiva o, invece, vi siano contraddizioni insanabili. Il secondo
prescinde  da  raffronti  con  termini  di paragone (i quali, al piu'
assumono  solo  un  valore sintomatico), per esaminare la rispondenza
degli  interessi  tutelati  dalla  legge  ai  valori ricavabili dalla
tavola  costituzionale  o  al bilanciamento tra gli stessi, inferendo
una  contrarieta'  a  Costituzione  solo  quando  non  sia  possibile
ricondurre  la disciplina ad alcuna esigenza protetta in via primaria
o  vi  sia una evidente sproporzione tra i mezzi approntati e il fine
asseritamente perseguito [per ipotesi in cui la Corte ha provveduto a
scrutinare  sia  la  razionalita'  (controllo  di eguaglianza) sia la
ragionevolezza  di  una data norma, cfr. sent. 8 giugno 1992, n. 258,
in Giur. Cost., 1992, 1996 ss.; sent. 6 marzo 1995, n. 78, ivi, 1995,
712  ss.; sent. 31 maggio 1995, n. 209, ivi, 1995, 1581 ss.; sent. 17
luglio 1995, n. 325, ivi, 1995, 2492 ss.].
    Conviene iniziare la verifica dal profilo di ragionevolezza.
    L'art. 122  Cost.  attribuisce  alle  regioni  la  competenza  in
materia di:
        sistema di elezione dei Consigli regionali;
        casi  di ineleggibilita' e di incompatibilita' del Presidente
e   degli   altri  componenti  della  Giunta  regionale  nonche'  dei
consiglieri regionali.
    In  questo ambito il legislatore regionale opera con ampio potere
discrezionale,   che   va   esercitato   nel  rispetto  dei  principi
fondamentali  di  cui  alla  legge n. 165 del 2004. In particolare la
previsione  delle  cause di ineleggibilita' e' consentita «qualora le
attivita'  o  le  funzioni svolte dal candidato, anche in relazione a
peculiari situazioni delle regioni, possano turbare o condizionare in
modo  diretto  la  libera  decisione  di  voto  degli elettori ovvero
possano  violare la parita' di accesso alle cariche elettive rispetto
agli altri candidati».
    La  norma conferma la ratio ispiratrice della previsione di cause
di  ineleggibilita'  che,  come  si evince dalla giurisprudenza della
Corte  costituzionale,  e'  quella  di  impedire  che  i  titolari di
determinati  uffici pubblici possano valersi dei poteri connessi alla
loro carica per influire indebitamente sulla competizione elettorale,
nel  senso  di  alterare  la  par  condicio  fra  i  vari concorrenti
attraverso la possibilita' di esercitare una captatio benevolentiae o
un metus publicae potestatis nei confronti degli elettori.
    Va   subito   respinta   l'interpretazione  data  dai  ricorrenti
all'art. 2,  comma  1, lett. a), legge 2 luglio 2004, n. 165, secondo
cui  lo  stesso  consentirebbe  di prevedere cause di ineleggibilita'
solo  in  relazione  a  particolari  situazioni  delle regioni. Dalla
lettura della norma si ricava che queste situazioni sono previste non
come   la   ragione   esclusiva   della  previsione  delle  cause  di
ineleggibilita',  ma  come  ulteriore ipotesi che fonda la previsione
stessa;  significativo e determinante e' l'uso della parola «anche» e
della  virgola  al  termine  dell'inciso  «qualora  le attivita' o le
funzioni  svolte  dal  candidato».  In  altri termini e' rimessa alla
discrezionalita'   del   legislatore  regionale  l'individuazione  di
attivita'  e  funzioni  che  possano  «turbare o condizionare in modo
diretto  la  libera  decisione  di voto degli elettori ovvero possano
violare  la  parita'  di  accesso alle cariche elettive rispetto agli
altri candidati».
    Tale  scelta  puo'  essere  operata o con riferimento a categorie
generali,  ovvero  con riferimento a situazioni specifiche connesse a
particolari situazioni locali.
    L'ineleggibilita'  prevista  dalla  l.r. 30 dicembre 2004, n. 51,
all'art. 2, comma l, lett. n), per i sindaci dei comuni della regione
con  popolazione  superiore  a  cinquemila abitanti, va ascritta alla
prima  ipotesi,  facendo  riferimento  ad  una  intera  categoria  di
soggetti.
    Cio' posto, vanno tenuti presenti due elementi.
    Da  un  lato, la figura del sindaco, come delineata dal d.lgs. 18
agosto  2000,  n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli
enti  locali),  e'  individualmente  investita  di  importanti poteri
politici  e  di rilevanti funzioni di amministrazione attiva. Inoltre
la l.r. 9 marzo 2002, n. 1 (integrata per altri profili dalla l.r. 13
dicembre  2004,  n. 42),  nel  recepire  la  legge  17 febbraio 1968,
n. 108,  recante  Norme  per la elezione dei Consigli regionali delle
regioni  a  statuto  normale,  ha  confermato  che  il  territorio di
ciascuna   Regione   e'   ripartito   in   circoscrizioni  elettorali
corrispondenti alle rispettive Province.
    Non sembra allora irragionevole prevedere l'ineleggibilita' per i
sindaci  dei  comuni con popolazione superiore a cinquemila abitanti,
limite   oltre   il   quale   il  legislatore  regionale,  nella  sua
insindacabile  autonomia,  ha  ritenuto  di  prevedere  situazioni di
potenziale   pericolo   per   la   liberta'  e  la  genuinita'  della
competizione elettorale.
    Un  riscontro  della  non irragionevolezza della previsione viene
dalle  previsioni del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Testo unico delle
leggi  recanti norme per la elezione della Camera dei deputati) e del
d.lgs.  20 dicembre  1993,  n. 533  (Testo  unico delle leggi recanti
norme per l'elezione del Senato della Repubblica).
    Le  prime  si  svolgono  sulla  base  delle circoscrizioni di cui
all'art. 3  e  tabella  A  d.P.R.  30  marzo  1957, n. 361 che, nella
Regione Abruzzo, coincidono con il territorio dell'intera Regione. Le
seconde,  parimenti, si svolgono su base regionale (art. 1, d.lgs. 20
dicembre  1993,  n. 533  ). L'art. 7, lett. c), d.P.R. 30 marzo 1957,
n. 361  - richiamato per le elezioni al Senato dall'art. 5, d.lgs. 20
dicembre 1993, n. 533 - dispone che non sono eleggibili i sindaci dei
comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti.
    Orbene,  se il legislatore nazionale ha ritenuto di dover fissare
questa causa di ineleggibilita' quale parametro generale per elezioni
su base regionale (o comunque, per le elezioni alla camera in regioni
diverse   dall'Abruzzo,  in  ambito  ultra-provinciale),  appare  non
irragionevole   ed   in  linea  con  detto  criterio  la  scelta  del
legislatore abruzzese di rendere non eleggibili sindaci di comuni con
oltre   5.000  abitanti  per  elezioni,  quali  quelle  dei  consigli
regionali, che si svolgono su base provinciale.
    Sempre  nella  prospettiva di verifica della ragionevolezza delle
previsioni   normative   contestate,   non   puo'   poi  condividersi
l'affermazione per cui la previsione del limite di 20 giorni prevista
dall'art. 4-bis  della  l.r. Abruzzo n. 51/2004 sarebbe arbitraria ed
anche  peggiorativa rispetto a quella generale della legge n. 154 del
1981.
    Vanno,  invero,  condivise le argomentazioni del giudice di prime
cure  in ordine alla conferma di un esercizio non irragionevole della
discrezionalita'   legislativa  regionale  in  forza  della  prevista
disattivazione  della  causa  di  ineleggibilita',  anche  nella fase
transitoria,  attesa  la possibilita' di concorrere alla competizione
elettorale  previa  rimozione  della  causa  di ineleggibilita' entro
venti  giorni  dall'entrata  in  vigore della legge (art. 4-bis, l.r.
n. 51),  termine  che  non  sembra  impeditivo  della possibilita' di
organizzare  la candidatura alle elezioni regionali (in concreto, per
giunta, non viene affatto rappresentata tale difficolta).
    Inoltre  l'assunto  per  cui  il  termine di venti giorni sarebbe
peggiorativo  rispetto  a quello generale della legge n. 154 del 1981
(il  cui art. 2 prevede che le cause di ineleggibilita' ... non hanno
effetto   se  l'interessato  cessa  dalle  funzioni  per  dimissioni,
trasferimento,  revoca  dell'incarico  o del comando, collocamento in
aspettativa  non  oltre  il giorno fissato per la presentazione delle
candidature),  e'  smentito  dalla  nuova disciplina introdotta dalla
legge  n. 165  del 2004 che nel confermare «l'inefficacia delle cause
di  ineleggibilita' qualora gli interessati cessino dalle attivita' o
dalle funzioni che determinano l'ineleggibilita', non oltre il giorno
fissato  per la presentazione delle candidature» aggiunge l'inciso «o
altro  termine  anteriore  altrimenti stabilito», cosi' facultando il
legislatore  regionale  a  prevedere un termine piu' breve rispetto a
quello ultimo di presentazione delle candidature.
    L'ineleggibilita'  prevista  dalla  norma  regionale  non  appare
altrettanto  giustificata  e  ragionevole  nella parte in cui produce
effetti  per tutto il territorio regionale anziche' nell'ambito della
sola  provincia  nella quale il Sindaco e gli altri soggetti indicati
esercitano  il  proprio mandato, poiche' in altre zone del territorio
regionale  essi  non  possono  valersi  dei poteri connessi alla loro
carica  per influire indebitamente sulla competizione elettorale, nel
senso  di  alterare la par condicio fra i vari concorrenti attraverso
la  possibilita'  di esercitare una captatio benevolentiae o un metus
publicae  potestatis  nei  confronti  degli  elettori.  Non  ricorre,
all'evidenza, il principio di riferimento indicato dalla legge n. 165
del  2004 e cioe' che la previsione delle cause di ineleggibilita' da
parte delle Regioni e' consentita «qualora le attivita' o le funzioni
svolte dal candidato, anche in relazione a peculiari situazioni delle
regioni,  possano  turbare  o  condizionare in modo diretto la libera
decisione di voto degli elettori ovvero possano violare la parita' di
accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati».
    Quanto  poi alla violazione del principio di eguaglianza, valgano
le seguenti considerazioni.
    Si  afferma  in primo luogo che la norma regionale pone i sindaci
della  regione  Abruzzo in una posizione di disparita' di trattamento
rispetto agli omologhi nel resto del territorio nazionale.
    Il  giudice  di  prime cure ha correttamente sottolineato che non
viene  in  rilievo  il  fatto  che altri ordinamenti (legge Friuli 29
luglio  2004,  n. 21) hanno inteso stabilire la mera incompatibilita'
tra la carica di Sindaco e carica di consigliere regionale (piuttosto
che l'ineleggibilita' del primo), trattandosi di disparita' normative
ormai  ineludibili  nell'impianto  federalistico  disegnato dal nuovo
titolo V della carta fondamentale, difformita' da accettare come tali
laddove  non  travalichino  -  come  qui  non  e'  parso - i principi
fondamentali di derivazione statale».
    Tali  argomentazioni  sono  pienamente condivisibili e ritiene il
Collegio di farle proprie.
    Diverse  considerazioni  vanno  svolte  riguardo  alla  lamentata
violazione  del  principio di eguaglianza, sull'ulteriore assunto che
la  norma regionale consente di partecipare all'elezione dei consigli
regionali  soggetti  i  quali esercitano le loro funzioni elettive su
tutto il territorio regionale ed avrebbero, percio', ben piu' ampia e
penetrante  capacita'  di  incidere  sull'elettorato  attivo, quali i
consiglieri  uscenti,  il  presidente  del  consiglio  regionale, gli
assessori regionali, ed il presidente della giunta regionale.
    Al  riguardo la risposta va modulata in relazione alle specifiche
figure ora indicate.
    In  ordine  ai  consiglieri  regionali  (e,  conseguentemente, al
presidente  del  consiglio  regionale)  in  carica, non si ravvisa la
lamentata disparita' di trattamento.
    A  parte la considerazione che i consigli regionali esercitano le
loro  funzioni  fino al quarantaseiesimo giorno antecedente alla data
delle  elezioni  per  la loro rinnovazione (art. 3, legge 17 febbraio
1968,  n. 108,  recante  Norme per la elezione dei consigli regionali
delle  regioni  a  statuto normale), giova riprendere le affermazioni
della  Corte  costituzionale,  riportate  in precedenza, (sentenza 11
giugno   1993,   n. 344)   che,   nel   dichiarare   l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 7  del  d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, primo
comma,  lettera  a) sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 51 della
Costituzione,  nella  parte  in  cui  prevedeva l'ineleggibilita' dei
consiglieri    regionali   alla   Camera   dei   deputati,   riteneva
«l'ineleggibilita'     ...    una    conseguenza    irragionevolmente
sproporzionata   rispetto   alla   natura   dei  poteri  che  ciascun
consigliere   regionale   puo'  esercitare  al  fine  della  captatio
benevolentiae degli elettori». Affermava il giudice delle leggi:
        «...  ad un attento esame dei lavori preparatori, non risulta
in alcun modo chiarito quali potrebbero essere i poteri attribuiti al
consigliere  regionale  il  cui esercizio, ove questi fosse candidato
alle   elezioni   per  la  Camera  o  per  il  Senato,  possa  essere
presuntivamente considerato come possibile fattore di turbativa della
par condicio che in campagna elettorale dev'essere assicurata a tutti
i candidati. Ne' alcuna piu' precisa indicazione e' rinvenibile nella
giurisprudenza  o anche in dottrina. Tuttavia, dovendo escludersi che
l'esercizio  di  poteri  collegiali possa essere determinante ai fini
della  previsione  di  cause  di ineleggibilita', non resta altro che
supporre  che  la  previsione contenuta nell'art. 7 del d.P.R. n. 361
del  1957  debba  essere  essenzialmente  riferita,  come ha indicato
l'Avvocatura   dello  Stato,  al  potere  di  iniziativa  legislativa
spettante   a   ciascun   membro   del   consiglio  regionale.  Cosi'
interpretato,  l'art. 7  del  d.P.R.  n. 361  del  1957, primo comma,
lettera   a),   risulta  palesemente  irragionevole  e  assolutamente
incoerente  con  il  sistema  delle  ineleggibilita' legislativamente
previsto.  Nell'ambito  di questo sistema, infatti, la titolarita' di
un  potere  d'iniziativa  legislativa  non  e'  mai  posta come causa
d'ineleggibilita',  per  il  semplice  fatto che, ove si considerasse
l'esercizio  di  quel potere come possibile motivo di turbativa della
par   condicio   fra  i  concorrenti  ad  una  elezione  politica  o,
addirittura,  come  mezzo  idoneo  rispetto  al  fine  illecito della
captatio  benevolentiae  del  metus publicae potestatis nei confronti
degli  elettori,  dovrebbero  essere  considerati allo stesso titolo,
anche  i  consiglieri  regionali  o  i  parlamentari  in  carica  che
intendessero  ripresentarsi  nelle successive elezioni per il rinnovo
dell'organo  di  appartenenza.  Ed  e' questa una conseguenza che non
puo'  essere  ragionevolmente  sostenuta e che dimostra l'inidoneita'
del  sopraindicato  potere  a  dar  luogo  a  svolgimenti in grado di
produrre  apprezzabili  distorsioni o turbative rispetto alla parita'
di   "chance"   dei   candidati   in   una   competizione  elettorale
autenticamente  democratica  e, in definitiva, rispetto alla libera e
genuina  espressione  del  voto  popolare,  garantita  come principio
primario e inviolabile dagli artt. 1, 2 e 51 della Costituzione.
    A  obiezioni  analoghe  sarebbe  sottoponibile la norma impugnata
nell'ipotesi  che  il  motivo  della  previsione dell'ineleggibilita'
fosse  individuato  nei poteri di controllo politico esercitabili dal
singolo  consigliere  regionale  nei  confronti  della  giunta  e  di
ciascuno  dei  componenti  di questa. In generale, comunque, non puo'
esser  trascurato  il rilievo che poteri come quelli finora esaminati
non  sono  assunti, di norma, come ragioni determinanti di ipotesi di
ineleggibilita',  dal  momento  che  sono  privi di quei caratteri di
decisivita'  e  di  gestione  attiva  della  cosa  pubblica, che sono
requisiti  essenziali  al  fine  di  configurare  ragionevolmente  il
pericolo  che una determinata carica pubblica possa essere utilizzata
per  acquisire  illecitamente  consensi  elettorali.  Tantomeno, poi,
sarebbe giustificabile la disposizione impugnata ove si ritenesse che
l'ineleggibilita' dei consiglieri regionali derivi dal semplice fatto
di  rivestire  quella  carica  o,  in  altre  parole,  dal  prestigio
proveniente   da  quell'investitura  anche  in  termini  di  maggiore
conoscibilita'  del  candidato  da  parte dell'elettorato. Pur in tal
caso,  oltre  a sfuggire a qualsiasi possibilita' di comprensione una
previsione  del genere circoscritta ai soli consiglieri regionali, si
rivelerebbe    palesemente   irragionevole   una   disciplina   della
ineleggibiita'   che   mirasse   a   delimitare   l'influenza   nella
competizione  elettorale  della  notorieta'  derivante  dal ricoprire
determinate  cariche  pubbliche,  tanto piu' nell'ambito di societa',
come  quella  nella  quale viviamo, dove l'emergere di figure note al
pubblico  dipende  da  fattori  molteplici  e si verifica in svariati
settori  della  vita  sociale,  fra i quali quello considerato non e'
certo il piu' rilevante».
    Tali osservazioni possono riprendersi in pieno per quanto attiene
alla  eleggibilita'  dei  consiglieri  regionali e del Presidente del
consiglio regionale in carica.
    Riguardo  al  Presidente  ed  i  membri della giunta regionale in
carica,  va  ricordato  che  la  piu' volte richiamata sentenza della
Corte costituzionale n. 344 del 1993, nell'eliminare la previsione di
ineleggibilita'  dei  consiglieri regionali alla Camera dei deputati,
precisava  che tale soluzione non escludeva «che il legislatore possa
prevedere  l'ineleggibilita'  a parlamentare nazionale del presidente
della  giunta  regionale  e  degli  assessori  regionali,  poiche' le
considerazioni  svolte  in  relazione  ai  consiglieri  regionali non
possono  certo estendersi a categorie, come quelle ora ricordate, che
sono  invidualmente  investite  di  importanti  poteri  politici e di
rilevanti funzioni di amministrazione attiva».
    E'  quindi indubbio che tali soggetti si trovano in una posizione
tale  da  potersi  valere  dei  poteri  connessi alla loro carica per
influire  indebitamente  sulla  competizione elettorale, nel senso di
alterare  la  par  condicio  fra  i  vari  concorrenti  attraverso la
possibilita'  di  esercitare  una  captatio  benevolentiae o un metus
publicae potestatis nei confronti degli elettori.
    Occorre  quindi verificare se risponda a parametri di eguaglianza
l'art. 2, 1, lettera n), l.r. 30 dicembre 2004, n. 51, nella parte in
cui  consente - implicitamente - al presidente ed ai componenti della
giunta  regionale in carica, di conservare le loro rilevanti funzioni
fino  al  momento delle nuove elezioni e di essere eleggibili, si' da
poter cumulare, nel delicato periodo della campagna elettorale, i due
ruoli  di  candidato  consigliere  e di componente della giunta e nel
contempo  esclude  l'eleggibilita'  di altri soggetti quali i sindaci
dei  comuni  della  regione  con  popolazione  superiore a cinquemila
abitanti, i presidenti e gli assessori delle province.
    In verita' non pare revocabile in dubbio che i tutti i componenti
della  giunta  si  trovano  in  posizione  quantomeno  equivalente ed
omogenea   a  quella  degli  altri  per  i  quali  la  norma  prevede
l'ineleggibilita'.  Ne'  puo'  affermarsi  che essi, operando su base
regionale,  non  potrebbero turbare o condizionare in modo diretto la
libera  decisione  di  voto  degli  elettori,  atteso che, secondo le
ripetute   affermazioni   della  stessa  Corte  costituzionale,  sono
individualmente   investiti   di  importanti  poteri  politici  e  di
rilevanti  funzioni  di amministrazione attiva, posizione che implica
un  rapporto  diretto  e  non  mediato  con  i  potenziali elettori e
relativi gruppi esponenziali.
    La soluzione della lettera n) dell'art. 2, l.r. 30 dicembre 2004,
n. 5,  appare  ancor  piu'  meritevole di vaglio da parte del giudice
delle  leggi  se si pensa da un lato che i soggetti in essa indicati,
pur  operando su base al piu' provinciale, sono ineleggibili in tutto
il  territorio  regionale e, dall'altro, che la precedente lettera i)
prevede  l'ineleggibilita'  per  soggetti facenti parte dell'apparato
amministrativo  regionale  (dirigenti  e  dipendenti della regione) i
quali  si trovano sottoposti al controllo (politico-gestionale) della
giunta  nel  suo  complesso e degli assessori nominati nei rispettivi
settori.
    Orbene  e' principio costituzionale consolidato che «l'imperativo
di  razionalita' della legge impone che la ratio degli interventi sia
perseguita   integralmente:   se  cio'  non  avviene,  la  previsione
legislativa     ingiustificatamente     mancante     determina    una
discriminazione vietata dall'art. 3 della Costituzione» (sent. n. 476
del  2002).  L'art. 2,  comma  1, lettera n) l.r. Abruzzo 30 dicembre
2004,  n. 51,  nell'introdurre deroghe al principio costituzionale di
eleggibilita'  per  tutti  i  cittadini  sancito  dall'art. 51 Cost.,
sembra  provocare  tale  effetto  discriminatorio,  in  quanto non ha
disciplinato  in  modo paritario tutte situazioni tra loro omogenee e
sostanzialmente  equivalenti  ed  appare  in  contrasto con il valore
costituzionale  della  liberta' e della ingenuita' della competizione
elettorale   e  del  diritto  inviolabile  di  ciascun  cittadino  di
concorrere  all'elezione  dei  propri  rappresentanti  politici  e di
partecipare  in  condizioni  di  eguaglianza  all'accesso  a  cariche
pubbliche  elettive»  enunciato  dal  giudice delle leggi in chiusura
della  sentenza  n. 344  del  1993,  quale  fondamentale parametro di
riferimento nella materia.
    Non   e'   pertanto  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 2,  comma 1, lettera n), l.r.
Abruzzo  30  dicembre  2004,  n. 51, in riferimento agli artt. 3 e 51
della  Costituzione, nella parte in cui prevede l'ineleggibilita' dei
sindaci   dei  comuni  della  regione  con  popolazione  superiore  a
cinquemila abitanti, dei presidenti e degli assessori delle province,
sia  perche'  estende  detta  ineleggibilita'  a  tutto il territorio
regionale anziche' nell'ambito della sola provincia nella quale detti
soggetti   esercitano   il   proprio  mandato,  sia  perche'  non  ha
disciplinato  in modo paritario tutte le situazioni tra loro omogenee
e  sostanzialmente  equivalenti,  consentendo -  implicitamente  - al
presidente  ed  ai  componenti  della  giunta regionale in carica, di
conservare  le  loro  rilevanti  funzioni fino al momento delle nuove
elezioni  e di essere eleggibili, si' da poter cumulare, nel delicato
periodo   della   campagna  elettorale,  i  due  ruoli  di  candidato
consigliere e di componente della giunta regionale in carica.
    La  pronuncia  della  Corte  costituzione  idonea  ad  elidere le
esposte  ragioni  di irragionevolezza e irrazionalita' per disparita'
di   trattamento,   sembra   essere  quella  della  dichiarazione  di
illegittimita'  costituzionale  dell'art. 2, comma 1, lettera n) l.r.
Abruzzo  30  dicembre  2004,  n. 51,  con la conseguente eliminazione
della norma dall'ordinamento della regione Abruzzo.